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Autore: Leila Lancaster    24/10/2013    4 recensioni
Piccola one - shot su una shipping un po' particolare - almeno per me - Outcastshipping.
Kisara è rinchiusa in cella sotto il palazzo del Faraone; aspetta solo che vengano a prendere il drago, il suo drago, la sua vita. Chi oserebbe entrare in posto così sorvegliato?
Solo il Re dei Ladri.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Touzoku-ou Bakura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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One shot

Maybe, somewhere in time ...
- I'll found you and haunt you again -


Quella notte offriva tutta la sua bellezza: le stelle ardevano più vivide e numerose del solito mentre la luna brillava in alto, solitaria.
Kisara, dalla sua cella, riusciva appena ad intravederla: come ogni sera aspettava con ansia che sorgesse. La trovava davvero splendida: vagava per le valli del deserto, estranea alla sofferenza e al dolore.
Arrivava quasi ad invidiarla: l’astro sapeva esattamente quale cammino intraprendere e, imperterrito, lo percorreva fino in fondo, incurante del resto. Sempre.
Mentre ella, invece, non sapeva che cosa fare: avrebbe voluto dispiegare le ali e librarsi in volo come un uccello ma quelle sbarre glielo impedivano.

Rinchiusa sotto il palazzo del Faraone, la fanciulla attendeva l’inesorabile compiersi del suo destino: lo sapeva, doveva arrendersi all’evidenza dei fatti ma il suo cuore ancora sperava.
Sì, il sacerdote Seth le aveva promesso che l’avrebbe liberata ma oramai marciva tra quelle quattro mura da almeno quindici giorni senza vedere anima viva.
Doveva arrendersi all’evidenza: aveva mentito.
Nessuno sarebbe accorso a salvarla.
Era sola.

Eppure, una voce dal profondo la spronava a fidarsi di lui.
Era da sciocchi?

«Siamo solo strumenti» disse una voce lontana.
Cercò di ignorarla, pensando che era la sua mente a farle dei brutti scherzi: in fondo era appena udibile, quasi un sussurro portato dal vento del deserto.
Si rintanò nel unico angolo in cui poteva vedere un fazzoletto di cielo: prese la sua logora coperta e si raggomitolò.

Una risata.
Metteva i brividi quella risata.
“Come se i brividi provocati dal gelo della notte non fossero sufficienti” pensò la ragazza.

«Perché te ne stai lì, senza reagire? Queste mura ti stanno logorando e, presto o tardi, capitolerai. Lo sento, ti manca avere il cielo sopra di te, brami la calda luce del sole! Ma, più di tutto, aneli la libertà di librarti in volo, o Drago Bianco!», ma chi era costui? E come faceva a sapere?
Poi volse lo sguardo: la luce del danzante fuoco sulla torcia donava una strana brillantezza agli occhi del suo interlocutore.

È vero: nelle ultime notti aveva faticato a prender sonno ma quando vi era riuscita, il suo riposo era sempre stato privo di qualsiasi sogno, bello o brutto che sia; a quella visione, si sentì come intrappolata in un incubo ad occhi aperti.

«Siamo solo strumenti» le ripeté, ancora una volta.
Ma Kisara non era tipo da tirarsi indietro di fronte alle paure: si alzò e si diresse verso di lui.

Quella fu la prima di numerosi notti e di altrettanti incontri: parlarono a lungo di cosa fosse giusto o sbagliato, di morale e giustizia; abbastanza a lungo da credere ognuno alle bugie dell’altro e le usarono per giustificare le proprie azioni.

Kisara, troppo ingenua e pura, era una facile preda in questo mondo così impietoso e sanguinario; Bakura, troppo disilluso e corrotto, aveva dimenticato tutti i sentimenti ad esclusione di odio e vendetta.

No, Kisara non riusciva ad ascoltarlo. Non voleva credere alle sue parole.

Sapeva benissimo chi era ma ignorava come avesse fatto a trovarla e soprattutto come faceva a sapere la sua vera identità.

Bakura si preoccupava di sparire non appena qualche guardia passava a controllare; ma non tardava molto a farsi di nuovo vivo.

Gli occhi ferini del ladro sembravano di pietra: Kisara non riusciva leggervi nulla ma immaginava che nascondessero avidità, malizia, sfiducia nel genere umano.
Ma anche sincerità.
Le incutevano un po’ di timore ma non abbastanza: i suoi occhi cerulei li cercavano nell’oscurità come la luna cerca le stelle in una fredda e nuvolosa notte.
Ma quando finalmente s’incontravano, subito la donna distoglieva lo sguardo.
No, non per timore.
Ma allora perché?

«Devi andartene! Hai la forza per distruggere la tua prigione! Dannazione! Non capisci? Prima o poi verranno a prenderti: ti tortureranno, piegheranno la tua volontà finché non ti spezzerai.»

La ragazza sospirò dandogli le spalle.

«Ancora … ancora gli credi? Davvero? Pensi che manterrà la promessa? Sei più sciocca di quanto pensassi» disse con un sorriso sinistro.

«Lo sai? Se tendo bene l’orecchio riesco a sentire i battiti del tuo cuore; ogni fibra del tuo essere freme per poterlo rivedere. Ma non verrà. O perlomeno non verrà per te! Spalancherà le porte, ti trascinerà nella sala accanto, ti strapperà l’anima dal petto insieme con il tuo respiro e sigillerà in tuo drago nella pietra! E sarai per sempre schiava!»
Un’eternità di schiavitù.
Sentiva il suo cuore pesante come un macigno.
Non riusciva più a controllare il suo respiro: ansimava.
Il suo corpo era scosso da brividi profondi.

Tutto ciò era terrificante: aveva paura. Paura di essere dimenticata in questa buia e umida cella sotto terra; paura di quel uomo che la costringeva ad ammettere a voce alta le sue insicurezze; paura di quel sacerdote a cui doveva la vita e che le aveva fatto quella stupida promessa.
Eppure le mancava quello stupido sacerdote.

«Non gli devi nulla» le disse, con un tono stranamente gentile.

«Ha solo visto il tuo potere e ora te lo vuole strappare via. Presto verrà e ti ucciderà, Kisara» ecco il solito tono; quello freddo tagliente.
Come la verità.

«Gli devo la vita: ha salvato me, una straniera, un’emarginata, e, come ricompensa, il suo villaggio è stato distrutto a causa mia» voleva convincerlo che si sbagliava. Disperatamente.
Doveva convincerlo che era giusto così.

«Era solo un ragazzino! Pensi davvero che lo rifarebbe pur sapendo quale rischio avesse corso lui e il suo villaggio?»

Sorrise dolcemente. Quella visione colpì in qualche modo l’animo nero del ladro: sentì una stretta al cuore. Strinse i pugni contro le sbarre della cella.

«Non sta a me giudicare» rispose la giovane, poggiando le sue candide mani sulle sue.

Era spaventata, le sue mani tremavano: certo, non voleva morire; chi lo vorrebbe? Aveva paura di quel uomo dagli occhi brillanti e aveva paura del ritorno del sacerdote.
Ma non poteva scappare.
Non voleva scappare.

Bakura afferrò con uno scatto le mani della donna, stringendole in una potente morsa.

«Hai paura! Sei talmente terrorizzata che non riesci a far niente!» tirò le braccia della fanciulla, annullando quasi la distanza tra di loro.

«Ma puoi cancellare le tue paure facilmente: vieni con me» il giallo delle sue iridi fece correre un brivido lungo la schiena di Kisara.
Incuteva terrore sì, ma provava anche dell’altro.
Attrazione?

I suoi occhi si offuscarono di lacrime: non voleva vivere consumata dalla vendetta e dall’odio. Se fosse fuggita, era sicura che sarebbe finita per avere il suo stesso identico sguardo.
Non voleva vivere per la vendetta.

La sua espressione era fin troppo eloquente per Bakura: lasciò la presa.
Sul suo volto si dipinse un sorriso disilluso.

Incredibile; stava parlando con così tanta leggerezza di gettare al vento la sua vita. Come si potevano pronunciare quelle parole con così tanta naturalezza?
Se non riusciamo a rispettare nemmeno noi stessi, come si può pretendere il rispetto dagli altri? Non esiste nessuna ragione al mondo per cui si debba rinunciare a vivere!

No, proprio non capiva le sue motivazioni.
Ma non poteva lasciarla lì, come un agnello che aspetta il suo macellaio.

Sarebbe stato molto più facile scassinare la serratura, caricarla sulla spalla e portarla via ma non la voleva così.
Non in questo modo.
Decise di raccontarle di sé.

Mai nella vita avrebbe pensato di condividere il suo dolore con qualcuno ma gli sembrava la scelta migliore; forse si sarebbe convinta che stava dicendo solo un mucchio di fesserie.

Le descrisse il villaggio di predoni in cui era nato e come gli avessero dato fuoco senza alcuna pietà per donne, vecchi e bambini. Da allora fu considerato un reietto, un emarginato; pur non avendo fatto nulla di male, fu trattato anch’egli come un criminale.
«Volevano un fuorilegge? Ora ce l’hanno!» uno strano fuoco ardeva nei suoi occhi, inquietante.

«Desidero immensamente ripagare il mio debito con il sacerdote; dopodiché sarò libera» a quelle parole l’uomo sbuffò.
«Desidero immensamente ripagare il mio debito con il sacerdote; dopodiché sarò libera …» ripeté Bakura, quindi soffiò sulla torcia e entrambi furono avvolti dalle tenebre.

 

Passarono due giorni senza che il ladro si facesse vivo: la sua presenza indispettiva spesso la ragazza che, a volte, cercava di ignorarlo; la sua assenza invece le provocava un turbamento, un vuoto, una morsa alla bocca dello stomaco: che le mancasse la presenza di Bakura?

Forse non si sarebbe presentato nemmeno questa notte.

«Stanno perdendo, Kisara, stanno perdendo questa battaglia!» la fanciulla si alzò di scatto in piedi, velocemente si diresse verso la porta della cella.
“È tornato” pensò, mordendosi il labbro inferiore.

Apparve con la solita torcia in mano e il suo lungo mantello rosso: vi erano macchie più scure. Sangue?

«Ogni giorno che passa, sei sempre più in pericolo. Si sentono braccati e presto si ritroveranno con le spalle al muro. Non esiteranno a sacrificarti pur di ribaltare le sorti della battaglia!» gli sorrise.

Aveva il sorriso più dolce che avesse mai visto: chissà che sapore avevano le sue soffici labbra.

«Ti stanno dando la caccia, giusto? Ma tu non ti piegherai facilmente, anzi. Darai loro filo da torcere. Sarai il loro incubo peggiore. Fuggi allora! Scappa lontano!» le sue candide mani stringevano con forze le sbarre metalliche.
Ella lo sapeva bene: quelle visite stavano diventando troppo pericolose.
E se lo avessero preso?
Bakura poggiò la sua su quella di lei.

«No, fuggiamo insieme! Insieme possiamo batterli!»

Le spiegò, per la prima volta, perché non meritavano di vivere, quei cani.
Le raccontò del massacro di Kul Elna, condotto da Aknadin, per creare gli Oggetti del Millennio.

«Sono stati forgiati nel sangue», disse, mentre le mostrava l’Anello, «con il sangue dei miei concittadini! Hanno spezzato vite per la loro sete di potere! Nulla è più importante per loro: io, quindi, glielo prenderò»

«Vuoi dunque giustizia?»

Rise.
La sua risata, trionfante e senza gioia, metteva i brividi.
In realtà celava tanta amarezza. Per la prima volta, riusciva a vedere qualcosa nelle sue iridi grigio piombo.
No, ovviamente non voleva giustizia. Forse un tempo ma non ora.
Voleva vendetta.

La giustizia richiede dedizione, pazienza, sacrificio; è lenta, inesorabile, fredda.
La vendetta invece è irruente, esaltante, intricata; è rapida, spietata, atroce.

«Compiere una vendetta è come rubare della giustizia negata: e, come tutte le cose rubate, ha il fascino del proibito. Il suo sapore è infinitamente più dolce» ma quella non era la sua morale.
Sapeva che la vendetta rende ciechi, logora sia il corpo che la mente, consuma piano piano. Preferiva affidarsi alla giustizia.

Improvvisamente, rumore di passi; se le guardie lo avessero trovato lì, l’avrebbero sbattuto in cella molto più oscura e sorvegliata di quella di Kisara.


Prima di conoscerla, era entrato nel palazzo solo per combattere il Faraone e i suoi sottoposti. Ma le cose erano cambiate da quando aveva visto quegli occhi azzurro cielo.

Si risvegliò dei suoi pensieri quando la mano di Kisara strinse così forte la sua che quasi sentì dolore.

Guardò il suo volto.
Era preoccupata per lui.

Perché era rimasto lì con lei? Perché non era scappato?
Perché proprio quegli occhi?

Ogni minuto, ogni istante che trascorreva in sua compagnia era tempo rubato: sì, rubato.
Rubato al suo piano di vendetta, rubato alla morte, rubato ai suoi inseguitori e rubato anche da se stesso che, un tempo, non se lo sarebbe mai concesso.
Per questo, gli attimi insieme a lei erano così preziosi, così perfetti.

Non sopportava la sua ingenuità, la sua purezza, il senso di giustizia così deviato ai suoi occhi; ma erano anche le cose che più lo attraevano.
Avrebbe passato ore con le mani tra i suoi capelli, inebriandosi del loro profumo, accarezzare quella pelle d’alabastro e mordere quelle labbra di fragola.
La desiderava.

Avrebbe potuto prendersela con la forza ma non sarebbe stato la stessa cosa; voleva conquistarsi la sua fiducia, aprire la porta della cella e portarla con sé.

Tremava, aveva gli occhi lucidi, era sconvolta. Forse, questa volta, l’avrebbe convinta.

«Anche il tuo caro sacerdote Seth ha un Oggetto del Millennio: non avrà remore a usarlo per strapparti l’anima ed imprigionarla in una lastra di pietra!»

Lacrime cocenti rigarono il volto della ragazza.
Basta, non voleva più ascoltare. Voleva il silenzio, voleva disperatamente che tacesse.

Poggiò le sue labbra sulle sue per un battito di ciglia.
La guardò sorpreso.
Una risata.
Metteva i brividi, quella risata.

Forse si era già pentita?

«Mi hai rubato un bacio!» disse con un’espressione soddisfatta sul volto.
«Mi hai colto di sorpresa! Mai avrei pensato che saresti stata tu a fare la prima mossa, essendo una donna!» ma non gli dispiaceva affatto. E non faceva nulla per nascondere la sua tracotante smorfia di autocompiacimento.

Sì, decisamente l’aveva fatta pentire di quel gesto. Anche se, doveva ammettere, non era stato poi così male.

«E adesso? Lo sai che non potrai mai più dirmi che non c’è nulla di buono nel rubare?»
Touché.
Kisara rivolgeva insistentemente il suo sguardo verso il pavimento. Le sue gote dovevano aver preso fuoco: se le sentiva in fiamme.
Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, né di rispondere alcunché.

Bakura non l'avrebbe mai toccata senza il suo permesso, non le avrebbe torto un capello.
Ma quel bacio cambiava tutto.
Ora ardeva ancora di più dal desiderio di possederla.

 

Passarono i giorni e di Bakura nessuna traccia.
Kisara dovette affrontare l’arena: il suo corpo ne portava ancora evidenti segni.

La ragazza rivolse lo sguardo verso l’alto: un cielo privo di luna.
Si sentiva sola.
Abbandonata.

D’improvviso la luce di una torcia: il re dei ladri era tornato.

«Che ti hanno fatto?» chiese, con tono neutro.

Non dormiva da quasi due giorni dalle contusioni. Si vedeva che era provata.
«Mi ha salvata», disse, « mi ha salvata un’altra volta.»
No, non l’aveva lasciata morire come voleva l’altro sacerdote.

«Perché non ti sei difesa?», il suo sguardo era davvero severo. Come poteva avere così poca cura di sé? Più si sforzava, meno capiva.

Sorrise.
Chiaro: non voleva fare del male agli prigionieri; non si rendevano conto di quello che facevano.

«Che cosa è successo ai due che ti hanno attaccata?», la giovane donna distolse lo sguardo.

La risata sprezzante di lui interruppe il silenzio tra i due: si era data tanta pena per non fargli del male, ma ci avevano pensato loro a vanificare i suoi sforzi.
Si rese conto che era talmente vicino a lei che avrebbe potuto stringerla se non fossero state di mezzo quelle maledette sbarre. Si limitò a carezzare i suoi lunghi capelli bianchi come la neve.

«Io starei attento» la sua voce era un sussurro appena udibile; poteva sentire il suo respiro, tanto la sua bocca era vicino al suo orecchio.
«Cos’è accaduto a tutti coloro che non hanno un Ka potente come una divinità, che non sono una giovane e splendida donna?» il cuore di Kisara martellava nel petto.

«Non gli devi niente», continuò, «di chi è la colpa se sei ancora qui, a marcire in questo posto? Ferita, sola, denutrita … di chi è la colpa?»
Bakura era un maestro nel rigirare le cose: sapeva manipolare le persone a suo piacere ma questa volta era un po’ diverso.

Solitamente si doveva impegnare per travolgere la verità quel poco che bastava per ottenere i favori dell’interlocutore, ma, questa volta non doveva nemmeno impegnarsi.

Stava semplicemente dicendo il suo punto di vista.
La sua verità.
Eppure quella sciocca ragazzina si rifiutava di comprendere: il sangue gli andava al cervello.

“Non vuole me, vuole il drago. Come potrebbe volere me?” si ripeteva nella mente, come un mantra. Ma, nel profondo del suo cuore, voleva con tutte le forze credere a quel uomo.

«Puoi distruggere questa prigione come un castello di sabbia, se solo volessi. Puoi tornare di nuovo a volare. Basta solo che tu lo voglia.»

Ma ella non riusciva a controllare appieno il drago; non poteva liberarsi, anche se avesse voluto.

Questo, però, decise di tacerglielo.

Il silenzio della donna lo fece andare in bestia; i suoi occhi sembravano iniettati di sangue.

«Dimmi, che ci guadagneresti dalla mia fuga? Vorresti scappare con me? Lasceresti gli Oggetti del Millennio per poter venire con me?» aveva tutta l’aria di un invito.

Ma Kisara sapeva bene che ciò che contava davvero per il Re dei Ladri era il potere; non vi avrebbe mai rinunciato per niente al mondo. Per nessuno al mondo.

La domanda della ragazza lo colse alla sprovvista; sicuramente non gli era indifferente ma non era pronto per lasciare il sentiero della vendetta.
Non avrebbe rinunciato al potere come ella non avrebbe rinunciato a saldare il suo debito.

Un velo di tristezza coprì le sue iridi dure come le pietre ma la giovane non lo notò.
Scappava, Bakura. Fuggiva da lei, da quel ipotetico noi.
Non era il tempo giusto; quello che provava non era abbastanza.

 

 
Ancora una volta notte fonda. Nessuna visita da allora. Kisara aveva perso la speranza. Rannicchiata in un angolo in una coperta logora e troppo corta per lei.
Nessuna luce; quella notte il cielo era coperto.

Sentì rumore di catene: qualcuno era alla porta della sua cella.

Si alzò di scatto. Era spaventata: che stava succedendo?

La porta della cella si spalancò: delle forti braccia la cinsero così forte da toglierle quasi il respiro.

Era scioccata e incredula: «Bakura! Ho sentito delle cose orrende! Si mormorava che tu fossi stato sconfitto che tu fossi … » lacrime rigarono il suo volto mentre esplorava con le sue candide mani il viso di lui.

«Morto? No, non ancora»  la interruppe con il solito sorriso beffardo.
Trasse un profondo respiro e continuò, «la porta della tua cella è aperta: sarebbe inutile dirti di scappare con me?»

Sorrise: il suo sorriso era il più dolce che avesse mai visto.

«Se lasci gli Oggetti allora lascerò andare anche il mio debito: puoi salvarci entrambi», dunque è così che deve andare.
Ambedue erano consapevoli che le strade intraprese avrebbero condotto ad un'unica meta: la morte.

Bakura lasciò lentamente la presa su di lei, lasciandola andare. Ma la giovane se lo prese tra le sue braccia: le loro bocche si unirono.
Di nuovo.

Quella donna aveva il potere di coglierlo sempre di sorpresa ma questa volta reagì prontamente; si aggrappò al suo esile corpo che desiderava con tutto se stesso. Affondò la lingua nella sua gola e si sentì come in paradiso.

Era forse il sapore della felicità?

A fatica frenò la sua irruenza e allontanò Kisara da sé quanto bastava per cercare i suoi occhi; «Non farò nulla che non voglia anche tu» disse, grave, ansimando.

La giovane donna lo attirò di nuovo a sé; quello era chiaramente un .
Quella notte possedé Kisara con tutta la passione di cui era capace: aveva giaciuto con altre prima di lei, ma era stato completamente diverso.

Questa volta si sentiva ardere dentro; ogni parte di lei sembrava fatta per dargli piacere. Perfino il profumo della sua candida pelle lo faceva trasalire.

Avrebbe voluto non far sorgere più il sole; era talmente pago di quel momento che non gli importava più di niente.

Purtroppo, i primi raggi del mattino fecero capolino: la guardò. Era talmente bella, così fragile ma così devastante, disarmante. Lasciarla mentre dormiva era la cosa più ardua che avesse mai fatto nella sua vita.

Richiuse la porta della cella e indugiò un ultimo sguardo sulla sua amante.

«Spero di incontrarti di nuovo; da qualche parte, forse in un luogo diverso, in un tempo diverso. Ti troverò di nuovo e spero che saremo liberi da catene. Voglio vederti libera»
Quindi si voltò e scappò.

Ad un’altra vita, Drago Bianco

 

 

Piccola One-shot su una shipping che non sento particolarmente mia: OutcastShipping. Ho sempre visto Bakura come l'altro, quello sbagliato. Ma, ultimamente, adoro scrivere di quelli sbagliati! Non credo che sia un gran capolavoro, l'ho buttata giù, così. Avevo voglia di vedere se usciva ancora qualcosa d'interessante dalla mia testa; non se l'esperimento sia miseramente fallito o meno. Per me è gia un traguardo essere ritornata a scrivere più di 30 parole anche se continuo a preferire le drabble. Siccome non sono brava né con l'uno, né con l'altro genere, spero solo di lasciare qualcosa a chiunque abbia la pazienza di arrivare fino in fondo ai  miei scritti.
Un grazie a chiunque l'abbia letta.
-L.L.

  
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