V° parte
Uscirono dalla
galleria e, dopo aver attraversato il lungo corridoio che portava alle scale,
scesero per la stretta rampa. Mentre scendevano il granduca si rivolse a
Felipe:
"Sapete,
ripensandoci, è vero."
"Cosa?" la
curiosità dello spagnolo si fece subito sentire.
"Che mio cugino, tornato
dal nuovo mondo, era molto debole e disse di essere stato male, laggiù."
Continuò il granduca.
"Questa non è che
una conferma del fatto che non può essere lui il colpevole."
"Non avrò pace
finche non scoprirò la verità." Felipe lo scrutò: guardava davanti a se
con la fronte nobile e lo sguardo severo del guerriero.
Sentirono dei passi e
così si fermarono. Gli venne incontro un paggio, con un messaggio: doveva
raggiungere il suo studiolo al più presto possibile, c'era un grana da
sbrigare. Allora il granduca scese un'altra rampa di scale, poi spostò un
arazzo e spinse la parete, penetrando in un passaggio. Felipe si appoggiò al
muro sbigottito. Eppure avrebbe dovuto sapere che poteva esserci un passaggio
segreto, in tutti i palazzi ce n'erano, anche in quello di José. Ora si
spiegavano molte cose: il presunto fantasma che spariva nei muri; e poi
Costanza poteva avere ragione, forse Paolo stava davvero salendo, quando lo
vide con lei. E soprattutto qualcun altro poteva aver ascoltato la sua
discussione con Lucrezia, avvenuta nel pianerottolo sottostante, scomparendo
poi attraverso il passaggio.
"Aguilon, vi
sentite bene?" gli chiese il suo ospite.
"Si, eccellenza.
Soltanto che il venire a conoscenza diretta del passaggio segreto, appena
aperto da voi, potrebbe essere fondamentale nelle mie indagini. Grazie al
vostro gesto ho appena scoperto come fa il 'fantasma' ad apparire e scomparire
come un vero spirito. A proposito: ci sono altri passaggi, non è vero?"
Felipe aveva ripreso colore e vigore.
"Certamente. Ma,
ne parliamo dopo. Adesso ho fretta. Posso lasciarvi?"
"Non ci sono
problemi." Rispose. Anzi rimanere solo gli avrebbe consentito di
riordinare le idee. Il conte Paolo era stato ormai scagionato, ma Felipe aveva
la sensazione che una tessera del mosaico fosse fuori posto, e riteneva che
fosse quello il motivo per cui non riusciva a vedere il quadro nella sua
chiarezza.
Non poté, però,
portare a compimento le sue intenzioni, poiché Costanza lo pregò di cenare con
lei. La donna non voleva rimanere sola con il dottore ed il cugino. Il giovane
non le negò la sua compagnia.
La cena fu silenziosa;
solo il dottor Penarosa parlò un po', annunciando d’essere prossimo alla
partenza. D'altronde i suoi malati in Spagna aveva già fatto a meno di lui per
troppo tempo.
Quando ebbero finito
di mangiare, Felipe e Costanza, andarono a fare una passeggiata nel parco. Ora
che ne conosceva la pianta a memoria, lo spagnolo poteva attraversare
tranquillamente il labirinto. Si fermarono a parlare su un sedile vicino alla
statua di Icaro; Aguilon ne guardava la base, sapendo che era la tomba di
Maddalena. Non disse niente alla sua accompagnatrice, sapeva che le donne,
anche con le migliori intenzioni, spesso si lasciavano sfuggire i segreti. Si
salutarono con un bacio; il giovane decise che era il massimo da chiederle
quella sera.
Finalmente Felipe poté
restare solo. Si sdraiò sul letto, dopo essersi spogliato, e cominciò a
pensare. Il conte Paolo era innocente: le sue risposte sincere, il fatto che
non aveva segni sul corpo, almeno in punti visibili, e la sua mancanza di
conoscenza per il nuovo mondo lo scagionavano. Ma cos'era che non convinceva lo
spagnolo?
Il fantasma? Era
provato che non esisteva. La colluttazione con Lucrezia? L'assassino l'aveva
realmente avuta. 'Spero di non aver avuto figli illegittimi aveva detto il
granduca. Perché quella frase continuava a tornargli in testa. Testa. La
parrucca; o meglio le parrucche. Cos'avevano che non andava. A Roma. Chi altro,
oltre Paolo, vi si recava spesso? Doveva essere una persona che, per un motivo
o per l'altro, andava in quella città, che era stata nel nuovo mondo, e che
conosceva il palazzo ed il giardino a menadito. Ma chi? Chi poteva essere.
Figli illegittimi. A Roma, ai fori romani vendono le parrucche. Ma come faceva,
Tommaso, a sapere che le vendevano proprio lì? Si sarà informato dalle persone
che conosceva in città. Il granduca lo inviava molte volte in vaticano.
Tommaso. No. Però quell'uomo era così freddo, impassibile; ma dietro quegli
occhi verdi così distaccati, Felipe, aveva individuato un'intelligenza sottile
e calcolatrice. Giuste caratteristiche per un efficiente segretario. Occhi
verdi. Figli illegittimi. Non era possibile: Tommaso lavorava per il granduca
da anni, ed egli gli accordava la sua fiducia smisurata. Serpi covate in seno.
Era stato proprio lui, con queste parole, ad accusare il conte della congiura.
Occhi verdi. Come erano simili quelli della bella Costanza e del fratello. Da
chi li avevano ereditati? Non capiva il perché di queste divagazioni, la mente
dell'uomo era proprio strana. Sì che lo capiva.
Felipe si alzò dal
letto, infilò la camicia ed uscì dalla sua stanza, ben deciso a recarsi nella
galleria dei dipinti. Quando ci arrivò cominciò, alla fievole luce del
candelabro, ad osservare da vicino ogni quadro che si trovasse davanti; in
special modo quelli del padre e della madre del granduca. Guardava un quadro,
poi si sedeva e rimuginava. Poi ne guardava un altro e di nuovo si sedeva. Andò
avanti così fino all'alba. Quando il giorno spuntò, lo spagnolo era
scoraggiato, non aveva trovato quel particolare che cercava; aveva solo
appurato che il granduca e la sorella avevano ereditato gli occhi dal padre.
Decise di tornare a dormire, ma mentre si avviava la sua attenzione fu colpita
da in piccolo ritratto, messo in un angolo: si trattava di un mezzo busto di
donna. Era bella, somigliava a qualcuno, ma non avrebbe saputo dire a chi.
"Buongiorno,
signor Aguilon!" una giovane servetta gli era arrivata alle spalle.
"Era molto bella, la madre del signor Tommaso. Non trovate anche
voi."
"Questa è la
madre di Tommaso?" chiese lo spagnolo.
"Sì, è morta
tanto giovane, poverina." Rispose la ragazza.
"Gli somiglia
molto, ma gli occhi non vanno bene…" Felipe stava osservando il quadro
sempre più intensamente mentre un grosso sorriso gli si stava stampando in
faccia. "No, questi non sono gli occhi di Tommaso." Disse infine,
ridendo. Poi si voltò e diede un bacio sulle labbra alla fanciulla.
"Voi siete il
miglior buongiorno che potevo desiderare!" le disse.
"Ma via, signor
Aguilon…" la serva era imbarazzata. Ma non fece in tempo a dirgli altro,
poiché il giovane era già andato via.
Felipe tornò nella sua
camera e decise di dormire almeno un po'. Si svegliò per andare a colazione, ma
scoprì che era quasi ora di pranzo. Così, dopo essersi preparato, scese per
raggiungere gli altri nel salone. Costanza gli chiese dov'era finito, Felipe,
imbarazzato, si giustificò con una notte in bianco. Alla fine del pasto lo
spagnolo fermò il granduca.
"Eccellenza."
Gli disse, traendolo in disparte. "Avrei bisogno che voi e vostra moglie
faceste una cosa per me."
"Di che si
tratta, Aguilon?" chiese il suo ospite.
"Ve ne parlerò
più tardi. Vediamoci nel vostro studiolo nel pomeriggio. Da soli."
"Non temete,
Felipe, sapete che per me, la riservatezza su questa storia, è
fondamentale."
"Allora a dopo.
Adesso devo parlare con una persona." Il giovane aveva un'aria misteriosa.
Il granduca lo guardò perplesso, allontanarsi.
Il giorno successivo,
dopo che Aguilon aveva parlato con il granduca, la servitù lo passò a preparare
un banchetto di festa. E quella sera, il sovrano, sua moglie ed i loro graditi
ospiti, compreso il dottor Peñarosa, si sedettero a tavola per una cena
favolosa. La granduchessa e Costanza erano bellissime, per la gioia dell'esteta
Felipe, ed anche per quella degli altri ospiti. Tutti sembravano molto allegri,
specie il giovane spagnolo. Costanza pensò che fosse per il troppo vino.
Nel bel mezzo del
pasto, quando le portate si susseguivano gustose, il granduca si alzò ed attirò
l'attenzione dei commensali picchiando il calice con una posata.
"Miei cari
ospiti!" disse. "Ho organizzato questa serata con voi, per
festeggiare la ristabilita salute della mia adorata consorte, la granduchessa
Isabel. Ringrazio, con questo pasto, tutti voi per l'affetto che ci avete
dimostrato e ne approfitto per…" porse la mano alla moglie, che si alzò al
suo fianco. "…annunciare che è prossima la nascita del tanto sospirato
nostro primogenito e speriamo che Dio ci conceda un maschio!" mentre il
granduca pronunciava queste parole, Felipe, osservava le reazioni alla notizia
sui volti degli ospiti. Quando il padrone di casa ebbe finito di parlare tutti
i presenti batterono le mani, gioiosamente. Costanza si alzò per baciare la cognata,
e Aguilon propose un brindisi.
La serata continuò con
bevute, canti e balli. Ballò perfino la granduchessa. Tutto terminò con un
bellissimo falò nel piazzale di ghiaia del giardino. Felipe decise che
all'assassino ci sarebbe voluto un po' di tempo per riordinare le idee, perciò
rischiò accettando il malizioso invito di Costanza nelle sue stanze.
Quando, al mattino
dopo, la donna aprì gli occhi, Felipe era già vestito e sedeva su una sedia
sotto la finestra, nella flebile luce dell'alba, accarezzando una parrucca
castano scuro. La guardò mostrandole l'oggetto, poi sorrise e disse:
"Dovreste farmi
un favore, questa notte."
"Non vi sono
bastati quelli che vi ho fatto la notte passata?" chiese adagiandosi
contro i cuscini. Il giovane sorrise complice. Lasciò la sedia per il bordo del
letto e rispose:
"Quello che vi
chiedo ora è un po' più pericoloso."
"Credo di avervi
dimostrato che non sono una donna timorosa. Parlate adesso."
CONTINUA...