Maybe, somewhere in time ...
- I'll found you and haunt you again -
Quella
notte offriva tutta la sua bellezza: le stelle ardevano più vivide e numerose
del solito mentre la luna brillava in alto, solitaria.
Kisara, dalla sua cella, riusciva appena ad intravederla: come ogni sera
aspettava con ansia che sorgesse. La trovava davvero splendida: vagava per le
valli del deserto, estranea alla sofferenza e al dolore.
Arrivava quasi ad invidiarla: l’astro sapeva esattamente quale cammino
intraprendere e, imperterrito, lo percorreva fino in fondo, incurante del resto.
Sempre.
Mentre ella, invece, non sapeva che cosa fare: avrebbe voluto dispiegare le ali e
librarsi in volo come un uccello ma quelle sbarre glielo impedivano.
Rinchiusa
sotto il palazzo del Faraone, la fanciulla attendeva l’inesorabile compiersi
del suo destino: lo sapeva, doveva arrendersi all’evidenza dei fatti ma il suo
cuore ancora sperava.
Sì, il sacerdote Seth le aveva promesso che l’avrebbe liberata ma oramai
marciva tra quelle quattro mura da almeno quindici giorni senza vedere anima
viva.
Doveva arrendersi all’evidenza: aveva mentito.
Nessuno sarebbe accorso a salvarla.
Era sola.
Eppure,
una voce dal profondo la spronava a fidarsi di lui.
Era da sciocchi?
«Siamo
solo strumenti» disse una voce lontana.
Cercò di ignorarla, pensando che era la sua mente a farle dei brutti scherzi:
in fondo era appena udibile, quasi un sussurro portato dal vento del deserto.
Si rintanò nel unico angolo in cui poteva vedere un fazzoletto di cielo: prese
la sua logora coperta e si raggomitolò.
Una
risata.
Metteva i brividi quella risata.
“Come se i brividi provocati dal gelo della notte non fossero sufficienti”
pensò la ragazza.
«Perché
te ne stai lì, senza reagire? Queste mura ti stanno logorando e, presto o
tardi, capitolerai. Lo sento, ti manca avere il cielo sopra di te, brami la
calda luce del sole! Ma, più di tutto, aneli la libertà di librarti in volo, o
Drago Bianco!», ma chi era costui? E come faceva a sapere?
Poi volse lo sguardo: la luce del danzante fuoco sulla torcia donava una strana
brillantezza agli occhi del suo interlocutore.
È
vero: nelle ultime notti aveva faticato a prender sonno ma quando vi era
riuscita, il suo riposo era sempre stato privo di qualsiasi sogno, bello o
brutto che sia; a quella visione, si sentì come intrappolata in un incubo ad
occhi aperti.
«Siamo
solo strumenti» le ripeté, ancora una volta.
Ma Kisara non era tipo da tirarsi indietro di fronte alle paure: si alzò e si
diresse verso di lui.
Quella
fu la prima di numerosi notti e di altrettanti incontri: parlarono a lungo di
cosa fosse giusto o sbagliato, di morale e giustizia; abbastanza a lungo da
credere ognuno alle bugie dell’altro e le usarono per giustificare le proprie
azioni.
Kisara,
troppo ingenua e pura, era una facile preda in questo mondo così impietoso e
sanguinario; Bakura, troppo disilluso e corrotto, aveva dimenticato tutti i
sentimenti ad esclusione di odio e vendetta.
No,
Kisara non riusciva ad ascoltarlo. Non voleva credere alle sue parole.
Sapeva
benissimo chi era ma ignorava come avesse fatto a trovarla e soprattutto come
faceva a sapere la sua vera identità.
Bakura
si preoccupava di sparire non appena qualche guardia passava a controllare; ma
non tardava molto a farsi di nuovo vivo.
Gli
occhi ferini del ladro sembravano di pietra: Kisara non riusciva leggervi nulla
ma immaginava che nascondessero avidità, malizia, sfiducia nel genere umano.
Ma anche sincerità.
Le incutevano un po’ di timore ma non abbastanza: i suoi occhi cerulei li
cercavano nell’oscurità come la luna cerca le stelle in una fredda e nuvolosa
notte.
Ma quando finalmente s’incontravano, subito la donna distoglieva lo sguardo.
No, non per timore.
Ma allora perché?
«Devi
andartene! Hai la forza per distruggere la tua prigione! Dannazione! Non
capisci? Prima o poi verranno a prenderti: ti tortureranno, piegheranno la tua
volontà finché non ti spezzerai.»
La
ragazza sospirò dandogli le spalle.
«Ancora
… ancora gli credi? Davvero? Pensi che manterrà la promessa? Sei più sciocca di
quanto pensassi» disse con un sorriso sinistro.
«Lo
sai? Se tendo bene l’orecchio riesco a sentire i battiti del tuo cuore; ogni
fibra del tuo essere freme per poterlo rivedere. Ma non verrà. O perlomeno non
verrà per te! Spalancherà le porte, ti trascinerà nella sala accanto, ti
strapperà l’anima dal petto insieme con il tuo respiro e sigillerà in tuo drago
nella pietra! E sarai per sempre schiava!»
Un’eternità di schiavitù.
Sentiva il suo cuore pesante come un macigno.
Non riusciva più a controllare il suo respiro: ansimava.
Il suo corpo era scosso da brividi profondi.
Tutto
ciò era terrificante: aveva paura. Paura di essere dimenticata in questa buia e
umida cella sotto terra; paura di quel uomo che la costringeva ad ammettere a
voce alta le sue insicurezze; paura di quel sacerdote a cui doveva la vita e
che le aveva fatto quella stupida promessa.
Eppure le mancava quello stupido sacerdote.
«Non
gli devi nulla» le disse, con un tono stranamente gentile.
«Ha
solo visto il tuo potere e ora te lo vuole strappare via. Presto verrà e ti
ucciderà, Kisara» ecco il solito tono; quello freddo tagliente.
Come la verità.
«Gli
devo la vita: ha salvato me, una straniera, un’emarginata, e, come ricompensa,
il suo villaggio è stato distrutto a causa mia» voleva convincerlo che si
sbagliava. Disperatamente.
Doveva convincerlo che era giusto così.
«Era
solo un ragazzino! Pensi davvero che lo rifarebbe pur sapendo quale rischio
avesse corso lui e il suo villaggio?»
Sorrise
dolcemente. Quella visione colpì in qualche modo l’animo nero del ladro: sentì
una stretta al cuore. Strinse i pugni contro le sbarre della cella.
«Non
sta a me giudicare» rispose la giovane, poggiando le sue candide mani sulle
sue.
Era
spaventata, le sue mani tremavano: certo, non voleva morire; chi lo vorrebbe?
Aveva paura di quel uomo dagli occhi brillanti e aveva paura del ritorno del
sacerdote.
Ma non poteva scappare.
Non voleva scappare.
Bakura
afferrò con uno scatto le mani della donna, stringendole in una potente morsa.
«Hai
paura! Sei talmente terrorizzata che non riesci a far niente!» tirò le braccia
della fanciulla, annullando quasi la distanza tra di loro.
«Ma
puoi cancellare le tue paure facilmente: vieni con me» il giallo delle sue
iridi fece correre un brivido lungo la schiena di Kisara.
Incuteva terrore sì, ma provava anche dell’altro.
Attrazione?
I suoi
occhi si offuscarono di lacrime: non voleva vivere consumata dalla vendetta e
dall’odio. Se fosse fuggita, era sicura che sarebbe finita per avere il suo
stesso identico sguardo.
Non voleva vivere per la vendetta.
La sua
espressione era fin troppo eloquente per Bakura: lasciò la presa.
Sul suo volto si dipinse un sorriso disilluso.
Incredibile;
stava parlando con così tanta leggerezza di gettare al vento la sua vita. Come
si potevano pronunciare quelle parole con così tanta naturalezza?
Se non riusciamo a rispettare nemmeno noi stessi, come si può pretendere il
rispetto dagli altri? Non esiste nessuna ragione al mondo per cui si debba
rinunciare a vivere!
No,
proprio non capiva le sue motivazioni.
Ma non poteva lasciarla lì, come un agnello che aspetta il suo macellaio.
Sarebbe
stato molto più facile scassinare la serratura, caricarla sulla spalla e
portarla via ma non la voleva così.
Non in questo modo.
Decise di raccontarle di sé.
Mai
nella vita avrebbe pensato di condividere il suo dolore con qualcuno ma gli
sembrava la scelta migliore; forse si sarebbe convinta che stava dicendo solo
un mucchio di fesserie.
Le
descrisse il villaggio di predoni in cui era nato e come gli avessero dato
fuoco senza alcuna pietà per donne, vecchi e bambini. Da allora fu considerato
un reietto, un emarginato; pur non avendo fatto nulla di male, fu trattato
anch’egli come un criminale.
«Volevano un fuorilegge? Ora ce l’hanno!» uno strano fuoco ardeva nei suoi
occhi, inquietante.
«Desidero
immensamente ripagare il mio debito con il sacerdote; dopodiché sarò libera» a
quelle parole l’uomo sbuffò.
«Desidero immensamente ripagare il mio debito con il sacerdote; dopodiché sarò
libera …» ripeté Bakura, quindi soffiò sulla torcia e entrambi furono avvolti
dalle tenebre.
○●○●○
Passarono
due giorni senza che il ladro si facesse vivo: la sua presenza indispettiva
spesso la ragazza che, a volte, cercava di ignorarlo; la sua assenza invece le
provocava un turbamento, un vuoto, una morsa alla bocca dello stomaco: che le
mancasse la presenza di Bakura?
Forse
non si sarebbe presentato nemmeno questa notte.
«Stanno
perdendo, Kisara, stanno perdendo questa battaglia!» la fanciulla si alzò di
scatto in piedi, velocemente si diresse verso la porta della cella.
“È tornato” pensò, mordendosi il labbro inferiore.
Apparve
con la solita torcia in mano e il suo lungo mantello rosso: vi erano macchie
più scure. Sangue?
«Ogni
giorno che passa, sei sempre più in pericolo. Si sentono braccati e presto si
ritroveranno con le spalle al muro. Non esiteranno a sacrificarti pur di
ribaltare le sorti della battaglia!» gli sorrise.
Aveva
il sorriso più dolce che avesse mai visto: chissà che sapore avevano le sue
soffici labbra.
«Ti
stanno dando la caccia, giusto? Ma tu non ti piegherai facilmente, anzi. Darai
loro filo da torcere. Sarai il loro incubo peggiore. Fuggi allora! Scappa
lontano!» le sue candide mani stringevano con forze le sbarre metalliche.
Ella lo sapeva bene: quelle visite stavano diventando troppo pericolose.
E se lo avessero preso?
Bakura poggiò la sua su quella di lei.
«No,
fuggiamo insieme! Insieme possiamo batterli!»
Le
spiegò, per la prima volta, perché non meritavano di vivere, quei cani.
Le raccontò del massacro di Kul Elna, condotto da Aknadin, per creare gli
Oggetti del Millennio.
«Sono
stati forgiati nel sangue», disse, mentre le mostrava l’Anello, «con il sangue
dei miei concittadini! Hanno spezzato vite per la loro sete di potere! Nulla è più
importante per loro: io, quindi, glielo prenderò»
«Vuoi
dunque giustizia?»
Rise.
La sua risata, trionfante e senza gioia, metteva i brividi.
In realtà celava tanta amarezza. Per la prima volta, riusciva a vedere qualcosa
nelle sue iridi grigio piombo.
No, ovviamente non voleva giustizia. Forse un tempo ma non ora.
Voleva vendetta.
La
giustizia richiede dedizione, pazienza, sacrificio; è lenta, inesorabile,
fredda.
La vendetta invece è irruente, esaltante, intricata; è rapida, spietata,
atroce.
«Compiere
una vendetta è come rubare della giustizia negata: e, come tutte le cose
rubate, ha il fascino del proibito. Il suo sapore è infinitamente più dolce» ma
quella non era la sua morale.
Sapeva che la vendetta rende ciechi, logora sia il corpo che la mente, consuma
piano piano. Preferiva affidarsi alla giustizia.
Improvvisamente,
rumore di passi; se le guardie lo avessero trovato lì, l’avrebbero sbattuto in
cella molto più oscura e sorvegliata di quella di Kisara.
Prima di conoscerla, era entrato nel palazzo solo per combattere il Faraone e i
suoi sottoposti. Ma le cose erano cambiate da quando aveva visto quegli occhi
azzurro cielo.
Si
risvegliò dei suoi pensieri quando la mano di Kisara strinse così forte la sua
che quasi sentì dolore.
Guardò
il suo volto.
Era preoccupata per lui.
Perché
era rimasto lì con lei? Perché non era scappato?
Perché proprio quegli occhi?
Ogni
minuto, ogni istante che trascorreva in sua compagnia era tempo rubato: sì, rubato.
Rubato al suo piano di vendetta, rubato alla morte, rubato ai suoi inseguitori
e rubato anche da se stesso che, un tempo, non se lo sarebbe mai concesso.
Per questo, gli attimi insieme a lei erano così preziosi, così perfetti.
Non
sopportava la sua ingenuità, la sua purezza, il senso di giustizia così deviato
ai suoi occhi; ma erano anche le cose che più lo attraevano.
Avrebbe passato ore con le mani tra i suoi capelli, inebriandosi del loro
profumo, accarezzare quella pelle d’alabastro e mordere quelle labbra di
fragola.
La desiderava.
Avrebbe
potuto prendersela con la forza ma non sarebbe stato la stessa cosa; voleva
conquistarsi la sua fiducia, aprire la porta della cella e portarla con sé.
Tremava,
aveva gli occhi lucidi, era sconvolta. Forse, questa volta, l’avrebbe convinta.
«Anche
il tuo caro sacerdote Seth ha un Oggetto del Millennio: non avrà remore a
usarlo per strapparti l’anima ed imprigionarla in una lastra di pietra!»
Lacrime
cocenti rigarono il volto della ragazza.
Basta, non voleva più ascoltare. Voleva il silenzio, voleva disperatamente che
tacesse.
Poggiò
le sue labbra sulle sue per un battito di ciglia.
La guardò sorpreso.
Una risata.
Metteva i brividi, quella risata.
Forse
si era già pentita?
«Mi
hai rubato un bacio!» disse con un’espressione
soddisfatta sul volto.
«Mi hai colto di sorpresa! Mai avrei pensato che saresti stata tu a fare la
prima mossa, essendo una donna!» ma non gli dispiaceva affatto. E non faceva
nulla per nascondere la sua tracotante smorfia di autocompiacimento.
Sì,
decisamente l’aveva fatta pentire di quel gesto. Anche se, doveva ammettere,
non era stato poi così male.
«E
adesso? Lo sai che non potrai mai più dirmi che non c’è nulla di buono nel
rubare?»
Touché.
Kisara rivolgeva insistentemente il suo sguardo verso il pavimento. Le sue gote
dovevano aver preso fuoco: se le sentiva in fiamme.
Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, né di rispondere alcunché.
Bakura
non l'avrebbe mai toccata senza il suo permesso, non le avrebbe torto un capello.
Ma quel bacio cambiava tutto.
Ora ardeva ancora di più dal desiderio di possederla.
○●○●○
Kisara dovette affrontare l’arena: il suo corpo ne portava ancora evidenti
segni.
La
ragazza rivolse lo sguardo verso l’alto: un cielo privo di luna.
Si sentiva sola.
Abbandonata.
D’improvviso
la luce di una torcia: il re dei ladri era tornato.
«Che
ti hanno fatto?» chiese, con tono neutro.
Non
dormiva da quasi due giorni dalle contusioni. Si vedeva che era provata.
«Mi ha salvata», disse, « mi ha salvata un’altra volta.»
No, non l’aveva lasciata morire come voleva l’altro sacerdote.
«Perché
non ti sei difesa?», il suo sguardo era davvero severo. Come poteva avere così
poca cura di sé? Più si sforzava, meno capiva.
Sorrise.
Chiaro: non voleva fare del male agli
prigionieri; non si rendevano conto di quello che facevano.
«Che
cosa è successo ai due che ti hanno attaccata?», la giovane donna distolse lo
sguardo.
La
risata sprezzante di lui interruppe il silenzio tra i due: si era data tanta
pena per non fargli del male, ma ci avevano pensato loro a vanificare i suoi
sforzi.
Si rese conto che era talmente vicino a lei che avrebbe potuto stringerla se
non fossero state di mezzo quelle maledette sbarre. Si limitò a carezzare i
suoi lunghi capelli bianchi come la neve.
«Io
starei attento» la sua voce era un sussurro appena udibile; poteva sentire il
suo respiro, tanto la sua bocca era vicino al suo orecchio.
«Cos’è accaduto a tutti coloro che non hanno un Ka potente come una divinità,
che non sono una giovane e splendida donna?» il cuore di Kisara martellava nel
petto.
«Non
gli devi niente», continuò, «di chi è la colpa se sei ancora qui, a marcire in
questo posto? Ferita, sola, denutrita … di chi è la colpa?»
Bakura era un maestro nel rigirare le cose: sapeva manipolare le persone a suo
piacere ma questa volta era un po’ diverso.
Solitamente
si doveva impegnare per travolgere la verità quel poco che bastava per ottenere
i favori dell’interlocutore, ma, questa volta non doveva nemmeno impegnarsi.
Stava semplicemente dicendo il suo punto di vista.
La sua verità.
Eppure quella sciocca ragazzina si rifiutava di comprendere: il sangue gli
andava al cervello.
“Non
vuole me, vuole il drago. Come potrebbe volere me?” si ripeteva nella mente, come un mantra. Ma, nel profondo del
suo cuore, voleva con tutte le forze credere a quel uomo.
«Puoi
distruggere questa prigione come un castello di sabbia, se solo volessi. Puoi
tornare di nuovo a volare. Basta solo che tu lo voglia.»
Ma
ella non riusciva a controllare appieno il drago; non poteva liberarsi, anche
se avesse voluto.
Questo,
però, decise di tacerglielo.
Il
silenzio della donna lo fece andare in bestia; i suoi occhi sembravano
iniettati di sangue.
«Dimmi,
che ci guadagneresti dalla mia fuga? Vorresti scappare con me? Lasceresti gli
Oggetti del Millennio per poter venire con me?» aveva tutta l’aria di un
invito.
Ma
Kisara sapeva bene che ciò che contava davvero per il Re dei Ladri era il
potere; non vi avrebbe mai rinunciato per niente al mondo. Per nessuno al mondo.
La
domanda della ragazza lo colse alla sprovvista; sicuramente non gli era
indifferente ma non era pronto per lasciare il sentiero della vendetta.
Non avrebbe rinunciato al potere come ella non avrebbe rinunciato a saldare il
suo debito.
Un
velo di tristezza coprì le sue iridi dure come le pietre ma la giovane non lo
notò.
Scappava, Bakura. Fuggiva da lei, da quel ipotetico noi.
Non era il tempo giusto; quello che provava non era abbastanza.
○●○●○
Ancora
una volta notte fonda. Nessuna visita da allora. Kisara aveva perso la
speranza. Rannicchiata in un angolo in una coperta logora e troppo corta per
lei.
Nessuna luce; quella notte il cielo era coperto.
Sentì
rumore di catene: qualcuno era alla porta della sua cella.
Si
alzò di scatto. Era spaventata: che stava succedendo?
La
porta della cella si spalancò: delle forti braccia la cinsero così forte da
toglierle quasi il respiro.
Era
scioccata e incredula: «Bakura! Ho sentito delle cose orrende! Si mormorava che
tu fossi stato sconfitto che tu fossi … » lacrime rigarono il suo volto mentre
esplorava con le sue candide mani il viso di lui.
«Morto? No, non ancora» la interruppe con il solito sorriso beffardo.
Trasse un profondo respiro e continuò, «la porta della tua cella è aperta:
sarebbe inutile dirti di scappare con me?»
Sorrise:
il suo sorriso era il più dolce che avesse mai visto.
«Se
lasci gli Oggetti allora lascerò andare anche il mio debito: puoi salvarci
entrambi», dunque è così che deve andare.
Ambedue erano consapevoli che le strade intraprese avrebbero condotto ad un'unica meta: la morte.
Bakura
lasciò lentamente la presa su di lei, lasciandola andare. Ma la giovane se lo
prese tra le sue braccia: le loro bocche si unirono.
Di nuovo.
Quella
donna aveva il potere di coglierlo sempre di sorpresa ma questa volta reagì
prontamente; si aggrappò al suo esile corpo che desiderava con tutto se stesso.
Affondò la lingua nella sua gola e si sentì come in paradiso.
Era
forse il sapore della felicità?
A
fatica frenò la sua irruenza e allontanò Kisara da sé quanto bastava per
cercare i suoi occhi; «Non farò nulla che non voglia anche tu» disse, grave,
ansimando.
La
giovane donna lo attirò di nuovo a sé; quello era chiaramente un sì.
Quella notte possedé Kisara con tutta la passione di cui era capace: aveva
giaciuto con altre prima di lei, ma era stato completamente diverso.
Questa
volta si sentiva ardere dentro; ogni parte di lei sembrava fatta per dargli
piacere. Perfino il profumo della sua candida pelle lo faceva trasalire.
Avrebbe
voluto non far sorgere più il sole; era talmente pago di quel momento che non gli
importava più di niente.
Purtroppo,
i primi raggi del mattino fecero capolino: la guardò. Era talmente bella, così
fragile ma così devastante, disarmante. Lasciarla mentre dormiva era la cosa
più ardua che avesse mai fatto nella sua vita.
Richiuse
la porta della cella e indugiò un ultimo sguardo sulla sua amante.
«Spero
di incontrarti di nuovo; da qualche parte, forse in un luogo diverso, in un
tempo diverso. Ti troverò di nuovo e spero che saremo liberi da catene. Voglio
vederti libera»
Quindi si voltò e scappò.
Ad un’altra vita, Drago Bianco
○●○●○
Piccola One-shot su una shipping che
non sento particolarmente mia: OutcastShipping. Ho sempre visto Bakura
come l'altro, quello
sbagliato. Ma, ultimamente, adoro scrivere di quelli sbagliati! Non
credo che sia un gran capolavoro, l'ho buttata giù, così.
Avevo voglia di vedere se usciva ancora qualcosa d'interessante dalla
mia testa; non se l'esperimento sia miseramente fallito o meno. Per me
è gia un traguardo essere ritornata a scrivere più di 30
parole anche se continuo a preferire le drabble. Siccome non sono brava
né con l'uno, né con l'altro genere, spero solo di
lasciare qualcosa a chiunque abbia la pazienza di arrivare fino in
fondo ai miei scritti.
Un grazie a chiunque l'abbia letta.
-L.L.