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Autore: LonelyWriter    27/10/2013    0 recensioni
L'ingresso di Eric nell'accademia collide con una serie di eventi misteriosi, che renderanno il suo cavalierato più difficile del previsto. Da quando un uomo che si fa chiamare L'emissario ha fatto la sua comparsa al castello del re, la quotidiana monotonia degli abitanti di Lilrest si trasforma lentamente in un incubo ad occhi aperti.
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-"Ma tu..."- Fece una pausa per recuperare fiato. -"Chi sei?"-
Ggli si avvicinò, ignorando il sangue che spillava dal polso del capitano, imbrattandogli gli schinieri.
-"Io, sono l'emissario."- Il suo tono suonava così ovvio che si sentì stupido ad averlo chiesto.
La sensazione fu cancellata subito dopo dalla spada dell'emissario, che pitturò un altra lunga lingua di sangue sul pavimento lucido, recidendogli la testa.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Una misteriosa vibrazione svegliò Eric, quella mattina. Solo tre minuti lo distanziavano dal suono della sveglia, fissata il giorno precedente. Si tirò a sedere in ascolto. 
Nulla più che il silenzio regnava intorno a lui. Pochi raggi di sole riuscivano a filtrare dalle persiane chiuse, rivelando qualche corpuscolo fluttuante, nell’aria dal sapore salmastro. 
Come una piccola corrente elettrica, qualcosa aveva scacciato il suo torpore mattutino. Fu colto di soprassalto dal trillo della sveglia, che venne scaraventata via per punizione. 
Cos’era successo? Sentiva come se si fosse scordato qualcosa e cercasse di ricordare, ma il pensiero era troppo sfuggente. 
Come il ricordo dei sogni appena fatti, l’immagine se la diede a gambe nei recessi della sua mente. Così si arrese, imputando quella sensazione di vuoto alla sua partenza da casa 
ed all’inizio del suo addestramento. Era la fine dell’estate; lui si trovava in una casa al mare con la zia, Ginervra. 
Quale importante data era oggi! Sarebbe stato il suo primo giorno nell’accademia nera. Si era trasferito nella casa della zia perchè era molto più vicina all’accademia. 
Il viaggio dalla casetta in campagna fino a lì era stato scomodissimo, ore interminabili su un carretto di legno che andava a passo d’uomo. 
Da lì però, erano solo un paio di ore a piedi per i dormitori dell’accademia.

Osservò il sacco un po’ scucito in cui teneva le sue cose. Si confondeva perfettamente con il resto della casa, impolverata e vecchia. Come sua zia del resto.
 
-”Eric svegliati! Devi essere all’accademia per le undici!”- La tremolante voce della zia lo raggiungeva perfettamente attraverso le spaziate assi di legno del pavimento. 
 
Guardò l’orologio meccanico gettato contro la parete. Le otto. Non poteva perdere quell’appuntamento, accadeva solo una volta ogni due anni. 
Con una smorfia, scostò le coperte rugose, aprì le persiane e cominciò a vestirsi. Nonostante l’ora, il sole infondeva già un calore apprezzabile ed i raggi luminosi gli scaldarono 
la pelle scoperta, mentre indossava i suoi abiti di tela. Scese al piano di sotto, nell’unico stanzone di cui era composta la casa. Le assi incrostate di salsedine scricchiolavano appena, 
sotto i suoi piedi. 
 
-”Ah, eccoti qui. Accidenti sei un disastro.”- Commentò Ginevra cercando di sistemargli i capelli castani, completamente scompigliati e resi stopposi dall’acqua di mare. 
Il giorno prima si era dovuto tuffare in acqua per lavarsi via la terra dei suoi campi, che lo faceva sembrare un  contadino ridotto alla fame. Prese una mela dal cestello sul tavolo, 
salutò la vecchia zia e si diresse di buona lena verso l’accademia. L’aria limpida e pulita gli permetteva di vedere in lontananza, sulla collina, le imponenti torri della scuola. 
Era un po’ spaventato all’idea di dover fronteggiare l’esame di ammissione. Inoltre sua madre lo aveva avvertito che la maggior parte dei partecipanti all’accademia 
erano di famiglia nobile, e probabilmente avrebbe avuto difficoltà ad integrarsi. Scosse la testa scacciando quelle inutili preoccupazioni.
 
Il sole era ancora distante dallo zenit quando raggiunse la sua meta. Un sostanzioso gruppo di giovani era ammassato sullo spazio erboso antistante la struttura. 
Il massiccio ponte levatoio, ancora alzato, impediva ogni accesso. Si guardò attorno spaesato. Molti già indossavano corazze decorate, che splendevano al sole, 
lanciando bagliori accecanti dal carattere sprezzante, almeno quanto la nobiltà di chi portava l’armatura. Tra loro vi erano alcuni che avrebbero potuto sollevarlo di 
peso con una sola mano. Eric aveva un fisico atletico, ma magro, che non offriva alcuna sfida a quegli energumeni. Per questo, lui era un mago.
 
Il ponte levatoio si abbassò lentamente, emettendo un tonfo sonoro quando poggiò sui solidi pilastri di sostegno. 
La folla rimase col fiato sospeso, conferendo all’evento un importanza quasi magistrale. Fino ad allora Eric era rimasto un pò in disparte, preferiva non disturbare i rampolli 
delle famiglie reali e nobili, che già da lontano lo guardavano di sbiego. 
Passare inosservato lo avrebbe tenuto lontano dai guai, evitandogli di divenire un mero oggetto di spettacolo per i suoi altezzosi compagni.  
Nessuno vestiva pantaloni di sacco, come lui. Dal fondo del lungo ponte levatoio, avanzò con passo pesante un nero figuro. 
Coperto quasi interamente da un armatura nera, un uomo dal volto nerboruto marciò fino al centro del ponte. Aveva tre cicatrici sulla faccia,  due sulla guancia destra, 
perfettamente verticali, ed una che gli attraversava l’intero viso, in  diagonale.  Folti capelli grigi, si raccoglievano in una coda lunga fino alle scapole. 
 
-”Reclute!”- La sua voce risultava tonante anche da dove si trovava Eric. L’uomo fece una pausa, osservando il gruppo di fronte a lui, che lo ascoltava con 
un silenzio degno di un gruppo di sassi.
 
-”L’accademia di fronte a voi, sarà la vostra vita, la vostra gioia, la vostra sofferenza e l’unica vostra preoccupazione per i prossimi quattro anni. Ponderate la vostra scelta. 
Di qui, prima della nomina, si può uscire solo orizzontali.”- 
 
Detto questo, fece dietrofront diretto nel cotrile d’ingresso del castello. Dopo un attimo di esitazione fu seguito dai primi spavaldi aspiranti, che attirarono il resto della folla. 
Eric si diresse per ultimo ad attraversare il ponte. Era ancora a metà, quando il ponte cominciò lentamente a sollevarsi. Ma non fu questo ad interrompere la sua andatura tranquilla. 
Gli era parso di aver sentito qualcuno gridare. 
 
-”No!”- Sentì ancora. Si girò. Dalla stradina sterrata un ragazzino poco più giovane di lui correva a pedifiato verso il ponte.  
 
-”Aspettate!”- Urlò ancora, rauco per l’affanno.
 
Il ponte non smise di salire. Eric guardò avanti, dove il gruppo aveva ormai raggiunto l’entrata e si schierava lentamente nel cortile. Alcuni si erano girati per osservare la scena, divertiti.
Guardò di nuovo indietro indeciso. Dopo una manciata di secondi scattò verso l’esterno, risalendo il ponte inclinato. Si affacciò al bordo. Il giovane era quasi arrivato. 
Tese la mano fuori dalla spalletta, mentre la pendenza del ponte cominciava a diventare pericolosa. Il ricciolino spiccò il salto senza esitare, incurante del fossato melmoso sottostante. 
Per un attimo Eric perse il fiato, mentre un braccio esile si afferrava al suo. Il ponte cominciava ad alzarsi velocemente. Cercò di tirarlo su, ma nonostante il ragazzino fosse leggero, 
non ci riuscì del tutto. Freneticamente l’altro cominciò ad aggrapparsi alle spalle di Eric, perfino con le unghie, ed infine si issò oltre il bordo. Il ponte era ormai a metà del suo cammino. 
Cadere da una simile altezza avrebbe certo comportato almeno qualche arto fratturato, se non peggio. Eric cominciò a rimpiangere la sua scelta. Scivolarono verso il basso, 
cercando di tenersi al legno liscio. Arrivati a metà del ponte l’inclinazione fu troppo grande e precipitarono verso il selciato del cortile. 
Ad Eric mancò il fiato per gridare; ancora una decina di metri li separavano dal terreno. Chiuse gli occhi preparandosi allo schianto. 
Con sua grande sorpresa, atterrò su una patina molliccia ed untuosa. Trasse un  sospiro di sollievo e riaprì gli occhi. Una schiuma verde e gialla si dissolveva lentamente
emanando un odore leggermente sgradevole. Davanti a lui stava, in piedi e sorridente il ricciolo che aveva appena aiutato. Vestiva di semplice tela, come lui. 
Era sporco di terra e fango, visibilmente sudato, ed emanava un vomitevole odore di sudicio. Mentre recuperava fiato, indicò del vetro rotto che si celava sotto la schiuma, 
ormai quasi completamente dissolta.
 
-”Rick, alchimista.”- Gli tese la mano continuando a sorridere. Eric la strinse, rialzandosi.
 
-”Eric, mago, suppongo.”- Rispose lui con voce incerta, ancora incredulo di essere intero.
 
Li guardavano tutti. Alla faccia del passare inosservati, pensò Eric.

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Fatemi sapere cosa ne pensate! :3 Al prossimo capitolo!

 
  
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