Non so come mi sia venuta in mente questa cosa, in realtà.
Sento che non è finita, o non è finita giusta, o… Boh. Sono settimane
che mi propongo di scrivere una Severus/Hermione, ma evidentemente il mio
cervello si rifiuta. Ho un altro tentativo, nel pc, che pubblicherò appena
saprò come far finire… Intanto, vi lascio questa mezza cosa, che non è carne né
pesce.
Non una Fred/Hermione, neppure una Severus/Hermione.
Solo il dolore di chi non è nessuno.
Beh, se vi va, fatemi sapere qualcosa :)
Buona lettura!
Il dolore di chi non è nessuno
Non si era neppure accorta quando
fosse cominciata.
L’inizio… Provava ad andare
indietro con la mente, eppure, nonostante fosse così brillante, non riusciva a
ricordarselo. Sapeva solo di aver preso coscienza dei suoi sentimenti solo
quella sera, quando Fred aveva invitato Angelina al Ballo del Ceppo.
Angelina, non lei.
Ma, dopotutto, che pretendeva? E
poi, perché quel pensiero, perché proprio ora?
Perché vedere la sua espressione
felice mentre lei rispondeva di sì, così malandrina, ma con un pizzico di gioia
diversa negli occhi, aveva avuto il potere di stordirla, come se avesse preso
un pugno nello stomaco?
Aveva quindici anni, e si era
resa conto di essersi presa una cotta per Fred Weasley.
Hermione non sapeva come interpretare
la cosa. Non aveva mai pensato ai ragazzi, men che meno di lui, ma dopo che
quella consapevolezza era nata si era riscoperta a guardarlo, di sfuggita,
quasi sempre.
Mentre rideva con George e Lee,
progettando qualche altro scherzo.
Mentre dava un bacio ad Angelina,
e allora era così doloroso.
Mentre si attardava in Sala
Comune per cercare di finire un compito, dato che di sicuro si era ridotto
all’ultimo giorno, e avrebbe consegnato qualcosa di appena decente.
Improvvisamente capì Ginny, la
capì davvero, mentre si struggeva per Harry e lei aveva sempre considerato la
cosa come effimera. Le aveva consigliato più volte di non darle peso, di andare
avanti cercando di far ingelosire lui, nel caso, e non aveva preso sul serio i
suoi sentimenti.
Il potere di una sbandata.
Solo che non era finita lì.
Passavano i giorni, i mesi. Passò
anche l’anno scolastico e niente, niente sembrava essere più forte della
stretta allo stomaco che le prendeva quando Fred era vicino; anche se non lo
vedeva, poteva capire che lui era presente in una stanza semplicemente sentendo
quella fitta, o che l’avrebbe incontrato girando l’angolo… Non sbagliava mai, i
suoi occhi lo cercavano sempre, lei si sentiva accaldata e il cuore le batteva
forte, e iniziò a sospettare che non fosse una semplice cotta.
Fred era allegro, divertente;
così vivo, che Hermione si chiese
come avesse fatto a non capirlo prima. Lui la vedeva solo come un’amica del suo
fratellino, ma lei lo sapeva, finalmente riusciva a comprenderlo.
Si era innamorata di lui.
***
Vederlo da lontano era uno
strazio, soprattutto quando stava con Angelina. Si erano messi insieme dopo il
Ballo del Ceppo, e la cosa durava ormai da più di un anno.
Le spezzava il cuore ogni volta,
anche se si ripeteva che doveva essere felice per lui e basta.
Ma era così doloroso; quando erano in Sala Comune e lei era seduta sulle sue
gambe, quando li vedeva scambiarsi qualche bacio… Era doloroso ancora di più
perché lui non si immaginava nemmeno cosa lei provasse; non la detestava,
parlava con lei e adorava farla arrabbiare, e lei l’aveva minacciato più volte,
sequestrandogli tutte le Merendine Marinare e urlandogli contro, ma non aveva
mai avuto il coraggio di fare davvero qualcosa.
Il sorriso che vedeva nei suoi
occhi aveva il potere di farla sciogliere, e lei si arrabbiava di più e si
ripeteva che era una stupida, ma non una volta gli aveva sottratto punti, o l’aveva
messo in punizione. Ovviamente, anche George beneficiava di questa sua
debolezza, perché dove c’era Fred c’era lui, e viceversa.
Lei aveva imparato a distinguerli
da quel giorno famoso, da quando Fred aveva invitato Angelina e il suo cuore
aveva perso un battito. I volti erano uguali, i corpi pure e forse anche il
tono di voce; eppure… Eppure c’era qualcosa, in Fred e in Fred soltanto, che
era in grado di scuoterla nel profondo.
Avrebbe voluto solo poterlo avere
per sé.
***
Era una persona troppo corretta
per cercare di fare qualcosa alle spalle di Angelina, ma i suoi sentimenti la
stavano consumando pian piano.
Non sapeva neppure se avrebbe
avuto il coraggio di dichiararsi, dato che era più che certa che lui non la
vedesse sotto quel punto di vista.
Eppure, quando aveva beccato
Fred, solo, in piena notte, in un’aula vuota con solo un calderone davanti, il
suo cuore aveva perso un battito.
Non riusciva a tenere a freno le
sensazioni, il desiderio.
“Accidenti…” aveva mormorato lui,
il sorriso malandrino un po’ colpevole, smettendo di mescolare la pozione che
sbolliva piano.
Hermione, il cipiglio severo di
sempre nonostante il batticuore, si mise le mani sui fianchi nella classica
posizione di mamma Molly, e disse: “E allora, sentiamo: che ci fai fuori dal
dormitorio in piena notte?”
Ovviamente lei era di turno come
Prefetto, e aveva visto la porta socchiusa e uno strano bagliore, così aveva pensato
di controllare.
“Accidenti.” ripeté lui “George
mi ucciderà, ma io non ho pensato di ripetere gli incantesimi, si era scordato
solo le uova di Doxy in camera e ha detto che avrebbe fatto una corsa.”
Una delle sopracciglia di
Hermione si alzò ancora, e lei ripeté la domanda: “Non mi hai ancora detto che
ci fai qua, nel cuore della notte.”
“Ehm… Io e George, sai, stiamo
preparando il ripieno delle nostre Merendine Marinare.”
Era inutile tentare di tenere il
fratello lontano dai guai: dove c’era uno c’era l’altro, e poi sarebbe tornato
da lì a poco.
“E perché di notte, in un’aula
vuota?”
“Di giorno sarebbe… Complicato.
Non vogliamo che nessuno ci scopra e veda il procedimento, poi abbiamo altro da
fare, e, oh, ti prego, non denunciarci!”
Fred aveva chiuso le mani davanti
a sé, come in preghiera, e il tono era implorante al punto giusto, ma lei vide
l’ombra di un sorriso e avvertì la scintilla di allegria dietro i suoi occhi.
La scintilla di vita.
Fred Weasley non prendeva mai
nulla seriamente.
E lei, Hermione Granger, non
riusciva a non cedere, ogni volta.
Assottigliò le labbra,
contrariata, ma sapeva che lui aveva già vinto. Non poteva fare altrimenti.
“E va bene.” disse infine “Ma
ritieniti fortunato.”
Fred sembrò illuminarsi come un
bambino; poi, in un modo del tutto inaspettato, si avvicinò e la strinse tra le
braccia.
“Grazie!” esclamò, e stava già
per interrompere il contatto, quando qualcosa cambiò.
Hermione non se l’era aspettato.
L’aveva visto più vicino e non c’era stato modo di fare niente, ma voleva solo che durasse di più.
Il suo cervello, il suo capiente
e prezioso cervello, si era scollegato.
Voleva solo che durasse di più.
Per memorizzare il suo profumo,
per imprimerselo sulla pelle. Per imparare il contorno dei suoi muscoli, per
sentirsi stretta come non mai.
Amata.
Voleva solo che durasse di più.
E, per questo, senza pensarci, senza averlo razionalmente deciso, mentre il suo
cuore batteva a mille, Hermione alzò le braccia, le chiuse dietro la sua
schiena e strinse.
Strinse tanto forte da spezzargli
il respiro. Strinse tanto forte da affondare completamente con il volto nel suo
petto, aspirandone il profumo e saggiandone la morbidezza.
Strinse e Fred si sentì
spiazzato, confuso, un po’ imbarazzato.
Poi, Hermione, sempre preda del
desidero di lui che sembrava esploso, fuori controllo, lo lasciò andare appena
per alzare lo sguardo, per fissarlo negli occhi, per alzarsi sulle punte…
Per baciarlo.
Fred sgranò gli occhi, ma, quasi
subito, le sue mani premettero sulle sue spalle, respingendola.
E la ragione tornò in Hermione,
che si rese conto di cosa avesse fatto, che percepì il suo rifiuto come uno
schiaffo in pieno volto.
Lui era allibito.
Lei si sentì morire.
“Io… Scusa, io…”
Farfugliò qualcosa e girò i
tacchi, iniziando a correre, per scappare da quella situazione assurda, dalla
figura più brutta della sua vita. Ed era naturale che lui non la volesse, che
lui la considerasse solo l’amica secchiona di suo fratello.
Era naturale che lui non l’avesse
fermata.
Hermione si chiuse in un bagno,
ancora tremante, con il ricordo della faccia di Fred scioccata ancora impressa
nella mente. Scivolò con la schiena al muro e pianse, pianse per la vergogna e
perché lui non le era corso dietro.
Pianse perché il rifiuto faceva
davvero, davvero male.
***
Lui faceva finta di niente.
Si comportava come al solito, non
era venuto a parlare, non le aveva scambiato neppure un’occhiata complice, o
altro. Non parlava con lei e stava con George, Lee e Angelina.
Hermione lo evitava, troppo
imbarazzata e ferita, ma lui non sembrava essersene accorto. Forse era
sollevato, perché così non avrebbe dovuto affrontare ciò che era successo.
Lei si sentiva morire dentro,
ogni volta.
Ogni giorno era una tortura;
soprattutto vederlo con Angelina, osservare i loro baci rubati.
Era una pugnalata del cuore a cui
lei non si sottraeva, e il suo sguardo lo cercava ancora, e desiderava solo che
fosse lei, che potesse essere lei
quella fra le sue braccia.
Prima della fine dell’anno lui e
George fecero la loro trionfale uscita di scena, e il suo cuore si spezzò
ancora una volta.
Non l’avrebbe più visto.
Non l’avrebbe più visto a scuola
ogni giorno e avrebbe dovuto convivere con questo peso.
***
Le vacanze alla Tana non erano
entusiasmanti come gli altri anni, perché Fred non era lì.
Lui e George erano venuti un paio
di volte, ma avevano il loro negozio e la loro casa; la loro vita.
Hermione sapeva che lui stava
ancora con Angelina.
E Fred la trattava sempre allo
stesso modo, che voleva dire non trattare con lei e basta. Ogni tanto si
scambiavano qualche parola, come può accadere che un’amica di un ragazzo scambi
due parole con il fratello di questo.
Lui sembrava aver dimenticato;
anzi, sembrava che avesse relegato fin da subito quell’episodio come una cosa
spiacevole e di poca importanza.
Il cuore di Hermione batteva
ancora forte se lo vedeva, e lei era sempre in grado di avvertirlo, e il suo
profumo era una droga per le sue vene, tanto che lei non riusciva a resistere,
e più volte si era ritrovata a stare per diversi minuti in quella che prima era
la stanza dei gemelli, che ora fungeva da magazzino.
Il fatto che lui non la volesse
era sempre doloroso, ma ormai si era rassegnata.
Rassegnata a vivere di un amore
non corrisposto, anche se era così ingiusto.
Almeno lui era felice.
***
E poi il mondo crollò davvero, e
Hermione si chiese come avesse fatto ad essere così stupida e per tutto questo
tempo, poi.
Lo sentì, il cuore spezzarsi, e
spezzarsi sul serio. Poteva avvertire le nuove crepe farsi strada, contagiando
anche i polmoni, rendendo inutilizzabile la mente. E, sopra quella piccole e
insignificanti cicatrici che erano state il suo primo e unico amore non
corrisposto, si aprirono le voragini di ciò che non sarebbe più potuto essere,
neanche per sbaglio, neanche per lui.
Il corpo di Fred era pallido,
immobile, e aveva ancora l’ombra dell’ultima risata impressa sul volto.
Qualcuno era chinato su di lui, e piangeva, ma c’erano altre cose da fare, e
una battaglia da combattere, e Harry si stava muovendo e lo stava spostando,
mentre lei si rendeva conto che non poteva restare lì per sempre, atterrita, a
fissare il punto vuoto dove prima era caduta la sola persona che avesse mai
amato.
C’era da correre, da pianificare,
da salvare gente, da vincere una guerra…
Vincere una guerra.
Per cui Fred era morto.
Vincere una guerra per
vendicarlo.
E allora Hermione prese tutto e
lo rinchiuse in una piccola parte della sua mente; cercò di annullare
l’enormità del lutto e lo sacrificò per una causa più grande, per il bene superiore…
Prese l’orrore, l’incredulità, il
rifiuto e il viso di Fred; li prese e con uno sforzo enorme li mise in un
cassetto, al sicuro nei recessi più profondi della sua mente.
Ed era tempo di trovare
Voldemort, e Harry poteva vederlo, e così si infilarono tutti e tre sotto il
mantello, e corsero… Corsero…
Piton stava per morire ma aveva
consegnato ad Harry dei ricordi, ma lei… Era troppo stordita.
Aveva chiuso tutto in un
cassetto, ma fuori era rimasto un senso di irrealtà.
Forse per questo non lo seguì,
non si rese conto. Voldemort aveva sospeso la battaglia e lei incespicò verso
la Sala Grande, la gambe tremanti, mentre cercava di ricacciare indietro tutto,
di non esplodere, perché non era ancora
finita… E vide Molly piangere, e George guardare sconvolto quel corpo, e allora, sentendosi soffocare,
girò lo sguardo, e vide Tonks e Lupin, ed era doloroso, sì, era doloroso ma era
sopportabile.
Avevano appena avuto un bambino, si ritrovò a pensare, avevano appena avuto un bambino e io li
conoscevo, li stimavo, e non potrò vederli mai più, ed è orribile, e io… E io…
E lei si stava aggrappando a quel
dolore soffocante che però non l’avrebbe fatta collassare; si stava aggrappando
a quella perdita per tenerne un’altra al sicuro nei recessi della sua mente; si
stava aggrappando… Ad ogni cosa, perché non era ancora finita…
E poi ricominciò.
La battaglia, Harry morto, e i
combattimenti, e Harry vivo, e qualche parola su Severus Piton che non comprese
appieno.
E la vittoria.
Lord Voldemort era morto per
sempre, il mondo magico era tornato in pace.
Avevano compiuto la loro
missione, e non rimaneva nient’altro.
Non tutti, però, festeggiavano.
C’era da cercare nel castello,
sperando di trovare qualche ferito, e di non trovare qualcuno per cui era
troppo tardi. Hermione stava per cedere, per crollare, quando si accorse di una
cosa.
Angelina era entrata nella Sala
Grande, trafelata, e aveva lanciato un urlo disumano, ignorando tutto e tutti e
gettandosi ai piedi del corpo di Fred.
Del corpo di Fred.
Angelina.
Qualcosa si ruppe ancora e cadde,
cadde dentro di lei e uscì, e si perse per sempre.
Con che diritto poteva pretendere
di piangere Fred in quel modo?
Lei non era nessuno.
Non era mai stata nessuno, per
lui, se non un’amica un po’ secchiona di suo fratello.
Non era nessuno.
***
Si era voltata per non vedere la
scena, e si era trovata davanti la McGranitt. Lei aveva balbettato qualcosa sul
professor Piton, il cui corpo non era ancora stato preso, e tutto per non
cedere al dolore.
Hai resistito fino adesso, si disse, non cedere. Non ora che sai che non puoi cedere, che non puoi e basta.
Minerva reclutò qualche altro
giovane e l’accompagnò verso il Platano Picchiatore.
Scoprirono, con sgomento, che
Piton era ancora vivo. Venne trasportato con urgenza al castello, e madama
Chips si occupò subito di lui, ordinando a qualcun altro di portarle delle
pozioni.
Hermione, di nuovo inutile, senza
altro da fare ma desiderosa di fare qualcosa, per non pensare, si incamminò
verso la Sala Grande. Trovò Harry, che era con Ron, e che l’invitò a salire nel
dormitorio con lui.
Accettò e prestò attenzione al
racconto del suo amico, ma era un’attenzione passiva.
Si sentiva spenta.
***
I funerali. Aveva pianto, come
tutti, ma le lacrime erano scese silenziose dai suoi occhi.
Era ancora pervasa da un senso di
irrealtà, ed era come se non si rendesse conto pienamente dell’accaduto.
Aveva pensato di accantonare il
pensiero della morte di Fred fintantoché la battaglia imperversava, ma non
aveva fatto i conti col fatto che non sarebbe più riuscita a farlo uscire
fuori.
Ogni volta che ci provava, che
forzava la mente a pensare al suo amore perduto, questa le rimandava indietro
solo poche parole.
Non sei degna.
Angelina deve piangere, oltre la sua famiglia, non te.
Non sei nessuno.
Alla fine, aveva rinunciato a
farlo, vivendo di quella strana apatia, non sentendo più niente.
***
Era tornata alla Tana, dopo.
Non sapeva dove altro andare. I
suoi genitori erano ancora in Australia e, sebbene il peggio fosse passato, lei
non si sentiva ancora pronta per cercarli, dato che strascichi di Mangiamorte cercavano
ancora di terrorizzare il mondo magico. Senza successo, ma la prudenza non era
mai troppa.
George era tornato a vivere lì,
con la sua famiglia. Sembrava anche lui rotto, spezzato, e guardarlo, ogni
volta, faceva male al cuore.
O, meglio, le provocava un
sussulto. Non del vero dolore, perché quello l’aveva sepolto con Fred, e non
riusciva a tornare. Ma era una sensazione diversa dalla sola apatia.
Gli somiglia.
Il suo viso, il suo corpo.
Oh, gli somiglia così tanto.
Era tornata anche Angelina.
Certo, lei non viveva lì
ventiquattr’ore su ventiquattro, ma veniva spesso.
Spesso piangeva, spesso scorgeva
lei e George abbracciati, cercando di consolarsi a vicenda, di non pensare alla
loro perdita.
Gli somiglia.
Gli somiglia anche troppo.
E, anche lui, ha scelto Angelina.
Non poteva essere diversamente.
Hermione lo sapeva, ma il sussulto nel suo cuore si faceva sempre più forte,
più pesante, cercando di forzare gli argini.
Forse, dopotutto, sarebbe
crollata.
Avrebbe voluto non farlo alla
Tana, dove doveva essere di sostegno a Harry e Ron, perché anche loro avevano
perso qualcuno.
Ma lei lo sapeva, di nuovo, tutte
le volte che guardava George e vedeva Fred, e tutte le volte che Angelina
veniva per George e piangeva fra le sue braccia, stringendolo allo stesso modo
in cui avrebbe fatto con Fred.
Lo sapeva, e non poteva farci
niente, se non sentire le crepe nel fondo della sua mente, quella in cui aveva
rinchiuso il suo amore mai nato, il suo ricordo e il suo dolore.
Di nuovo lei, la persona amata, ed è così terribilmente giusto.
Di nuovo lei, che prendeva il
posto nel cuore dell’altra metà del ragazzo che aveva amato.
Di nuovo.
Io non sono nessuno.
Di nuovo.
***
Era tornata ad Hogwarts, e non
riusciva a dormire.
Le crepe si erano fatte più
profonde, premevano ai lati del suo essere. E lei non poteva voltarsi senza
vedere Fred in ogni angolo, e la sua poltrona preferita in Sala Comune, e il
posto dove l’aveva beccato più volte con Angelina, e la stanza dove l’aveva
sorpreso a fare una pozione di notte, dove era successo…
Aveva trattenuto il respiro.
Si era coricata, ma il peso era
opprimente; la schiacciava e lei sapeva che non avrebbe resistito ancora a
lungo.
Il ricordo di quell’abbraccio, di quel mezzo bacio rubato…
Si alzò, spinta dall’urgenza.
Il dolore la reclamava, come un
conato di vomito, e lei cercò di resistere più a lungo possibile, sperando di
riuscire almeno ad arrivare…
Era corsa, così, in pigiama e
ciabatte, fuori dalla Sala Comune. Era corsa giù per sette piani di scale, e
poi ancora, era svoltata in parecchi corridoi fino a trovare l’uscita.
Era corsa anche attraversando il
giardino.
Gli argini deboli, la diga che
aveva costruito pronta a sfaldarsi dietro l’ondata di ricordi, di dolore.
Ed era arrivata alle tombe.
***
Le ginocchia cedettero e lei si
trovò carponi su quel piccolo fazzoletto di terra dove era sepolto Fred.
Avevano deciso di tenere i
funerali ad Hogwarts; di seppellire i morti ai piedi di un obelisco
commemorativo. Ognuno aveva la sua lapide personale e, in mezzo, svettava il
monumento.
Un cimitero per gli eroi.
E lei, ansante per la corsa,
tremando per il freddo, era ora davanti alla lapide di Fred Weasley, fissando
quelle lettere impresse sul marmo.
La diga cedette, e il dolore si
riversò a fiumi in lei, così come il ricordo di Fred e del suo amore perduto.
Cedette anche lei, franò a terra vinta dalle sensazioni, e fissò senza vederli
i piccoli steli d’erba che stavano ormai crescendo su quella piccola porzione
di terreno smosso, il viso premuto sul suolo.
Il suo cuore si spezzò, proprio
come quando aveva visto la pallida risata impressa sul volto dell’unico ragazzo
che avesse mai amato, e poi si spezzò ancora, e si spezzarono i polmoni, e alla
fine desiderò solo di poter ardere, di potersi spegnere in una fiammata rossa
come i suoi capelli, di poterlo
raggiungere ovunque fosse.
La lacrime sgorgarono dai suoi
occhi annebbiandole la vista, mentre un rantolo usciva dalla sua bocca, ma lei
non ci fece caso.
Non aveva fiato, non aveva fiato
per niente e per questo, più che fatto di singhiozzi, il suo dolore sembrava un
lamento lento.
Non aveva fiato e non riusciva a
respirare, ad interrompere quel suono spezzato che usciva dalle sue labbra.
E Hermione desiderò morire; per
la prima volta in vita sua desiderò davvero morire, porre fine a tutto quel
dolore, perché non sarebbe mai riuscita a
sopportarlo… Desiderò strapparsi il cuore con le mani, gettarlo in pasto ai
demoni, e sicuramente avrebbe sentito meno male.
Era rotta, rotta dentro, anche se
lei non era nessuno.
Una ragazza che aveva amato in
silenzio, che era stata rifiutata, e che aveva visto morire il suo unico amore
davanti ai proprio occhi.
Le sue cicatrici non si sarebbero
mai saldate.
Aveva pensato di soffrire, prima,
quando Fred sceglieva ogni giorno Angelina e non la guardava mai, non la
prendeva neanche in considerazione.
Si sbagliava.
Il dolore era tutta un’altra
cosa.
Il dolore era un tarlo che le
divorava l’anima, assieme al cuore e ai polmoni. Il dolore era così forte, e
così tanto, che non riusciva a razionalizzarlo, a dargli un senso, a
rinchiuderlo.
La realtà era piombata forte come
non mai, e la stava schiacciando.
Non riusciva a rialzarsi. Non era
importante.
Sarebbe morta lì, su quel suolo
freddo, sulla tomba del suo amato Fred.
Andava bene così. Tutto, purché
finisse quel dolore.
Ogni cosa.
Anche se lei non era nessuno.
***
Severus Piton era scampato
miracolosamente alla morte e ancora se ne chiedeva il perché.
Perché il destino beffardo si era
preso gioco di lui?
Forse perché quando aveva chiuso
gli occhi, e si era sentito scivolare, aveva visto il nero sotto di sé e si era
spaventato?
Avrebbe voluto rivedere Lily,
anche solo per un istante, anche solo per l’ultima volta. Credeva che il fato
glielo dovesse, e invece si era reso conto di stare per scivolare in un buco nero
senza fondo, e aveva avuto paura.
Per quello era rimasto vivo?
La cicatrice sul collo non faceva
più male, ma era vistosa.
E quel cretino di Potter aveva
avuto la brillante idea di sbandierare il suo amore segreto ai quattro venti,
facendo sì che lui dovesse sopportare gli sguardi di ammirata compassione.
Eppure, nonostante tutto, era
tornato a Hogwarts.
“Avrei dovuto capirlo.” gli aveva
detto la McGranitt “Vi vedevo così uniti, sempre. E, invece, mi sono scordata…
Mi sono scordata quanto l’affetto di un bambino possa essere infinitamente più
grande delle sue scelte future. Perdonami, Severus.”
Poi gli aveva detto che si era
meritato ampiamente il posto come Preside, e che sarebbe dovuto assolutamente
tornare.
Si era lasciato convincere, solo
perché non aveva altro.
Che avrebbe potuto fare nella
vita, se non quello che aveva sempre fatto?
Quale scopo nobile avrebbe
portato avanti, ora che il Signore Oscuro era morto, e lui aveva pagato il
debito che aveva verso se stesso e Lily?
Il posto come preside era più…
Rilassante, perché non doveva stare a contatto con gli studenti. Non avrebbe
sopportato i loro sguardi, non ora che sapevano.
L’aveva dovuto fare durante il
periodo di convalescenza ed era stato orribile.
Per quello lo si vedeva molto
raramente. Aveva presenziato al Banchetto di inizio anno, come suo dovere, ma
poi era stata sua intenzione non farsi vedere più. Esistevano gli Elfi, poteva
farsi portare da mangiare direttamente nelle sue stanze.
Anche per questo aveva deciso di
uscire di notte, quando non c’era ormai più nessuno in giro. Stare sempre
chiuso in una stanza poteva essere soffocante, e lui aveva bisogno di pensare,
di ridefinire la sua vita in base a ciò che era accaduto.
Niente era meglio dell’aria
fresca della notte, per schiarirsi le idee.
Poi la vide.
Un’ombra che sembrava più densa
delle ombre, nel piccolo cimitero che si era creato.
Si avvicinò, incuriosito, e tirò
fuori la bacchetta.
La riconobbe solo quando le fu a
pochi passi di distanza.
“… Signorina Granger?” chiese,
stupito. Le sembrava che parlasse, ma non riusciva a capire nulla, così sì
abbassò sui talloni, per vederla meglio.
L’immagine lo colpì come uno
schiaffo in pieno volto, e all’improvviso seppe.
Era così ovvio. Non per le
lacrime che scorrevano sul suo volto, e neppure per il rantolo insensato che
usciva dalla sua gola. Non perché fosse semplicemente sdraiata sul suolo di una
tomba, no.
Perché era lui.
La Granger era lui anni e anni
prima.
Anche lui era crollato, così,
sulla tomba di Lily.
E Silente l’aveva trovato, e
l’aveva portato via, e l’aveva stretto a sé mentre piangeva e gli aveva detto
la cosa giusta, al momento giusto.
Ora toccava a lui? Ne sarebbe
stato in grado? O si sarebbe fatto travolgere dai ricordi, dalla sua stessa
sofferenza che vedeva sul volto della Granger?
Un piccolo Lumos e il fascio di
luce puntato sulla tomba gli fecero capire che Fred Weasley era l’amore perduto
di Hermione Granger.
***
Lei vide un’ombra, poi dei piedi.
Alzò un po’ lo sguardo, senza interrompere il suo lamento, e, dietro le
lacrime, riconobbe il volto di Severus Piton.
Il mondi si fermò per un istante,
lei non riuscì più a emettere suono.
Era così umiliante, era così
straziante… Ma non aveva la forza di ricomporsi. Era ancora schiacciata a terra
da quel peso.
Poi, dai recessi della sua mente,
cercò di farsi strada qualcosa.
“Signorina Granger…”
Il suo tono era strano, quasi
dolce, come comprensivo.
E Hermione si ricordò.
Severus Piton, che aveva sempre
amati Lily Evans in silenzio, da lontano, e che aveva cercato di proteggerla, e
che poi aveva dedicato la sua vita a proteggere Harry.
Anche lui non era nessuno.
E lei voleva dirglielo, perché
sapeva che avrebbe capito; voleva dirglielo ma le parole erano troppo in fondo
alla sua gola, e uscì solo uno strano farfugliamento…
“I-io lo a-amavo. Io lo amo… I-io
lo…”
E Severus Piton ripose la bacchetta
e allungò le braccia, la alzò da terra e la strinse a sé.
“Lo so.” disse, e la sua voce,
ora, sembrava persa, distante.
Rotta, così come lo era lui.
Erano rotti entrambi.
E Hermione non si rese neppure
conto dei suoi passi, del fatto che si stessero muovendo. Vide solo la tomba di
Fred allontanarsi, da sopra la spalla dell’uomo, e desiderò che il suo cuore
fosse rimasto lì, e invece lo sentiva, sentiva i cocci premerle dentro,
ferirla.
Severus Piton camminò fino
all’ufficio del preside, e poi fece il giro dietro la scrivania, entrando nella
sue stanze, che un tempo erano state di Albus Silente.
Solo quando si sedette sul letto,
e Hermione sentì le molle del materasso cigolare, la ragazza sembrò riprendersi
dallo shock.
Sussultò, rendendosi conto di
essere fra le braccia di Piton.
Sussultò, e i cocci di cui era
composta dentro tintinnarono e si scontrarono, e le lacerarono ciò che ancora
rimaneva da lacerare.
“Signorina Granger…” iniziò lui,
ma non sapeva che dire.
Non era come Albus, non ci sapeva
fare. Poteva capire la situazione, ma… O forse proprio perché la poteva capire.
Non c’era niente che potesse alleviare una pena del genere. Assolutamente
nulla.
E Hermione scoppiò a piangere, ed
era il suo primo, vero pianto.
Non un lamento roco e lacrime che
scorrevano sul volto, ma urla e singhiozzi e disperazione.
Come se fosse impossibile tenere
tutto dentro. Come se dovesse buttarlo fuori, come se volesse strapparsi ogni
centimetro della pelle per non soffrire più…
Lui lo sapeva bene.
E, così, quando Hermione Granger
si strinse al suo petto, con il ricordo di un amore mai nato e la
consapevolezza che era con la sola persona che potesse capirla, Severus Piton
la strinse a sé.
Pianse anche lui, in silenzio,
ricordando le sue lacrime amare di una vita prima. Senza far capire alla
Granger che soffriva ancora, anche solo sentendola; che ascoltare i suoi
singhiozzi equivaleva riportare alla galla quei momenti terribili, che se non
ci fosse stata lei da consolare probabilmente sarebbe andato ancora adesso
sulla tomba di Lily, a sperare di morire con lei.
Esattamente come aveva fatto la
Granger per Fred Weasley.
Ma a loro toccava il fardello più
grande, perché erano vittime non riconosciute dal mondo.
Lui lo sapeva, non era un
insegnante molto attento ma non gli era sfuggita la relazione di Fred con
Angelina; era impossibile, quando quei due si baciavano ovunque e più volte li
aveva beccati in situazioni compromettenti.
Lui lo sapeva, che il loro era il
dolore più grande, quello da nascondere e dimenticare, quello per cui nessuno
avrebbe avuto compassione.
Perché non era nessuno.
Certo, lui aveva avuto
compassione. Ma dopo che era quasi morto e che Harry Potter in persona l’aveva
additato come un eroe.
E non c’era dubbio che la Granger
non si fosse confidata con nessuno, invece, o non l’avrebbe trovata a piangere
di notte su una tomba, esattamente come aveva fatto lui.
Chi era, Hermione Granger, per
Fred Weasley? Un’amica di famiglia, nulla più.
Esattamente come lui era stato un
amico di Lily, e poi neanche quello.
Nessuno.
La gente dimentica, la gente non
sa.
Non sa quanto è difficile non
essere nessuno.
***
Hermione si svegliò in un letto
morbido, coperta da un lenzuola color argento.
Di fronte a lei, su una brandina
fatta apparire con la magia per l’occasione, Severus Piton la stava guardando.
Ci volle un po’ per inquadrare la
situazione, per ricordarsi ogni cosa.
Il dolore l’assalì nuovamente,
mentre i cocci di ciò che era stata vibravano, e lei si sforzava di cacciare
indietro le lacrime.
Era crollata, non poteva più
permetterselo.
Era crollata, ma ora… Andava
meglio.
Severus si mise a sedere con lei.
Non sorrideva, ma non sembrava neppure arrabbiato, né aveva la solita
espressione neutra. Era come se celasse qualcosa dietro agli occhi.
“Grazie.” disse Hermione, la voce
resa roca dal gran piangere che aveva fatto ieri sera.
Si sentiva come se dovesse sentirsi in imbarazzo, ma non lo
era.
Severus Piton poteva capirla.
Lui fece un cenno col capo, e lei
si avviò verso l’uscita della stanza.
“Signorina Granger.” la richiamò
lui. Lei non si girò, la mano già sulla maniglia “Se le serve qualcuno con cui
parlare, sono qui.”
Il volto le si adombrò, ma lui
non poteva vederlo.
“Lo so, professore.” disse, ed
era poco più di un sussurro “Mi sfogherò senz’altro con lei, perché non posso
farlo con altri.”
Severus non le disse che poteva
cercarsi di sforzare di parlare con qualcuno, che avrebbe avuto la loro
comprensione. Sarebbe stato soltanto un ipocrita. E si era offerto di ascoltarla
perché, sì, con il senno di poi, doveva ammetterlo: solo avendo avuto Albus
accanto non si era lasciato andare del tutto. Solo il vecchio mago era riuscito
nell’arduo compito di tenerlo in vita, dopo quello che era successo.
Non sapeva ancora come avrebbe
fatto, ma, di certo, non avrebbe permesso che la Granger gettasse via tutto ciò
che aveva. Anche se la poteva capire, anche
se loro due erano uguali.
Forse, aveva trovato la sua nuova
missione; il giusto ruolo che doveva ricoprire nel mondo, dopo che la sua
vendetta si era compiuta.
“Va bene. Si ricordi: noi non
siamo nessuno, e questa è la nostra sorte. Non parlandone, lei ha scelto la sua
strada, e dovrà vivere in silenzio il suo dolore. Il prezzo sarà alto.”
Hermione uscì da quell’ufficio,
sentendosi più vecchia ma anche più sollevata.
Il dolore pulsava, i cocci nelle
sue vene stridevano e la ferivano. E lei avrebbe dovuto sorridere, consolare
gli altri, andare avanti con la sua vita.
Il professor Piton aveva ragione.
Il dolore di chi non è nessuno è quello che fa più male.