Goodnight, Bad Morning
<< Oh lights go down
In the moment we're lost
and found
I just wanna be by your side
If these wings could fly>>
“Ho fatto un errore.”
Aveva
il volto bagnato di lacrime e sporco di trucco, i lunghi capelli biondi erano
scompigliati e in disordine come se nelle ore precedenti non avesse fatto altro
che passarci le mani in mezzo.
Tirò
su con il naso e si passò una mano sul viso, cancellando il segno di una
lacrima che aveva appena lasciato i suoi occhi.
Era
in bilico sulla soglia di casa sua, aspettando che lui la facesse entrare e per
un attimo Sean Renard si domandò chi fosse quella donna.
Adalind Schade non
chiedeva permesso, lei lottava con le unghie e con i denti per ottenere ciò che
voleva, sapeva come far cadere un uomo ai suoi piedi e come distruggere un
nemico.
Ma
quella ragazza bionda sulla soglia del suo appartamento era fragile, spaventata
e disperata.
Si
scostò dall’entrata e le fece un rigido cenno, invitandola ad entrare.
Prima di cominciare a parlare chiuse la porta
e l’osservò attentamente mentre faceva qualche passo incerto nell’appartamento,
mentre osservava attenta l’ampia vetrata da cui si scorgevano le prime luci di
quella notte a Portland.
“Te
l’avevo detto di scegliere attentamente di chi fidarti” sentenziò alla fine,
provocandola con un ghigno sul viso.
“Eric
non è l’affascinante principe che sembra, eh?” continuò facendo un passo vero
di lei, che era rimasta immobile accanto al divano.
Adalind si morse il labbro e si strinse le
braccia intorno al corpo come se avesse freddo o come a volersi proteggere.
Non
disse una parola, non rispose alle sue provocazioni, rimase in silenzio mentre
si sedeva sul divano e si prendeva il capo fra le mani, stringendo alcune
ciocche di capelli fra le dita.
“Adalind”
La
chiamò e fece qualche passo in avanti, accovacciandosi davanti a lei e fu solo
in quel momento che lo sentì.
C’era
qualcosa di diverso in lei e se ne era reso conto solo quando le si era
avvicinato abbastanza da poter ridurre la distanza fra loro a una mera
illusione.
Le
sue mani corsero a stringerle i polsi, guidandoli in modo da poter vedere il
suo viso.
“Cosa
è successo?” domandò, le dita di lei che
correvano a cercare le sue, le mani gelide e tremanti e lo sguardo spaventato.
“Sono
incinta”
“No”
Non
era riuscito a trattenere quella parola, aveva lasciato al sua bocca prima
ancora che la sua mente potesse ragionare o anche solo comprendere ciò che lei
gli aveva appena detto.
Poteva
leggerle la verità negli occhi, nel tremore delle sue labbra, nella stretta
disperata delle sue dita, ma desiderava con tutto se stesso che non fosse vero.
Adalind smise di guardarlo: alzò prima gli occhi
al soffitto per poi abbassare il capo e nascondere le nuove lacrime che erano
in procinto di lasciare i suoi occhi.
Sean
si lasciò andare a sedere sul pavimento davanti a lei, la schiena appoggiata a
un fragile e costosissimo tavolino di cristallo ma le sue mani ancora a
stringere le sue.
Rimasero
a lungo in silenzio prima che l’uomo riuscisse a pronunciare qualche parola.
Era
sconvolto, Adalind poteva leggerlo nei suoi
lineamenti, nei profondi occhi grigi che continuavano a guardarla ma era come
se non riuscissero a vederla, nelle piccole rughe che erano sorte sulla sua
fronte, nella mascella contratta.
“E’
mio?”
Adalind per un attimo sentì l’impulso di lasciare
andare le sue mani e allontanarsi. Spostò lo sguardo da lui, la risposta a
quella domanda non sarebbe stata facile, non senza esprimere desideri così
sepolti in lei, così impossibili da realizzare da averla lasciata priva di
poteri e con il cuore infranto già una volta.
“Non
lo so”
Quanto
tempo era che non diceva la verità? Quasi nemmeno ricordava una volta nell’ultimo
periodo in cui non aveva mentito, forse solo con lui, quella notte lungo il
fiume in cui aveva trovato un nuovo modo per spezzarle il cuore.
Non
l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma Adalind
sperava con tutta se stessa che il bambino fosse di Sean, era quasi come quei
sogni infantili dove aveva creduto di essere una principessa e che un
meraviglioso principe sarebbe corso a salvarla.
Ma
la loro vita non era mai stata una favola, lui era un bastardo, lei non era più
niente, non nemmeno più un Hexenbist, ma solo una
delle tante ragazze carine in città.
E
lui sembrava averne già trovata un’altra al suo posto.
Liberò
le mani dalla stretta di lui con un gesto carico di stizza, al punto che quando
Sean la guardò vi scorse ancora qualcosa dell’Adalind
che aveva conosciuto: l’odio.
“E
Juliette come sta?” gli domandò in un ringhio, alzandosi in piedi e girando
intorno al divano, come a voler mettere più distanza possibile fra loro.
“Non
sono affari tuoi. Hai fatto già abbastanza, non ti riguarda” rispose glaciale,
posando una mano a terra su cui fece leva per alzarsi in piedi.
“Oh,
è tornata fra le braccia del Grimm e ti ha voltato le spalle?” provava un certo
piacere mentre pronunciava con rabbia e disgusto quelle parole, mentre metteva
le mani sui fianchi e gli rivolgeva un ghigno carico di compatimento e odio.
“Che
errore hai fatto?”
Fece
un passo indietro, il respiro che per un attimo si fermava da qualche parte
nella sua gola e la mano che involontariamente si posava sul ventre.
“Io…” cominciò tentennando, dimenticando per qualche momento tutta la rabbia e il dolore
che aveva provato a causa sua.
“Ho
fatto un patto” concluse la fra con nervosismo palpabile, passandosi una mano nei capelli e voltandogli
le spalle, come se la vista dell’uomo la infastidisse o forse solo quello che
avrebbe letto nel suo sguardo una volta riferitigli i termini del patto.
Lo
sentì muoversi alle sue spalle, avvicinandosi, quasi riuscendo a percepire il
calore del corpo dell’uomo sempre più vicino al suo.
“Con
chi?”
“Stefania Vaduva Popescu”
Sean non disse nulla per qualche lunghissimo secondo
e già Adalind si sentiva vacillare, l’uomo si schiarì
poi la voce.
“Cosa le hai promesso?”
Non voleva rispondere a quella domanda, si morse la
guancia e l’altra mano raggiunse quella sul ventre intrecciandosi ad essa
mentre le lacrime tornavano a riempirle gli occhi.
“Il bambino, in cambio lei mi restituirà i poteri da
Hexenbiest”
Lo sent’ sospirare pesantemente alle sue spalle e
non osò girarsi. Nonostante tutto il male che le aveva fatto, nonostante il
modo in cui le aveva voltato le spalle e spezzato il cuore, vedere la delusione
o il disgusto nei suoi occhi a causa sua le avrebbe spezzato il cuore.
Anche lei si odiava per quello che aveva fatto: mille
domande avevano affollato la sua testa dopo che, su gambe malferme aveva
lasciato con Frau Pech la tenda della Regina dello Schwarzwald Gypsies.
E
se quel bambino era veramente di Sean?
Quante
volte se lo era chiesta in quei giorni, quanto quel pensiero le aveva tolto il
respiro e dato un briciolo di speranza di poter avere anche lei, dopotutto, il
suo lieto fine.
“Adalind”
Scosse
il capo e si passò le mani sul viso, cancellando le nuove lacrime che erano
andate a bagnarlo.
“Sono
stata una stupida, non dovevo venire” mormorò
muovendosi lontano da lui, facendo qualche passo verso la porta.
“Vuoi
davvero scambiare il bambino per i tuoi poteri?” le domandò a brucia pelo,
osservando il corpo della donna irrigidirsi, ma le spalle tremare.
“No”
Fu
un sussurro, un’ammissione che aveva il vago sentore della preghiera, al punto
che Sean percorse velocemente la distanza che li separava e afferrandola per il
polso la costrinse a girarsi verso di lui.
“Posso
aiutarti” sembrava così sicuro di sé, così certo delle sue capacità, così magnifico
che avrebbe voluto davvero fidarsi, avrebbe voluto farsi prendere fra le
braccia e lasciarsi rassicurare, ma non poteva.
Non
sapeva nemmeno lei come fosse arrivata alla sua porta, ma non poteva fidarsi
dopo quello che le aveva fatto, non voleva, non poteva.
La
mano di Sean si alzò accarezzandole prima i capelli e poi lasciando correre il
pollice lungo la linea dolce della sua mascella, seguendo poi la curva morbida
del mento e tenendolo piano fra le dita.
“Lascia
che ti aiuti” la fissò intensamente, come a volerla convincere, con un solo
sguardo a fare come le diceva, un tempo riusciva a farlo, ma il dolore che le
aveva inflitto era stato troppo grande per potersi fidare ancora.
“No”
scosse il capo e fece un passo indietro, la mascella contratta.
“L’ultima
volta che mi sono fidata di te mi hai voltato le spalle” sputò sentendo la
rabbia prendere nuovamente il posto del dolore.
“L’ultima
volta che io mi sono fidato di te sei tornata da mio fratello” le ricordò piegando il capo e guardandola intensamente negli occhi,
facendole tremare le gambe.
Sean
le aveva sempre fatto tremare le gambe, ogni volta che la guardava, che le
parlava ogni cosa in lei tremava.
“Rimani
per questa notte, poi domani mattina potrai decidere se restare o andartene.”
Non
avrebbe voluto farlo, non avrebbe voluto annuire e lasciarsi guidare in camera
da letto, ma fidarsi di lui e lasciarlo fare era qualcosa che faceva talmente
parte di lei, quasi un istinto primordiale, che riuscì a fermarlo.
Sentì
lo sguardo di Sean sulla sua pelle mentre si spogliava e s’infilava la sua
vecchia maglietta del college, s’infilò poi sotto le coperte, sentendo il suo
profumo ovunque intorno a lei.
Si
girò su un fianco, dandogli le spalle, mentre lui si stendeva al suo fianco e
spegneva la luce dell’ abat-jour.
Sentì
i movimenti dell’uomo alle sue spalle e poi calore bruciante sulla pelle morbida
del collo, dove Sean aveva immerso il
viso, fra i suoi capelli, e la dolcezza del suo braccio intorno ai suoi
fianchi, la mano posata sul ventre.
Intrecciò
le dita a quelle dell’uomo senza dire nulla, mentre quei desideri impossibili
che aveva seppellito da qualche parte dentro di lei tornavano ad emergere,
luminosi e possibili.
“Andrà
tutto bene, Adelind”
***
Si
svegliò in un letto vuoto, immersa nel candore delle lenzuola illuminate dal
pallido sole che faceva capolino da dietro le tende chiare.
Si
guardò intorno, riconoscendo il mobilio finemente lavorato e antico della sua
camera d’albergo a Vienna e il suo cuore sprofondò da qualche parte nel suo
stomaco, rendendosi conto che il respiro di Sean sulla sua pelle era stato solo
un sogno.
Si
strinse le braccia intorno al busto, nel tentativo di recuperare il calore che
le aveva lasciato addosso quel sogno.
Teneva
gli occhi aperti, udendo il rumore della doccia provenire dal bagno, provando
ancora un minuscolo briciolo di speranza, il desiderio di vederlo ancora.
Eric
uscì dal bagno con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e i capelli
bagnati, le rivolse un sorriso mentre faceva qualche passo sulla poltroncina in
stile barocco su cui la notte prima aveva lasciato i vestiti.
“Non
volevo svegliarti, ma chére”
“Stai
andando via?” gli domandò mettendosi a sedere, stringendosi addosso il
lenzuolo, sentendosi quasi in imbarazzo per essere in quel letto, per aver
trascorso la notte con lui.
Cercò
con tutta se stessa di cancellare il pensiero di Sean dalla sua mente mentre
lui le rivelava che doveva andare a Praga, dove aveva alcune faccende da sbrigare.
Gli
rivolse il più luminoso dei sorrisi quando lui, perfettamente vestito, si
piegava su di lei per baciarla sulle labbra.
“Ci
sentiamo in questi giorni, ma chére”
Lo
osservò uscire dalla stanza, la meravigliosa suite che lui le pagava da quasi
due mesi, per poi uscire dal letto e indossare la vestaglia.
Uscì
in balcone stringendosi le braccia
intorno al collo: l’aria era gelida nonostante la bella giornata soleggiata.
La
vista era splendida: i suoi occhi si perdevano nel verde degli alberi del Liechtensteinpark
su cui si affacciava il suo albergo, nelle meravigli architettoniche che
rendevano Vienna una delle città più
belle del mondo, ma con un peso sul cuore si rese conto di preferire Portland,
vista fra le braccia di Sean.
Tornò
in camera, richiamata dal insistente bussare di qualcuno.
Quando
aprì la porta si trovò davanti il ghigno soddisfatto di Stefania Vaduva Popescu che la superò,
entrando nella stanza,senza nemmeno aspettare di essere invitata.
“Ho
trovato il modo di farti riavere i tuoi poteri, Frau Schade”
le comunicò con espressione soddisfatta e quasi famelica sul viso.
Adalind non poté fare altro che sorridere.
Dimenticare
il sogno era la cosa migliore da fare, per quelle come lei, sapeva che non
avrebbe mai avuto il lieto fine che desiderava da bambina.
“Sarà
difficile e immensamente doloroso” l’avvisò inarcando un sopracciglio “Sei
sicura? Puoi ancora avere quei cinquecento mila dollari se vuoi”
“No”
Quella
semplice parola lasciò le sue labbra talmente autoritaria e carica di rabbia che
Stefania alzò le mani in segno di resa.
Basta
con i sogni, si disse, non era più una bambina e Sean non era più con lei.
E’
la prima volta che scrivo nel fandom di Grimm, ma
dopo aver divorato le prime due stagioni in poche settimane e dato che ieri
notte è andata in onda la prima puntata della terza stagione mi sono decisa a
scrivere questa one shot
che girava nella mia testa già da un po’.
Io
adoro Renard e Adalind insieme, sin dalla prima
stagione, molto di più di Nick e Juliette sicuramente, e dato che spero davvero
in un loro pargolo Hexenbiest è venuta fuori questa
cosa.
Il
titolo della storia viene da una canzone dei The Kills,
mentre la citazione inziale è il ritornell
di Wings di Birdy.
Per
quanto riguarda la sua collocazione temporale, questa one
shot l’ho pensata ambientata qualche giorno prima
della 2x21, infatti Eric, dice ad Adalind che sta per
andare a Praga mentre come ben sappiamo, arriverà a Portland e lei non ha
ancora firmato il contratto con Stefania.
Detto
questo ringrazio di cuore chi è arrivato a scrivere fin qui, spero che vi sia
piaciuta questa piccola storia.
Alla
prossima!