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Autore: Noruwei    27/10/2013    4 recensioni
Hemlock Grove è salva (più o meno) e Roman sprofondato nell'apatia. Il principe, una principessa e la belva. Qualcosa non va come previsto - dopotutto si sta pur sempre parlando di Roman Godfrey.
[Romancek, Roman centric]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
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Titolo: Sleeping with ghosts
Pairing: Romancek, accenni Roman/Letha, Peter/Letha e Norman/Olivia
Warning: accenni Incest, SPOILER
Genere: Drammatico, Romantico
Rating: R
Chapper: 1/1
Summary: Hemlock Grove è salva (più o meno) e Roman sprofondato nell'apatia. Il principe, una principessa e la belva. Qualcosa non va come previsto - dopotutto si sta pure sempre parlando di Roman Godfrey. 
Note: Romancek, anche se più che altro credo sia un Roman centric perché mi sono perdutamente innamorata del suo personaggio. Spoiler sulla 1x11 e 1x12 (non avendo finito la 1x13 idk cosa cappero succede - e non voglio saperlo perché ormai mi sono già fatta tutto il mio filmino mentale angstoso).
Ho il sospetto di essere andata un po' OOC, nel caso perdonatemi, caratterizzare in un modo decente quello squilibrato di Roman è più difficile di quanto immaginassi, ma lo amo anche un po' per questo *coccola forever*. 

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PARTE UNO
 
The sea's evaporated
Though it comes as no surprise
These clouds we're seeing
Their explosions in the sky
It seems it's written
But we can't read between the line
[Sleeping with ghosts – Placebo]
 
È ubriaco, forse un po', perché la sua mente si sta mettendo a comporre poesie e tutto si sta facendo così confuso.
L'alcool gli brucia la gola, Roman si appoggia al bancone con i gomiti e si porta alle labbra lo champagne e lascia che bruci come il fuoco in un drago. Come il fuoco in un drago. Nella gola. Prima di sputare fuoco rosso.
Rosso come il sangue.
A Roman piace il rosso, è un colore vivo, è il colore del dolore, della rabbia. Un colore che ti si stampa nella testa e non va più via una volta che l'hai assaggiato.
Letha e Peter volteggiano in pista, Peter le stringe la vita e la guarda negli occhi, sono belli insieme, sanno di amore, Roman lo sa eppure non riesce ad annullare del tutto quella tensione allo stomaco, quella gelosia malata, perché Letha è sua (cugina, sorella, amore giovanile, vita). O forse è geloso di Peter, Peter che è il suo unico amico, Peter che sogna ogni fottuta notte.
Forse invece li vuole e li ama entrambi, con quell'egoismo di un principe viziato.
«Sei sbronzo».
Roman alza lo sguardo su Olivia, sua madre – anche se alle volte lo dimentica e la detesta.
Scrolla le spalle, con quella noncuranza così sua. «Odio i ricevimenti». Beve un altro sorso, ancora brucia. Sta andando a fuoco.
Olivia sospira, si massaggia le tempie. «Cosa devo fare con te, Roman?»
Il violincello s'interrompe, Letha e Peter si baciano, perché sua madre ha permesso che Letha lo portasse? Bastardo di uno zingaro.
In quel momento Roman vorrebbe che Shelley fosse lì, riesce a tranquillizzarlo, Shelley (che si è sacrificata per tutti loro).
E invece è solo con il suo odio e con il suo cuore spezzato e non sa nemmeno per chi. Di chi sia la colpa. Sua, di Peter, di Letha, di sua madre. Di.
«Vado al cesso» biascica, posa il bicchiere sul bancone e schiva gli ospiti, uomini importanti, uomini che fanno affari con sua madre. Si lascia cadere contro il muro del bagno e fissa il lavandino mentre si accende la sigaretta.
Non riesce a smettere di pensare. Vorrebbe riuscire a mettere in off il cervello, cadere nel buio.
Letha e Peter che si baciano.
Letha e Peter che scopano.
Letha con il cazzo di Peter in bocca.
Dio non vuole che tu sia felice Roman.
E la nicotina gli riempie i polmoni.
Le dita di Peter che spogliano Letha.
Letha.
Prima la cerniera del vestito (quello argentato, quello che ha indosso ora), glielo sfila con violenza, con voracità, e a Letha piace quella passione, Peter le riempie la schiena di baci e scendescendescende.
«Stronzetto?»
Roman apre gli occhi, ha il cazzo in mano, mentre Peter lo fissa sulla soglia del bagno. «Tu sei-» ispira e Roman ansima leggermente, sulle labbra di Peter quel sorriso ironico di chi non si stupisce più di nulla – non quando si parla di Roman «completamente squilibrato».
Roman schiocca la lingua contro il palato. «E sbronzo».
Peter lo fissa ancora per qualche secondo, la testa inclinata, poi annuisce con un sogghigno distratto. «E sbronzo» conviene.
 
 
 
 
 
For long you live and high you fly
But only if you ride the tide
And balanced on the biggest wave
You race towards an early grave.
[The dark side of the moon – Pink Floyd]
 
È successo la scorsa estate.
Roman li ha visti. Lei e Norman. Olivia che gli passava l'indice sull'eccitazione, le loro labbra che si divoravano, e non era riuscito a togliere gli occhi loro di dosso, lì, dalla fessura della porta dello studio.
Quando Olivia (sua madre) si era piegata sulle ginocchia era venuto duro un po' anche lui. Non l'aveva detto a nessuno, nemmeno a Shelley e sopratutto non a Letha.
«Coglione».
Roman guarda Peter, non ribatte. Coglione.
Alle volte vorrebbe essere come Peter, così forte, e invece è debole, debole alla carne, debole nello spirito. Non è un drago Roman. È uno stronzetto viziato, nient'altro che quello.
Era stato Peter ad affrontare Christina, era stata Shelley a pagare per lui (loro).
Roman si porta di nuovo la sigaretta alle labbra.
Coglione.
Ride.
E forse sta sognando, forse tutto quello è solo un sogno, forse tutta la sua vita è un sogno, forse lui non è mai esistito.
«Ti porto di sopra» sente dire a Peter, mentre lo prende fra le braccia, come la Bella Addormentata, solo che il cazzo non glielo succhia. Ci sono gli scalini, la voce di Letha preoccupata («Sta bene?» e poi «Chiamo Olivia?» e la voce di Peter «È solo ubriaco, l'idiota, me ne occupo io») e il materasso sotto il suo culo da principino.
«Hai vomitato sulle mie scarpe».
Roman apre gli occhi, aggrotta le sopracciglia per focalizzare. «Non erano granché manco prima».
La risata di Peter gli rimbomba nella testa, si volta dalla parte opposta.
«Zingaro di merda».
«Cannato».
Roman affonda con la testa nel cuscino. «Non ho bisogno di nessuna fottuta baby-sitter».
Peter lo ignora.
«Erano le mie scarpe migliori».
«Non ti chiederò scusa».
Sbadiglia. «Lo so». Lo sente alzarsi e accennare qualche passo verso la porta, poi si blocca.
C'è solo una porta sbattuta e il buio che lo circonda.
E Roman lo sa che domani Letha, i capelli biondi di una dea e le labbra perfette incurvate in un sorriso dolce, gli chiederà se ha litigato con Peter. Ha litigato con Peter?
No.
È solo che tutto è così dannatamente incasinato.
Solo quello.
 
 
 
 
 
Recount the night that I first met your mother
And on the drive back to my house
I told you that, I told you that I loved ya
You felt the weight of the world fall off the shoulder.
[Still Into You – Paramore]
 
Fanno pace tre giorni dopo, la fanno silenziosamente perché fra loro non c'è bisogno di parole o di conferme, non ce n'è mai stato, fra loro è un continuo variegarsi di silenzi e stoccate (sangue e ferite).
«Cosa ci fai qua?»
C'è la luna piena.
«Ci sarà la luna piena questa notte» fa Roman, scuote le spalle. Vorrebbe dire volevo vederti, invece rimane lì, sulla soglia della roulotte, come un idiota, Peter lo fissa e per un attimo Roman pensa che lo picchierà, invece si scosta per lasciarlo passare.
«Come ti pare» dice, però sta sorridendo.
Lynda Rumancek lo fissa, sorride anche lei, quel sorriso un po' forzato che non riesce a impedirsi quando si tratta di un Godfrey. «Roman, sono felice che tu sia qui».
È una bugia, lo sanno entrambi, ma Roman decide d'ignorare quella consapevolezza perché alla fine non è importante.
Quindi c'è il brodo di pollo, le richieste di notizie su Shelley a cui non sa rispondere, lo sguardo di Peter su di lui e alla fine sono di nuovo fuori dalla radura. Dejavu, pensa Roman. Dejavu.
Vedere Peter trasformarsi è ancora qualcosa di terribile e meraviglioso insieme, lo sarà sempre. La pelle che si sbrindella come carta velina, i bulbi oculari che volano nell'aria, la carne rossa sull'erba e poi il pelo scuro e gli occhi gialli.
Si china per terra e accarezza il muso del lupo. È così bello Peter. Così dannatamente bello.
«Andiamo dentro» dice Lynda alle sue spalle mentre Peter sparisce nel bosco, Roman si issa di nuovo sulle gambe e si addormenta sul divano di Peter perché tutto in quel posto sa di Peter.
Peter.
Quando si sveglia ha la testa sul suo petto, è tornato umano e il sole della mattina gli illumina il viso.
«Stai bene?» si lascia sfuggire e lo sente ridere, gli occhi ancora socchiusi.
«Un po' stanco».
Roman ne studia la schiena nuda, i nei sulle spalle, tutto, ed è tutto così naturale (Peter, nudo, vicino a lui).
Ora Peter ha gli occhi aperti, lo fissa pigramente. «Ti eccita».
«Cosa?»
«Guardarmi mentre mi trasformo».
Roman non si sforza di negare – lo sa – Peter si volta dall'altra parte.
«Sei malato» fa, come se non fosse importante.
E forse non lo è davvero.
Roman ride contro la sua spalla, struscia i capelli e il naso. Cosa penserebbe Letha? Forse è semplicemente tutto confuso, lui è confuso, caotico, pieno di desiderio di qualcosa – di Peter, di Letha, di loro due insieme – e una parte di Peter lo deve avere intuito.
Forse è lui a voler essere loro, forse non sa con esattezza cosa voglia, perché Roman ha sempre lasciato che qualcuno scegliesse per lui. Come un topo di laboratorio desideroso di libertà per poi crepare una volta ottenuta.
«Peter?»
«Dormi».
Roman lo ignora. «Pensi che io sia una brutta persona?»
Peter si volta, lo fissa, negli occhi, i capelli scompigliati e così dannatamente belli. «Una persona bruttissima» sbadiglia, annoiato. «Sei il tipo più deficiente, viziato ed egocentrico che abbia mai incontrato. Non so davvero come mai continui a frequentarti».
«Forse perché ti scopi mia cugina» suggerisce Roman, dopo averci pensato un attimo.
Peter sogghigna fugacemente.
«Ah, già. Sì, forse».
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE DUE
 
The cycle repeated
as explosions broke in the sky
all that I needed was the one thing I couldn't find
And you were there at the turn
[Burnt It down – Linkin Park]
 
L'ufficio di Norman è spazioso, non troppo, Roman si divincola leggermente sulla poltroncina. È stata un'idea di sua madre, quella.
«A volte faccio pensieri che non dovrei fare» dice, scrollando le spalle e piena la gamba. L'orologio continua a fare click-clock.
Norman scarabocchia qualcosa sull'agenda. «Del tipo?»
Roman deve pensarci su. Pensa a Peter, al cazzo di Peter nel suo culo, a Letha, a sua madre e l'uomo che gli sta davanti in quel momento, alle cose che ha fatto, quelle che ha ferito, a Christina.
«Cose».
Norman sorride, quel sorriso che Roman conosce bene perché è il sorriso che gli rivolge da sempre. Quel sorriso che sembra dire “di me ti puoi fidare”, ma Roman sa che non è così, che ogni cosa che dirà sarà riportata a Olivia. Ogni cosa.
«Vuoi parlarne?»
«No».
Norman annuisce, sfoglia il fascicolo, quella è la loro quinta seduta.
«E i sogni?»
«Sempre uguali» mente. I sogni cambiano di notte in notte, piccoli dettagli, ma il sangue – il sangue dal suo avambraccio – c'è sempre. Poi c'è quello.
«Hai fatto di nuovo... quello su quella ragazza? Ashley, giusto?»
«Ashley Valentine. Sì».
«Ashley Valentine, già. L'idea ti eccita?» Le dita tamburellano sulla scrivania. «La fantasia dello stupro è molto comune, sarebbe normale».
Roman alza le spalle, si inumidisce le labbra. Ha voglia di ridere, ridere e alzarsi da lì, sbattere la porta, finirla con quella pagliacciata. «No, cioè, sì. Nel sogno sono eccitato, non voglio farle del male, non ho nessun reale motivo per farle del male, so solo che devo farlo perché è così che deve andare. Devo ferirla nel profondo, lo desidero».
«Lo desideri. E cos'altro desideri, Roman? Tutto, intendo».
I denti si conficcano nel labbro.
«Voglio che Shelley ritorni».
«E?»
«Alle volte- alle volte desidero che mia madre muoia».
«Ed è per questo che ti sei convinto di essere una brutta persona?» ribatte Norman, senza scomporsi, mentre Roman scuote la testa.
«No, non solo. Ho fatto delle cose, ferito delle persone».
Norman sorride. «Provi sensi di colpa?».
Roman lo fissa a sua volta e per un attimo a Norman sembra di nuovo il bambino sperduto di dieci anni che aveva paura del buio.
«No».
 
 
 
 
(«Alle volte- Alle volte posso far fare cose alle persone».
«Che tipo di cose?»
«Cose. Anche brutte. Quello che voglio»).
 
 
 

 
I'm worse at what I do the best
And for this gift I feel blessed
Our little tribe has always been
And always will until the end.
[Smell like Teen Spirit - Nirvana]
 
«Peter lo sa che hai cercato di ucciderti, Roman?»
È successo due settimane dopo Christina, quando il fatto che Shelley non sarebbe tornata era evidente.
Pasticche (troppe). Giù per la gola. Uno dopo l'altra. Sangue sul pavimento, ferita alla tempia. Dolore (piacevole).
«Gli ho detto che era stato un incidente. È quello che ha detto lei a Letha, no?».
«Perché non volevo ferirla. Tu non volevi ferire Peter?»
Alla fine la vita è qualcosa di così labile, di così sopravvalutato.
«Non ci ho pensato. In realtà non volevo che pensasse che fossi debole».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE TRE
 
It never has to question why or how
Total abandon, the love in my dreams
When I wake up I'm soaking in my sheets.
[Loud like love - Placebo]
 
E c'è quella puttanella nei bagni della scuola. Com'è che si chiama? Jenny, qualcosa del genere. Forse Fanny. Ha due enne e un ipsilon finali, comunque. Ed è solo sesso, sesso feroce, sesso senza senso. Tre esse.
Quando esce c'è Peter appoggiato al muro.
«Non è carino, sai» Roman si passa la lingua sulle labbra, distrattamente. «Origliare, cioè».
Peter lo guarda, come offeso, l'espressione fintamente scandalizzata. «Ti stavo facendo da palo! Mostrami almeno un po' di gratitudine».
Roman inclina la testa di lato, escono in cortile, percorrono i corridoi della scuola come due re, ignorando gli sguardi di diffidenza e disprezzo. Due esclusi, due diversi, abbandonati dal mondo.
Roman si accende la canna.
«Letha?»
«All'ospedale».
Roman inspira, si siede sui gradini. «Tu ci credi? Alla stronzata dell'angelo?»
Peter ride, quella risata roca di cui Roman è un po' innamorato. Quella risata che ascolterebbe per ore e anni. «Stai parlando con un lupo mannaro».
La verità è che Roman non è innamorato di Peter, lui è innamorato della bestia, dell'orrore, della scarica di adrenalina. Di quella parte di Peter che Letha non potrà mai avere perché è già sua.
Solo sua.
«A cosa stai pensando?» biascica, la schiena appoggiata alla parete, gli occhi sfarfallanti su Peter.
«A te. Un po' a tutto».
Roman sogghigna. «Il mio egocentrismo ringrazia».
Però un passaggio al ritorno glielo dà lo stesso e ci sono gli alberi e il cielo, le nuvole e il mondo che sfrecciano accanto a loro e il vento fra i capelli, c'è la risata di Peter nelle sue orecchie e le dita che gli sfiorano il ginocchio.
«Vieni?» gli urla Peter quando sono al limitare del bosco. «Mia madre è da Destiny».
E una parte di Roman sa come finirà. Sa che finirà per ferire qualcuno, ma non gli importa, non in quel momento. Invece Peter non sa come finirà, Peter è intuitivo, agisce d'istinto, come un animale.
«Vengo» sbadiglia e intanto un po' pensa alla stronzetta nei bagni che gli succhiava l'uccello e non sa perché ci sta pensando, alle volte i pensieri gli vengono su e non riesce a fermarli.
Peter mette su il caffè sui fornelli, Roman distende la gamba destra sul divano.
«Credo di essere incazzato con te».
Peter si volta, un sopracciglio inarcato e un sorriso ironico sulle labbra da zingaro. «Credi?»
Gli occhi di Roman si alzano verso il soffitto, esasperati. «Sono serio, non trattarmi con condiscendenza».
«Okay, sei incazzato con me» ripete Peter, annuendo, come se quel discorso avesse un fottuto senso (ma quando mai c'è qualcosa che ha senso quando si tratta di Roman?). «Perché?»
Roman scuote le spalle. Che cazzo ne sa. È incazzato e basta. Forse per Letha, forse perché quello per cui prova veramente rabbia è solo se stesso. Che importanza ha?
Sente Peter sospirare, la teiera fischia, lo sguardo di Peter è su di lui. «Sei l'idiota più complessato con cui abbia mai avuto a che fare» sbuffa, poi gli sfiora le labbra con le sue.
Quello è un bacio?
Roman non lo sa.
«Perché?» si lascia sfuggire e Peter ride contro il suo orecchio.
«Perché sei mio amico».
E alla fine va bene così.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
This is my last communicate
down the super highway
all that I have left to say
in a single tome.
[Too many friend - Placebo]
 
Il sangue gocciola sulle mattonelle. Le colora.
Studia il suo riflesso nello specchio, il taglio che gli attraversa il petto.
È tutto così rosso.
Un'opera d'arte.
E brucia. Brucia come il fuoco.
Sua madre lo guarda dalla soglia della stanza, rotea gli occhi. «Roman» esala, con quel tono che si usa con un bambino disobbediente. «Io poi non pulisco».
Roman non risponde.
«C'è il tuo amico, quello là» continua Olivia, roteando una mano dalle dita affusolate e perfette per aria, come a scacciare una mosca fastidiosa. «Possibile che sia sempre qui?»
 
 
 
 
(«Io- io sono una brutta persona».
«Non dire stronzate, Roman. Tu sei una persona bellissima». Lo sguardo di Letha su di lui, quello sguardo ingenuo e così fastidioso. «Tu sei un angelo, Roman»).
 
 
 
 
«Facciamo i passivi a turno, Ma', te l'ho già detto».
 
 
 
 
(«Alle volte- Alle volte posso far fare cose alle persone».
«Che tipo di cose?»
«Cose. Anche brutte. Quello che voglio»).
 
 
 
 
Dio non vuole che tu sia felice, Roman.
Vuole che tu sia forte.
 
 
 
 
 

 

   
 
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