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Autore: braverouis    23/10/2013    2 recensioni
Eravamo nella stessa classe da anni, ma fin dal primo anno di liceo le cose erano state ben chiare; non parlava mai con nessuno, a parte quel biondino palesemente tinto che rideva in continuazione, per qualsiasi cosa l’altro facesse. Stava seduto lì, in disparte, spesso saltava le lezioni. I primi anni avevamo provato a coinvolgerlo, ma non diede mai segno di alcun interesse verso di noi.
E ovviamente, questo aveva sempre stimolato il mio, di interesse.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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1. Burn



“Ciao, scusa, posso?”
Il ragazzo seduto davanti a me alzò lo sguardo, aspirando dalla sigaretta che aveva appena acceso. Mi guardò fisso negli occhi, solo un accenno di sorpresa negli occhi azzurro chiaro, prima che facesse scivolare l’accendino nella mia mano, distogliendo in fretta lo sguardo.
“Certo, fai pure.”
Accesi la sigaretta, e al contrario suo, continuai a guardarlo, prima di allontanarmi con un cenno del capo, a mo’ di saluto.
Eravamo nella stessa classe da anni, ma fin dal primo anno di liceo le cose erano state ben chiare; non parlava mai con nessuno, a parte quel biondino palesemente tinto che rideva in continuazione, per qualsiasi cosa l’altro facesse. Stava seduto lì, in disparte, spesso saltava le lezioni. I primi anni avevamo provato a coinvolgerlo, ma non diede mai segno di alcun interesse verso di noi.
E ovviamente, questo aveva sempre stimolato il mio, di interesse.
Louis Tomlinson, capelli perennemente in disordine, un accenno di barba, vestito ogni giorno peggio. Nulla di interessante agli occhi di chiunque altro, e dovevo ammetterlo, neanch’io sapevo cosa ci trovavo in lui.
“Violet? Violet!”
La voce di Kate mi distolse dai miei pensieri, costringendomi a tornare al mondo reale, dove Louis Tomlinson era solo lo sfigato dell’ultimo banco, e, per mia grande sfortuna, mio vicino di casa.
“Ti ho cercato dappertutto! Dove ti eri cacciata?”
Aveva la voce affannata, probabilmente era vero. Avrei dovuto avvertirla prima di scomparire al suono della campanella dell’intervallo.
“Scusa Katie, avevo voglia di una sigaretta in santa pace, senza quel branco di coglioni a rompermi le palle.” Dissi alzando la mano con cui tenevo la sigaretta, a sottolineare le mie parole, alzando appena gli angoli della bocca in un sorriso.
“E sei venuta qui? Nel cortile interno? Spero che nessuno scopra che sei venuta nel cortile degli sfigati!” Scoppiò a ridere, come se avesse detto la più divertente delle battute, quando invece aveva solo sottolineato la stupidità di chi frequentava quella scuola; c’era anche un cortile degli sfigati, perché ovviamente se non ti comprimevi insieme ad altre mille persone nelle scalinate di fronte alla scuola, a cercar di mangiare mentre venivi intossicato dal fumo altrui, dovevi esser per forza uno sfigato.
Alzai gli occhi al cielo, sforzando una risata. Posai una mano sul braccio di Kate, spingendola verso la porta, prima di far scivolare un braccio intorno alle sue spalle. “Dai, rientriamo.” Mentre pronunciavo quelle parole, presi l’ultimo tiro dalla mia sigaretta, buttando a terra il mozzicone. Istintivamente, girai il viso, guardandomi alle spalle, e incrociando per un secondo lo sguardo di Louis, che in quell’esatto istante si era girato per ridere a una battuta del biondo seduto accanto a lui.
Per l’ennesima volta in quei cinque anni che lo conoscevo, il tempo sembrò fermarsi, la voce di Kate e la risata del suo amico si fecero confuse, tutto si concentrò nei suoi occhi azzurri puntati nei miei.
Durò un istante, il tempo che un brivido mi percorresse la schiena, poi tornai a guardare davanti a me con uno scatto della testa, fingendo di ascoltare il discorso di Kate su quanto stesse male il nuovo taglio a Cassie.
Ma quando era arrivato il biondino?
 
Zac, seduto dietro di me, continuava a giocare con i miei capelli, arrotolandoli intorno alla sua matita, facendo piccole treccine, non mi dava pace, mentre seguivo, o almeno provavo a seguire, la lezione di matematica. Sentii il rumore della sedia che si spostava, le sue labbra vicine al mio orecchio.
“Oggi ho casa libera.. Sai che significa questo?” soffiò, e senza neanche girarmi a guardarlo, immaginai il sorriso sulle sue labbra mentre pregustava il pomeriggio che avremmo passato insieme. Annuii in risposta, guardandolo con la coda dell’occhio, e sorrisi notando il rossore di Kate seduta accanto a me, che aveva capito ogni parola.
“Bene, avete venti minuti per risolvere il problema alla lavagna..” La voce di Mr. Russell si fece leggermente più forte, per sovrastare le risate di qualcuno nel fondo nella classe.
Mi tirai su, drizzando la schiena per guardare cosa c’era scritto alla lavagna e scriverlo sul foglio che avevo davanti a me.
“Tomlinson!” Un libro sbattuto sulla cattedra, una risata soffocata qualche banco dietro di me, un ‘scusi’ detto a mezza voce mi convinsero a girarmi.
Dall’altra parte della classe, Louis e il suo amico sembravano spassarsela. Il moro cercava di trattenere le risate stringendo le labbra, mentre l’altro aveva quasi le lacrime agli occhi, ridendo silenziosamente dietro la schiena del ragazzo che gli stava davanti.
La mia attenzione fu catturata ancora una volta dagli occhi di Louis, nascosti dal ciuffo troppo lungo che li nascondeva. Feci scorrere lo sguardo sulle labbra ancora contratte, stavolta in una smorfia di preoccupazione, probabilmente per il compito che aveva davanti, sulle mani che giocavano nervosamente con la penna, sui muscoli delle braccia stretti in quella maglietta troppo aderente. Percepii il rossore sulle mie guance e riportai lo sguardo sul mio compito, cercando di concentrarmi.
 
POV Louis
 
Dopo mezz’ora di tentativi andati male, riuscii finalmente ad accordare decentemente la vecchia chitarra che avevo trovato poco prima in cantina. Era vecchia e rovinata, ma almeno suonava ancora.
Ero in camera mia, solo, come al solito, una canna stretta tra le labbra. Posai la chitarra sulle gambe, per prendere la canna tra le dita e buttare via il fumo, chinando la testa all’indietro. Sorrisi nel sentirmi immediatamente rilassato, leggero, la mente libera da qualunque pensiero.
Rabbrividii appena per il freddo, e mi alzai di malavoglia dal mio letto per indossare qualcosa sopra i boxer. Qualche passo e cambiai idea, ma invece di tornare a letto mi appoggiai con i gomiti al davanzale della finestra, guardando la strada e continuando a fumare lentamente, godendomi ogni tiro.
Un movimento nel balcone di fronte catturò la mia attenzione: da lì, riuscivo a vedere benissimo la camera da letto dei miei vicini di casa. O meglio, della mia vicina.
Violet era lì, con addosso solo gli slip, le braccia incrociate proprio sopra il seno, tra le dita una sigaretta. I capelli scompigliati, gli occhi lucidi, le guance rosse. Non fui sorpreso allo scorgere una figura nel suo letto, poco dietro di lei.
Non si era ancora accorta di me, e ne approfittai.
Il mio sguardo corse sulle sue gambe, sempre troppo magre, le ossa sporgenti del bacino, la pancia piatta, il seno piccolo.
Se i nostri genitori non si fossero odiati a morte, probabilmente in quel letto ci sarei stato io.
Il suo sguardo perso nel vuoto finalmente incrociò il mio, anche con quella strada che ci separava, riuscivo a immaginare le sue labbra a formare uno dei suoi sorrisi.
Quando l’effetto della canna sarebbe svanito, avrei dimenticato tutti quei particolari. Ma era bello distrarsi per un po’, perdersi in questi nostri incontri.
A scuola, io ero sempre stato lo sfigato. Non parlavo mai con nessuno, tranne che con Niall, il mio migliore amico dall’età di ben tre anni. Non m’importava, di nessuno.
E da quando due anni prima mia madre si era trasferita a Londra, lasciando me in quel paesino che odiavo, non provavo più niente.
Vivevo una vita senza senso, ma mi stava bene così.
E lei? Violet Delacroix, un nome un programma. Si era trasferita nella casa di fronte alla mia quando avevo sei anni, e già da allora ero stato catturato dai suoi occhi scuri, sempre spenti. Era una bella ragazza, e a scuola conosceva tutti, ogni cosa che succedeva; ogni ragazzo avrebbe voluto essere al posto di Zac, ogni ragazza la invidiava. Ma lei di questo neanche sembrava accorgersene.
Aveva sempre una buona parola per tutti, un sorriso.
Ma poteva essere cattiva come poche, anche per un torto minimo.
Risi a ricordare le sue varie vendette contro altre ragazze, poi aprii la finestra per gettare via ciò che restava della canna.
Dall’altra parte della strada, Violet mi sorrise e per un secondo, mi sembrò che le si illuminassero gli occhi. Poi due braccia le cinsero la vita, la costrinsero a girarsi, quasi scomparì contro il petto di Zac, molto più imponente anche di me.
Presa dal bacio, Violet lasciò cadere la sigaretta, nello stesso momento in cui io chiusi sbattendo con forza la finestra.
La mattina dopo, come ogni fottuta mattina della mia vita, mi alzai in ritardo, mi vestii con letteralmente le prime cose che trovavo nell’armadio, presi la macchina fino a scuola. Trovai Niall al solito posto, lo salutai, entrammo insieme in classe, ci sedemmo all’ultimo banco per restare nascosti da tutti.
Si ripeteva tutto, ogni giorno era uguale a quello precedente.
Almeno, fino a quando Violet non si sedette nel banco accanto al mio. Ringraziai mentalmente Dio o chi per lui che quel giorno Niall aveva deciso di sedersi vicino al muro, e guardai con finta noncuranza la ragazza seduta alla mia destra, mordendomi nervosamente il labbro.
Onestamente, la odiavo. Odiavo quell’effetto che aveva su di me, pur avendo scambiato solo qualche parola nel corso di quei cinque anni. Odiavo la sua popolarità, odiavo la sua completa indifferenza verso tutto e tutti, odiavo la sua storia con Zac, odiavo la sua amicizia con Kate così simile alla mia con Niall. Odiavo quel sorriso che sembrava sempre nasconderti qualcosa, odiavo quegli occhi scuri che ora erano puntati fissi nei miei.
Sostenni il suo sguardo per qualche secondo, fino a quando fu lei a girarsi, fingendosi interessata alla lezione.
Sospirai, maledicendo ancora una volta il coraggio che mi mancava.
Ma stavo bene così, da solo.
Dopo esser stato abbandonato da tutta la mia famiglia, non avevo nessuna intenzione di essere abbandonato da nessun altro. Ed ero giunto alla conclusione che star da soli era il miglior modo di evitarlo. Com’è che dicono? Prevenire è meglio che curare.
Come un copione già scritto, le ore di lezione passarono tra le risate sguaiate di Niall, le parole dei professori che ignoravo, il mio quaderno che si riempiva sempre di più di note e frasi che il pomeriggio avrebbero trovato posto sulle corde della mia “nuova” chitarra.
“Louis? Mi stai ascoltando?!” La voce irritata del mio compagno di banco mi fece sobbalzare, e la matita mi sfuggì di mano, tracciando una linea sopra le ultime frasi scritte. Presi un respiro profondo per non sfogarmi contro il biondino, mi girai verso di lui e scossi la testa.
“Stavo scrivendo, scusa. Cos’è che dicevi?” Alzai le spalle a mo’ di scusa, un mezzo sorriso stampato sul viso. “Stasera ci vieni alla festa di Zac? Ci saranno tutti!” I suoi occhi azzurri erano pieni d’eccitazione, ma aspettava una mia conferma. Sarebbe andato comunque, ma sapevo che senza di me per lui non sarebbe stato lo stesso.
Gettai un’occhiata verso gli altri ragazzi; non avevo nessuna voglia di andare, ma non volevo dare buca a Niall per l’ennesima volta.
“Va bene, ci sto.” Acconsentii alla fine, dopo un silenzio esageratamente lungo, sorridendo alla vista del suo viso che sembrò illuminarsi.
Riprese a parlare della festa, di chi ci sarebbe stato, cosa sarebbe successo.. Cazzate di cui non m’importava assolutamente niente.
 Fortunatamente, non mancava molto alla fine di quella giornata, e al suono della campanella scattai in piedi, dando una pacca sulla spalla di Niall prima di uscire di corsa, non volevo passare un minuto di più in quella classe.
Uscii dalla scuola prima che fiumi di gente si riversassero nei corridoi, rendendo impossibile l’uscita, e mi appoggiai al muro, guardando come mio solito cosa succedeva intorno a me.
Alzando lo sguardo, notai due ragazzi che osservavano con attenzione la scuola e gli studenti che ne uscivano. Non ci feci caso, probabilmente aspettavano qualche ragazza.
Vidi Violet uscire, a braccetto con Kate, fermarsi ogni cinque passi per salutare qualcuno, baci volanti, di circostanza, labbra che neanche toccavano le guance. Era impossibile camminare in mezzo a quella folla, tranne per lei, tutti sembravano quasi intimoriti e la facevano passare. La ragazza si fermò poco fuori dal cancello, Zac le si avvicinò per lasciarle un bacio e le sussurrò qualcosa all’orecchio, poi si allontanò. Mi sembrò quasi infastidita, avrei voluto avvicinarmi, chiederle cosa c’era che non andava, ma in pochi secondi il suo viso tornò a essere la maschera di sempre.
Si fermò con Kate ad aspettare l’autobus, e mentre la bionda parlava lei annuiva, fingendo di ascoltarla, lo sguardo perso nel vuoto.
Mi staccai dal muro e presi dalla tasca il pacchetto delle sigarette, cercando l’accendino, e imprecai ad alta voce non trovandolo. Infastidito, sbuffai andando verso la mia macchina, ma a metà strada notai che i due ragazzi di prima non si erano ancora spostati, e ora guardavano Violet e Kate, un po’ troppo interessati. Mi immobilizzai guardandoli avvicinarsi a loro, presentarsi, non riuscii a staccare lo sguardo dalla mano di Violet mentre stringeva le mani prima del riccio, poi del moro pieno di tatuaggi.
La gelosia mi montò dentro, la sentivo bruciare nel petto, un peso sullo stomaco, un blocco in gola che non mi faceva respirare. Strinsi i denti, sentendo il bisogno disperato di una sigaretta.
“Violet, giusto?.. Sì, siamo nuovi.. Oh, siamo nella tua stessa classe!.. Io sono Harry.. Piacere, Zayn.. I-io sono Kate!” riuscii ad ascoltare solo frasi sconnesse, ma capii quello che mi bastava. Mi sarei ritrovato quei due tizi in classe per il resto dell’anno.
Li squadrai dalla testa ai piedi; quello che aveva parlato prima, il riccio, era più alto di me, occhi verdi, labbra piene, camicia aperta che lasciava scorgere dei tatuaggi sul petto oltre a quelli sulle braccia, jeans strettissimi, stivaletti ai piedi. Sembrava vestirsi anche peggio di me. L’altro.. Com’è che si chiamava? Ah, sì, Zayn. Aveva spiccicato solo qualche parola, anche lui le braccia coperte da tatuaggi, vestito completamente di nero, sigaretta tra le labbra, barba corta e capelli scuri come gli occhi.
Tornai a concentrarmi su Violet, e vidi i suoi occhi illuminarsi a una risata di Harry.
Se fossi restato lì un minuto di più, non mi sarei trattenuto dal dare un pugno su quella faccia da bambino.
Mi girai e percorsi i pochi passi che mi separavano dalla mia macchina. Mi irrigidii quando un urlo di una ragazza ruppe il silenzio, e dando un’occhiata alle mie spalle, scoprii che a urlare era stata Violet. Agitava una mano, soffiandoci sopra, un accendino tra le mani, il mio accendino. Si era bruciata con il mio accendino.
Sorrisi per l’ironia della cosa: io bruciavo di gelosia, lei si bruciava con il mio accendino.
Ma quando la risata roca di Harry riempì l’aria, neanche quel pensiero mi diede un minimo di soddisfazione. Entrai finalmente in macchina, sbattendo la portiera con più forza che avevo, sfogando la rabbia che si accumulava piano piano mentre ripensavo a come gli occhi di Violet si erano illuminati parlando con quello..
E come si illuminavano ora, con un lampo di consapevolezza, quando passai davanti a loro, premendo di più sull’acceleratore, ignorando come il suo sguardo sembrò supplicarmi di restare quando incrociò il mio.

 
  
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