Faccende private
Bulma si osservò con
attenzione allo specchio del bagno, girando la testa a destra e a sinistra,
verso l’alto e verso il basso, controllando che fosse tutto a
posto.
Aveva impiegato ben
mezz’ora per truccarsi, quella mattina.
Di solito, nonostante la
sua vanità, non amava impiastricciarsi il viso con creme untuose e polveri per
dare alla pelle un colorito più scuro.
I dettami della moda di
quell’anno volevano donne e uomini abbronzati, anche a costo di ricorrere a
drastiche e patetiche soluzioni, quali creme arancione e lampade a raggi UVA che
portavano solo ad una prematura comparsa delle rughe e rendevano la pelle secca
come quella di un serpente.
Bulma Brief non era
disposta a ridursi in quel modo solo per essere en vogue: le piaceva la sua pelle lattea
e ancora liscia, nonostante l’età le sembrasse avanzare velocemente.
Da quando aveva sedici
anni, gli unici cosmetici con cui aveva abbellito il suo già grazioso volto
erano un po’ di ombretto, mascara e
rossetto.
Tuttavia, quel giorno le
serviva d’emergenza un piccolo restauro che nascondesse quella macchia violacea
sullo zigomo destro.
Fin da quando si era
svegliata lo aveva tenuto sotto controllo, specchiandosi ogni dieci secondi e
interrompendo di continuo ciò che stava facendo, allarmandosi quando l’ematoma
aveva iniziato ad espandersi sempre di più, nonostante avesse cercato di
rimediare con una borsa del ghiaccio.
C’era da aspettarselo,
visto chi gliel’aveva procurato.
Accidenti, la sua faccia
era diventata un quadro di Picasso!
Fortunatamente quella
mattina la residenza dei Brief era vuota e silenziosa: ogni componente della
famiglia l’aveva abbandonata per svolgere i propri affari e lei si era svegliata
più tardi per arrivare fresca e riposata alla riunione di quel
pomeriggio.
Suo padre si era diretto,
come ogni giorno da più di trent’anni, in uno dei suoi innumerevoli laboratori
per seguire da vicino, come ogni bravo imprenditore, i suoi nuovi
progetti.
Sua madre si era iscritta
ad una decina di corsi che frequentava con le sue innumerevoli amiche: cucito,
ballo da sala, scultura, informatica.
Usciva di casa alle otto
del mattino, tornava per una mezz’oretta per preparare il pranzo e usciva di
nuovo fino alle sette di sera; questo, tuttavia, non le impediva di passare del
tempo con il suo unico e viziatissimo
nipotino.
Trunks ormai andava a
scuola da solo, nonostante alcune donne la considerassero una madre snaturata:
come poteva lasciare che suo figlio, di soli sette anni, girasse solo e indifeso
per la città?
Se solamente avessero
saputo chi era il padre, si sarebbero presto ricredute… ma era più facile
vincere alla lotteria che riuscire a trovare
Vegeta.
La relazione tra il
Saiyan e Bulma si era stabilizzata, ma lui ancora non era uscito da suo stato
brado, non si rendeva conto che, se spariva, c’era qualcuno che si preoccupava
per lui e che sarebbe stato meglio informare prima di partire, o lasciare un
biglietto.
Vegeta non era il tipo da
trascorrere una serata insieme alla famiglia, davanti alla tv, o da festeggiare
il Natale insieme a tutti i loro amici: era introverso, scontroso,
tenebroso.
Gli amici di Trunks
raggelavano se, per caso, lui entrava nella stanza in cui si
trovavano.
Le amiche di Bulma invece
gli lanciavano occhiatine maliziose, come se la padrona di casa fosse abbastanza
sciocca da non accorgersene: i suoi occhi erano sempre puntati su di lui, come
la femmina del leone, nulla le sfuggiva… tranne Vegeta
stesso.
Spariva, ricompariva
senza alcuna spiegazione, faceva i comodi suoi; eppure, al momento del bisogno,
c’era.
C’era ancora molto su di
lui che Bulma doveva scoprire: era stata la prima a leggere in quell’oceano in
tempesta che erano i suoi occhi, sapeva cosa c’era dietro al muro di rabbia e
odio che si era costruito con il passare degli anni e che, a poco a poco, grazie
a lei, a Trunks e incredibilmente anche grazie a Goku, stava
distruggendo.
Il lavoro più grosso lo
stava compiendo Vegeta: solo la sua forza di volontà gli aveva permesso di
mettere da parte il passato e iniziare una vita
nuova.
Non era facile, questo
Bulma lo capiva: i suoi fantasmi lo torturavano in ogni momento, ma soprattutto
durante la notte; il suo sonno era agitato e spesso lo aveva sentito svegliarsi,
nel cuore della notte, ansimando forte.
Ma Vegeta era così
chiuso, che a volte lei non sapeva come comportarsi, cosa dirgli, con la paura
di farlo allontanare di nuovo e spazzare via tutti i piccoli progressi che, come
coppia, avevano fatto.
Lui lo sapeva, che se ne
avesse avuto bisogno, Bulma ci sarebbe sempre stata, dunque lei aspettava con
pazienza.
Solo una volta il Saiyan
si era aperto e le aveva raccontato un episodio della sua vita, quando era
schiavo di Freezer: uno dei suoi tirapiedi aveva trovato Vegeta in dolce
compagnia di una delle schiave di piacere del suo signore e per questo era stato
punito duramente. La schiava, giovanissima, era stata uccisa barbaramente
davanti ai suoi occhi e, in seguito, lui era rimasto per tre giorni nella stanza
delle torture.
Aveva solo sedici anni e
rivisse quel fatto in sogno, più di dieci anni dopo, accanto alla sua dolce
compagna.
Mentre lo ascoltava,
Bulma non aveva lasciato trapelare alcuna emozione: era inginocchiata sul
materasso e teneva le mani dietro la schiena, affinché lui non vedesse che stava
stringendo spasmodicamente il lenzuolo.
Non aveva commentato,
alla fine del racconto, ma quando avevano spento di nuovo la luce lei si era
rintanata in bagno e aveva pianto come una bambina, stringendosi le ginocchia al
petto, sconvolta per aver udito solo una piccola parte di ciò che l’amore della
sua vita aveva dovuto subire.
Vegeta aveva fatto finta
di dormire, ma l’aveva sentita e si era ripromesso di non dirle più niente, per
proteggerla dallo stesso dolore nel quale lui aveva
vissuto.
Da un paio di giorni
c’era qualcosa che non andava, tra loro: le loro liti si erano fatte più
frequenti e meno comiche, tanto che gli altri famigliari, invece di assistere
divertiti, sgattaiolavano fuori dalla stanza non appena l’atmosfera si faceva
più calda.
Bulma e Vegeta non
facevano altro che urlare dalla mattina alla sera o, se andava bene, si
ignoravano.
Forse non erano ancora
pronti per vivere come una vera coppia, forse c’era qualcosa di sbagliato, ma i
loro amici erano seriamente preoccupati, soprattutto per l’elemento più fragile
della coppia, e a cui erano più affezionati.
Nessuno pensava che loro
due stessero bene insieme, in particolar modo Yamcha era sempre in ansia per la
sua ex ragazza, conoscendo l’animo iracondo e aggressivo di
Vegeta.
Tuttavia, quando cercava
di parlarne con lei, chiedendole se andasse tutto bene, la donna rispondeva
infastidita che non erano affari suoi e si affrettava a cambiare
argomento.
Bulma si passò un altro
po’ di fondotinta con la spugnetta e controllò il lavoro
finale.
“Così, così” pensò. “In
fondo, non è successo niente di grave.”
Si spruzzò un po’ del suo
profumo preferito sul collo, prese la valigetta ventiquattrore ed uscì di casa
per andare in ufficio, non prima di aver indossato un paio di grossi occhiali da
sole.
“Oh, non ci crederanno
mai” rifletté lungo il tragitto, ben poco sicura de suo piano. “Potrei dire che…
sono caduta e ho sbattuto per terra. No, stanotte mi sono alzata per andare in
bagno, mi scappava così tanto che ho corso, e non ho proprio visto la
porta!”
Nonostante tutto il
lavoro per nascondere l’ematoma, al suo ingresso in ufficio suscitò uno
sconcertamento generale.
«Signorina Brief, che
cosa le è successo?»
«Si è fatta
male?»
«Quando è
capitato?»
«Come?»
«Calmi, calmi» Bulma
portò le mani avanti, stordita da tutte quelle domande. «Ho sbattuto contro una
porta, tutto qui. Alla mattina sono proprio un’imbranata! Avanti, tornate tutti
al lavoro, io sto bene!»
Tutti tornarono al loro
posto e nessuno le chiese più nulla, ma per tutta la giornata la donna sentì su
di sé sguardi incuriositi e sospettosi, oltre a qualche bisbiglio
preoccupante.
Senza rendersene conto,
aveva dato un sacco di versioni diverse circa il suo piccolo incidente… piccolo,
secondo i punti di vista.
Ogni quarto d’ora Bulma
si rifaceva il trucco, ma era impossibile non notare l’ematoma violaceo che le
copriva tutto lo zigomo; inoltre, le facevamo molto male e faticava a
mangiare.
Nessuno dei suoi
impiegati riusciva ad immaginare una porta talmente dura da provocare quella
botta.
Tutti però sapevano del
compagno misterioso della signorina Brief: pochi lo avevano visto, e ne avevano
avuto una pessima impressione.
Dicevano che non usciva
mai di casa, perché nessuno lo vedeva mai varcare la soglia della proprietà; non
parlava con nessuno e, se qualcuno aveva la sfortuna di incrociare il suo
cammino, veniva fulminato dal suo sguardo assassino o scacciato via con qualche
minaccia di morte.
Doveva essere un ex
carcerato, o qualcosa del genere.
Come faceva una donna
tanto gentile come la Brief a stare con quell’animale
spaventoso?
Forse la corrompeva,
dicevano alcuni.
O forse era solo
terribilmente bravo a letto.
Tutto sommato c’era o
c’era stato qualcosa di serio tra i due, visto che avevano addirittura un
figlio, a cui l’uomo però non sembrava prestare molto
importanza.
Probabilmente stava con
loro perché non aveva un soldo e voleva fare il
mantenuto.
Quella mattina, alcuni
terribili sospetti e pettegolezzi fatti su quel tipo trovarono conferma sullo
zigomo destro della signorina Brief, e i bisbigli si trasformarono presto in
fatti certi di cui, alle cinque del pomeriggio, tutto l’edificio era a
conoscenza.
Tutti tranne Bulma che,
dolore a parte, lavorava ai suoi progetti
tranquillamente.
Era stata una giornata
molto stressante, ma quell’importante riunione aveva dato i suoi frutti e ora la
Capsule Corporation poteva godere dell’appoggio di un nuovo
affiliato.
La donna non vedeva l’ora
di tornare a casa, visto che era stata in giro tutto il
giorno.
Se non fosse stata così
stanca avrebbe preparato personalmente la cena, ma era meglio lasciar fare tutto
a sua madre; lei si sarebbe fatta un bagno caldo e avrebbe giocato un po’ con
Trunks, ascoltando i suoi resoconti
scolastici.
Sorrise tra sé mentre si dirigeva alla sua automobile,
e per la strada incontrò la moglie del suo migliore amico,
Chichi.
«Ciao! Cosa ci fai da
queste parti?»
«Oh ciao Bulma. Sono
venuta in città per fare compere, mi ha accompagnato Goku ma credo si sia
dimenticato di venirmi a prendere. Quel testone! Ma… cosa ti sei fatta al
viso?»
«Oh, niente, solo una
botta» rispose con noncuranza la donna.
«Ma è un livido enorme!»
ribatté l’amica, guardandola preoccupata. «Sei sicura di stare bene?»
Nella sua voce c’era un
incoraggiamento a dire la verità, ma Bulma fece finta di non
coglierlo.
«Certo, va tutto alla
grande.»
«E con
Vegeta?»
«Oh, beh… abbiamo i
nostri alti e bassi.»
«Ti tratta
bene?»
«Certo! Perché non
dovrebbe? Ascolta, vuoi che ti presti il mio cellulare, così chiami a casa e
vedi se Goku ti risponde, altrimenti ti riaccompagno
io.»
Le porse il telefono e
Chichi digitò il proprio numero.
Fortunatamente, il marito
rispose e lei iniziò a sbraitargli dietro quanto fosse
distratto.
«Grazie Bulma, ora Goku
mi viene a prendere» disse infine, porgendole il cellulare. «Stammi
bene.»
«Anche tu. Ciao
ciao!»
«Goku, Bulma mi
preoccupa.»
«In che
senso?»
«Prima l’ho vista, e
aveva un grosso ematoma bluastro sulla guancia. Dice di esserselo procurata
cadendo, ma è veramente molto grosso.
Come se…»
«Come
se?»
«Come se le avessero dato
un pugno» Chichi confessò le sue preoccupazioni, e il riferimento ad una persone
in particolare era ben chiaro.
«Credi che… ma Vegeta non
farebbe mai una cosa del genere!» esclamò scioccato
Goku.
«Ne sei
sicuro?»
«Certo! Lo conosco bene
ormai, ci tiene a Bulma e a Trunk. Si farebbe tagliare le braccia piuttosto che
mettere loro le mani addosso.»
«Io mi fido di te, Goku…
ma non di lui. Non è che potresti andare a controllare? Magari parla
direttamente con Vegeta, Bulma di sicuro ti darà la stessa versione che ha dato
a me. Allora, puoi?»
«Se questo ti può
tranquillizzare, Chichina, lo farò.»
«Oh, grazie Goku, sei un
amore!»
Non appena ebbe percepito
l’aura di Vegeta, Goku si alzò in volo e lo
raggiunse.
Il principe aveva una
particolare predilezione per i paesaggi scarni e desolati, era lì che andava
spesso ad allenarsi.
Il deserto era come lui:
ormai talmente vuoto e privo di vita che, lo si sarebbe potuto attaccare e
colpire all’infinito, non avrebbe fatto danni
peggiori.
Tuttavia, anche nel
deserto può crescere un fiore…
«Ciao Vegeta!» esclamò
Goku arrivando alle sue spalle.
L’altro Saiyan non si
scompose.
«Che vuoi,
Kaarot?»
«Niente, fare due
chiacchiere.»
«Ti rendi conto di aver
appena detto una cosa senza senso? Fare due chiacchiere non significa non fare
niente.»
«Ah, giusto. Sei proprio
intelligente! Beh, allora facciamo due chiacchiere. Volevo parlarti di
Bulma.»
Vegeta se ne stava seduto
a gambe incrociate, sullo strapiombo di un burrone. Goku si sedette accanto a
lui e finalmente il principe gli degnò un po’
d’attenzione.
«Non ho intenzione di
parlare con te delle mie faccende private.»
Evidentemente, gli era
giunta voce delle sue liti con Bulma.
Goku si schiarì la voce,
e il suo tono si fece più grave.
«Vegeta, non sono più
faccende private se i risultati si vedono sul volto di
Bulma.»
«Che intendi dire?» si
voltò a guardarlo, confuso.
«Intendo dire… non credi
di aver esagerato? Non so come fosse tra le coppie Saiyan, ma Bulma è in netto
svantaggio se le metti le mani addosso.»
«Che cosa?!» strillò
l’altro Saiyan, totalmente stupito. «Io non le ho messo le mani addosso! Chi
diavolo ti ha detto una cosa talmente
stupida?!»
«Chichi l’ha incontrata e
mi ha detto che sul viso ha un grosso
ematoma.»
«Io non so come se lo sia
procurata, non la vedo da stamattina!»
«Davvero? E’ strano… dal
tono in cui ha dato spiegazioni, sembrava che Bulma volesse nascondere
qualcosa.»
«Molto probabilmente ha
combinato uno dei suoi soliti casini e si vergogna di confessarlo! Perché sei
subito venuto a dare la colpa a me?»
«Beh, ecco, sei il suo
compagno, sei un Saiyan, sei molto…
permaloso…»
«Io non sono
permaloso!»
«Ok, non lo sei, però, a
detta di Chichi, il livido è molto grosso, come se le avessero dato un pugno.
Quindi, se non sei stato tu…»
Goku non terminò la frase
perché sarebbe suonata a vuoto: Vegeta se n’era già
andato.
Bulma si stava rilassando
sul divano; aveva ancora il tailleur da businesswoman ma si era tolta quei
maledetti tacchi per dare un po’ di sollievo ai suoi piedi
stanchi.
Leggeva una rivista di
moda e sorrideva tra sé e sé, soddisfatta per la giornata trascorso e per l’aver
trovato una soluzione al problema violaceo che si era manifestato sul suo ancora
bellissimo viso.
A sua madre aveva detto
la verità: lei non si sarebbe certo arrabbiata con Vegeta, stravedeva per lui e
gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa.
A volte Bulma era un po’
gelosa per questo, ma del resto, lei non possedeva dei pettorali e dei bicipiti
da paura.
Il suo momento di relax
stava procedendo tranquillamente, fino a quando non sentì sbattere violentemente
la porta d’ingresso e Vegeta urlare:
«Donna! Dove
sei?»
Lei sbuffò alzando gli
occhi al cielo: i soliti modi gentili del
Saiyan.
«Sono qui, in
salotto.»
Lui la raggiunse a passo
pesante, e il suo sguardo cupo si abbassò immediatamente sullo zigomo destro
della compagna.
Vedere una ferita simile
sul suo volto fece montare in lui una rabbia animalesca tanto intensa da farlo
tremare.
«Chi ti ha fatto questo?»
scandì lentamente le parole, stringendo i pugni lungo i fianchi per cercare di
controllarsi, di impedirsi di esplodere.
Bulma alzò una mano,
sfiorando la contusione che ancora le faceva male; non riusciva a trovare le
parole, così decise di mentire di nuovo.
«Nessuno! Stamattina sono
scivolata uscendo dalla doccia.»
«A me risulta che tu sia
caduta inciampando sulle scale. Quante versioni ci sono? Posso sapere se a me è
riservata quella vera?»
La donna sospirò forte,
guardandolo supplichevole.
«Avanti, dimmi chi è
stato» fu il tono repertorio del Saiyan. «Non lo starai mica difendendo? E’
forse stato quel pezzente di Yamcha?»
«No, non è stato lui.
Però è vero, sto difendendo quello che mi ha procurato questo ematoma, perché…
lo amo.»
Vegeta spalancò gli occhi
e sentì una fortissima fitta al petto, come se gli avessero appena strappato via
il cuore.
Come poteva essere? Bulma
si era invaghita di qualcun altro, e lui non se ne era
accorto?
Era vero che da un po’
loro due non facevano che litigare, ma dopo ogni lite facevano pace, nella loro
camera da letto. Per lui le cose stavano andando in modo normale. Era tornato da
Bulma e da Trunks e conduceva una vita
tranquilla.
Non era di certo il
migliore dei compagni o dei padri, ma com’era possibile che Bulma, dopo tutto
quello che aveva fatto per convincerlo a rimanere sulla Terra, dopo avergli dato
un figlio, lo volesse già rimpiazzare con un
altro?
Stava anche cercando di
cambiare per lei…
«Vegeta…»
E ora c’era qualcun
altro, qualcuno che evidentemente era peggio di lui, che le metteva le mani
addosso. Lo avrebbe ucciso con le sue mani!
«Vegeta! Non fare quella
faccia!» Bulma lo riportò improvvisamente con i piedi per terra. «Sei stato
tu!»
«Io?»
«Sì, ma
involontariamente. Stanotte hai avuto uno dei tuoi incubi, ti sei agitato nel
sonno e mi hai mollato un braccio in faccia, così mi sono procurata questo
livido! Non volevo dirtelo perché temevo la tua
reazione.»
Lui. Era stato
lui.
Le aveva fatto del male,
proprio come aveva sempre temuto, e senza nemmeno rendersene conto. Ora provava
una tale rabbia, ancora più grande, ma per se
stesso.
Per il lato negativo e
corrotto che non aveva saputo eliminare né
controllare.
«Ecco, proprio questa
reazione. Vegeta, non l’hai fatto apposta, non devi prendertela con te stesso.
Sono cose che capitano a chi dorme insieme. Tu ti svegli spesso con i miei piedi
in faccia!»
Si alzò per andare ad
abbracciarlo e posargli un bacio sulla guancia
ruvida.
«E’ tutto a posto» lo
rassicurò.
«Non è tutto a posto. Mi
ero ripromesso di non farti mai più del
male.»
«Ma non l’hai fatto di
proposito, ti dico. Io non sono arrabbiata con te, quindi non c’è più niente da
discutere.»
«E se fossi io ad essere
arrabbiato con me stesso?»
«Non tutte le cose
cattive avvengono a causa tua. Non più.»
Vegeta la guardò, colpito
da quelle parole e, per ringraziarla, le diede un lungo bacio, prima di essere
interrotti da Trunks che era rincasato.
Si avviarono insieme in
cucina, ma sulla soglia della stanza Vegeta fermò la
compagna.
«Devi fare una cosa, per
me.»
«Che
cosa?»
«Raccontare a tutti la
versione corretta, altrimenti penseranno che ti ho picchiata, non credi? Ne ho
già abbastanza di rompiscatole come la moglie di
Kaarot.»
«Hai ragione. E’ che non
mi andava di raccontare a tutti gli affari nostri. Ma in fondo, non è successo
niente di grave!»
Note:
ho corretto gli errori di
cui non mi ero accorta ^_^’
Colgo l’occasione di
ringraziare chi ha già commentato: spero, con questa fanfiction, di essere
riuscita a trasmettervi un messaggio! E, come al solito, se non vi è piaciuta,
per favore ditemi cosa non andava, in modo da poter rimediare in
futuro.
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