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Autore: CowgirlSara    29/10/2004    6 recensioni
Un enorme palazzo, un giardino e un labirinto, un fantasma forse. Un giallo tradizionale, con un protagonista non convenzionale. Un storia forse un po' banale, ma è il mio primo giallo!
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI° parte

Volevo ringraziare tutti quelli che hanno letto questo racconto; questa era in assoluto la prima ff che ho scritto, qualche anno fa a dire il vero, e sono contenta che qualcuno abbia voluto leggerla. Certo, mi sarebbe piaciuto qualche commento, ma è già qualcosa che l’avete letta. Grazie a tutti, un bacio. Sara

 

VI° parte

 

"Fratello, credevo Felipe ti avesse spiegato che non potevamo farlo fare ad Isabel." Disse a bassa voce Costanza. La donna si era sistemata in testa la parrucca scura, per nascondere i suoi capelli dorati e somigliare di più alla cognata.

"Certo che no." Rispose il granduca. "Lei è ancora troppo provata, ma anche per te è pericoloso."

"Adesso basta discutere. Abbiamo tutti chiaro ciò che dobbiamo fare?" chiese Aguilon. Gli altri due risposero affermativamente.

"La granduchessa è al sicuro, eccellenza?"

"Sì, nessuno l'ha vista. Il suo trasferimento al vecchio palagio è passato inosservato."

"Bene. Voi Costanza siete a posto?" la nobildonna disse di sì. "Allora: adesso io e vostro fratello ci allontaneremo, lasciandovi qui. Voi fingerete di dormire, nel frattempo io attraverserò il passaggio che dalle stanze del granduca conduce in questa camera, ed attenderò che qualcosa accada. Buona notte, mia cara."

"Non scherzate, Felipe." Costanza gli parve un po' impaurita.

"Non temete, basterà un sospiro sospetto ed io scatterò." La rassicurò lo spagnolo.

Il granduca ed Aguilon uscirono dalle stanze della granduchessa. Si salutarono a voce alta e si augurarono la buona notte. Poi entrambi entrarono nelle stanze del sovrano. Felipe, con un pugnale che gli pendeva dal fianco, si affrettò a penetrare nel passaggio, ed il suo ospite si apprestava a seguirlo, ma il giovane lo pregò di rimanere nella stanza, pronto ad intervenire ad ogni eventualità. Il granduca, sebbene con rammarico, spense tutte le candele e si sedette al buio, vicino al campanello, pronto a suonarlo per richiamare le guardie, che aveva lasciato in allerta.

Nel frattempo Aguilon raggiungeva la fine del passaggio e ne apriva un'estremità, guardando nella stanza. Tutto era avvolto nel buio e nel silenzio; la fievole luce della luna, che entrava dalla finestra, rischiarava la forma di Costanza avvolta nelle lenzuola. Probabilmente ci sarebbe stato da aspettare.

Il tempo sembrava non passare mai, stava per cedere, quando sentì la porta aprirsi. Nel buio non riusciva a distinguere figure, ma i passi, pur attutiti dai tappeti, li sentiva. Poi vide, alla luce della luna, una mano allungarsi sulla figura dormiente, afferrare un cuscino e iniziare a premerlo sul viso della donna. A quel punto Felipe balzò fuori dal suo nascondiglio e si avventò contro l'ombra. I due crollarono a terra e cominciarono a lottare. Costanza si era alzata a sedere sul letto, la parrucca le era caduta, ma nel buio non riusciva a distinguere nulla, sentiva solo i rumori della colluttazione.

"Felipe! Vi prego Felipe rispondete!" ma non risposero che i respiri affannosi dei due contendenti ed i colpi che si scambiavano. Ad un tratto, la donna, vide levarsi, alla luce della luna, una lama, che ripiombò veloce nell'oscurità.

"No!" gridò Costanza. Si mosse il più veloce possibile per cercare una candela o meglio il campanello per chiamare aiuto; ma il campanello cadde a terra. "Fermatevi, vi prego!" continuò la donna.

"Ah!" il grido di dolore veniva dal pavimento. Costanza riconobbe la voce dello spagnolo.

"Felipe." Disse con un fil di voce, balzando dal letto. Quando ebbe messo i piedi a terra vide una luce provenire dal passaggio.

"Costanza, che succede!" era il granduca che si avvicinava a grandi passi.

"Corri, fratello mio!" lo spronava la sorella. Il sovrano entrò nella camera con un lume ad olio, che illuminava molto più di una candela; vide la donna in piedi vicino al letto, col volto impaurito. Illuminò allora il pavimento, da dove provenivano dei gemiti ed, ancora rumori di lotta.

Felipe Aguilon era a terra, aveva sangue sul volto e sul braccio sinistro; sopra di lui, brandiva ancora il pugnale, pronto a sferrare il colpo mortale allo spagnolo, c'era Tommaso. Quando il granduca lo vide rimase sbalordito, ma, appena l'altro s'alzò, pronto a fuggire, egli gli puntò il fioretto, dicendo:

"Fermati traditore, assassino!" Tommaso però non si fermò e, veloce come un gatto, passò la porta rimasta aperta.

"Presto, inseguiamolo!" gridò Felipe, che si era già rimesso in piedi. "Non perdiamo tempo, o ci sfuggirà." Aggiunse.

"Ma voi siete ferito…" Costanza non fece in tempo a fermarlo, che si era già lanciato fuori dalla porta, seguito dal granduca. La donna rimasta sola udì il suono della campana del cortile; certamente il fratello l'aveva suonata perché la potesse sentire più gente possibile. Ormai erano fuori.

Il giardino, fortunatamente, era illuminato dalla luna; si distinguevano perfettamente la forma delle siepi ed il profilo delle statue, ma non c'erano figure in movimento. I due uomini si fermarono sopra la fontana, ansimando.

"State bene, Aguilon?" chiese il granduca.

"A posto, non è grave." Rispose lo spagnolo. "Accidenti, quel maledetto s'è nascosto. Ma, per fortuna, l'unico posto dove può averlo fatto è il labirinto." Aggiunse.

"Come fate ad esserne certo, potrebbe essere andato nel bosco."

"No, per poterlo fare avrebbe dovuto attraversare la radura, fino all'anfiteatro, l'avremmo sicuramente visto. Invece, attraversando il labirinto, ci può arrivare senza pericolo."

"Andiamo là, allora. Ma prima prendo questa." Il granduca tirò fuori una bellissima balestra, ben lubrificata, ed alcune frecce, pronto all'attacco.

"Spero non ce ne sia bisogno." Affermò preoccupato Felipe.  

I due s'incamminarono, così, veloci verso il labirinto. Che, in una maniera o nell'altra, era sempre al centro di questa storia, pensò Felipe. Arrivati all'entrata il granduca gridò:

"Arrendetevi, Tommaso. Uscite allo scoperto e sarò clemente, vi risparmierò la vita. Forza, non siate vile!"

"Vi prego, eccellenza." Lo spagnolo cercò di placarlo. "Purtroppo non credo che basterà."

"Dunque?" chiese il suo compagno.

"Credo che dovremo entrare a prenderlo."

"E se fosse già andato?" continuava il granduca.

"E' ancora là. Voi conoscete bene il labirinto, ed anch'io. Possiamo farcela."

"D'accordo entriamo."

Varcarono l'entrata decisi, poi si divisero. Aguilon proseguì al buio, il granduca con la lampada, in direzione del centro, ma percorrendo strade diverse. Felipe camminava al buio, contando i suoi passi; era l'unico modo per non perdersi. Si muoveva lungo le siepi da un po' di tempo, quando sentì gridare il granduca. La voce non veniva da lontano, forse dal centro del labirinto. Doveva esserci ormai vicino, l'altro ci era, probabilmente, arrivato prima poiché aveva camminato con la luce della lampada. Vide del chiarore e raggiunse veloce lo spiazzo.

La lampada era caduta, incendiando un cumulo d’erba secca; le fiamme illuminavano la statua di Icaro ed il terreno circostante. I due uomini erano proprio ai piedi della scultura: il granduca era in ginocchio e reggeva con le mani il braccio di Tommaso, che, in piedi, gli serrava il collo, stringendo sempre più. La balestra giaceva a terra.

"Fermatevi, Tommaso!" gridò Felipe. " Volete veramente uccidere vostro fratello." Aggiunse con voce calma.

"Cosa?" la voce del granduca era un soffio.

"Io sono il primogenito. Io dovevo diventare granduca, non lui."

"Sì, lo so." Lo spagnolo sembrava tranquillo.

"E invece nostro padre lo ha sempre preferito, tanto da non dirgli mai di me, da tenergli nascosta la mia esistenza. Adesso pagherà!"

"Non sarà facile ucciderlo, come con Lucrezia." Aggiunse Aguilon.

"Facile uccidere Lucrezia? Con quella maledetta sgualdrina ho dovuto lottare, mi ha anche graffiato, quella cretina. A lui basterà stringere ancora un po' il collo e addio granduca. E pensare che mi sono scervellato con quel piano assurdo per uccidere sua moglie. Era così facile uccidere prima lui."

"Vi prego, capisco che essere stati privati, per anni, dei propri diritti è terribile, ma possono esserci altre soluzioni oltre alla violenza." Continuò Felipe.

"Voi non capite un bel niente. Il rinomato scopritore di misteri spagnolo. Ero riuscito a prendermi gioco anche di voi. Quando mi avete mandato a Roma; quante risate mi sono fatto, durante il viaggio."

"Prima avete ucciso Lucrezia, e poi…"

"E poi sono andato a portare i documenti in vaticano ed ho anche salutato il mio amico venditore di parrucche, se volete saperlo. Sciocco."

"Ma poi ho capito."

"E' stata solo fortuna."

"Non credo proprio. Avete commesso qualche errore anche voi." Il tono di Felipe si era fatto sarcastico.

"Ucciderò anche voi, quando avrò finito con lui." Disse Tommaso, serrando la presa sul granduca, che respirava a malapena.

"Finite prima me, sono già ferito."

"Fatemi il favore, a questo manca poco per morire…" non poté finire la frase poiché Aguilon, approfittando di un momento di distrazione, gli saltò addosso facendogli mollare il granduca, che cadde a terra privo di forze.

I due uomini cominciarono a lottare, avvicinandosi pericolosamente al fuoco. Il granduca sapeva che Felipe non avrebbe potuto avere la meglio, con il braccio ferito; così raccolse la balestra e la caricò, con le ultime forze, puntandola verso Tommaso.

"Adesso basta, Tommaso!" intimò il sovrano. "Non aggravate ancora la vostra situazione."

"Non puoi più minacciarmi, granduca!" disse l'uomo, lasciando andare Felipe, che cadde, e voltandosi verso il fratellastro.

"Non avvicinarti, o sarò costretto a colpirti." Lo avvertì, ma il segretario continuava a camminare, impugnando l'affilato pugnale dello spagnolo.

Aguilon osservava la scena, mentre la luce si affievoliva, man mano che il fuoco si andava spegnendo. Tommaso non accennava a fermarsi; il granduca fece un passo indietro, si sentì un rumore metallico e la freccia partì, colpendo l'antagonista al petto. L'uomo crollò a terra, il nobile lasciò la balestra e gli si avvicinò, sostenendogli la testa. Felipe li raggiunse solo in tempo per veder morire Tommaso.

"Eccellenza…" lo spagnolo gli posò una mano sulla spalla, mentre era ancora accasciato.

"Pensavo di aver mirato più in alto… In fondo provavo dell'affetto per lui, mi aveva servito bene per tanti anni." Disse serio il granduca, adagiando il corpo del fratellastro.

"Adesso il mistero è risolto." Affermò soddisfatto Felipe.

"Non ancora; voi mi dovete delle spiegazioni. Esaurienti, Aguilon." Ora lo guardava negli occhi.

"Certamente, ma ora torniamo a palazzo."

Usciti dal labirinto si trovarono di fronte un manipolo di soldati con le fiaccole, che li stavano ancora cercando. Il granduca gli disse di andare a recuperare il corpo di Tommaso, e loro prontamente eseguirono. Felipe ed il suo ospite raggiunsero il palazzo, dove trovarono tutti svegli, compresa la granduchessa. Accompagnati dagli altri si accomodarono nella sala dalle grandi vetrate, dove lo spagnolo si preparò per rispondere alle domande che gli sarebbero state poste.

 

"Prima di tutto: come avete fatto a scoprire che Tommaso era mio fratello, Felipe?" chiese il granduca allo spagnolo.

"Cosa?" Costanza guardò stupita prima il fratello, poi Aguilon.

"E' successo per caso. Riflettevo su chi potesse avere motivo per colpirvi oltre al conte Paolo, e più ci pensavo più ero convinto che l'unica, valida, ragione era di avere mire sulla vostra posizione di potere. Se questo era ciò che spingeva questa persona, essa doveva essere in grado di prendere il vostro posto legalmente, alla luce del sole. Questo riconduceva a Paolo, ma sulla sua colpevolezza avevo forti dubbi."

"Che per fortuna si sono rivelati fondati." Affermò il conte, anche lui presente.

"Infatti. Allora cominciò a prendere forma l'idea di un figlio illegittimo, che però possedesse le prove certe di essere di sangue nobile, come penso avesse Tommaso."

"Ma i primi sospetti su di lui, quando vi vennero?" chiese il granduca.

"Quando collegai i suoi frequenti viaggi a Roma con l'acquisto delle parrucche; poi conosceva molto bene il palazzo, ed il giardino, era cresciuto qui. In seguito ho parlato con la fantesca, che mi ha raccontato la sua storia. Era figlio di una giovane donna, sposata ad un uomo più vecchio, che ora sappiamo tradiva con vostro padre. Quando la madre morì, lui era ancora bambino, ed il 'padre' lo trattò, d'allora in avanti, sempre molto male. Quando anch'egli venne a mancare, i parenti lo misero in un collegio di gesuiti, dove, m'immagino, fu educato nella più rigida disciplina, e da dove fuggì di lì a poco. Poi se né perdono le tracce fino a quando, alcuni anni fa, si ripresentò qui, per divenire il vostro segretario. Deduco che s'imbarcò per il nuovo mondo, da dove tornò con una certa esperienza in veleni."

"Ma torniamo alla scoperta della parentela, non avete finito di spiegare come avete fatto." Disse Costanza, rivolta a Felipe.

"Mia cara, è stato merito dei vostri occhi."

"Ma come?" chiese la granduchessa incuriosita, mentre sedeva, mano nella mano, col marito.

"Sì, ed anche di quelli del granduca. Andai nella galleria a cercare, nei tratti dei vostri genitori, quelli di un eventuale figlio illegittimo, ma non trovai nulla; finché non vidi il ritratto della madre di Tommaso. Gli somigliava molto, tranne che per gli occhi: lei li aveva castani scuri, mentre il figlio li aveva chiari, verdi. Come i vostri eccellenza, quelli di vostra sorella e soprattutto…" fece una pausa. "…quelli di vostro padre, da cui, tutti e tre, li avete ereditati." Concluse soddisfatto.

"Complimenti, Aguilon." Il granduca, che pur aveva inizialmente diffidato di lui, ora lo elogiava pubblicamente. Felipe ne era contento. A questo punto tutti si alzarono pronti a tornare a dormire, ma, mentre si avvicinavano alla porta, Costanza chiamò lo spagnolo, prendendolo per la manica. Il giovane si voltò, facendo fermare anche gli altri.

"Felipe." Disse. "C'è ancora una cosa che non abbiamo chiarito."

"Mi sembrava di avervi detto tutto."

"Non riguarda direttamente la faccenda di Tommaso. Io parlavo di Maddalena di Giovanni dal Pino. Non abbiamo capito come sia andata veramente la sua storia, e del suo corpo cosa n'è stato?"

"E' vero, non siete riuscito a scoprire nulla, Felipe?" la sostenne Isabel.

"Mie care signore." Rispose il giovane. "Lasciamo che la povera Maddalena riposi in pace, in qualunque luogo sia il suo corpo. Se volete avere l'animo in pace, ogni tanto, dite una preghiera per lei."

"Sì, Aguilon ha ragione. E' ora di farla finita con questa storia." Aggiunse il granduca. Le due giovani dame rimasero un po' deluse, ma dovettero rinunciare ad insistere.

Quella parte di notte rimasta Felipe la dormì finalmente tranquillo. Ogni pensiero aveva abbandonato la sua mente, finalmente poté pensare solo a stesso. Ed alla buona cucina della cuoca catalana di sua madre. Ora poteva tornare a casa senza timore, il principe José non gli avrebbe torto un capello.

Il mattino dopo si presentò come una giornata splendida: sole e vento fresco, perfetto per viaggiare. Aguilon preparò i bagagli, non aveva molta roba; poi fece colazione con i suoi ospiti e quindi si apprestò a salutarli.

Nella spianata davanti al palazzo, un piazzale leggermente in discesa coperto di pietra serena, Felipe salutava il granduca, sua sorella, il conte Paolo e la fantesca. Mentre stava per salire a cavallo arrivò di corsa la granduchessa, con una lettera.

"Aspettate, Felipe!" gridò la giovane, reggendosi il petto.

"Mia cara, non dovresti correre così." La rimproverò il marito.

"Temevo di non fare in tempo, che il nostro amico andasse via." Si fermò, ansimando.

"Mia signora, sarei rimasto anche un altro giorno, pur di farmi chiamare 'amico' da voi." Disse Felipe, avvicinandosi per baciarle la mano.

"Vi volevo consegnare questa." Isabel gli dette la lettera. "E' per mio padre. Una raccomandazione per voi. Gli chiedo di farvi capitano."

"Non dovevate." Rispose Felipe, emozionato, stringendole le mani.

"Era il minimo che potevamo fare, avete salvato la vita ad entrambi. L'ho firmata anch'io." Concluse il granduca.

"Grazie, non so dire altro." Detto questo salì a cavallo, li guardò un'ultima volta con gli occhi lucidi, e prima di andare rivolse un altro saluto a Costanza.

"Arrivederci, mia cara. Salutatemi vostro marito." Non c'era niente di malizioso nella sua voce, fortunatamente.

"Non mancherò." Rispose lei, con un sorriso.

Felipe Aguilon spronò il suo cavallo e levando la mano, per salutare definitivamente, partì verso il ponte per uscire dalla città. L'Italia era un paese veramente bellissimo, e questa esperienza l'avrebbe ricordata a lungo. Soprattutto non avrebbe dimenticato il granduca, un grande uomo ed un grande sovrano, la dolce Isabel e Costanza, in special modo, donna veramente coraggiosa. A tutto questo pensava, mentre cavalcava verso casa; il viaggio sarebbe stato lungo, ma l'estate era ancora tra i rami degli alberi.

 

FINE

 

   
 
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