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Autore: PurpleStarDream    26/10/2013    6 recensioni
Seguito di "Chrysalis"
Adesso che Steve ha accettato l'identità del suo fidanzato si è trasformato in un vero esperto sul mondo dei transgenere, ed è diventato molto protettivo nei confronti di Tony.
Ecco perché ha deciso di restare con lui durante e dopo l'operazione finale, quella più importante, che lo farà diventare un uomo a tutti gli effetti; e sempre per questo si ritrova per la prima volta a difenderlo dagli attacchi verbali di Justin Hammer, un ex-spasimante di Tony quando questi era ancora una ragazza.
Warning: personaggio transgenere.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Warning: Chi ha letto la mia fic “Chrysalis” conoscerà già l’argomento “transgenere”. A chi invece non lo ha fatto consiglio caldamente la lettura, perché questo è un sequel, un sequel che parla del periodo che Tony trascorre in ospedale durante e dopo la sua operazione finale per cambiare sesso da donna a uomo, in quanto qui lo dipingo come un transessuale.

Se non volete leggerla ma vi incuriosisce questa storia e vi fa piacere avere delucidazioni sull’argomento consultate le note che “Chrysalis” propone, così vi farete un’idea del mondo che descrivono queste due fic.

Il rating è per l’argomento e alcuni gesti, quindi semplice questione di sicurezza. Auguro a tutti buona lettura, spero che vi piacerà.

 

 

 

Walk like a man.

 

 

 

Ho imparato che il miglior modo di amare qualcuno non è cambiarlo, bensì aiutarlo a rivelare la più meravigliosa versione di sé stesso.

 

Steve Maraboli.

 

 

 

 

Il pavimento sembrava essere sempre lo stesso: lucide lastre di linoleum verde acqua, graffiato qua e là dalle lunghe linee simmetriche dei lettini che vi venivano trascinati ogni giorno, come bestiame svogliato lungo un pascolo di gomma verde. Quelle righe sul pavimento ne indicavano la storia, i trascorsi; facevano capire che prima di oggi, innumerevoli pazienti erano stati trasportati seguendo quelle stesse linee guida per raggiungere la sala operatoria, la mensa, l’area di fisioterapia…

Sì, il pavimento appariva sempre uguale, ma Steve ebbe lo stesso l’impressione di camminare sulle uova. Ce l’aveva, questa sensazione, da quando Tony aveva interrotto la terapia ormonale per prepararsi all’Operazione, con la O maiuscola; ormai erano cinque mesi che la chiamavano così.

Arrivò alla porta della stanza del suo ragazzo, e sulle prime esitò, stringendosi al petto la scatola quadrata della pasticceria. Aveva ancora la sgradevole sensazione che per terra ci fossero dei cartoni di uova, e se avesse fatto un passo in più, i gusci scricchiolanti avrebbero segnalato la sua presenza, e allora Tony avrebbe avuto nuovamente una crisi.

-Ciao, Steve.-

Il biondo fece un balzo e distrusse le uova con cui era foderato il parquet, si girò e vide che c’era Pepper, accanto a lei un uomo con gli occhiali e un camice bianco, aperto su un assortimento di vestiti dall’aria trasandata; con quegli occhiali sul naso e i ricci scuri spettinati aveva più l’aria di uno scienziato pazzo che di un dottore.

-Scusa se ti ho spaventato, non mi ero accorta che fossi soprappensiero- sorrise lei, i capelli rossi legati in una bassa, elegante, coda di cavallo, dalla quale sfuggivano due ciuffi vezzosi ai lati del viso.

-No, scusami tu. Non mi ero accorto che fossi qui- fece lui, cercando di rilassarsi, per quanto possibile.

-Questo è Bruce, mio marito. Bruce, ti presento Steve Rogers, il fidanzato di Tony- annunciò Pepper, con un gesto verso il medico vicino a lei. L’uomo sorrise timidamente, e Steve fissò imbarazzato quello strano dottore.

Non sapeva che Pepper fosse sposata, quando si erano conosciuti non aveva neanche fatto caso al fatto che portasse o meno la fede. E adesso si rendeva conto che, concentrato com’era sul capire i transessuali come comunità, non aveva mai dato molta importanza ai piccoli dettagli di loro come persone. Si vergognò un po’ per non averci pensato prima.

-Dottor Bruce Banner,- disse il medico, allungando una mano e mostrando un pezzettino di maglione di flanella.

Il ragazzo la strinse, la presa del dottore era leggera e quasi intangibile. -Steve Rogers.-

-Bruce sarà il medico che opererà Tony. Puoi fidarti di lui, ci siamo conosciuti sette anni fa quando era ancora un tirocinante… Pensa che ha assistito alla mia operazione. Adesso è diventato un ottimo chirurgo.-

Le guance del medico si imporporarono, e sorrise dolcemente a sua moglie, che gli stringeva un braccio.

Steve osservò la coppia, prima uno alla volta, dopodiché tutti e due insieme. A vederli nessuno avrebbe sospettato che Pepper una volta non era una donna, e che quell’uomo lo sapesse: sembravano molto felici, raggianti come il primo giorno, come se fossero la prova vivente che qualcuno ce la poteva fare, che la solitudine non era l’unica opzione di una vita difficile. Si riscoprì a invidiarli e ammirarli allo stesso momento.

-Tony è ancora nervoso?- domandò la rossa, come se, più che una risposta volesse una conferma.

-E’ un mese che non prende più ormoni, non puoi capire quanto sia snervante. E adesso che ha fatto l’isterectomia sta persino peggio: non può alzarsi e continua a ripensare all’Operazione.-

-Sono gli inconvenienti della procedura, Steve- spiegò con pazienza la donna.

-Lo so, ma credimi, stava davvero male, e io non sapevo cosa fare. Lui aveva la sensazione di essere tornato quello che era prima, e io potevo solo rassicurarlo che si trattava di una situazione temporanea, che presto sarebbe cambiato tutto, ma più di così cosa avrei potuto dirgli? E oltretutto con gli sbalzi di umore che aveva rischiava di mandare fuori di matto anche me.-

Ed era vero, era stato un mese da incubo.

L’operazione per il cambio di genere sessuale prevedeva la sospensione per almeno un mese di ogni somministrazione di ormoni, e Steve non aveva bisogno di Pepper per sapere che ormoni sballati significavano sbalzi d’umore, cambiamenti fisici, improvvisi attacchi di rabbia, di fame, di depressione…

Tony aveva dovuto smettere di farsi iniezioni di testosterone, e ogni giorno guardava la scatola che conteneva le siringhe allo stesso modo di un drogato in astinenza da eroina. Andava su e giù per il suo appartamento come un leone in gabbia, ed era sempre nervoso e irritabile. Come se non bastasse, con la sospensione del T gli erano tornate le mestruazioni, cosa che non succedeva da almeno quattro anni, e quel giorno Tony si era rifiutato categoricamente di uscire dal bagno. Non era andato al lavoro e non aveva voluto parlare con nessuno, e se Steve non fosse stato al di là della porta ad ascoltarlo mentre sperimentava di nuovo cosa significasse subire i capricci di un corpo che non percepiva come suo, non sapeva se avrebbe superato la giornata senza crollare in una crisi di pianto.

La barba aveva smesso di crescere, e così lui aveva messo da parte rasoio e schiuma da barba, ma si era rifiutato di tagliarla.

In più mille dubbi su quello che stava per fare avevano cominciato ad affollare la sua mente, tanto che Steve dovette fare uno sforzo per ricordarsi che era lui, e non Tony, quello che aveva delle riserve sul mondo dei transgenere.

-Sei stato bravo a stargli vicino fino adesso. E sono ancora più contenta che abbiate deciso per la conservazione delle cellule. Significa che fate sul serio voi due.-

Steve sorrise, orgoglioso di sé stesso per averci pensato.

Quella della conservazione degli ovociti era stata un’idea sua, dopo che aveva passato la notte a documentarsi su ogni genere di operazione che coinvolgesse gli organi sessuali. Si trattava di conservare cellule femminili affinché, in un prossimo futuro, grazie ad una madre surrogata, una coppia potesse avere dei figli biologicamente propri. L’aveva proposta a Tony il giorno dopo, mentre ancora davanti ai suoi occhi assonnati danzavano scritte opalescenti di computer, dicendogli che sarebbe stato bellissimo avere, un giorno, dei bambini: sarebbero stati la prima coppia gay ad avere dei figli biologicamente loro. Steve era disposto a donare alla causa una considerevole parte dei suoi risparmi, in modo che Tony non dovesse aspettare oltre per farsi operare.

Tony ammise che l’idea di possibili figli non lo aveva neppure sfiorato, forse perché non credeva possibile trovare qualcuno con cui crescerli. Ciò che lo convinse dovette essere la passione con cui Steve ne aveva parlato, il trasporto all’idea di mettere su famiglia proprio con lui, il fatto che sopra le occhiaie i suoi occhi azzurri brillassero di una gioia incontenibile. Era una possibilità come un’altra di crearsi la famiglia che, rinunciando alla femminilità di Tony, pensava di avere perso.

Tony gli sorrise, gli fece un caffè e, dandogli un bacio sulla guancia, gli disse di cercare di restare abbastanza sveglio da prestare attenzione al traffico, perché non voleva che il futuro padre dei suoi figli finisse sotto una macchina mentre andava al lavoro.

Così, prima c’era stata la sospensione della terapia ormonale, quindi il prelievo delle cellule, poi l’isterectomia, e tra poco il grande passo: l’Operazione. Con la O maiuscola.

-Non mi aspettavo che accettasse. Sono contento che abbia preso questa decisione insieme a me. E… ho apprezzato il fatto che coinvolgessi tuo marito, mi sembra una persona fidata.-

-Lo è- assicurò Pepper.

-Farò del mio meglio, signor Rogers- disse lui.

-Steve la prego.-

-Allora, vogliamo dare un’occhiata al nostro malato?- sorrise Pepper.

-State attenti- li avvertì il biondino. –Sono quattro settimane che mi minaccia, non è esattamente del migliore degli umori.-

-E’ per questo che stavi meditando contro la porta? Paura che ti morda?- lo prese in giro la donna.

Spostando il peso da un piede all’altro, Steve non poté far altro che annuire. –In questo momento ne sarebbe capace.-

-E’ capitato anche a me. Quello che devi fare è ignorare le sue lune; quando si sarà sistemato tutto sarà lui il primo a farsi una risata, vedrai.-

Il consiglio di Pepper sembrava buono, ma Steve non ne era del tutto convinto, non quando era lui il primo a cui Tony saltava alla gola come una gestante con le voglie.

Scegliendo la via del coraggio aprì la porta un poco per volta, con il dottor Banner e sua moglie che gli lasciavano il tempo di prepararsi psicologicamente a quanto di più terribile potesse aspettarlo all’interno.

L’uscio scricchiolò sui cardini, e la porta si aprì su una stanzetta in penombra, profumata di medicinali e pesante di malumore trattenuto.

All’interno, accanto ad una finestra con le veneziane calate e sagome spezzettate del mondo esterno tra gli interstizi, c’era una sola persona, distesa su un letto e con tuffato nel braccio l’ago di una flebo. I capelli castani erano sparpagliati sul cuscino attorno alla testa voltata dell’occupante come raggi di sole; quest’ultimo dedicava tutta la sua attenzione alla contemplazione delle schegge di mondo esterno.

-Tony?- tentò Steve, con il tono più morbido che conosceva.

L’uomo nel letto voltò la testa verso di lui.

-Sei venuto in compagnia? Guarda che non ti mangio mica- fece Tony, con un tono nervoso che faceva presagire tutto il contrario, e il corpo completamente rigido sotto le lenzuola inamidate sembrava dare ragione a quel presentimento.

-Come ti senti?- domandò il biondo.

-Come vuoi che mi senta? Sto da schifo, semplicemente da schifo. Sai che la parola “isterectomia” ha la stessa radice di “isteria”? Significa che potrei essere isterico, quindi non mi seccare con queste domande idiote: è ovvio che non posso stare bene. Non sopporto più questa situazione, un minuto mi sento depresso e quello dopo sono così furioso che persino le cazzate mi sembrano qualcosa per cui tenere il muso. E questo mi fa venire in mente che anche ieri ti sei dimenticato di portarmi le mie ciambelle. Ma dove accidenti hai la testa?! Sarà la quarta volta che te lo chiedo…-

Nel bel mezzo di quella sfuriata Tony si era messo a sedere, ed era crollato subito sul letto con una smorfia di dolore.

-Tony, non devi alzarti così all’improvviso. Ti ricordo che non è passato molto dall’isterectomia, e i punti sono ancora in via di cicatrizzazione- disse Bruce, facendo emergere il suo lato professionale e intimandogli, con un gesto, di non riprovare a muoversi.

Tony conosceva Bruce. Sapeva che era il marito di Pepper e che si occupava di chirurgia ricostruttiva su pazienti transgenere maschi e femmine. Se avesse scelto la sua specializzazione prima o dopo aver conosciuto la sua attuale consorte non lo sapeva nessuno, e Pepper non aveva mai lasciato trasparire indizi in questo senso.

-Sono venuto qui perché dovremmo discutere i dettagli della falloplastica- aggiunse il medico.

Tutto quello che Tony riuscì a produrre fu uno sbuffo esasperato, i suoi occhi vagavano da tutte le parti, meno che sulle facce dei presenti.

-Potete darmi ancora cinque minuti? Vorrei parlare da solo con Steve- disse Tony alle tende.

-Ma certo- fece Bruce, -Ma ricordati che l’operazione è domani, dobbiamo assolutamente discuterne in giornata.-

Detto questo, lui e Pepper se ne andarono. La rossa lanciò uno sguardo di incoraggiamento a Steve, e uno significativo a Tony, di cui questi non poté accorgersi, quindi si chiuse la porta alle spalle.

Per qualche secondo nessuno dei due parlò.

Poi il biondo mise sotto il naso dell’altro la scatola della pasticceria.

-Stavolta me ne sono ricordato- disse, accennando alle ciambelle, quindi aprì lo zaino e tirò fuori una lattina nera. –E anche della Vanilla Cola.-

Tony si voltò, tirandosi a sedere con cautela. Sotto le coperte, nascosta alla vista di tutti meno di coloro che ne erano a conoscenza, c’era il taglio orizzontale sul suo addome, gli ultimi residui dell’isterectomia tenuti insieme da punti di sutura che formavano una collana di piccole X scure sulla pelle. Sarebbe sembrata comica se non avesse avuto tutto quel significato. Forse lo sarebbe diventata, tra qualche giorno.

Le braccia del moretto scattarono in avanti e afferrarono prima la lattina, e poi la scatola, che si poggiò in grembo per aprire la cola. La linguetta di alluminio che veniva tirata produsse un suono spezzato, quindi la bibita cominciò a frizzare. Tony ne bevve un sorso, con l’altra mano tirò fuori una ciambella con la glassa blu, addentandola e mandando giù il tutto con un sorso di zucchero liquido all’aroma di vaniglia.

-Sei un angelo- disse, con la bocca piena e l’espressione concentrata di chi assaggia del buon cibo per la prima volta, adesso inaspettatamente ammorbidito.

-Con tutto questo zucchero ti verrà il diabete; poi altro che operazioni per il cambio di sesso- sorrise il biondino.

Tony si bloccò a metà. Ingoiò quello che aveva in bocca, poggiò lattina e scatola sul mobile accanto al letto e fece un sospiro.

-E’ quasi ora…- disse semplicemente.

-Sei preoccupato?- domandò Steve, tirando una sedia accanto al letto e lasciandovisi cadere sopra. Con i gomiti piegati e le mani sotto il mento rimase in attesa di una risposta.

-E’ solo che mi sento… Strano.- Lo sguardo del ragazzo cominciò a farsi liquido, le sue iridi scattavano di qua e di là e le palpebre sbattevano veloci come le ali di una falena troppo vicina alla luce, quasi volessero ricacciare indietro una sensazione scomoda, triste e ineluttabile come il destino.

-Forse dovrei annullare tutto, smetterla con questa storia. Certo, non potrò tornare ad essere una donna come prima, ma qualcosa di femminile ce l’avrei ancora…-

-Tony,- iniziò Steve, strisciando le gambe della sedia sul pavimento per andargli più vicino e prendendogli una mano. –Questo è quello che è giusto fare. Se tu tornassi indietro non te lo perdoneresti mai, e non perdoneresti neppure me che te l’ho permesso.-

-Ma adesso non sono niente! Non sono un uomo e non sono neanche più una donna. Pensi che sia facile farsi aprire, tagliare, ricucire, lasciare che qualcuno si metta a giocherellare con le tue interiora?- gridò Tony, le palpebre che sbattevano sempre più in fretta.

-Sei solo sconvolto a causa dello squilibrio ormonale.-

-Fanculo lo squilibrio ormonale!- urlò di nuovo, e stavolta due gocce salate gli scivolarono dagli occhi e andarono ad infrangersi sui suoi pugni chiusi, attorcigliati attorno alle coperte. –Tu non capisci un cazzo, non sai cosa significhi tutto questo. Sto facendo il mio corpo a pezzi, letteralmente a pezzi! E non sono nemmeno sicuro che poi il risultato sarà accettabile. Potrebbe non funzionare, potrei essere disgustoso. Almeno quando ero una donna qualcuno che mi apprezzasse ce l’avevo, ma adesso non posso neppure tornare indietro. Sono costretto a rischiare e lo faccio con tutte le statistiche contro di me!-

Un pugno lasciò un’impronta grinzosa sulle coperte per andare a catturare le lacrime che continuavano ad uscire senza che lui potesse fare niente per impedirlo. Continuò a strofinarsi la mano sugli occhi, bagnandola sempre di più.

-Vaffanculo. Non voglio piangere, ma non ce la faccio a smettere. Stupidissimi ormoni del…-

A quel punto Steve spostò il suo peso sul materasso e lo abbracciò, spingendogli il viso nell’incavo del suo collo, in modo che fosse la sua pelle a raccogliere le lacrime.

-Tu non potrai mai essere disgustoso. Farai questa operazione perché tu lo vuoi, perché devi finalmente avere il corpo con cui senti di dover vivere. E poi andrà come andrà, non possiamo saperlo, ma io sono fiducioso. So che quello che stai per compiere è un passo importante, che non si torna più indietro, ma non devi essere insicuro, Tony. Quando ti opererai io sarò proprio fuori dalla sala, per assicurarmi che vada tutto bene, e quando ti sveglierai sarò lì con te, per essere il primo a vedere che splendido uomo sei diventato.-

Tony si stava sforzando di smettere di piangere. Gli estrogeni residui che ancora si annidavano nelle sue vene lo rendevano difficile, se in più venivano aiutati da discorsi come quello…

Ma riuscì comunque a limitarsi a singhiozzi vuoti, ricacciando indietro le lacrime. Spinse il viso contro il petto di Steve, ampio e piatto, ricordando il periodo in cui anche lui aveva desiderato un torace così, su cui passare le mani sentendo come unici rilievi le costole, lo sterno, i muscoli…

E ora ce l’aveva.

Pensò a tutte le volte in cui lui e Steve avevano fatto l’amore, per recuperare gli anni perduti, e si ricordò di come, ogni volta, avesse desiderato ricambiare. Aveva guardato il suo ragazzo con invidia aspettando il giorno in cui anche lui l’avrebbe fatto sentire così bene.

Tony ricambiò l’abbraccio, e si scostò solo quando il suo respiro si fu regolarizzato.

-Grazie- disse il moro, piegando la testa e nascondendo con la frangia il suo sguardo arrossato e imbarazzato. –Non volevo dare spettacolo in questo modo- mormorò.

-Sono gli ormoni- ripeté Steve sorridendo, arruffandogli i capelli. Tony gli fece una linguaccia, e afferrò la ciambella lasciata a metà, creando una scia di briciole azzurre sulle lenzuola.

-Mi dispiace di essere stato un rompipalle in quest’ultimo mese- fece Tony, tra un morso e l’altro.

Fu subito perdonato. -Non fa niente. Non eri esattamente in te.-

-E mi dispiace anche di averti urlato contro ogni volta che lasciavi il dentifricio aperto.-

-Non importa.-

-E anche di averti mangiato tutte le poptarts.-

-Non ti pre… Un momento! Allora avevo ragione, le hai mangiate tutte tu.-

Tony si strinse nelle spalle, e spalancò gli occhi lucidi e scuri con finta innocenza. –Ero arrabbiato. So che le avresti volute mangiare tu, ma non volevo fartela passare liscia per non aver comprato il whiskey al supermercato.-

-L’alcool non avresti dovuto berlo durante il trattamento, ecco perché non te l’ho comprato. Comunque, ormai è passato- sbuffò Steve, rimuginando ancora sulle sue poptarts preferite.

-Credo che adesso tu possa far entrare Bruce- disse alla fine Tony.

-Sei pronto?- domandò il biondo, ogni minima traccia di rancore spazzata via dalla neonata preoccupazione. –Vuoi che resti con te?-

Tony sospirò profondamente e guardò le lenzuola, in corrispondenza del punto dove la cicatrice dell’isterectomia si sarebbe trasformata in cheloide.

-Sì, per favore.-

 

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L’unico suono nel corridoio deserto, di un bianco sterile, era il ritmico battito dei suoi piedi sul pavimento. Con gli occhi seguiva senza pace, avanti e poi ancora a ritroso, i segni lasciati da troppi lettini che erano entrati e usciti dalla sala operatoria.

Seduto sulla prima di una lucida fila di sedie di plastica scura, Steve lanciava sguardi preoccupati alla doppia porta attraverso la quale Tony era sparito insieme all’equipe di chirurghi e ferriste almeno quattro ore prima.

Un’infermiera di mezz’età in tuta da sala operatoria verde scuro spalancò le porte con una spallata, facendole sbattere come ali di una grossa farfalla. Emerse nel corridoio con le braccia cariche di garze intrise di sangue, macchiate come in un film dell’orrore di second’ordine, e le gettò in un bidone per rifiuti ospedalieri.

Quella vista fece scattare qualcosa in Steve, che subito si alzò in piedi, facendo cigolare la sedia, e bloccò la strada all’infermiera.

-Mi scusi. Volevo sapere come sta andando l’operazione. Sono lì dentro da più di tre ore, ormai- disse, stringendosi le mani per impedirsi di gesticolare.

-Signor Rogers, è già la quarta volta che me lo chiede- sbuffò la donna, aggiustandosi la cuffia, l’iniziale condiscendenza che aveva assunto una sfumatura di fastidio. –Lo so che è preoccupato per il suo amico, ma se il periodo dell’operazione si allunga è solo perché il dottor Banner sta facendo del suo meglio. Le assicuro che da cinque minuti fa non è cambiato nulla.-

Steve ricadde sulla sedia, e riprese a tamburellare le suole delle scarpe. –Mi scusi, è solo che non ho mai fatto una cosa del genere… aspettare che qualcuno a cui tengo venisse operato. Lo so che non è in pericolo di vita, e quindi non dovrei essere così ansioso, ma vede…-

-Sembra un padre che attende la nascita del suo primo figlio- notò l’infermiera, sfilandosi i vecchi guanti e sgranchendosi le dita. Il biondo arrossì. –Le ripeto che non deve preoccuparsi. Il dottore ha quasi finito, vedrà che non ci vorrà molto.-

E scomparve di nuovo, ingoiata dalla doppia porta. Steve sospirò, e si limitò ad attendere; la sua schiena perfettamente diritta seguiva la linea dello schienale della seggiola: non si era minimamente rilassato.

 

 

Quaranta minuti dopo portarono fuori il lettino, che emerse nel corridoio seguito da uno sferragliare di attrezzatura per sorreggere le flebo. Tony era completamente sdraiato, con gli occhi semiaperti e un lenzuolo tirato fin sul petto; le braccia ne trattenevano i bordi, e uno aveva bloccato in vena l’ago per la soluzione elettrolitica, l’altro era completamente fasciato dal gomito in giù con una garza di un bianco accecante: il punto da cui avevano prelevato la pelle per la falloplastica.

Steve scattò in piedi come spinto da una molla. –Tony? Come ti senti, stai bene?- domandò, reggendosi alle sbarre che circondavano il lettino per trattenerlo e guardare negli occhi il suo ragazzo. Questi fece un mezzo sorriso ubriaco. –Mmmhh…-

-E’ ancora sotto sedativi- spiegò il dottor Banner, togliendosi la cuffietta da chirurgo e gettandola nel bidone accanto alla porta. –In più, gli abbiamo dato molti antidolorifici pesanti, ne avrà bisogno per almeno una settimana. E’ probabile che sarà un po’ su di giri, ma sono indispensabili dopo un simile intervento.-

Steve lo guardò, scrutando oltre gli occhiali alla ricerca della risposta ad una domanda che non si decideva a fare.

Bruce lesse i suoi pensieri: -L’operazione è andata bene. Ora dobbiamo solo aspettare e vedere se presenta una corretta sensibilità e funzionalità. Lo faremo appena i lembi di pelle e i muscoli si saranno saldati, ma sono piuttosto fiducioso riguardo il mio lavoro.- Sorrise, vedendo che il biondo si era visibilmente rilassato.

-Grazie dotto Banner.-

-Chiamami Bruce, ti prego. Penso che, dato che voi conoscete Pepper, sarebbe inutili rimanere così formali.-

Prima di seguire la barella che veniva trasportata nella stanza d’ospedale, Steve non riuscì a trattenersi dal chiedere: -E’ stato naturale per te accettare Pepper per quello che era? Voglio dire, quando hai saputo che era una transessuale?-

Pensava che l’altro si sarebbe accigliato, e invece il dottore lo sorprese, spiegando con molta calma e con un sorriso disarmante: -Quando l’ho conosciuta era ancora in transizione. Virginia è stata la mia prima operazione di questo tipo. Durante la degenza mi sono occupato di lei, abbiamo parlato… Io non sapevo nulla del suo mondo, ma passando del tempo insieme ho capito che lei era una persona speciale. Ad un certo punto non mi è più importato se fosse un uomo o una donna, avevamo un legame che non avrei mai potuto avere con nessun altro, ed è scattato qualcosa. Dopo un anno e mezzo di appuntamenti ci siamo sposati.-

I suoi occhi si erano illuminati, immersi in un bellissimo ricordo ancora caldo di tenerezza, nonostante fossero passati sette anni da allora. Steve sapeva quello di cui stava parlando: con Tony aveva provato le stesse cose.

-Adesso puoi andare, Steve. Scommetto che Tony muore dalla voglia di sapere come è andata, e se tu sarai lì con lui eviterà di disturbare tutte le mie infermiere- sorrise Bruce, gli diede una pacca sulle spalle e lo lasciò raggiungere il suo ragazzo.

 

 

Le tende della stanza erano di nuovo abbassate, per rendere l’ambiente il più possibile raccolto, tranquillo.

Sdraiato nel suo letto Tony dormiva un sonno artificiale, inframezzato da sporadici istanti in cui cercava debolmente di aprire gli occhi, vedeva la sagoma di Steve aggirarsi per la stanza, e poi li richiudeva quando le palpebre si facevano troppo pesanti. Da sotto le coperte emergevano tubi e fili di ogni sorta: un catetere, la flebo, i cavi per il monitoraggio cardiaco e pressorio legati ad uno schermo nero che faceva bip, bip, ogni volta che la linea verde dei suoi battiti si lanciava in un picco regolare.

Steve lo studiò attentamente, accarezzando la fasciatura sul suo braccio ogni volta che Tony cercava di aprire gli occhi, come a rassicurarlo che poteva tornare a dormire. Aveva visto l’infermiera aggiustare la fasciatura che aveva tra le gambe, e aveva potuto accorgersi dell’enorme massa di bende punteggiate di aloni rossi dove dovevano esserci i punti. Le aveva osservate bene alla ricerca di un rigonfiamento indicativo di quello che era successo, ma la grande quantità di bendaggi rendeva difficile la sua missione. C’erano solo le fasciature che coprivano tutto il bacino, si snodavano attorno alle cosce, lo avvolgevano appena sotto la cicatrice da isterectomia.

Mentre l’infermiera stava controllando lo stato delle fasciature, Tony aveva cercato di vincere i residui dell’anestesia e aprire un po’ di più gli occhi, come se avesse voluto vedere quello che gli era successo. Lottò valorosamente per sollevare la testa e guardare, ma le medicine erano ancora più forti di lui, e ricadde sul cuscino.

Steve allora gli si avvicinò e, accarezzandogli di nuovo il braccio, arrivando fino alla mano dove la pelle era calda e libera, gli sussurrò, in modo che riuscisse a sentire: -Sono orgoglioso di te.-

 

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-Come stai oggi?- domandò Steve, portando nella camera d’ospedale un insospettabile calore ed un sorrisone che aveva un ché di irritante.

-Starei meglio se smettessi di chiedermelo- brontolò Tony, facendo uno sforzo per sedersi sul letto, con le gambe penzoloni accanto a un paio di stampelle. –Non posso ancora riprendere gli ormoni, e hanno sospeso anche tutte le droghe buone, quindi sento un dolore allucinante. Se non consideri questi insignificanti dettagli direi che sto da favola, davvero.-

-Se riesci a lamentarti così significa che stai davvero bene- sorrise il biondo. –Volevo portarti un mazzo di fiori, ma alla fine ho preferito evitare. E siccome non ti fa bene ingozzarti di dolci non ho portato neanche quelli.-

-E allora cosa hai portato?-

Steve sollevò un cestino di mele. –Frutta e la mia presenza, così mangerai più sano e ti sentirai meglio.-

Tony fece una faccia. –Vabbé, è il pensiero che conta… Comunque sono contento che tu sia qui.-

Il biondo posò le mele sul mobile accanto al letto. Per assicurarsi che l’altro non le regalasse ad un altro paziente aveva messo nel cesto un biglietto col suo nome.

-Senti, visto che sei qui ti va di accompagnarmi a fare un giro? E’ una settimana che me sto a letto, mi sembra di impazzire. E poi tutte le ciambelle che mi hai portato mi faranno ingrassare senza un po’ di esercizio.-

Steve strabuzzò gli occhi. -Tony, non dirmi che hai intenzione di trascinarti con quelle stampelle?-

-Non ho intenzione di farmi portare in giro su una sedia a rotelle- protestò il suo compagno.

-Ma devi fare attenzione. Hai subito un intervento delicato, non puoi metterti a saltellare in giro come se niente fosse.-

-Infatti, mi accompagnerai tu e ti assicurerai che torni indietro tutto intero. Sarebbe alquanto imbarazzante perdersi certi pezzi per strada- ammiccò il moro.

-Non dire così, mi fai impressione.- Steve si mise una mano sugli occhi, e corse a sorreggerlo, vedendo che l’altro si stava già dando da fare per scivolare giù dal letto e afferrare le stampelle.

-Solo cinque minuti però- lo avvertì Steve. –Dopo torni a letto.-

-Stai diventando una mamma chioccia, lo sai?- lo prese in giro Tony.

Stavolta Steve non si fece cogliere impreparato: mesi e mesi di convivenza gli avevano insegnato a non darsi per vinto e a rispondere in maniera intelligente a tutte le sue frecciatine. -Questo farebbe di te un pulcino?-

-Andiamo, Rogers, prima che usi in modo improprio una di queste stampelle- borbottò Tony.

Steve gongolò internamente, e gli si posizionò accanto, trasferendo flebo e catetere su un supporto mobile da trascinarsi dietro.

 

Pur standogli accanto, Steve si limitava a sostenere la flebo, osservando con non poca preoccupazione Tony che si trascinava sulle stampelle, cercando di mettere un piede avanti all’altro ma riuscendo, piuttosto, a strisciarli sul linoleum.

-Se ti fa male dovresti smettere- consigliò per l’ennesima volta Steve, al cui sguardo attento non sfuggiva lo sforzo enorme del suo compagno e la smorfia di dolore ogni volta che tentava di separare le gambe.

-Fa un male cane, questo te lo concedo. Ma non voglio smettere, devo camminare per allenare i muscoli. E poi…- sbuffò una risata, e si voltò verso di lui con un cenno che gli intimava di avvicinarsi. –E’ così diverso camminare sentendo qualcosa tra le gambe, finalmente. Non puoi capire cosa si prova… Ah, beh, scusa, certo che puoi capire: tu sei nato così…-

Il biondo arrossì fino alla radice dei capelli, ma accennò un sorriso. –Comincio a pensare che ci provi gusto nel mettermi in imbarazzo.-

-Sempre. Ormai ne ho fatto la mia missione.-

-Steve? Steve Rogers? Ma allora non mi ero sbagliato, sei proprio tu. E tu sei Natasha- disse una voce maschile proprio davanti a loro, sgradevole nella sua strafottenza, che si palesò dietro lo sventolio di un gruppo di camici bianchi.

Entrambi alzarono gli occhi, e si trovarono di fronte un uomo biondo, con due occhiali quadrati dalla montatura nera e un sorrisetto arrogante stampato in faccia. Spingeva una sedia a rotelle su cui stava, con le gambe accavallate come sul trono di una reginetta di bellezza, una giovane ragazza bionda ossigenata, con un seno troppo grosso per appartenere a quel corpicino scolpito dalla dieta. Probabilmente un tizio e la sua ragazza che aveva appena fatto una plastica al seno.

-Hammer?- domandò Tony, un’espressione di sfida a sostituire il sorriso di poco fa.

Steve ci mise un po’ di più a riconoscerlo, ma alla fine non ebbe più alcun dubbio: Justin Hammer, la peggiore disgrazia con cui avessero mai avuto a che fare ai tempi dell’università.

Hammer era un figlio di papà, un tipo viscido e senza un briciolo di materia grigia, sveglio come un pollo senza testa e simpatico come un dito in un occhio, uno che contava sul fascino di vestiti dal profumo di soldi per fare colpo sulle ragazze e per impressionare i ragazzi. Ma la cosa più importante fu che era stato un assiduo corteggiatore di Tony, all’epoca in cui era ancora Natasha Stark, la bella figlia di un industriale, prima che lo mandasse a quel paese e scegliesse Steve.

Quando Tony era sparito, abbandonando ogni cosa per iniziare la sua transizione, le voci si erano diffuse con la velocità del fulmine, ma nessuno aveva mai davvero creduto che Natasha volesse diventare un uomo.

-Chi sono quei due?- domandò la ragazza, giocherellando con un anello con brillante delle dimensioni di una noce. Sembrava non avere nemmeno la metà della cattiveria del suo uomo, ma solo un’infantile dose di curiosità.

-Due vecchie conoscenze dell’università, Sally, anche se solo io e Steve siamo arrivati alla laurea.-

La sua allusione fece sì che Tony cominciasse a stringere le stampelle con una forza impossibile. –Non avrò finito il college ma almeno io un cervello ce l’ho. Al contrario di te.-

-Sembrerebbe l’unica cosa che ti è rimasta. Allora era tutto vero quello che si diceva su di te- constatò Hammer, misurando la figura di Tony da capo a piedi. –Tutto sommato sono stato fortunato a lasciarti perdere. Se penso a cosa mi sono risparmiato non posso fare a meno di sentirmi sollevato. Sapevo che non avevi tutte le rotelle a posto, ma questo… Questo va oltre ogni immaginazione.-

Le nocche di Tony diventarono bianche, e la plastica delle stampelle scricchiolò in modo sinistro, ma prima che il moro potesse fare qualcosa, Steve fece due passi avanti, gli occhi ridotti a due fessure, e annullò la distanza che lo separava da Hammer. Quest’ultimo, intimidito dalla massa di Steve, fece un passo dietro la sedia a rotelle. La ragazza si guardò intorno confusa.

-Ti consiglio di rimangiarti quello che hai detto. E sappi che se ti azzarderai di nuovo ad insultare il mio fidanzato farò in modo che tu abbia un valido motivo per restare in ospedale- disse il biondo, con uno sguardo gelido che sembrava lanciare lampi d’ira penetranti come coltelli, il tono basso e pericoloso.

Hammer, intimorito ma forte del fatto di nascondersi dietro alla ragazza, non demorse, sistemandosi nervosamente i capelli.

-E così sei ancora insieme a lei? E pensare che al college tutte le ragazze ti venivano dietro, Rogers, e tu non trovi niente di meglio di uno scherzo della natura come quello.-

Steve girò attorno alla sedia a rotelle, e senza alcun preavviso afferrò il bavero della giacca di Hammer con una tale forza che la camicia sbordò dai pantaloni. Con un rapido movimento avanzò ancora, e lo spinse con la schiena contro una parete, sollevandolo da terra e tenendolo a tutti gli effetti sospeso come un insetto inchiodato al muro.

-Ti avevo avvisato: un’altra parola e te ne avrei fatto pentire.-

Fu un bene che il corridoio al momento fosse vuoto. Dietro di loro, Sally e Tony li guardarono con occhi spalancati: l’una perché non riusciva a capire cosa stesse succedendo, l’altro perché non aveva mai visto Steve così arrabbiato, neppure quando lo avevano arrestato e sbattuto nella cella comune insieme ad un mucchio di delinquenti donne.

-Scusa, scusa, scusa!- Le parole uscirono dalla bocca di Hammer veloci come uno scioglilingua che si sforzava di pronunciare correttamente. Gesticolava cercando di afferrare le mani di Steve che gli premevano sullo sterno, cercando di fargli mollare la presa, ma quella era d’acciaio.

-Non pensavo che ci tenessi tanto. Ti chiedo scusa. A te e alla tua ragazza- vociò Hammer, con un suono strozzato.

Steve strinse di più e lo spinse di nuovo contro il muro, cercando di lasciare l’impronta del suo corpo. –Ti sembra una ragazza?-

L’uomo, attraverso gli occhiali che gli ballavano sul naso guardò Tony, poi di nuovo Steve, sperando di azzeccare la risposta.

-No. Certo che no, mi dispiace.-

-Devi dirlo a lui- insistette Steve, e per essere più convincente lo sollevò un po’ di più. La camicia scivolò fuori dalla cintura e i pantaloni rivelarono uno spicchio di orribili mutande color senape che non si adattavano certo al completo firmato.

-Dillo a lui- ripeté il biondo. –E tieni a mente che si chiama Anthony, ma tu puoi chiamarlo signor Stark.-

Hammer parve incerto se ingoiare gli ultimi rimasugli del suo orgoglio in pezzi o conservare l’ultima ombra di dignità che pensava di possedere a palate e prendersi un sacco di botte da quell’energumeno.

Optò per salvaguardare la sua salute fisica.

-Chie… Chiedo scusa… signor Stark- bofonchiò, con le labbra che cominciavano a formicolare, risentendo del peso che Steve esercitava sul suo sterno.

Il biondo lo lasciò andare, e Hammer venne giù come un sacco di patate, scivolando e appiattendosi sul pavimento con la forma di un palloncino sgonfio.

Steve si ritenne soddisfatto. -Così va meglio.-

Quindi si avviò verso Tony, ancora intento a fissare quello spettacolo che non credeva avrebbe visto mai. Quando vide che il fidanzato veniva verso di lui, sul suo volto si aprì un sorriso dolce. Steve lo ricambiò, gonfiando il petto orgoglioso, sentendosi come un paladino che aveva appena difeso l’onore della sua dama, sebbene non avrebbe mai considerato Tony una damigella, non più ora. Era una persona istruita sul mondo dei transgenere, adesso, e sapeva che Tony era un uomo, lo era sempre stato. Non avrebbe permesso più a nessuno di sostenere il contrario.

-Andiamo?- domandò Steve, offrendosi di spingere nuovamente l’asta della flebo, ma senza tentare di aiutarlo a camminare. Sapeva che Tony era forte, ce l’avrebbe fatta.

-Andiamo. A mai più rivederci Hammer. Ciao Sally- salutò Tony con un cenno.

La ragazza, prima di lasciarli andare via, spinse le ruote della sedia e chiese. –Sentite, visto che siete due uomini… Cosa ne pensate di queste?- domandò, portando le mani a coppa sotto i seni. Allora Tony aveva visto giusto: si era davvero fatta fare una plastica. E pensare che a lui, quando era biologicamente donna, la sola idea di avere una prima misura lo faceva rabbrividire.

I due ragazzi si guardarono confusi, poi Steve fece: -Ehm… Molto belle. Realistiche, soprattutto.-

La giovane mostrò loro un sorriso sbiancato. –Grazie. Sfido chiunque a capire che sono stata da un chirurgo plastico.-

-Quelli non sono due uomini! Cioè… Uno di loro non lo è!- ruggì Hammer dal pavimento, risistemandosi al camicia alla bell’e meglio.

-Ma che dici, Justin? Mi credi stupida? Certo che sono due uomini, guardali- disse Sally, che ancora non capiva il motivo di tutto quell’astio da parte del suo uomo nei confronti di quei ragazzi così carini.

I due ragazzi carini si scambiarono un sorrisetto complice, e fecero per andarsene.

-Ti sei fatto male alle gambe?- chiese Sally a Tony, volendo forse fare due chiacchiere. Questi si voltò un’ultima volta ammiccando verso di lei.

-No. Me ne hanno sistemata una.-

-Tony…- lo rimproverò Steve, dandogli un leggero schiaffo sulla nuca.

 

 

_________________________________  

 

 

-Attento… Attento! Guarda che i punti non me li hanno ancora tolti!-

-Scusa.-

Steve stava facendo del suo meglio per aiutare Tony a sdraiarsi nuovamente sul letto. Non era un’impresa facile visto che il dolore si era ripresentato più intenso di prima dopo che era stato fermo ad assistere al litigio tra Steve e quello stronzo di Justin Hammer.

Una volta che fu riuscito a sdraiarsi Tony tirò un sospiro di sollievo.

-Accidenti, è stato faticoso.-

-Non dovresti sforzarti inutilmente- gli ricordò Steve ancora una volta, sistemando le stampelle contro una parete.

-Hai sentito Bruce? Ha detto niente sesso per almeno un mese e mezzo. Se non faccio qualcosa rischio di impazzire- si lamentò Tony.

Il biondo sbuffò una risata. –Su col morale. Un mese passerà in fretta.-

Tony lo ignorò, bevendo un sorso di aranciata dalla bottiglia che gli avevano lasciato in camera.

-Sei stato grande con Hammer- gli disse Tony, dandogli una pacca sul braccio. Steve arrossì, stavolta non di vergogna.

-Quell’imbecille non si rende di conto di cosa ha perso. Ma soprattutto, non si deve neppure azzardare ad offendere il mio ragazzo.-

-Stai diventando davvero possessivo, Rogers.- Tony si leccò le labbra, e il suo sguardo acceso di quel bagliore caldo e profondo incontrò le iridi celesti dell’altro. Con il braccio fasciato, Tony afferrò il polso di Steve. –Vuoi sentire cosa hai guadagnato da questa storia?- mormorò allusivo.

Le gote di Steve si arrossarono, i suoi occhi divennero lucidi. Senza saperlo smise di respirare; nelle sue orecchie c’era solo il battito del suo cuore accelerato.

-Sicuro?- sussurrò il biondo. Non voleva rifiutarsi, è solo che sarebbe stata la prima volta che toccava un altro pene a parte il suo. Certo, Tony era ancora bendato, ma sentirlo avrebbe significato rendere tutto reale. Steve si ricordava perfettamente tutti i problemi che aveva avuto prima di riuscire a toccare di nuovo Tony… Questo sarebbe stato il punto di non ritorno, il contratto siglato e irrevocabile che faceva capire che le cose erano veramente cambiate.

-Sempre che tu lo voglia. Ti capisco se non vuoi- disse il moretto, distogliendo lo sguardo. Steve si era aspettato rabbia, frustrazione, magari di vederlo dare in escandescenze, ma non quel tono insicuro e rassegnato all’idea infida e bastarda di non piacere, qualunque cosa facesse, in qualunque modo modificasse il suo corpo.

Stava quasi per lasciargli andare il polso, quando Steve mosse la mano verso il suo inguine, ancora coperto dai pantaloni del pigiama.

La prima cosa che percepì fu la presenza di un rilievo che prima non aveva mai sentito, che si ricollegava alla sua carne. Premendo un po’ di più incontrò la resistenza delle bende.

-Ah!- ansimò Tony, e Steve, spaventato, ritrasse di scatto la mano.

-Ti ho fatto male?- domandò, preoccupatissimo di avere fatto qualcosa che non avrebbe dovuto.

-No, no. E’ solo che… Ti ho sentito. Steve ti ho sentito, significa che ho sensibilità!-

Sul suo viso arrossato da quelle emozioni nuove si aprì un sorriso di quelli che Steve non vedeva da troppo tempo. I suoi occhi color caffè si illuminarono, e si inumidirono di qualcosa che Tony si rifiutava di identificare come lacrime. Chiuse gli occhi per impedire alla commozione di prendere il sopravvento. Prima Tony non aveva osato toccarsi e verificare che tutto fosse a posto; semplicemente aveva troppa paura che le cose fossero andate male. Avere sensibilità in quella zona poteva significare soltanto che i nervi erano a posto: l’operazione aveva avuto esito positivo, e saperlo grazie a Steve, condividere con lui quel momento, era qualcosa di unico, di speciale. Quando aveva fatto la mastectomia non aveva avuto nessuno con cui gioire.

Steve avvicinò il viso a quello di Tony finché le loro fronti si toccarono. Poi riprese ad accarezzarlo con la mano, memorizzando al tatto ogni dettaglio del suo nuovo corpo, con Tony che vibrava tutto contro di lui e sospirava in quelle sensazioni nuove e maledettamente piacevoli.

-E’… E’ stranissimo. Non avevo mai fatto una cosa del genere- disse Steve, talmente vicino alle sue labbra che Tony poté sentire nascere un sorriso. –Ti piace?-

-Molto. E a te?- disse Tony.

-Sei caldo… Non avevo idea che fosse così…-

La porta si spalancò di colpo, ed entrambi fecero un salto indietro. Tony finì contro lo schienale coperto di cuscini, mentre Steve per poco non scivolò a terra.

Col viso in fiamme, il suo cervello si stava già dando da fare per fabbricare una scusa credibile sul perché stesse molestando il paziente, ma quando si voltò non vide un’infermiera, bensì una donna di mezza età, con lunghi capelli tenuti insieme dietro la testa da un fermaglio, scuri come la terra fresca, due occhi blu e un semplice filo di perle ad impreziosire il completo pantalone a tinta unita che aveva indosso.

-Tony?- chiese, timidamente, con una voce che entrambi ben conoscevano.

-Mamma?- domandò incredulo il moretto. Sul suo viso passarono mille emozioni diverse, dalla vergogna al senso di colpa, dalla felicità di vederla alla paura di essere rifiutato. –Come hai fatto a sapere…?-

-L’ho chiamata io- disse Steve, dopo aver riguadagnato compostezza, ricordandosi all’ultimo minuto di avere contattato Maria quando Tony si era un po’ ristabilito. –Scusa se non ti ho avvertito Tony, ma… Maria non vuole interrompere i rapporti con te, non vederti la faceva stare davvero male. Ho pensato che se vi foste incontrati, con un po’ di calma, avreste potuto chiarirvi.-

Il suo tono era un tentativo di tastare il terreno, cercava di mantenerlo più tenue e neutro possibile, in modo da non apparire di parte.

-Non ho mai avuto occasione di guardarti bene, Tony- disse la signora Stark avvicinandosi al letto.

Tony prese a torcersi le mani, non osando guardarla negli occhi. –Sto bene- disse, semplicemente.

-Sembri felice- notò ancora Maria Stark.

-Lo sono.-

Lei sollevò una mano, e lasciò una carezza leggera sulla guancia di lui, sfiorando la barba che non si era ancora tagliato, salendo per tirargli indietro i capelli che gli ricadevano sugli occhi: un gesto molto materno.

Poi la sua mano si spostò sul braccio fasciato, e Tony spiegò: -Lì è dove mi hanno asportato la pelle per la ricostruzione.-

Lo disse sempre senza guardarla negli occhi, così avrebbe fatto meno male vederla scappare via. Ma la donna non si mosse, si limitò a sorridere dolcemente, sollevandogli il viso con due dita. –Sono contenta che tu stia bene, Tony. Sei diventato davvero un bel ragazzo.-

Le sopracciglia del moro si aggrottarono, spinte dagli occhi che adesso la guardavano incerti; si morse le labbra e sospirò, non sapendo cosa dire alla donna che pensava di avere deluso dopo che aveva dedicato anni della sua vita a prendersi cura di lui.

-Sono orgogliosa di te, Anthony- disse lei, e lo abbracciò. Le stesse parole di Steve, ma dette da lei assumevano un significato diverso. Il ragazzo non riuscì più a dire nulla. Ricambiò l’abbraccio, tuffando il viso nei suoi capelli lunghi e aspirando con un singhiozzo il suo profumo, una fragranza di casa che aveva quasi dimenticato dopo quattro anni fatti di litigi e lacrime e sensi di colpa. Strinse più forte la presa, e sentì sua madre fare altrettanto.

-Perdonami se ti ho lasciato. Non sono stata una buona madre, non avrei mai dovuto abbandonarti in quel modo. Tu non hai mai fatto altro che darmi soddisfazioni- pianse lei.

-Non mi hai abbandonato. Tu sei stata l’unica che abbia continuato a cercarmi, anche se papà ti aveva detto di non farlo- la rassicurò Tony, passandole una mano sulla schiena, consolando quella donna che non aveva nulla da rimproverarsi se non di avere un figlio troppo testardo per perdonare sé stesso.

Quando si separarono entrambi si asciugarono gli occhi, Tony con il braccio bendato, e così Maria gli passò un fazzolettino. –Se lo tratti così questo bendaggio non durerà un giorno- lo rimproverò dolcemente.

–Sono gli ormoni, ecco perché piango. Non mi faccio iniezioni da quasi due mesi- si difese Tony, accettando il fazzoletto. Dopo averlo usato si girò per gettarlo nel cestino, e incontrò il volto sorridente di Steve. –Con te farò i conti dopo. Così impari a chiamare mia madre a mia insaputa.-

-E non le ho ancora detto della conservazione delle cellule- fece Steve.

-Di cosa?-

-Quello no, dài! Aspetta almeno di essere fuori di qui e davanti a una pizza. Che ne pensi, mamma, vieni a cena con noi, dopo che mi avranno dimesso? Così Steve ti racconta tutto quello che abbiamo fatto in questi mesi: è diventato più esperto di me sul mondo dei transgenere.-

Maria Stark sorrise, e il viso le si illuminò; a parte gli occhi somigliava molto a Tony, e Steve capì che, nonostante il suo fidanzato avesse preso tutto il suo aspetto fisico dal padre, Maria ci aveva messo la sua parte, e con lei ci sarebbe stato sempre un legame speciale che con Howard non avrebbe potuto raggiungere mai. Forse si trattava dell’istinto materno…

-Certo ragazzi. Sempre che vi vada di trascinarvi dietro una vecchia signora.-

-Lei è in splendida forma, signora Stark- giurò Steve, ed era la verità; pur avendo passato da poco i cinquant’anni, Maria Stark era ancora una bellissima donna con un portamento elegante come il primo giorno in cui Steve l’aveva vista.

All’improvviso un cellulare squillò, e la donna pescò nella tasca del suo completo, producendo un piccolo telefono.

-Pronto?- fece.

Si sentì il brusio di una conversazione elettronica.

-Sono all’ospedale,- disse lei.

Un altro brusio, più concitato.

-No, non me ne andrò. Sono venuta a trovare mio figlio- disse perentoria, e chiuse la comunicazione.

Il modo orgoglioso con cui aveva detto “figlio” e non “figlia”… Sembrava quasi che volesse a tutti i costi difendere l’identità della sua progenie da qualunque insulto potesse attaccarla. Tony si ritrovò ad amarla ancora di più.

-Era papà?- domandò.

-Sì, ma non ti preoccupare, ma la vedrò io con lui. Sai che quando mi impunto non riesce a dirmi di no.-

Poi si rivolse a Steve: -Grazie per essere rimasto accanto a mio figlio in un momento così importante.-

-Io lo amo- affermò Steve, senza manifestazioni di falsa modestia, ma dicendo solo la pura verità.

Mentre li guardava, Tony rifletteva.

“Qual è stata la parte più difficile della tua transizione?” gli avevano chiesto una volta. E lui aveva risposto: “Scegliere tra l’uomo che amo e ciò che è giusto fare. Scegliere tra le persone che amo ed essere me stesso.”

Era stato molto difficile combattere da solo, talmente difficile che più di una volta si era ritrovato a ricercare il calore di una bottiglia perché gli mancava quello di una famiglia. Ma adesso era tutto cambiato, avrebbe potuto contare su persone che avevano deciso di scommettere su di lui, di mettere in discussione le idee con cui erano cresciute per lui, perché lo amavano. Nonostante tutto quello che aveva fatto, tutto quello che era, lo amavano ancora; pensava che fosse una sensazione che non avrebbe sentito mai più.

 

“Qual è stata la parte più difficile della tua transizione?”

“Sopportare il periodo di solitudine in cui aspettavo che tutti capissero che ero ancora io, e tornassero da me.”

 

 

 

 

N.d.A.

 

Il titolo viene dalla canzone che adoro: “Walk like a man” di The four seasons.

Questo è un sequel che mi è venuto in mente poco tempo fa, e che ci tenevo a scrivere per fornire precisazioni sul finale di “Chrysalis” e perché avevo voglia di scrivere ancora di transTony^^

Le operazioni di cui si è parlato sono assolutamente reali e possibili, e i periodi di degenza sono all’incirca quelli descritti (le informazioni vengono da siti specializzati, quindi sono sicure almeno al 99%), e ho deciso di aggiungerli tutti.

C’è la falloplastica, naturalmente, di cui ho già parlato in “Chrysalis”, e c’è la conservazione criogenica delle cellule uovo, in cui una donna con problemi di salute, o che prevede di non poter avere figli a causa di danni fisici, conserva le sue cellule in modo che siano fecondate e che una madre surrogata dia alla luce un bambino.

Ho voluto inserire questa parte perché mi piace l’idea di Steve e Tony che si creano una famiglia, e qui volevo offrire loro la rara opportunità di costruirne una completamente loro.

Spero che il sequel vi sia piaciuto. Io mi sono divertita a scriverlo, e ancor di più a maltrattare Justin Hammer, che mi sta sulle palle dal giorno in cui l’ho visto nel film di Iron Man.

Saluti a tutti.

  
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