Volevo ringraziare
tutti quelli che hanno letto questo racconto; questa era in assoluto la prima
ff che ho scritto, qualche anno fa a dire il vero, e sono contenta che qualcuno
abbia voluto leggerla. Certo, mi sarebbe piaciuto qualche commento, ma è già
qualcosa che l’avete letta. Grazie a tutti, un bacio. Sara
VI° parte
"Fratello,
credevo Felipe ti avesse spiegato che non potevamo farlo fare ad Isabel."
Disse a bassa voce Costanza. La donna si era sistemata in testa la parrucca
scura, per nascondere i suoi capelli dorati e somigliare di più alla cognata.
"Certo che
no." Rispose il granduca. "Lei è ancora troppo provata, ma anche per
te è pericoloso."
"Adesso basta
discutere. Abbiamo tutti chiaro ciò che dobbiamo fare?" chiese Aguilon.
Gli altri due risposero affermativamente.
"La granduchessa
è al sicuro, eccellenza?"
"Sì, nessuno l'ha
vista. Il suo trasferimento al vecchio palagio è passato inosservato."
"Bene. Voi
Costanza siete a posto?" la nobildonna disse di sì. "Allora: adesso
io e vostro fratello ci allontaneremo, lasciandovi qui. Voi fingerete di
dormire, nel frattempo io attraverserò il passaggio che dalle stanze del
granduca conduce in questa camera, ed attenderò che qualcosa accada. Buona
notte, mia cara."
"Non scherzate,
Felipe." Costanza gli parve un po' impaurita.
"Non temete,
basterà un sospiro sospetto ed io scatterò." La rassicurò lo spagnolo.
Il granduca ed Aguilon
uscirono dalle stanze della granduchessa. Si salutarono a voce alta e si
augurarono la buona notte. Poi entrambi entrarono nelle stanze del sovrano.
Felipe, con un pugnale che gli pendeva dal fianco, si affrettò a penetrare nel
passaggio, ed il suo ospite si apprestava a seguirlo, ma il giovane lo pregò di
rimanere nella stanza, pronto ad intervenire ad ogni eventualità. Il granduca,
sebbene con rammarico, spense tutte le candele e si sedette al buio, vicino al
campanello, pronto a suonarlo per richiamare le guardie, che aveva lasciato in
allerta.
Nel frattempo Aguilon
raggiungeva la fine del passaggio e ne apriva un'estremità, guardando nella
stanza. Tutto era avvolto nel buio e nel silenzio; la fievole luce della luna,
che entrava dalla finestra, rischiarava la forma di Costanza avvolta nelle
lenzuola. Probabilmente ci sarebbe stato da aspettare.
Il tempo sembrava non
passare mai, stava per cedere, quando sentì la porta aprirsi. Nel buio non
riusciva a distinguere figure, ma i passi, pur attutiti dai tappeti, li
sentiva. Poi vide, alla luce della luna, una mano allungarsi sulla figura
dormiente, afferrare un cuscino e iniziare a premerlo sul viso della donna. A
quel punto Felipe balzò fuori dal suo nascondiglio e si avventò contro l'ombra.
I due crollarono a terra e cominciarono a lottare. Costanza si era alzata a
sedere sul letto, la parrucca le era caduta, ma nel buio non riusciva a
distinguere nulla, sentiva solo i rumori della colluttazione.
"Felipe! Vi prego
Felipe rispondete!" ma non risposero che i respiri affannosi dei due
contendenti ed i colpi che si scambiavano. Ad un tratto, la donna, vide
levarsi, alla luce della luna, una lama, che ripiombò veloce nell'oscurità.
"No!" gridò
Costanza. Si mosse il più veloce possibile per cercare una candela o meglio il
campanello per chiamare aiuto; ma il campanello cadde a terra. "Fermatevi,
vi prego!" continuò la donna.
"Ah!" il
grido di dolore veniva dal pavimento. Costanza riconobbe la voce dello
spagnolo.
"Felipe."
Disse con un fil di voce, balzando dal letto. Quando ebbe messo i piedi a terra
vide una luce provenire dal passaggio.
"Costanza, che
succede!" era il granduca che si avvicinava a grandi passi.
"Corri, fratello
mio!" lo spronava la sorella. Il sovrano entrò nella camera con un lume ad
olio, che illuminava molto più di una candela; vide la donna in piedi vicino al
letto, col volto impaurito. Illuminò allora il pavimento, da dove provenivano
dei gemiti ed, ancora rumori di lotta.
Felipe Aguilon era a
terra, aveva sangue sul volto e sul braccio sinistro; sopra di lui, brandiva
ancora il pugnale, pronto a sferrare il colpo mortale allo spagnolo, c'era
Tommaso. Quando il granduca lo vide rimase sbalordito, ma, appena l'altro
s'alzò, pronto a fuggire, egli gli puntò il fioretto, dicendo:
"Fermati
traditore, assassino!" Tommaso però non si fermò e, veloce come un gatto,
passò la porta rimasta aperta.
"Presto,
inseguiamolo!" gridò Felipe, che si era già rimesso in piedi. "Non
perdiamo tempo, o ci sfuggirà." Aggiunse.
"Ma voi siete
ferito…" Costanza non fece in tempo a fermarlo, che si era già lanciato
fuori dalla porta, seguito dal granduca. La donna rimasta sola udì il suono
della campana del cortile; certamente il fratello l'aveva suonata perché la
potesse sentire più gente possibile. Ormai erano fuori.
Il giardino,
fortunatamente, era illuminato dalla luna; si distinguevano perfettamente la
forma delle siepi ed il profilo delle statue, ma non c'erano figure in
movimento. I due uomini si fermarono sopra la fontana, ansimando.
"State bene,
Aguilon?" chiese il granduca.
"A posto, non è
grave." Rispose lo spagnolo. "Accidenti, quel maledetto s'è nascosto.
Ma, per fortuna, l'unico posto dove può averlo fatto è il labirinto."
Aggiunse.
"Come fate ad
esserne certo, potrebbe essere andato nel bosco."
"No, per poterlo
fare avrebbe dovuto attraversare la radura, fino all'anfiteatro, l'avremmo
sicuramente visto. Invece, attraversando il labirinto, ci può arrivare senza
pericolo."
"Andiamo là,
allora. Ma prima prendo questa." Il granduca tirò fuori una bellissima
balestra, ben lubrificata, ed alcune frecce, pronto all'attacco.
"Spero non ce ne
sia bisogno." Affermò preoccupato Felipe.
I due s'incamminarono,
così, veloci verso il labirinto. Che, in una maniera o nell'altra, era sempre
al centro di questa storia, pensò Felipe. Arrivati all'entrata il granduca
gridò:
"Arrendetevi,
Tommaso. Uscite allo scoperto e sarò clemente, vi risparmierò la vita. Forza,
non siate vile!"
"Vi prego,
eccellenza." Lo spagnolo cercò di placarlo. "Purtroppo non credo che
basterà."
"Dunque?"
chiese il suo compagno.
"Credo che
dovremo entrare a prenderlo."
"E se fosse già
andato?" continuava il granduca.
"E' ancora là.
Voi conoscete bene il labirinto, ed anch'io. Possiamo farcela."
"D'accordo
entriamo."
Varcarono l'entrata
decisi, poi si divisero. Aguilon proseguì al buio, il granduca con la lampada,
in direzione del centro, ma percorrendo strade diverse. Felipe camminava al
buio, contando i suoi passi; era l'unico modo per non perdersi. Si muoveva
lungo le siepi da un po' di tempo, quando sentì gridare il granduca. La voce
non veniva da lontano, forse dal centro del labirinto. Doveva esserci ormai
vicino, l'altro ci era, probabilmente, arrivato prima poiché aveva camminato con
la luce della lampada. Vide del chiarore e raggiunse veloce lo spiazzo.
La lampada era caduta,
incendiando un cumulo d’erba secca; le fiamme illuminavano la statua di Icaro
ed il terreno circostante. I due uomini erano proprio ai piedi della scultura: il
granduca era in ginocchio e reggeva con le mani il braccio di Tommaso, che, in
piedi, gli serrava il collo, stringendo sempre più. La balestra giaceva a
terra.
"Fermatevi,
Tommaso!" gridò Felipe. " Volete veramente uccidere vostro
fratello." Aggiunse con voce calma.
"Cosa?" la
voce del granduca era un soffio.
"Io sono il
primogenito. Io dovevo diventare granduca, non lui."
"Sì, lo so."
Lo spagnolo sembrava tranquillo.
"E invece nostro
padre lo ha sempre preferito, tanto da non dirgli mai di me, da tenergli
nascosta la mia esistenza. Adesso pagherà!"
"Non sarà facile
ucciderlo, come con Lucrezia." Aggiunse Aguilon.
"Facile uccidere
Lucrezia? Con quella maledetta sgualdrina ho dovuto lottare, mi ha anche
graffiato, quella cretina. A lui basterà stringere ancora un po' il collo e
addio granduca. E pensare che mi sono scervellato con quel piano assurdo per
uccidere sua moglie. Era così facile uccidere prima lui."
"Vi prego,
capisco che essere stati privati, per anni, dei propri diritti è terribile, ma
possono esserci altre soluzioni oltre alla violenza." Continuò Felipe.
"Voi non capite
un bel niente. Il rinomato scopritore di misteri spagnolo. Ero riuscito a
prendermi gioco anche di voi. Quando mi avete mandato a Roma; quante risate mi
sono fatto, durante il viaggio."
"Prima avete
ucciso Lucrezia, e poi…"
"E poi sono
andato a portare i documenti in vaticano ed ho anche salutato il mio amico
venditore di parrucche, se volete saperlo. Sciocco."
"Ma poi ho
capito."
"E' stata solo
fortuna."
"Non credo
proprio. Avete commesso qualche errore anche voi." Il tono di Felipe si
era fatto sarcastico.
"Ucciderò anche
voi, quando avrò finito con lui." Disse Tommaso, serrando la presa sul
granduca, che respirava a malapena.
"Finite prima me,
sono già ferito."
"Fatemi il favore,
a questo manca poco per morire…" non poté finire la frase poiché Aguilon,
approfittando di un momento di distrazione, gli saltò addosso facendogli
mollare il granduca, che cadde a terra privo di forze.
I due uomini
cominciarono a lottare, avvicinandosi pericolosamente al fuoco. Il granduca
sapeva che Felipe non avrebbe potuto avere la meglio, con il braccio ferito;
così raccolse la balestra e la caricò, con le ultime forze, puntandola verso
Tommaso.
"Adesso basta,
Tommaso!" intimò il sovrano. "Non aggravate ancora la vostra
situazione."
"Non puoi più
minacciarmi, granduca!" disse l'uomo, lasciando andare Felipe, che cadde,
e voltandosi verso il fratellastro.
"Non avvicinarti,
o sarò costretto a colpirti." Lo avvertì, ma il segretario continuava a
camminare, impugnando l'affilato pugnale dello spagnolo.
Aguilon osservava la
scena, mentre la luce si affievoliva, man mano che il fuoco si andava
spegnendo. Tommaso non accennava a fermarsi; il granduca fece un passo
indietro, si sentì un rumore metallico e la freccia partì, colpendo
l'antagonista al petto. L'uomo crollò a terra, il nobile lasciò la balestra e
gli si avvicinò, sostenendogli la testa. Felipe li raggiunse solo in tempo per
veder morire Tommaso.
"Eccellenza…"
lo spagnolo gli posò una mano sulla spalla, mentre era ancora accasciato.
"Pensavo di aver
mirato più in alto… In fondo provavo dell'affetto per lui, mi aveva servito
bene per tanti anni." Disse serio il granduca, adagiando il corpo del
fratellastro.
"Adesso il
mistero è risolto." Affermò soddisfatto Felipe.
"Non ancora; voi
mi dovete delle spiegazioni. Esaurienti, Aguilon." Ora lo guardava negli
occhi.
"Certamente, ma
ora torniamo a palazzo."
Usciti dal labirinto
si trovarono di fronte un manipolo di soldati con le fiaccole, che li stavano ancora
cercando. Il granduca gli disse di andare a recuperare il corpo di Tommaso, e
loro prontamente eseguirono. Felipe ed il suo ospite raggiunsero il palazzo,
dove trovarono tutti svegli, compresa la granduchessa. Accompagnati dagli altri
si accomodarono nella sala dalle grandi vetrate, dove lo spagnolo si preparò
per rispondere alle domande che gli sarebbero state poste.
"Prima di tutto:
come avete fatto a scoprire che Tommaso era mio fratello, Felipe?" chiese
il granduca allo spagnolo.
"Cosa?"
Costanza guardò stupita prima il fratello, poi Aguilon.
"E' successo per
caso. Riflettevo su chi potesse avere motivo per colpirvi oltre al conte Paolo,
e più ci pensavo più ero convinto che l'unica, valida, ragione era di avere
mire sulla vostra posizione di potere. Se questo era ciò che spingeva questa
persona, essa doveva essere in grado di prendere il vostro posto legalmente,
alla luce del sole. Questo riconduceva a Paolo, ma sulla sua colpevolezza avevo
forti dubbi."
"Che per fortuna
si sono rivelati fondati." Affermò il conte, anche lui presente.
"Infatti. Allora
cominciò a prendere forma l'idea di un figlio illegittimo, che però possedesse
le prove certe di essere di sangue nobile, come penso avesse Tommaso."
"Ma i primi
sospetti su di lui, quando vi vennero?" chiese il granduca.
"Quando collegai
i suoi frequenti viaggi a Roma con l'acquisto delle parrucche; poi conosceva
molto bene il palazzo, ed il giardino, era cresciuto qui. In seguito ho parlato
con la fantesca, che mi ha raccontato la sua storia. Era figlio di una giovane
donna, sposata ad un uomo più vecchio, che ora sappiamo tradiva con vostro
padre. Quando la madre morì, lui era ancora bambino, ed il 'padre' lo trattò,
d'allora in avanti, sempre molto male. Quando anch'egli venne a mancare, i
parenti lo misero in un collegio di gesuiti, dove, m'immagino, fu educato nella
più rigida disciplina, e da dove fuggì di lì a poco. Poi se né perdono le
tracce fino a quando, alcuni anni fa, si ripresentò qui, per divenire il vostro
segretario. Deduco che s'imbarcò per il nuovo mondo, da dove tornò con una
certa esperienza in veleni."
"Ma torniamo alla
scoperta della parentela, non avete finito di spiegare come avete fatto."
Disse Costanza, rivolta a Felipe.
"Mia cara, è
stato merito dei vostri occhi."
"Ma come?" chiese
la granduchessa incuriosita, mentre sedeva, mano nella mano, col marito.
"Sì, ed anche di
quelli del granduca. Andai nella galleria a cercare, nei tratti dei vostri
genitori, quelli di un eventuale figlio illegittimo, ma non trovai nulla;
finché non vidi il ritratto della madre di Tommaso. Gli somigliava molto,
tranne che per gli occhi: lei li aveva castani scuri, mentre il figlio li aveva
chiari, verdi. Come i vostri eccellenza, quelli di vostra sorella e
soprattutto…" fece una pausa. "…quelli di vostro padre, da cui, tutti
e tre, li avete ereditati." Concluse soddisfatto.
"Complimenti,
Aguilon." Il granduca, che pur aveva inizialmente diffidato di lui, ora lo
elogiava pubblicamente. Felipe ne era contento. A questo punto tutti si
alzarono pronti a tornare a dormire, ma, mentre si avvicinavano alla porta,
Costanza chiamò lo spagnolo, prendendolo per la manica. Il giovane si voltò,
facendo fermare anche gli altri.
"Felipe."
Disse. "C'è ancora una cosa che non abbiamo chiarito."
"Mi sembrava di
avervi detto tutto."
"Non riguarda
direttamente la faccenda di Tommaso. Io parlavo di Maddalena di Giovanni dal
Pino. Non abbiamo capito come sia andata veramente la sua storia, e del suo
corpo cosa n'è stato?"
"E' vero, non
siete riuscito a scoprire nulla, Felipe?" la sostenne Isabel.
"Mie care
signore." Rispose il giovane. "Lasciamo che la povera Maddalena
riposi in pace, in qualunque luogo sia il suo corpo. Se volete avere l'animo in
pace, ogni tanto, dite una preghiera per lei."
"Sì, Aguilon ha
ragione. E' ora di farla finita con questa storia." Aggiunse il granduca.
Le due giovani dame rimasero un po' deluse, ma dovettero rinunciare ad
insistere.
Quella parte di notte
rimasta Felipe la dormì finalmente tranquillo. Ogni pensiero aveva abbandonato
la sua mente, finalmente poté pensare solo a stesso. Ed alla buona cucina della
cuoca catalana di sua madre. Ora poteva tornare a casa senza timore, il
principe José non gli avrebbe torto un capello.
Il mattino dopo si
presentò come una giornata splendida: sole e vento fresco, perfetto per
viaggiare. Aguilon preparò i bagagli, non aveva molta roba; poi fece colazione
con i suoi ospiti e quindi si apprestò a salutarli.
Nella spianata davanti
al palazzo, un piazzale leggermente in discesa coperto di pietra serena, Felipe
salutava il granduca, sua sorella, il conte Paolo e la fantesca. Mentre stava
per salire a cavallo arrivò di corsa la granduchessa, con una lettera.
"Aspettate,
Felipe!" gridò la giovane, reggendosi il petto.
"Mia cara, non
dovresti correre così." La rimproverò il marito.
"Temevo di non
fare in tempo, che il nostro amico andasse via." Si fermò, ansimando.
"Mia signora,
sarei rimasto anche un altro giorno, pur di farmi chiamare 'amico' da
voi." Disse Felipe, avvicinandosi per baciarle la mano.
"Vi volevo consegnare
questa." Isabel gli dette la lettera. "E' per mio padre. Una
raccomandazione per voi. Gli chiedo di farvi capitano."
"Non
dovevate." Rispose Felipe, emozionato, stringendole le mani.
"Era il minimo
che potevamo fare, avete salvato la vita ad entrambi. L'ho firmata
anch'io." Concluse il granduca.
"Grazie, non so
dire altro." Detto questo salì a cavallo, li guardò un'ultima volta con
gli occhi lucidi, e prima di andare rivolse un altro saluto a Costanza.
"Arrivederci, mia
cara. Salutatemi vostro marito." Non c'era niente di malizioso nella sua
voce, fortunatamente.
"Non
mancherò." Rispose lei, con un sorriso.
Felipe Aguilon spronò
il suo cavallo e levando la mano, per salutare definitivamente, partì verso il
ponte per uscire dalla città. L'Italia era un paese veramente bellissimo, e
questa esperienza l'avrebbe ricordata a lungo. Soprattutto non avrebbe
dimenticato il granduca, un grande uomo ed un grande sovrano, la dolce Isabel e
Costanza, in special modo, donna veramente coraggiosa. A tutto questo pensava,
mentre cavalcava verso casa; il viaggio sarebbe stato lungo, ma l'estate era
ancora tra i rami degli alberi.
FINE