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Autore: _Haru__    26/10/2013    2 recensioni
Da quando i loro genitori scomparvero in circostanze misteriose Thomas si promise che non avrebbe mai abbandonato suo fratello minore Flew e che lo avrebbe protetto anche in casi estremi. Lo Stato della così considerata città perfetta, il Distretto Utopia, è amministrata da delle macchine che non commettono mai errori e rispondono a leggi al limite della perfezione e del ridicolo. Flew ha commesso un errore che non avrebbe mai dovuto commettere: Thomas manterrà la sua promessa?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

- Una città libera -


Spalanco gli occhi di scatto e scopro di trovarmi in una piccola stanza illuminata da qualche candela qua e là. Mi alzo lentamente dal solido materasso sopra cui ero sdraiato e mi guardo intorno cercando di capire dove sia finito e cosa sia successo. Ora ricordo: dopo aver parlato con l'insegnante di mio fratello sono stato colpito da qualcosa o, quasi certamente, da qualcuno. Sono ancora un po' confuso e qui si gela. Non riesco a smettere di tremare dal freddo.
Improvvisamente vengo colto di sorpresa da una voce maschile.
- Ce ne hai messo di tempo per svegliarti. Mettiti questo.
D'istinto prendo al volo la giacca che mi ha lanciato e senza dire nulla la indosso rapidamente. Sto un po' meglio, ma i denti non smettono di battere su e giù fra di loro. 
- Scommetto un mio braccio che vuoi sapere chi sono.
Io annuisco e mentre aspetto una sua risposta cerco di scorgere la sua figura nella penombra, ma inutilmente.
- Mi chiamo Leto, anche se qui tutti mi chiamano Pulce. Il perché lo scoprirai da solo più avanti. 
Francamente non è che mi interessi più di tanto il motivo per cui lo chiamino così, ma non posso far altro che annuire nuovamente e cercare di capire se sto ancora tremando dal freddo o dalla paura. 
- A quanto pare non sei un chiacchierone - dice avanzando lentamente verso di me e mettendosi di fianco al tavolino che ho davanti sopra il quale è posta una candeletta che mi mostra una figura di un giovane ragazzo più o meno della mia età dai capelli color castano e con un braccio rotto. 
- Dove sono? - dico a voce bassa sperando che mi abbia sentito. 
Ci vuole un po' di tempo prima di avere una risposta: il ragazzo si accende quel che penso, con tanto di stupore, sia una di quelle famose sigarette di cui si parla talvolta in città. Non ne avevo mai vista una. 
- Non sei ad Utopia, questo penso tu l'abbia capito - dice mentre soffia fuori dalla bocca una nuvola di fumo. 
Non era necessario che me lo dicesse, lo avevo già capito dal momento in cui si è acceso quella sigaretta. Nel Distretto Utopia non esistono questo genere di cose che possono nuocere al nostro organismo ma siamo comunque a conoscenza del fatto che prima della Terza Guerra era consentito fumare.
- Questo luogo non ha un vero e proprio nome, ma tutti quelli di Utopia lo chiamano Hell. Non hanno ancora capito che il vero inferno è da loro - dice ridacchiando mentre spegne a metà la sigaretta che stava fumando. Penso l'abbia fatto perché non riesco a smettere di tossire. 
- Continueremo domani. Ti devo presentare un po' di persone e raccontare ciò che è successo realmente in quella scuola. Dormi che domani sarà una giornata impegnativa. 
Leto spegne tutte le candele e dalla durata dei suoi passi nel pavimento scricchiolante penso stia andando in un'altra stanza. Solo ora realizzo di non avergli chiesto la cosa più importante: perché sono qui?

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Per tutta la notte non sono riuscito a chiudere occhio. Finalmente vedo i raggi del sole che penetrano da un buco quadrato che fa da finestra per la stanza. Ora capisco perché ieri faceva così tanto freddo. Mi alzo dal materasso e mi tolgo la giacca: a quanto pare la notte si gela e il giorno si muore di caldo. Il mio sguardo punta subito alla struttura della stanza che finalmente posso scorgere chiaramente grazie alla luce del sole: non c'è molto da dire, oltre il materasso su cui ho dormito e un tavolino non ci sono altri immobili. Non penso di volerla più chiamare 'casa', credo sia meglio chiamarla 'catapecchia'. 
- Ben svegliato, Thomas!
Leto sbuca da un brevissimo corridoio che collega le due stanze della catapecchia. Gli faccio un cenno con la testa come per dirgli 'buongiorno' e intanto nella mia mente si crea un dubbio che decido subito di risolvere.
- Come fai a sapere il mio nome?
Il suo volto sembra essere quello di una persona buona e, senza dire nulla, mi fa segno di seguirlo. Mi fido e lo raggiungo all'esterno. 
Quel che noto appena metto piede fuori è la povertà che avvolge questa sorta di piccolo villaggio. Dei contadini e alcune signore anziane vanno avanti e indietro portando strumenti da lavoro e secchi d'acqua. Alcuni cercano di barattare frutta e ortaggi urlando e cercando di attirare più gente possibile. Per non parlare del rumore fastidioso delle campanelle delle mucche che stanno passando proprio ora. Mi sento come se mi trovassi in un lontano passato, quello che raccontano i libri di storia. Ci sono anche persone in evidente malattia che chiedono elemosina ai passanti: tutte queste cose non sono mai esistite a Utopia. Fanno bene a chiamare questo luogo Hell. 
- Ti sei incantato? Seguimi che ti devo presentare delle persone. 
Ancora un po' scosso seguo Leto che, dopo neppure dieci minuti, si ferma e inizia a chiamare una ragazza che sta mungendo una capretta.
- Ehi, Canìff, hai un momento? 
La ragazza non sembra essere molto contenta di vedere Leto e avanza verso di noi senza degnarmi di uno sguardo. 
- Che c'è, Pulce? - dice con voce scontrosa mentre si pulisce le mani sulla sua maglietta bianca. 
- Lui è Thomas. Te ne puoi prendere cura per un po'? Io non posso. 
Il volto mulatto della ragazza mi punta con sguardo severo ma subito dopo ritorna a fissare quello di Leto. 
- Quanto mi dai?
- Sei proprio una scroccona. Vanno bene venti di bronzo? Accontentati. 
A quel punto Leto porge un sacchetto alla ragazza che rifiuta senza pensarci due volte.
- Ma sei impazzito? Devo occupare un posto delle mie capre per metterci questo e tu mi offri solo venti di bronzo? Almeno trenta. 
Pare che Leto sapesse già che sarebbe andata così e dalla sua tasca tira fuori altri dieci pezzi di bronzo e li mette nella mano della ragazza insieme al sacchetto contenente gli altri venti pezzi. 
- Trattalo bene e presentagli gli altri. Ora devo andare. 
Non posso far altro che assistere alla scena senza sapere cosa dire mentre il ragazzo si congeda. Rimango con lo sguardo basso sperando che Canìff dica qualcosa. 
- Non credere di star qui senza far nulla. Sai mungere una capra?
Timidamente faccio segno di no con la testa e lei inizia a sbuffare. Mi sento perso in questo luogo. Sto continuamente sperando di trovare un minimo di protezione e aiuto da qualcuno. 
- Osservami e cerca di imparare subito. 
Canìff mi dà le spalle e inizia a mungere la stessa capretta su cui stava lavorando prima che Leto mi portasse qua. Cerco di capire il prima possibile la tecnica che usa e mentre lei lavora non posso fare a meno di guardare i suoi lunghi capelli neri che le arrivano fino alla fine della schiena. 
- Hai capito? Ora fai la stessa cosa con le altre. Appena avrai finito portami i secchi lì davanti e solo allora ti presenterò gli altri. 
Mi indica una vecchia porta di legno che presumo sia l'entrata della sua casa. Esternamente è messa peggio di quella di Leto.
Mi avvio verso le altre capre e inizio a riempire di latte tutti i secchi che ho a disposizione. Non passa mezz'ora che un uomo pelato e piuttosto muscoloso sulla trentina d'anni si presenta iniziando a prendere in giro Canìff. 
- Ti sei trovato uno schiavetto? - dice ridendo pesantemente. 
Canìff non smette di lavorare e si comporta in modo scontroso anche con lui.
- Sta' zitto, me l'ha portato Pulce. 
- Non sei certamente una che fa favori in cambio di nulla: quanto ti ha dato? Dieci, venti?
- Trenta di bronzo. Ed ora non disturbarci; stiamo lavorando.
L'uomo viene verso di me. Ha una faccia davvero simpatica e anche lui non sembra una persona cattiva. 
- Hai la stessa età di Canìff e Pulce, ci scommetto i capelli - dice piegandosi in due dalle risate. 
Io annuisco e continuo a mungere la mia ultima capretta dato che ho paura della voce severa della mulatta. 
- Lascialo in pace, Mulone. Vatti a fare un giro e torna stasera con gli altri! Dobbiamo vederci qui con Pulce. 
Ho talmente tanti dubbi e tante domande che non vedo l'ora arrivi stasera: a quanto ho capito ci dobbiamo vedere a casa di Canìff con Mulone, Leto e altre persone per discutere di qualcosa. Spero che Leto mantenga la sua promessa e che mi tolga ogni singolo dubbio che ho e che mi dica anche perché sono qui. 
Il gigante se ne va salutandoci gioiosamente e io termino in fretta il mio lavoro. Raggiungo la mulatta che ha finito prima di me e che sta fumando seduta su un muretto lì vicino fissandomi già da cinque minuti buoni. 
- Finalmente hai finito. Ti sei fatto una bella sudata. Entra nella stalla e riposati lì fino a stasera. 
Non sopporto di stare altro tempo a riflettere su il perché sia qui e quindi con un atteggiamento simile a quello di Canìff inizio a perdere la testa.
- Mi dici perché sono qui? Perché mi avete portato qua? Io vivo nel Distretto Utopia ed ho un grosso problema da risolvere laggiù: ho perso mio fratello e devo assolutamente trovarlo! Riportatemi da dove mi avete preso! - dico mentre qualche lacrima mi scende lungo le guance. Non è solo per Flew, ma anche per Halan. Oggi le avevo detto che ci saremmo visti e chissà cosa starà pensando ora. 
- Da come parli sembra che tu non conosca questo posto né tanto meno Pulce. Io so solo che ieri mattina Pulce mi ha detto che sarebbe andato a trovare un amico a Utopia e che lo avrebbe portato qua. Non c'è dubbio che quel suo amico sia tu, ma se manco lo conosci... 
Mi stupisco dell'espressione gentile e dubbiosa di quella Canìff che un attimo prima era scontrosa con tutti: a quanto pare anche lei è una brava persona.
- Mi ha detto anche che stasera ci saremmo dovuti vedere qui con tutto il gruppo e che avremmo discusso di una cosa molto importante. Magari riguarda te, non ne ho idea. 
La ascolto mentre non riesco a smettere di tossire per il fumo della sua sigaretta ma lei, al contrario di Leto, continua tranquillamente a produrre nuvoloni di fumo dalla sua bocca. Vedendo che lei ne sa quanto me la saluto e mi avvio verso la stalla. Non è un bel posto per riposare, ma almeno il tempo passa prima se dormo e stasera scoprirò tutto. Forse.

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Ecco il secondo capitolo! Spero di non aver commesso errori di distrazione (come molto spesso mi capita di fare) e che la storia vi prenda almeno un po'. Mi scuso per l'aggiornamento lento ma la scuola non mi lascia molto tempo libero. Al prossimo capitolo, grazie a chi leggerà questa storia e a chi recensirà con critiche costruttive (di cui ho fortemente bisogno). Ciao!
  
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