L’aveva sempre vista come un cucciolo da proteggere,
sperando che il suo giardino le bastasse a farle credere di vivere in un mondo perfetto
ma infondo lo sapeva, lei non
era un cagnolino da compagnia, anche se accorciava la catena, il guinzaglio non
era mai troppo stretto. Avrebbe dovuto lasciarla correre via? Conosceva la
risposta ma non poteva ammetterlo perché se davvero l’avesse fatto, sapeva che
sarebbe stata lei ad abbandonarla, così si limitava a tenerle la mano, cercando
di mantenere l’equilibrio poiché quello della ragazza che l’accompagnava si
rivelava spesso incerto, le lacrime le offuscavano la vista, facendola
traballare e Nana doveva essere abbastanza stabile per entrambe. Erano fatte
così: se una cedeva, l’altra faceva da perno.
Hachi era quel tipo di
ragazza le cui forme suggerivano un avvenente corpo di donna ma a tradirla
erano i suoi occhi da bambina, troppo dolci e trasognanti che la facevano
apparire più piccola di quanto in verità non fosse. Molti l’additavano come
svampita ma lei lo sapeva, Hachi non era una sciocca,
era una ragazza tristemente fragile. Si
innamorava delle carezze, delle frasi sussurrate all’orecchio, adorava vivere
in un mondo stucchevole dove il lieto fine sarebbe stata la sua meta ma a Nana
nessuno aveva mai letto una favola della buona notte, così si limitava a non
crederci e si teneva sempre pronta a ritrovarsi la ragazza con qualche graffio
nuovo sul cuore e a quel punto la stava ad ascoltare per lunghissimo tempo
dentro la loro vasca con le zampe da leone, finché l’acqua non diventava
abbastanza fredda da far uscire entrambe.
L’accudiva come nessuno aveva mai fatto con lei, le asciugava il viso che
profumava di bagnoschiuma, aveva gli occhi arrossati, diceva che era a causa
dello shampoo ma Nana sapeva che era una bugia, Hachi
usava solo lo shampoo delicato adatto ai bambini – diceva che le ricordava la
sua infanzia con la madre – e quello non bruciava. A quel punto non domandava
più nulla, si limitava a pettinarle i capelli, mormorando una canzone,
strascicando qualche parola in inglese, sapendo che il sorriso dell’amica
sarebbe tornato presto.
Hachiko
era fatta così, i suoi malumori si consumavano velocemente, non riusciva a non
tornare con il suo sorriso contagioso che la rendeva ancora più bella.
Infatti ora era proprio così, trasognante e raddolcita, appoggiata al ripiano
della cucina che tagliava i pomodori per l’insalata – aveva iniziato una nuova
dieta che puntualmente non avrebbe portato a termine –, alle volte Nana provava
una sottile fitta di gelosia, forse infantile, nei confronti della nuova
ossessione di Hachi, non voleva essere dimenticata o
scartata ma queste sensazioni in genere duravano poco, il tempo di ricordarsi
che il loro legame era più saldo di una qualsiasi storia passeggera. Era vero, Hachiko non avrebbe mai sospirato per lei in quel modo ma non avrebbe nemmeno mai
maledetto il giorno del loro primo incontro, non avrebbe patito la solitudine
in un letto vuoto, non avrebbe accusato sé stessa di non essere abbastanza, Nana
non l’avrebbe permesso, e mentre sorrideva a quel pensiero, strabuzzò gli occhi
nel sentire il condimento nel suo piatto così salato, la sorpresa fu subito sostituita
da uno scoppio di risa.
Hachi era una mogliettina
perfetta ma quando era così distratta non ne combinava una giusta, non molto
diversamente dai pasticci che combinava un qualsiasi bambino e questo era un
buon segno, vederla così spensierata era un balsamo per il suo umore.
La ragazza sembrò ritornare finalmente con i piedi per terra grazie a quel
piacevole suono.
«Tutto bene?», domandò sorpresa.
La mora prese un’altra forchettata di insalata.
«Va tutto benissimo.», rispose di rimando, portandosi alle labbra il
condimento, continuando a guardare divertita la ragazza.
Hachiko finì col frignare per l’intera durata del pasto
con la scusa che tutto quel sale avrebbe vanificato gli sforzi della sua nuova dieta.