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Autore: _Gufetta_    23/10/2013    0 recensioni
"Perché adesso gli tornava in mente, vivido e perfetto, come se fosse successo solo poche ore prima, il sorriso di quel cucciolo d’umano senza nome?
Il suono della sua voce tornava a tormentargli il cervello.
“Master Knives, Master Knives”
Legato sembrava vivere per potersi far scivolare il suo nome sulle labbra."
[Post manga. Knives/Legato]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ben trovati a leggere questo terzo capitolo!
Vi auguro una buona lettura e vi ringrazio dell’attenzione che dedicate a questa fanfiction, ve ne sono grata =w=
Piccola legenda per i dialoghi:
-“Parlato normale”-
Pensieri privati”
Dialogo mentale



NOT ALONE


Per due giorni non volle saperne di avvicinarsi a quella porta. Seduto sul portico dell’edificio difronte, saggiava con il suo potere ogni possibile risposta di quella che era, senza dubbio, la mente di Legato.
Era debolissima rispetto a come la ricordava, ma persisteva.

Voleva aspettare per capire quali erano le sue condizioni.
Non voleva incontrare una carcassa umana, debole e inutile, confinata in un letto. Avrebbe sprecato il suo tempo e quelle che pian piano sembravano diventare delle speranze.
Gli era capitato di osservare da lontano, quali erano gli effetti di alcune malattie simili, sugli uomini. Morire mentre erano comunque ancora in vita, quell’immagine non si addiceva affatto a Legato.
Anche se non aveva mai perso occasione per ripeterglielo, Legato non era mai stato veramente inutile.

Gli umani sono così dannatamente fragili” pensava tra sé, mentre continuava ad accarezzare i contorni della mente dormiente di Legato, nella speranza di strappargli una reazione qualunque.
Suo fratello doveva averlo colpito alla testa, era l’unico modo per poterlo fermare.
E per poterlo rendere totalmente inutile” sospirò. Pensare che almeno l’uomo era ancora vivo, non gli era di nessuna utilità. Non si sarebbe preso cura di una cosa quasi morta.

Ma ecco che improvvisamente, un pensiero di consistenza familiare si aggrappò ad un filo del suo potere.

Master Knives

Le labbra di Knives si curvarono in qualcosa di molto simile ad un sorriso. Il suo potere avvolse quel pensiero, cullò quella flebile voce con una tenerezza che stupì entrambi.

Svegliati Legato. Non mi pare di averti dato il permesso di dormire.

Ed ecco che come un’onda d’urto, la mente di Legato si schiuse.
Knives venne investito da milioni di pezzi di sensazioni diverse, come frammenti di specchio, che riflettevano pensieri.
Alcuni che per tutta la vita, Legato aveva tentato di nascondergli, altri che invece conosceva bene.
Informazioni, volti, luoghi, sapori, odori, tutto un infinito catalogo di cose che definivano quello che era, o era stato, Legato.

Aprendo nuovamente gli occhi sulla strada, una strana felicità lo invase.
Legato era vivo e reagiva.
Knives non era più solo.

Si alzò dalla sua postazione e si avviò alla porta con passo sicuro. Sentì dei passi affrettati dietro la porta, per le scale.

Bussò due volte prima che qualcuno si decidesse ad aprirgli.

La misera porta si aprì, mostrandogli la signora che aveva visto al mercato
-“Desidera qualcosa?”-  Indossava un grembiule bianco dalla cui tasca pendevano dei guanti, e al collo una piccola mascherina azzurra. La donna fu costretta ad alzare la testa per guardarlo in viso.

-“Cerco…”- Era tanto che non spiccicava parola e fu costretto a tossire e schiarirsi la voce finché non gli sembrò di smettere di gracchiare. La gola gli bruciava –“ Cerco un uomo che è ricoverato qua da voi”-

La signora lo squadrò. Non doveva avere affatto un aspetto rassicurante, sporco e trasandato com’era dalle settimane di cammino nel deserto.
Non si era preoccupato né di bere né di mangiare.
Doveva sembrarle appena uscito dalla tomba.

-“Non abbiamo pazienti ricoverati in questo momento”- si affrettò a dire la signora, confermando i suoi sospetti riguardo a come lui le dovesse apparire.

-“Ho sentito che avete presso di voi un uomo trovato tra le macerie dell’incidente avvenuto qualche mese fa.”- Tentò di non apparire minaccioso o freddo, senza riuscirci.

La signora lo guardò di nuovo –“Lei come lo sa?”-

Knives tentò di riportare alla mente quello che Vash aveva tentato d’insegnargli su come riuscire a relazionarsi con gli umani in modo da riuscire a guadagnarsi la loro fiducia.
La verità, soprattutto in parte, è la cosa migliore da dire
Sospirò.

-“Ero lontano quando è successo quell’incidente, e ho saputo che questa persona si trovava qui. La sto cercando da molto tempo. Mi hanno detto che presso di voi alloggiava un sopravvissuto non identificato e volevo… e mi sarebbe piaciuto poterlo incontrare”- Knives tentò di sembrare preoccupato, o abbattuto o triste, o qualsiasi espressione che potesse muovere a compassione la signora.

-“E’ un parente?”-

-“Possiamo dire così, si”-
 “Sono colui che voleva sterminare la vostra inutile e sporca razza dalla faccia del pianeta, e quello che avete amorevolmente accolto in casa  è il mio cane e sono venuto a riprendermelo. Ah, Vash è mio fratello e mi odia per una serie di ragioni abbastanza comprensibili.”
La verità va raccontata solo in parte. Si, meglio.

La signora improvvisamente sorrise –“Venga, venga, non avevo capito.”-
lo fece entrare e richiuse la porta dietro di lui –“Con i tempi che corrono non si è mai troppo sicuri, venga. Chissà che pena aver viaggiato così a lungo. Spero davvero che l’uomo che si trova qui da noi sia quello che lei sta cercando”- Fece cenno al mantello logoro che copriva i miseri vestiti di Knives –“Venga, lo dia a me”-
Knives se lo tolse, un po’ riluttante di perdere una protezione, un po’ grato di non avere più quell’orribile tessuto addosso.
La signora lo appoggiò ad un attaccapanni accanto alla porta e poi  fece per imboccare le scale. Dopo il primo gradino si bloccò e lo guardò con espressione seria
 –“Non so che idea possa essersi fatto sulle condizioni di quell’uomo, ma devo avvertirla: in questi mesi è stato immerso in uno stato di coma profondo. Aveva una grave ferita alla testa, non sappiamo se si risveglierà o se, quando lo farà, sarà in grado d’intendere e di volere.”-

Knives la guardò negli occhi e annuì.
Lei quindi riprese a salire le scale facendo cenno di seguirla –“Io e mio marito abbiamo fatto di tutto per evitare la cancrena, e nelle ultime settimane il corpo ha cominciato  a dare segni di miglioramento… Stamani sembrava sul punto di svegliarsi”-
L’odore forte dei prodotti per la pulizia e dei disinfettanti copriva a stento il fetore latente della malattia che permeava i muri della casa. Knives fece di tutto per allontanare dal suo viso una qualsiasi espressione di disgusto e rimanere impassibile.
Gli umani erano sporchi, e puzzavano orribilmente anche quando erano sani. Da malati erano disgustosi.

Arrivarono ad una piccola stanza, con la porta socchiusa, dalla quale uscì il marito della signora.
Salutò Knives dopo una breve presentazione, con una stretta di mano che colse nuovamente il plant impreparato e fece cenno all’uomo di entrare.
Sorrideva, dicendo qualcosa circa le buone condizioni di salute del paziente.

Ed eccolo, disteso nel piccolo letto del quale aveva intuito i contorni, le flebo attaccate al braccio nei punti in cui aveva sentito il dolore la prima volta che l’aveva cercato.
Incredibilmente magro e pallido, con una vistosa fasciatura alla testa e…

-“…i suoi capelli”- la frase sfuggì dalle labbra di Knives inaspettatamente.

-“hanno un colore particolarissimo, vero? Quando lo abbiamo trovato li aveva molto più lunghi. Abbiamo dovuto tagliarglieli perché non dessero fastidio alla ferita”-

Rimase per un po’ in silenzio a fissarlo, poi si avvicinò.
Gli ricordava fin troppo le condizioni nelle quali versava quando lo aveva trovato, magro, piccolo, così… fragile. Avrebbe potuto ucciderlo solo toccandolo, come allora.

Allungò una mano verso il suo viso e ne carezzò lievemente il contorno, mentre mentalmente ripeteva lo stesso gesto.
E Legato aprì improvvisamente gli occhi.

Quelle iridi dorate e spaventate che si mossero velocemente finché non trovarono Knives e si fissarono su di lui.
Il respiro era affannoso e il corpo mosso da tremiti, come se volesse fare qualcosa, qualunque cosa.
Come se trovasse quella posizione irrispettosa nei confronti di Knives.

Calmati Legato.

Master Knives, io…

Knives gli appoggiò le mani sulle spalle e senza il minimo sforzo lo bloccò sul materasso.
Occhi negli occhi.
Sentì i suoi muscoli che si rilassavano, il respiro che lottava per rimanere regolare.

Ho fallito, Master Knives.

Legato chiuse di nuovo gli occhi e tentò di mandare indietro la testa, per offrire la gola scoperta.

Uccidetemi.

Knives ridacchiò, cullando con il suo potere la mente ancora debole di Legato.
Gli passò le dita sulla fronte, sfiorando il tessuto del bendaggio.

Tu sei mio, Legato. E non andrai incontro a nessuna morte finché non sarò io a deciderlo.

Legato riaprì gli occhi, colmi di lacrime. E credette di morire davvero quando Knives si chinò in avanti e gli posò le labbra sull’unico pezzo di fronte che non era stato coperto dalla fasciatura.
Le sue labbra erano ruvide e secche, nulla al confronto di quanto aveva sognato in tutti quei lunghi anni.
Non seguì nessun tipo di dolore, come si aspettava.
Poi Knives si allontanò da lui, e chiuse gli occhi ancora. Si fece cullare dolcemente da quello che molto probabilmente era solo un sogno, e sprofondò di nuovo nel buio.

Un sorriso a solcargli il volto, come quando la canna della pistola di Vash si era finalmente appoggiata contro la sua fronte.
 
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Spero che vi sia piaciuto, se volete, lasciate una recensione!  ^_^
 
 [L’uomo con i capelli neri sembrava a tratti totalmente incapace di prendersi cura dell’altro, come quando osservava, incuriosito come un bambino, tutto quello che il medico faceva attorno al suo paziente.
Altre volte invece dimostrava la premura di un genitore e la tenerezza di un amante.
]

Al prossimo mercoledì!
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