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Autore: AlfiaH    23/10/2013    2 recensioni
// « È sconveniente fare questo genere di cose in pubblico… » Sussurrò , sfiorandogli le dita con le sue, beandosi del calore di quel contatto che il re sembrava non voler affatto interrompere. Chissà quando avrebbe provato di nuovo quella sensazione così piacevole, la pelle d’oca e i brividi, il petto palpitante. //
UsUk/Cardverse Partecipante al contest Fanfiction Week col prompt 006/Ultimo Ballo
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: America/Alfred F. Jones - England/Arthur Kirkland
Prompt: 006/Ultimo Ballo
Non sono riuscita ad aggiungerla alla raccolta, quindi la pubblico come storia a parte!
//Partecipante al contest "Fanfiction Week" Indetto dalla pagina "Hetalia, pls."

L'Ultimo Ballo

Le splendide luci colorivano l’immenso salone, mettevano in risalto l’oro delle pareti e dei matronei, si riflettevano nei cristalli dei lampadari sfarzosi e venivano rispedite indietro, colpivano altri specchi e venivano deviate ancora, si incastravano tra le pieghe delle tende di seta, mettevano in risalto i ricami e le rifiniture porpora, le faceva sembrare ancora più immense e maestose delle ampie gonne che piroettavano e si aprivano, ingioiellate e infiocchettate, al centro della sala. Persino le decorazioni floreali, gli arabeschi di scuro ferro battuto assumevano un altro aspetto, più intenso e amplificato, impossibile da non notare, così come gli affreschi raffinati, angeli sul capo dei presenti dai colori di chiaro pastello, azzurro e ocra, e duro marmo rifinito, a destra e a sinistra degli interminabili gradini che separavano regalità da nobiltà, i sovrani dai sudditi. Al termine di questi, difatti, vi erano due troni, l’uno di fianco all’altro, dal tessuto morbido e vermiglio nella parte interiore e duro e dorato in quella esteriore, a simboleggiare quasi l’essere e l’apparenza, da semplici uomini e re e regina.
Su un lato della sala, lontano dalle danze, un immenso tavolo offriva agli invitati le più squisite vivande dei quattro regni: in una conchiglia di ceramica bianca, al centro, spiccava il rosso, più intenso del sangue, di salse prelibate e dense provenienti dal Regno di Cuori;  vassoi dalle tonalità vivaci, sfoglie e zucchero a velo, prelibatezze giunte dal lontano regno di Quadri, e altri più scuri, invece, speziati, provenienti dal Regno di Fiori.
Tutto era perfetto, se non per l’angoscia che, già da qualche giorno, affliggeva imperterrita l’animo della regina, la rendeva silenziosa e pungente, ancor più di quanto lo fosse di solito.
Non vi era nulla di allegro nella musica, non la mettevano di buon umore le danze, non l’allettava il banchetto né la compagnia di conti e principesse. Avrebbe preferito passare quella giornata con le sue rose, col suo giardino e con il suo re, soprattutto con il suo re. E invece se ne stava in piedi, avvolta nel mantello color cobalto, con aria annoiata e  pensierosa, sollevando la testa e guardando dall’alto in basso chiunque le si avvicinasse, salutandola con profondi inchini e riverenze.
Alfred non era ancora arrivato.
Aveva sempre avuto l’abitudine, il vizio, anzi, di arrivare in ritardo o in anticipo o comunque non in orario, d’altro canto l’Altezza avrebbe dovuto aspettarselo; avrebbe fatto tardi anche il giorno del suo compleanno. E dire che non capiva, delle volte, perché fosse così difficile per lui dare un’occhiata all’orologio, di tanto in tanto, uno degli innumerevoli nel palazzo, e premurarsi di affrettarsi negli impegni, essere puntuale agli appuntamenti.
Sospirò ma il suo respiro venne bloccato a metà nei polmoni, stroncato da un abbraccio inaspettato che le aveva catturato interamente le spalle e le braccia, più sottili di quelle dell’uomo che la stava stringendo con inimmaginabile dolcezza. Il viso le si imporporò appena nel sentire le labbra morbide poggiarsi sul suo collo ed istintivamente  abbassò lo sguardo sulle mani che si erano intrecciate all’altezza del suo stomaco, sul panciotto blu notte. 
« È sconveniente fare questo genere di cose in pubblico… » Sussurrò , sfiorandogli le dita con le sue, beandosi del calore di quel contatto che il re sembrava non voler affatto interrompere. Chissà quando avrebbe provato di nuovo quella sensazione così piacevole, la pelle d’oca e i brividi, il petto palpitante.
In tutta risposta, Alfred la strinse ancora di più a sé, facendo aderire perfettamente il petto contro la sua schiena, quasi possessivamente, con la paura che potesse sfuggirgli dalle braccia da un momento all’altro, inconsapevole che quel pensiero non avesse mai sfiorato, neppure una volta, la mente dorata dell’amante.
 
« Non voglio più lasciarti, Arthur... »
 
Ed a volte la regina si stupiva per quanto potessero essere simili i loro pensieri in certe situazioni, quanto vicini i loro sentimenti. Si liberò dall’abbraccio a malincuore e si voltò verso di lui, poggiò le dita sulle sue labbra e lo zittì freddamente,  prima che potesse pronunciare quelle parole che tanto odiava sentire, l’augurio formale di un buon compleanno che ogni volta le faceva realizzare quanto lentamente fossero passati gli ultimi trecentosessantacinque giorni. Non aveva paura di invecchiare, affatto, fremeva, piuttosto, affinchè il tempo scorresse più velocemente, così che potesse giungere quella giornata tanto agognata, quando potevano stare insieme di nuovo, quando Alfred poteva tornare da lui, per gentile concessione degli spiriti.
 
Sollevò lo sguardo e incrociò il suo; mai i suoi occhi le erano parsi così tristi, mai i suoi gesti così malinconici.
Mesi erano passati, i suoi poteri affievoliti col tempo,giorno per giorno, incantesimo dopo incantesimo, le ossa stesse erano state consumate dalla magia, ma in quel momento nulla più importava, né la fatica né la tristezza, tutto acquisiva un senso, i suoi sforzi non sembravano più vani.
Il re avvolse la mano che ancora gli teneva sigillata la sua bocca nella sua, la strinse e la baciò con dolcezza, rammaricato di ritrovare l’amata in quello stato pietoso, unicamente a causa sua.
 
« Non posso rimanere per molto… » Tentò, ma l’Imperatrice fu più scaltra, più veloce: « Usciamo. » Sussurrò, come fosse un segreto, trascinandolo in malo modo tra i nobiluomini e le nobildonne, tenendolo per un braccio, la fronte corrugata e indispettita, lanciando occhiate fulminanti a chiunque avesse da dire qualunque cosa. Varcata la soglia del giardino, curato e splendido come il resto della reggia, subito si voltò, incontrando l’espressione deliziosamente stupida del sovrano, gli cinse il collo con le braccia, alzandosi un po’ sulle punte e facendo scontrare le loro labbra con prepotenza, più e più volte. Strinse la stoffa di velluto della sua lunga giacca fino a far sbiancare le nocche, quasi con rabbia, mentre gli imprimeva sulla bocca il suo sapore, così a fondo che niente avrebbe potuto cancellarlo, neppure il dolore, neppure l’Inferno. Quanto le era mancato tutto ciò, come aveva fatto a sopravvivere tutto quel tempo?
 
« Mi sei mancato. » Si giustifico, imbarazzata, lasciando che fosse il re a baciarla, stavolta, chinandosi appena sulle sue labbra, per scoprirle ed assaporarle ancora una volta, prima di tornare a quella che ormai era la sua reggia, nell’Oltre tomba. Il cavaliere dagli occhi azzurri le passò un braccio attorno alla vita, attirandola nuovamente a sè, intrecciò le dita tra i suoi capelli d’oro, li carezzò piano, abbassò le palpebre e si abbandonò al ricordo, studiandone la consistenza, quasi, prima di allontanarsi dal suo viso e catturare nuovamente le sue mani. Era la prima volta che la sua regina si concedeva il lusso di uscire dal suo ruolo, la prima volta che non fosse sotto le coperte, in realtà, che lo trascinava via in modo davvero poco raffinato. Doveva essere qualcosa di grave ciò che sentiva e lo era, non immaginava nemmeno quanto.
 
« Mi concederebbe quest’ultimo ballo, Maestà? »
 
Le sue parole risuonarono cristalline nelle  orecchie, le facevano venir voglia di piangere. Si abbandonò al volere del giovane, si poggiò sul suo petto, e le danze finalmente cominciarono, un passo indietro e poi un altro, sotto lo sguardo intenerito dei fiori color dell’oceano e delle sculture marmoree delle fontane zampillanti. La musica era melodiosa, le note dolci e tristi, lontane dai loro cuori, lontane dalla loro realtà.
 
 
« Vorrei rimanere qui con te, per sempre. »
 
Archi continuavano a sfregare su corde tese, i violini continuavano a suonare, ignorando la loro presenza, imperterriti, rallegravano la sala, ripetevano la stessa musica, le stesse note, persino gli alberi sembravano volerne seguire il ritmo, ondeggiavano e si lasciavano guidare dal vento, esperto danzatore. Rallentava, tutto rallentava, le foglie rimanevano nell’aria, non sfioravano la terra, le gocce non tornavano all’acqua, l’acqua rimaneva increspata in piccole onde, smetteva di zampillare, il tempo stesso cessava.
 
« Qui, insieme, per sempre. »
 
E mentre l’ultimo incantesimo veniva pronunciato e tutto taceva, solo l’incessante melodia rallegrava il regno e, nella solitudine della notte, al chiaro della luna, due anime che danzavano, malinconiche e silenziose, il loro ultimo , eterno, ballo.
 
 

 #Angolo della Disperazione
Spero che quest'ultima storia vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuta a me scriverla.
La mia prima Cardverse UsUk çwç *commossa*
Lasciate qualche voto sulla pagina Hetalia, pls, mi raccomando!
Altrimenti niente biscotto ù.ù
 
 
 
 
 
 
  
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