Ed ecco
che, dopo tante esitazioni, dopo mille dubbi, mi sono decisa a
pubblicare questa mezza fanfic. Avrebbe potuto trasformarsi in una
longfic, ma ho deciso di lasciarla così sotto consiglio di
una mia amica. Ci sono temi che volutamente non ho trattato,
ignorandoli. Non me ne vogliate, è stata una pura scelta di
stile.
Gea Kristh
Il
mio corpo era coperto di una patina di
sudore; deglutii a fatica, avevo la gola molto più secca di
quanto credessi
fosse possibile.
Sentivo
i miei muscoli guizzare senza che il
mio cervello inviasse loro il minimo impulso. Crampi continui mi
avevano paralizzato
le articolazioni, rendendomi incapace di qualsiasi movimento.
Respirare
mi costava fatica, e tuttavia non
riuscivo a smettere di ansimare disperatamente. Il mio petto si alzava
ed
abbassava freneticamente, seguendo battito aritmico del mio cuore.
Ero
in preda al dolore più letale che il mio
povero corpo avesse mai sopportato. Molto più terribile di
quanto la mente
umana possa immaginare senza aver provato l'esperienza.
E
avrei voluto gridare, ma ne ero incapace.
Non ricordavo come si facesse. Nulla. La mia mente era vuota. Solo
dolore, che
mi rendeva incapace di pensare a qualsiasi altra futile cosa.
I
miei occhi bruciavano, come consumati da
fiamme. Vedevo, ma il mio cervello era incapace di registrare le
immagini. E
sentivo anche, nonostante il martellante ritmo del mio cuore e lo
scrosciare
del mio sangue nelle vene sembrasse riempire l'aria. L'aria... i
polmoni erano
preda del fuoco più intenso. Ogni respiro era una sofferenza
immane.
Sapevo
che avrei dovuto sentire calore. Ma ciò
che provavo era solo gelo. E non era un ghiaccio lenitore né
benefico, bensì
rovente più delle fiamme stesse.
Sarebbe
stata una liberazione svenire, o
almeno che la sofferenza cessasse di aumentare. Ma rimasi lucida.
Meglio:
rimasi cosciente. Cosciente delle fitte lancinanti e costanti che
contorcevano
le mie membra.
Il
tempo aveva cessato il suo corso. Non so
quanto esattamente rimasi in quello stato degradante, ma ricordo
distintamente
quando, ancora circondata da quel dolore indimenticabile, avvertii un
cambiamento.
Ci misi più di qualche minuto, forse ore, a rendermi conto
di cosa, quel cambiamento fosse.
Poi
realizzai, e fu un fulmine a ciel sereno, per così dire. Non
udivo niente. Il
mio cuore aveva smesso di battere.
Da
quel punto in poi il dolore andò
diminuendo, sebbene, in preda alle convulsioni, non me ne rendessi
conto.
Fu
improvviso. Tutto svanì come era comparso.
Rapidamente il mio cervello realizzò che giacevo su qualcosa
di morbido; avevo
gli occhi chiusi, ma non ricordavo quando le mie palpebre si erano
abbassate.
Fu
altro, tuttavia, a sconvolgermi nel
profondo.
Per
primo, mi accorsi di udire. Uno
scricchiolio del parquet, due passerotti che cinguettavano, il vento
tra le
chiome degli alberi, voci sommesse, tonfi e stridii. Tutto era
amplificato, ed
io riuscivo a cogliere ogni sfaccettatura di quella sinfonia.
In
pochi secondi mi resi conto di qualcosa
che, però, mi causò un sobbalzo impercettibile:
non respiravo. E non ne sentivo
nemmeno il bisogno, a dirla tutta. Mi concentrai un poco sui miei
polmoni, e un
lento e placido respiro mi carezzò, forse fin troppo pacato,
ma tuttavia
piacevole. Un’incredibile quantità di odori mi
colpì. Sentivo il profumo della
terra, dell’erba, dei fiori; aromi conosciuti e sconosciuti.
Ma, sopra ogni
cosa, sentivo forte, inebriante, il fantastico odore di lui.
Mi
resi conto che doveva essere lì, accanto a
me. Il mio bellissimo angelo…
Aprii
gli occhi e mi sembrò di vedere per la
prima volta nella mia vita. Guardavo il soffitto della camera di
Edward. C’era
sempre stata, quella macchia più scura? E quella sottile
crepa? Spostai il mio
sguardo sul resto della stanza. Fu meraviglioso vedere quanta luce
inondasse
l’atmosfera. Mi trovai a sorridere, facendo guizzare lo
sguardo in ogni parte.
E, mentre osservavo ogni dettaglio come una bambina alle sue prime
esperienze
di vita, il profumo intenso di lui mi entrava nei polmoni. Volevo
vederlo. Non
mi importava quanto orribile sarei apparsa ai suoi occhi, dopo notti di
dolore
e sudore. Volevo stringerlo a me e dirgli quanto lo amassi. E volevo
sentirmi
dire che anche lui mi amava, e che saremmo rimasti insieme, per sempre.
Mi
tirai a sedere, facendo scivolare il morbido lenzuolo che mi copriva
lungo il
mio busto. Non mi resi conto immediatamente di quanto fluido e rapido
il mio
movimento fosse stato.
Cercai
lui con lo sguardo, ancora non abituata
a quelle nuove sensazioni. Quando infine i suoi occhi incrociarono i
miei,
tutto il mondo smise di esistere.
Edward
mi fissava con le labbra socchiuse,
seduto su una poltrona accanto al letto. Ed era bello, bellissimo. Si
alzò,
senza una parola, e venne verso di me. Lentamente, un passo alla volta.
Si
sedette sul bordo del letto, e mi passò le braccia attorno
al corpo,
attirandomi a lui. Mi ritrovai circondata dal suo profumo, che entrava
in me,
donandomi sensazioni mai provate. Il mio corpo era scosso da brividi.
Lo
strinsi a mia volta, sentendo forte il
bisogno di sentirlo vicino a me. Una morsa mi strinse la bocca dello
stomaco.
La familiare emozione che mi coglieva ogni qualvolta ero assieme a lui
non mi
aveva abbandonata affatto: era lì, ferma e potente.
La
sola presenza di Edward mi intossicava. Era
la mia droga, e io ne ero assuefatta.
Prese
a carezzare lentamente la mia schiena,
le mani lievi come ali di farfalle, e per riflesso poggiai il capo
nell’incavo
della sua spalla. Il profumo della sua pelle mi dava alla testa.
Poggiai un
bacio leggero sulla sua spalla.
Mi
accorsi con stupore che la pelle del mio
Edward non mi sembrava più così fredda, ora.
«Ti amo» lo sentii sussurrare, e il suo
fiato mi carezzò,
facendomi rabbrividire.
«Ti amo» risposi allo stesso modo.
Edward
mi scostò un po’ da se, solo per poter
poggiare la sua fronte sulla mia. I suoi occhi socchiusi, fissi nei
miei,
esprimevano sentimenti diversi. Le sue iridi erano di un color topazio
dalle
mille sfaccettature diverse. Vi leggevo amore, dolcezza, ma anche
sofferenza e
dolore.
Gli
sorrisi timidamente. Alzai una mano, per
potergli carezzare con un movimento delicato una guancia. Lui chiuse
gli occhi,
e inspirò profondamente.
Le
sue labbra erano socchiuse, così invitanti
da essere irresistibili. Mi avvicinai inconsciamente. Edward sorrise,
con quel
suo sorriso sghembo capace di farmi impazzire. Prese il mio viso con le
mani,
e, con estrema dolcezza, posò un bacio sulle mie labbra. Mi
sentii morire.
«Potrai mai
perdonarmi, amore mio?»
la sofferenza che i suoi occhi esprimevano mi colpì
improvvisamente.
Non capivo. La mia incertezza doveva essere evidente, perché
continuò:
«Ti
ho
trasformata in un essere senza pace, angelo mio. Non ho nemmeno il
diritto di
sfiorarti, con queste mani peccatrici.»
Lo
osservai
sconvolta per un istante. Davvero era questo ciò che lo
tormentava? Abbassò gli
occhi.
«Edward»,
gli risollevai il viso con un gesto delicato, ma fermo. Quando
incrociai
nuovamente il suo sguardo dorato la potenza del suo pentimento mi fece
quasi
del male fisico. «Sono felice che tu l’abbia
fatto.»
«Perché?
Perché non sei infuriata con me?» la sua voce era
rabbiosa ora, tuonante. Il
suo corpo fu scosso da un fremito, e si accasciò sulla mia
spalla. «Perché?».
Lo
strinsi
forte a me, cercando di trasmettergli tutto l’amore che
provavo per lui.
«Perché
dovrei essere arrabbiata con l’amore della mia vita?
Perché, quando ha solo
realizzato il mio sogno? Perché, se sono così
immensamente felice e innamorata?».
Gli sorrisi quando lui alzò il volto per fissami.
«Non
sentirti in colpa, amore mio. Ti prego. Io non sono mai stata
così felice in
vita mia… Perché ora, e per sempre, posso stare
con te.» Era vero. Ero felice,
felicissima. Ma l’ombra della sua tristezza prosciugava ogni
briciolo della mia
gioia.
«Ti
amo.»
mormorò, prima di baciarmi ancora. Le mie braccia
scivolarono attorno al suo
collo. Era un bacio diverso da quelli a cui ero abituata. Un bacio in
cui misi
tutta la passione che avevo in corpo. Sentii la lingua fresca di Edward
carezzarmi il palato, e giocare con la mia. Era come se il mio cuore
fosse
tornato a battere ancora, solo per lui.
«Ho
paura
Ed…» mormorai, stretta nel suo abbraccio.
«Ne
hai il
diritto, ed è solo colpa mia.» ogni sua parola era
intrisa di un dolore
straziante.
«Oh…
no! No,
non intendevo questo. Non pensarlo mai.»
Edward
mi
scostò da se, per guardarmi negli occhi. Gli sorrisi, e se
avessi potuto
arrossire sarei di certo divenuta più simile ad un pomodoro
maturo che a una
persona comune.
«Sarò
sempre
accanto a te Bella. Non lascerò mai che niente possa farti
del male.»
Chinai
il
capo. La mia voce fu poco più di un sussurro, tanto che
credetti non avesse
potuto sentirmi. «Ho paura... di non piacerti Ed. Non ho
più un cuore che
batte, o il profumo del mio sangue… non posso arrossire, non
sono calda.» Un
singulto mi scosse. Sapevo che Edward mi amava. Eppure la paura che lui
non mi
trovasse attraente era costante.
«Sciocca.»
mi carezzò dolcemente i capelli, chinandosi per posare le
sue labbra sulla mia
testa. L’ombra di un sorriso gli aveva increspato gli angoli
della bocca. «Ti
amo più di qualsiasi cosa in questo mondo. E sei bellissima,
angelica, molto
più di quanto le parole non possano descrivere…
tanto da dovermi controllare
per non saltarti addosso.» Sorrise, e lo feci anche io.
«Ti
amo.»
«Non
mi
stancherò mai di sentirmelo dire.»
Mi
baciò
ancora, e ancora. La dolcezza del suo sapore mi diede alla testa, e non
riuscii
più a pensare coerentemente. Sentii la morbidezza del
cuscino premere contro la
nuca. Edward mi sovrastava, il suo peso tutto sugli avambracci, ai lati
della
mia testa.
Sentii
il
rumore di una porta che sbatteva, e di passi veloci lungo le scale. Non
vi
prestai molta attenzione, finché un uragano non si
abbatté sulla porta della
stanza di Edward, spalancandola con un tonfo assordante.
Ed
si staccò
di malavoglia da me, e un basso ringhio gli nacque dal petto.
Ridacchiai.
«Bella!!
Oh
mio Dio! Fatti vedere!» Alice ignorò completamente
le occhiate assassine del
fratello, con un sorrisone a ottomila denti stampato in volto. Dire che
era
raggiante era poco.
«Ali!
Come
stai? Mi sembra un secolo che non ci vediamo!» decisi di
assecondarla, tanto ormai
l’atmosfera romantica era andata a farsi benedire. E poi
avevo voglia di
rivedere tutti quanti. Quanto era passato dal morso? Erano accanto a me
ed
Edward in quel momento.
Il
mio
angelo dai capelli di bronzo si scostò da me con una smorfia
in viso. Gli
sorrisi divertita, lui sbuffò.
«Io?
Io sto
benone! Tu piuttosto… Ma guardati, sei una
meraviglia!!»
Fu
allora
che mi ricordai di un fatto: il mio aspetto era cambiato. Ero anche io
bellissima come gli altri Cullen? Ne dubitavo, ma la
curiosità mi spinse a
muovere le gambe per uscire dal letto. Indossavo una camicia da notte
di seta,
che indubbiamente non era mia. Una volta fuori dal lenzuolo notai
quanto snelle
e toniche le mie gambe fossero. Mi sorprese anche di più il
colore della mia
pelle: lattea, molto più di quanto già non fosse.
Mi sollevai in piedi,
aspettandomi di avere i muscoli intorpiditi dalle ore passate nel
letto. Non
era così. Il controllo che avevo sui miei arti mi
scioccò. Alzai una mano,
portandomela all’altezza degli occhi. Fissai con mente vuota
le lunghe dita
affusolate, le unghie perfette, la pelle priva di imperfezioni.
Possibile?
Strinsi la mano a pugno. Sentivo una forza che mi era estranea.
«E’
strano?»
mi chiese Edward con un sorriso sulle labbra. Voltai la testa nella sua
direzione,
sorridendogli a mia volta.
«Non
immagini quanto.»
Lui
ridacchiò. «Oh… penso di averne
un’idea.»
Alice
senza
una parola mi prese per mano e mi trascinò verso la porta
del bagno. Una volta
dentro mi indicò lo specchio, trepidante
nell’attesa di vedere la mia reazione.
Sgranai
gli
occhi non appena mi voltai in quella direzione.
Ero
io? Ero
davvero io? Mi mossi verso la mia immagine riflessa, non sapendo cosa
pensare.
Mi sentivo un’estranea. Non era semplicemente possibile.
La
mia pelle
era completamente bianca, e solo le occhiaie violacee spiccavano su
essa.
Ricordavo iridi color cioccolato fondente… Quelle che ora
erano tinte di
sangue, un colore che mi dava i brividi. Mi terrorizzò
pensare che quelli
fossero i miei occhi; ma, contemporaneamente, mi affascinò
immensamente. Lunghe
e folte ciglia scure davano un’aria sensuale al mio sguardo.
Se ne fossi stata
in grado, sarei certamente arrossita. Le mie labbra erano
più carnose di quanto
non le ricordassi. Molto di più.
I
capelli… i
capelli erano veramente qualcosa. Scossi il capo, e ciocche boccolose e
morbide
seguirono il mio movimento, scintillando di riflessi rosso rame alla
luce della
stanza. Erano lunghi, più di quanto non lo fossero i miei, e
brillanti.
Descrivevano curve così perfette…
Seguii
con
stupore crescente la curva del mio collo e giù, sul seno, il
ventre piatto, i
fianchi, le gambe. Non ero cresciuta in altezza, comunque, almeno
qualcosa non
era cambiato dalla vecchia me.
La
vecchia
me… possibile che Bella Swan e questa modella riflessa nello
specchio fossero
la stessa persona?
Mi
voltai,
ancora in fase di shock, verso la porta del bagno, solo per accorgermi
che
tutta la famiglia Cullen era intenta a fissarmi, con sorrisi tra il
divertito e
lo stupido stampati in volto.
«Benvenuta
ufficialmente nella famiglia, cara.» Esme mi venne incontro e
mi abbracciò,
come una madre. Ero quasi commossa. Ricambiai la sua stretta,
sentendomi
davvero a casa. Una mano si posò sulla mia spalla. Mi
voltai, incrociando gli
occhi di Carlisle.
«Benvenuta
Bells.» mi regalò un sorriso caldo, che mi fece
stringere il cuore,
metaforicamente parlando.
«Ehi
piccoletta… ma sai che poco poco e non ti riconoscevo? No,
davvero, sei uno
schianto!» Emmett mi fece l’occhiolino e io risi di
cuore, correndo a stringere
anche lui.
Poi
fu il
turno di Alice, che mi reclamò per se con un “Ehi,
Emm, hai intenzione di
monopolizzare la mia nuova sorellina?!”.
Abbracciai
anche Jasper, che con il mio cambiamento non aveva più il
problema di dovermi
stare alla larga. «Benvenuta in famiglia
sorellina.»
Mi
voltai
verso Rosalie, non sapendo cosa aspettarmi. Ciò che vidi mi
diede un immenso
piacere. La bionda sorrideva. Sorrideva verso di me. Io non potei fare
a meno
di risponderle allo stesso modo.
«E
così non
mi hai dato ascolto, eh?» mi sussurrò mentre mi
abbracciava anche lei, come gli
altri, accettandomi in famiglia. «Spero che non te ne penta
mai.»
E
poi… poi
c’era Edward. Mi osservava con quel suo sorrisetto sghembo,
così incantevole da
farmi dimenticare di respirare.
No Rose… Non me ne sarei pentita. Mai.
----- Fine -----
Ed
ecco la fine di questa pseudo-storia! Se avete avuto la pazienza di
arrivare fin qua allora vuol dire che avete taaaanta pazienza. E
perché a questo punto non lasciare un commentinino? ^.^
Un
grosso saluto; alla prossima,
Gea
Kristh
a.k.a.
Bea-chan