Tepore
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L’orizzonte si mischiava col mare, altrettanto grigio, altrettanto triste.
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Il cielo era denso di nuvole e l’aria odorava di pioggia.
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L’erba del cimitero era fresca e sapeva d’alba.
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Erano le prime ore del mattino, il sole non era ancora sorto, e, probabilmente non l’avrebbe fatto, nascosto da tutte quelle nuvole.
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L’atmosfera sofferente gravava sulle lapidi marmoree di quel luogo dove dominavano il dolore e il silenzio.
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La figura sfocata di un bambino danzava nella nebbia angosciante. Non piangeva e non soffriva, anzi, sul suo viso era disegnato un bel sorriso allegro e i suoi occhi traboccavano di gioia.
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Perché proprio lui?
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Correva per i viottoli del cimitero, pavimentati di pietra, e i suoi passi risuonavano in quel giardino tanto cupo.
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Si potevano udire le sue risa di bimbo e ogni sfumatura di quell’allegria dilaniava il cuore.
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Perché così presto?
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Gli uomini e le donne camminavano mesti seguendo la piccola bara, sorretta da tre uomini vestiti di nero.
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Quel corteo funebre procedeva silenzioso per non sconsacrare il sonno di chi non poteva più respirare.
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La bara era colore dell’ebano e le maniglie robuste, d’argento.
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Tutti quegli occhi erano fissi su di essa e mentre procedevano per quelle strette vie, le lacrime rigavano copiose i visi pallidi dei presenti.
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Perché così terribilmente?
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La bara fu posata sul terreno umido.
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Tutti coloro che avevano assistito alla cerimonia, si radunarono attorno a quella piccola cassa.
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Le mani congiunte al petto e il capo chino, in segno di rispetto verso quel piccolo uomo che li aveva lasciati, ora e per sempre.
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Avevano dato il loro ultimo bacio a quel volto niveo poche ore prima, ma la voglia di riscaldare le sue guance con quel piccolo gesto, pervadeva i loro animi.
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Due soggetti indistinti, si abbracciavano a vicenda e una voce femminile e rotta, pregava tra i singhiozzi, che quel momento non fosse reale.
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Perché tanto lentamente?
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Le gocce cominciarono a fare compagnia alle lacrime e la terra smossa della fossa diventò umida e appiccicosa.
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L’odore acre del fango impestò l’aria e avvolse la mente di tutte le persone che osservavano la scena del sotterramento.
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E ogni palata era una fitta nell’anima, e ogni mucchietto di terra riempiva il cuore di compassione.
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Granello dopo granello, non rimase altro che una fossa piena e degli animi svuotati d’ogni sensazione.
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Ognuno soffriva così immensamente che la tristezza li aveva abbandonati, lasciando la mente in balia della spossatezza.
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Perché con così tanta sofferenza?
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Quel fanciullo continuava a giocare.
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La sua voce infantile riecheggiava nell’aria mattutina sbattendo contro la dura superficie delle tombe.
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I suoi piedi non toccavano terra. Era sospeso a pochi centimetri dal freddo suolo. Si muoveva con tanta grazia che pareva essere legato alle gocce di pioggia. Il suo corpo era leggero e impercettibile. Solo la sua voce poteva essere udita. Ma non pregava la vita, non chiedeva di poter toccare di nuovo l’erba. Lui rideva, a rassicurare gli infelici che avrebbero fatto lui compagnia in quel lungo e sconosciuto viaggio.
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Non aveva paura, no, saltellava sorridendo e accogliendo la pioggia sul suo corpo nudo.
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Perché senza ritorno?
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Fiori leggeri venivano posati di fronte ad una piccola lapide bianca.
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Immacolati e puri, proprio come quella minuta vittima, cadevano sulla terra appena smossa.
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Un fiore in più, una presenza in meno. Con smarrimento nell’anima, le persone salivano sulle loro macchine nere e si allontanavano, con ancora qualche lacrima negli occhi.
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Finché i due genitori non rimasero soli, dimentichi del loro scopo vitale, privi della loro stessa anima.
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Davide Petri
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1999-2008
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Dolce e pieno di gioia
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Ci hai lasciati senza aver assaporato la passione
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Di una vita,
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Ma te ne vai con il nostro amore.
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Amato figlio,
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Vivrai nelle nostre anime,
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Ogni giorno.
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Osserva le mani del padre incrociarsi con quelle della madre, e quel timido bambino prende coscienza di non poterla più abbracciare.
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Capisce che non riceverà più il calore di un corpo materno, ma che è stato accolto nel gelo della morte.
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Righe d’umido pianto, bagnano il suo volto morbido.
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E i piedini toccano il suolo.
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L’immagine del suo corpo, prende forma e, in un ultimo soffio vitale, raggiunge le persone che lo piangono.
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Non ci sono parole, gesti semplici e sguardi colmi di rimpianto.
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Quelle piccole mani ancora bagnate dopo l’annegamento, sfiorano il viso della madre inginocchiata.
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Si uniscono a quelle del padre.
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Un ultimo bacio, tenero e pieno d’affetto. Una guancia riscaldata per un’ultima volta.
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E con quel tepore nell’animo, svanisce.
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Il suo profumo nel vento, il suo riflesso nella pioggia.
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Perché proprio lui?
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Spero che questa breve storia vi sia piaciuta, che vi abbia commossi e che abbiate provato almeno un terzo delle emozioni che io ho provato scrivendo.
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Il passaggio dal passato al presente, nella parte finale, è volontario. Sta ad esprimere quanto la morte ci paia lontana, nonostante il suo grande legame con la vita.
Miss dark
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