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Autore: Maya98    25/10/2013    6 recensioni
-Era solo un ballo, sì?
Allusione alla battuta iniziale.
-Lo era. Lo era.
-Cos’è adesso?
Un fremito, un sospiro. Uno sguardo compromesso (ma da cosa?).
-Non lo so. Io odio non sapere.
[dancing!lock]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I can fly but I want his wings 

 

Un piede che batte sul pavimento, a ritmo della musica.

Violini che suonano, una testa che ciondola.
Lo sguardo svagato a frugare nella sala.

Chissà che cercano, quegli occhi chiari. Chissà chi cercano.

-Ho sempre odiato queste feste di Mycroft.

Un’occhiata complice, una risata smorzata dal vino dietro ad un bicchiere pieno.

Non può davvero farsi vedere ridere, lì, proprio no.

Altro che festa, quello è un ricevimento. Galante, per di più, e che Mycroft la festa tranquilla se la metta nel...

-E perché sei venuto allora?

Uno sguardo in alto, seguito da uno sbuffo, le dita che tamburellano.

C’è un sottointeso, in quello sguardo. 

Un sottointeso che urla oh John, a volte sei così stupido. 

E ringraziamenti per la gentilezza, ma prego, si figuri.

-C’è la miglior musica che io abbia mai sentito.

Ah, ecco.

Un’alzata di spalle, un sorriso nascosto, la schiena appoggiata al muro. 

Un paio di minuti che passano ancora veloci, dettati dall’andamento della serata.
Gente che chiacchiera, gente che beve, gente che balla, tutti attorno a loro.

L’incedere del brillante si fa verso il moderato, più ballabile, più apprezzato. Gente che batte le mani all’orchestra, chinando il capo.

Ed ecco il nuovo brano.

Mani che si muovono nervose, dita che tamburellano. E improvvisamente, si fermano. La testa che scatta, una nuova direzione.

Lui, verso di lui.

-Ti va di ballare?

-Cosa?

All’inizio crede che scherzi, ridacchia ancora, beve un po’ troppo.

Ma la mano tesa, oh, quella è incontrastabile.

Lo guarda di sbieco, la testa inclinata, una domanda a fior di labbra: ma sul serio?

E il suo cenno del capo a conferma. Sì, sul serio.

Si appoggia di nuovo al muro, occhi bassi, mano a grattarsi il collo.

Imbarazzo, lapalissiano.

-Sherlock, io non sono gay.

-Ti ho chiesto un ballo, non un matrimonio.

Sbuffa, alza gli occhi al cielo. Non è esattamente il momento, per le gare di dialettica.

-Ci vedranno tutti.-commenta infine, dopo qualche secondo.

-Immagino di sì, contando che non ci sono non-vedenti. Sto aspettando una risposta.

Una mezza risata e uno sguardo esasperato: vince sempre, ogni volta. E poi sbuffa, l’occhio che cade ancora su quella mano. Gesti misurati, lenti.

-Va bene, ma solo per questa volta.

La afferra.

Avanza verso la pista, lo sguardo al pavimento di parquet, la mente accordata alla musica. Buon dio, non fa quelle cose da quando è stato congedato dall’esercito.

La mano di Sherlock preme sulla sua, lieve, una carezza, ma non gentile.

John si ferma confuso, di fronte a lui, l’espressione spaesata.

-Chi guida?

Rotea gli occhi, sbuffando, un ciuffo nero danza disordinato.

-Sia mai che John Watson perda la sua virilità se si lascia condurre.

Una stretta un po’ forte, le unghie lasciano i segni per la spiacevole uscita. Occhi che si guardano con sfida, in un lento balletto. 

Sorridendo.

I passi si avvicendano, il pavimento è scivoloso. Man mano i passaggi ritornano, alla sua mente distratta, uno dopo l’altro. È facile, sorprendentemente. Più di quanto ricordava.

Sherlock è un ballerino provetto. Lo segue senza protestare — per una volta in vita sua — accordandogli il passo e muovendosi. Ha grazia, nel movimento, innaturale. Lo asseconda anche quando si discosta dalla sequenza principale. Creativa eccezione.

Lui ride.

-Il prossimo giro c’è il sollevamento?

-Spero che tu non voglia ardire.

John solleva le sopracciglia, guardandolo con aria di sfida.

-Sono troppo alto.-dice lui per scuse.

Ah, bella giustificazione.

Uno sbuffo, un altro giro a passi lenti, occhi negli occhi.

Poi John, del tutto inaspettatamente, lo fa. È veloce, cristo, è un soldato; è impossibile fermarlo.

Un attimo prima una mano sul fianco e l’altra sulla sua, un attimo dopo entrambe sui fianchi e Sherlock è in aria, dritto come un palo, rigido come uno stoccafisso e l’espressione scioccata. Gli sfugge uno sbuffo strozzato, inafferrabile.

John ride di nuovo, dopo mezzo giro, nel metterlo giù. 

Mycroft, dall’altro lato della sala, lancia loro una quieta e obliqua occhiata scandalizzata. Il medico ride ancora, senza riuscire a fermarsi.

-Sei pazzo?-ringhia Sherlock, con due piedi saldi al terreno, un’occhiata truce.

-Se vuoi possiamo provare un casqué,-azzarda John, un sorrisetto distratto, lo sguardo fisso. Non riesce a staccare gli occhi, in quel vorticare.

-Vorrei vederti osare.

-Sfidami.

Assottiglia lo sguardo, fa il duro, ma demorde. Un sospiro sconfitto è tutto ciò che serve. 

John alza la mano, si solleva in punta di piedi, in due goffi tentativi. Ma mentre tenta di far fare una giravolta costretta a Sherlock, la sua mano gli cozza due volte sulla fronte.

-Sei troppo alto, cristo.

-Non sapevo che un ballo fosse una modalità di omicidio. Con corpo contundente, per di più.

John si alza di nuovo, per farlo girare, avido di vendetta. Sherlock allunga la schiena in tutta la sua lunghezza per impedirglielo.

-Bastardo.

-Ti adoro anch’io.

Ridono entrambi, a denti stretti, mentre volteggiano ancora. Mycroft continua a guardarli scioccato, con un bicchiere in mano. Il miglior champagne sul mercato. Non che aiuti i suoi nervi, in quel momento.

-Tuo fratello mi sta perforando la nuca cogli occhi.

-Lascia che guardi. È l’unico a farlo.

Ed è vero: nessuno fa caso a loro. A dispetto di quanto pensava.

L’incedere si quieta, lento, si spegne. Un qualche secondo e rimangono lì, fermi, sull’accordo finale. Una domanda implicita: un altro? Anche la risposta è implicita.

Un’esitazione. Un attimo soltanto.

O forse tutta la vita.

Sì.

L’attacco del nuovo brano è dolce, sottile. Un soffio di fiato.

È un lento. Lento e sottovoce, come un segreto.

-Adesso conduco io.

Non è una domanda.

-E perché?

-Perché nel prendere la pozione da lento non mi spaccherò la schiena per stare alla tua altezza.

John inclina la testa, ridacchiando, e gli lascia prendere le redini. È un lento girare, una droga di calore, stordimento da sicurezza.

Guida bene. Lo guida bene, e lui si fida nel suo piano condurre.

-Non sapevo, comunque, che ti piacesse ballare.

Uno sbuffo, un trillo di sottofondo. Una nota acuta, intonata.

-Solo se il patner è all’altezza.

-E io lo sono?

Una domanda di troppo, forse, a bruciapelo. Strappata, lacerata.

Gli volge uno sguardo, sopracciglia inarcate.

-Indovina un po’.

Altra risata.
Se sta ballando ancora con lui, forse sì, è all’altezza.

Sospira piano, avvicinandosi quel che basta, il consono ad un ballo del genere. Spalle ritte, petto in fuori e sguardo alto.

-Non è una missione militare, John. Rilassati.

Un rimprovero. O forse no. Una richiesta?

Ammorbidisce il volto, il sorriso, scioglie la posa. Con gli occhi chiusi, più vicino.

Lo sente respirare.

Dal suo petto.
Lento, regolare, in contrasto con qualcosa d’altro.

Tum. Tu-tum.

 Tu-tum. Tu-tu-tum. 

Tum. Tum. Tum.

Un valzer un po’ sgraziato, quello del suo cuore.
Ritmo strano. Irregolare.

-Hai il battito accellerato?

Un altro osare. Superare i confini.

Le linee che avevano tracciato stanno perdendo i loro tratti.

-Sono in movimento.

Ah, certo. Giustificazione. Dimentico, forse, di parlare con un medico.

-Non puoi esser stanco. Il tuo respiro è regolare.

-Touché.

Si scosta un secondo dal suo petto, guarda in alto. Immobile. Impassibile.

Poi Sherlock si inclina in avanti. Veloce, ma faticoso, percorrere quella distanza.

Affonda il naso nella sua spalla, ad occhi chiusi, fiato corto. John trattiene il fiato, rumorosamente, frettolosamente. È rigido, ora, vigile. E la posizione è scomoda.

-Anche tu non sei messo bene.

Un commento, una stilettata. L’affondo definitivo, la partita chiusa.
Si rialza. Lo guarda.
John segue il suo sguardo, respirando.

Smascherato. Smascherati.

-Era solo un ballo, sì?

Allusione alla battuta iniziale.

-Lo era. Lo era.

-Cos’è adesso?

Un fremito, un sospiro. Uno sguardo compromesso (ma da cosa?).

-Non lo so. Io odio non sapere.

Si riprende a girare, lentamente. Occhi negli occhi, verde contro blu.
Nessuna voglia di ridere, ora. Solo silenzio.

Le mani intrecciate, la distanza nulla, e l’eco di un non detto. Occhi che mormorano, occhi che si cercano.

-Avremo molte cose di cui parlare, ‘sta sera a casa.

L’ultimo affondo. L’ultimo osare.

Ma non può far cadere il discorso.

-Oh sì, John.

Un sorriso, quieto, tirato. Un incurvarsi tutto di labbra.

Strano? No, felice.

-Davvero molte, molte cose.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino della Skizzata:

Sì, sì, sarete tutti lì a dire: “Maya, ma dov’è tutta la storia dell’angst platonico?”. La sto scrivendo, la storia angst e platonica. Ma mi occorrerà tempo e ci avevo voglia di postare, quindi dovete accontentarvi.

È un esperimento di stile, ma soprattutto, è dall’inizio dei tempi che volevo farli ballare. E non volevo farla finire con il classico bacio, quindi. u.u. Quindi.

Grazie a chiunque leggerà o recensirà :)

  
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