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Autore: AlyssaR    28/10/2013    2 recensioni
È l’alba del sesto anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Harry, Ron ed Hermione si trovano davanti alla consapevolezza che quella che hanno sempre chiamato ‘casa’ li costringe ad una normalità in cui non si riconoscono: fuori Voldemort è tornato, arruola seguaci e pianifica senza sosta. Dall’interno, la tensione fra gli amici si tende fino quasi allo spasimo, mentre Malfoy, che era stato avvistato da Magie Sinister prima dell’inizio della scuola, si comporta in maniera sospetta. Cosa sta nascondendo? La festa di Halloween, da sempre teatro di grandi rivelazioni all’interno della Saga, mostrerà anche quest’anno una sconcertante epifania per gli occhi di chi sa vedere.
Fanfiction arrivata terza al contest "Festività ad Hogwarts".
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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DIFFERENZE, ANALOGIE
 
Il penetrante odore di camino, cuoio e pergamene che saturava l’aria della Sala Comune di Grifondoro era, per Hermione Granger, sinonimo di nido e ospitalità. Non avrebbe saputo come altro definire quel calore avvolgente, quella luce guizzante e dorata che invitava al torpore di un sonno senza incubi. Lei lo assimilava al senso di spossata calma che le scendeva dentro le ossa ogni volta che poteva dire a se stessa, con un sospiro, che sì, anche quella giornata era finita e che stavano tutti bene.
Hermione stiracchiò le gambe sotto un grosso tavolo della sala Comune, il suo preferito, dove era solita fare i compiti. Non era molto comodo, in realtà, perché gli studenti, da che Hogwarts era Hogwarts, credevano di vincere la morte e la memoria incidendovi sopra il proprio nome, con il rischio che la piuma appuntita, incontrando un solco particolarmente profondo, vi s’incagliasse e macchiasse il compito. Eppure lei si sentiva una privilegiata: poteva ancora guardare, abbracciare con un unico sguardo tutto il tempo che era trascorso, osservare speranze e sogni racchiusi nelle vesti di nomi spigolosi e sbrecciati, passarvi i polpastrelli con devozione, odorare gli effluvi d’inchiostro e pozioni che esalavano dal tavolo massiccio, duramente provato nei secoli da mani maldestre. Non lo aveva mai confessato, ma erano questi dettagli a farla sentire incredibilmente viva; non un granello di polvere che segue il tornado della Storia, ma un nerbo vitale capace di risalire la corrente per merito delle sue brillanti intuizioni e del suo dedito studio. Non era forse un merito essere sopravvissuti ai loro sedici anni?
La sala comune di Grifondoro era un meraviglioso coinvolgimento multisensoriale che la tranquillizzava e la avvolgeva come una coperta calda e vecchia, modellata sul suo corpo dall’usura continua degli anni. Dalla sua posizione il calore del camino le pizzicava la nuca, un chiacchiericcio ovattato e sonnolento le riempiva le orecchie, l’odore di pergamena e inchiostro le colmava le narici, i colori degli arazzi della Sala comune diventavano come macchie brune e pastose, quando la sera calava e toglieva alla iattanza dei rossi la capacità di risuonare come campane nel silenzio.
-Macchie. Come la loro percezione della realtà, incoerente e incompleta-
Hermione alzò gli occhi dal compito di storia della Magia per posarlo, colta da un’improvvisa, traboccante emozione, sui suoi amici di sempre. Quella sera era riuscita, probabilmente graziata da Godric in persona, a coinvolgere Harry e Ron nella sua “serata studio”. Non le importava che Ron stesse leggendo una rivista di Quidditch malamente trasfigurata in un tomo di Pozioni e che Harry non stesse disegnando una complessa mappa per Astronomia, ma una strategia d’attacco per la prossima partita.
Loro tre erano lì.
Il nodo di emozione che le stingeva la gola quasi le impediva di respirare; quella era una serata normale, in cui erano riusciti a ritagliarsi uno spazio solo loro, fatto di silenzi e qualche occhiata affettuosa e complice.
Eppure era solo una sensazione effimera e fugace, straniante addirittura, perché sapevano benissimo che non erano tempi normali, quelli. Se le avessero chiesto di definire quei momenti preziosi, lei avrebbe giurato di trovarsi nell’occhio del ciclone, nella quiete prima che si scateni la peggiore delle tempeste: Dio solo sapeva quanto avesse ragione.
Harry, con quell’empatia tutta sua, alzò lo sguardo in tempo per cogliere quello di Hermione e sorriderle vagamente, timido e dolce. Lei ricambiò un sorriso breve, prima di rituffare la testa sul suo compito per nascondere ciò che provava, quasi avesse il timore di rompere quell’equilibrio incredibile in cui galleggiavano una dolce sera d’inizio Ottobre. La commozione andò a pungerle gli occhi sotto forma di aghi incandescenti, fino al punto di farle percepire il suo compito, il tavolo e la piuma come macchie indistinte sulla propria retina.
-Macchie, come quelle sulla sua coscienza, indelebili, ogni volta che pensava di aver fallito-
Harry, così onesto e gentile, aveva subìto più perdite di quanto anima umana avrebbe potuto sopportare. Eppure era sempre così generoso con tutto quello che aveva, con quei suoi sorrisi disarmanti, ed Hermione si chiedeva sempre più spesso come avesse fatto a mantenere quell’aura di dolcezza e impacciata galanteria nonostante il dolore divorante che doveva aver provato. Dopo la morte di Sirius, lei aveva pianto. Pianto per l’ennesima vittima, pianto per l’ennesima perdita che Harry aveva subìto, così duramente punito per aver soltanto osato immaginare un futuro diverso per se stesso. Aveva pianto per lui, Hermione, e per la paura. Quella di trovarsi di fronte un estraneo, lei che non aveva nulla, nemmeno radici magiche da cui cercare riparo e nutrimento.
-Sanguesporco, macchie di una colpevolezza originaria nei suoi sentieri di vene sbagliate-
E se la disperazione avesse inghiottito la scintilla vitale dei suoi occhi verdissimi? Se lei non l’avesse riconosciuto? Se lui non l’avesse riconosciuta? Lo aveva veramente perso con un ultimo, doloroso strappo? Stavano perdendo tutto, giorno dopo giorno, la realtà scivolava via come lacrime nella pioggia[1]. Invece Harry era rimasto lì. La disperazione gli aveva velato lo sguardo e l’amarezza gli aveva incurvato le labbra, la fronte -Dove gridava una macchia a forma di saetta, simbolo di morte e di colpe auto inflitte- era rimasta lievemente increspata fra le sopracciglia. Aveva tentato, davvero, di medicare le sue ferite, di fargli stendere le labbra in una risata spensierata e liberatrice, di appianare la sua piega sulla fronte, di dargli tutto il supporto di cui era capace.
-Eccole, le macchie sulla sua coscienza: non ci era mai riuscita davvero e non riusciva neppure a perdonarsi il fallimento. Né importava che la sua testa le urlasse che alcune ferite, semplicemente, non possono guarire; il suo cuore, o il suo istinto da prima della classe, non contemplava una disfatta. Non con Harry.-
Eppure Harry le sorrideva, ed Hermione credeva quasi fosse un miracolo, lei che faceva sempre più fatica ad alzarsi dal letto la mattina, si chiedeva dove lui trovasse la forza. Erano il suo orgoglio da leone e il disperato senso di protezione che provava per Harry e Ron a farla apparire così solida e determinata ai loro occhi. Certe volte, rarissime, in cui proprio non riusciva a imbrigliare la propria fantasia, si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se non avesse mai sentito le parole infamanti di Ron, al primo anno, e non si fosse rifugiata nel bagno delle ragazze. Non ci sarebbe stata nessuna bambina con lacrime facili e moccio al naso da salvare da un troll armato di clava. Quel giorno, benedetto e maledetto insieme, era stato un uggioso Halloween di quasi sei anni prima: l’inizio della loro amicizia ma fine della loro normalità.
Nessun legame, nessun vincolo amicale da dover onorare.
Il resto del giorno lo trascorreva a odiarsi con tutto l’astio di cui era capace; lei che, nonostante tutto, era stata capace di pensare certe bestialità, giurava a se stessa che la prossima volta si sarebbe censurata ancor più ferocemente.
-Macchie, sempre più macchie sulla sua coscienza-
Doveva star fissando il vuoto, perché Ron la guardava con curiosità, di sottecchi. Appena Hermione se ne accorse, volse il suo sguardo verso di lui, cercando di zittire i propri occhi innamorati che le sembrava gli parlassero incessantemente. Anche questa volta incontrò rabbia e risentimento.
Perché, poi?
«Tutto bene, Ronald?»
L’interpellato sbuffo lievemente «Come no. Harry, credo che andrò a dormire. Domani ci sono le audizioni di Quidditch, ricordi? Voglio essere riposato. Mi raccomando, ricordati anche delle vecchie amicizie, d’accordo? E dei debiti se puoi: non considero ancora del tutto estinta la tua colpa per aver fatto trascinare mia sorella nella Camera dei Segreti da un Diario posseduto che in realtà voleva te»
Harry si arruffò i capelli, divertito, mentre gli occhiali gli scendevano sul naso. «Certo Ron, buonanotte»
Avevano imparato a scherzarci con i fantasmi del passato, altrimenti sarebbero diventati fantasmi loro stessi. La guerra imperversava sottopelle, Voldemort era tornato e stava allargando le fila dei suoi seguaci; mentre loro erano costretti a una patina di normalità all’interno di una scuola che suonava come prigione e rifugio a un tempo. Inutile ingannare se stessi: la guerra era alle porte e alitava sul collo di tutti. Non importava quanti incantesimi fossero a protezione della scuola, né quanto resistenti fossero i suoi portoni secolari, la guerra era già ovunque: era nei loro cuori.
***
Ron era decisamente euforico quella mattina, ragion per cui s’ingozzava con particolare veemenza, seminando ovunque pezzetti di colazione. D’altra parte come biasimarlo? Il giorno prima era stato riconfermato portiere del Grifondoro e la sua allegria aveva contagiato tutti. Restava ancora qualche futile motivo per non smettere di sperare, ed era Ron quello che riusciva a ricordarlo agli altri. Era quasi un compito, il suo.
Le era bastato un attimo per decidere. «Confundus» aveva mormorato, mentre un leggero sorriso le increspava le labbra e Cormac McLaggen si guardava intorno, spaesato, come a chiedersi cosa diavolo stesse facendo a cavallo di una scopa. La pluffa era entrata nell’anello mentre lui aveva virato dalla parte opposta. Harry lo aveva capito, naturalmente, ma non aveva infierito: si era limitato a guardarla divertito e a ricordarle i suoi doveri di Prefetto. Non lo avevano detto a Ron, sarebbe rimasto uno dei loro piccoli segreti. A che pro rivelarglielo, comunque? Ron aveva qualche problema di nervi e un’autostima piuttosto traballante, ma sapevano entrambi benissimo che era un portiere più che valido; perché rovinargli la gloria? La loro amicizia era così, non che evitassero argomenti imbarazzanti o spinosi, semplicemente bastava lo spazio di uno sguardo a esaurire ogni discorso -Limpidissima, senza macchie, com’erano stati gli occhi di Harry prima della morte di Sirius-.
«Ron, sei un Prefetto, per Merlino! Dovresti dare l’esempio, non ingozzarti come una manticora impazzita!» tentò Hermione, tanto per attirare la sua attenzione.
«Dai Hermione, festeggiamo!» esclamò Ron mulinando le braccia e seminando attorno a sé molliche di pane e marmellata e meritandosi occhiatacce dai compagni che sedevano nel raggio di due metri «Sempre la solita musona, non sei contenta?»
«Certo che lo sono, Ronald, ma credo comunque di poter esprimere la mia contentezza in modo più maturo …» Era cominciato il loro classico battibecco; solitamente lei lo trovava divertente, anche se non l’avrebbe mai ammesso, eppure ultimamente le lasciava come un sapore amaro che non era in grado di definire.
«Comunque,» esordì Harry per bloccare l’alterco che stava diventando sempre più ostile «Non vi sembra che Malfoy sia più pallido del solito?»
«Per le mutande di Merlino, Harry! Da quando lo abbiamo visto da Magie Sinister non pensi ad altro! Andiamo, non è possibile che sia un Mangiamorte! Voglio dire, abbiamo detto mille volte che poteva stare lì per centinaia di motivi, abbiamo solo sentito che doveva riparare qualcosa, e probabilmente questo qualcosa era la Mano della Gloria! Quando Katie Bell è stata maledetta dal contatto con la collana di opali, Malfoy era in punizione con la McGranitt!»
«Ronald, abbassa la voce! Harry, Ron ha ragione. Malfoy è troppo giovane e troppo vigliacco per ricoprire un ruolo attivo nella Causa di Voi-Sapete-Chi»
«Fidatevi del mio istinto, no? Anche se non ha a che fare direttamente con Voldemort, il suo atteggiamento è sospetto: sta tramando qualcosa, me lo sento. Poi avete visto come si è ritirato quando Madama McClain gli prendeva le misure? O come Sinister si sia ammutolito a un certo punto? Sicuramente in quel momento gli aveva mostrato il Marchio Nero! È spesso da solo, cosa che di solito non muoveva un passo senza i suoi scimmioni, a lezione è distratto, è sempre circospetto, come se tentasse di essere invisibile. Ve lo ricordate i primi anni, no? Non faceva che schiamazzare e attirare l’attenzione su di sé»
«Harry,» cominciò Hermione, paziente, come se cercasse di spiegare a un bambino testone un’ovvietà «il padre di Malfoy è stato arrestato pochi mesi fa. È un bene, per carità, ma credo che al suo posto io mi comporterei allo stesso modo. Non avresti tanta voglia di fare il bullo al suo posto, no?»
«Da quando difendi Malfoy, Hermione?» l’attaccò Ron senza un gran nesso logico.
«Da mai, Ron. È solo che penso che questa guerriglia continua stia modificando la nostra visione delle cose. Vige il regime del sospetto ed io credo che questo non faccia che spaccare ulteriormente l’unità delle case, senza contare che …»
«Ron, Ron, hai visto? Che ti dicevo?» bisbigliò Harry concitato scuotendo l’interpellato per un braccio, mentre Draco Malfoy sembrava aver una gran fretta di abbandonare la Sala Grande.
«Miseriaccia, Harry, magari deve correre in bagno. Non sarebbe male, comunque, lanciargli una Fattura della Diarrea. Magari qualcuno l’ha già fatto. Sarebbe divertente» considerò Ron con sguardo sognante.
«Ron, sei un Prefetto!» esclamò Hermione «Harry, dove pensi di andare? È il mantello dell’invisibilità, quello?» aggiunse, come se non sapesse più a quale dei suoi due bambini fare attenzione.
Harry, per tutta risposta, le sorrise. «Io vado!», rettificò prima di infilarsi un biscotto in bocca e correre nella stessa direzione di Malfoy. Un attimo dopo, il tempo di lanciarsi una muta occhiata, Ron ed Hermione lo stavano seguendo; perché non importava quanto l’idea di Harry fosse strampalata o bislacca, loro tre erano amici.
***
«Harry, hai visto?» disse Hermione mentre con un gesto secco si sfilava il mantello da sopra la testa, con il risultato che i suoi capelli apparivano più crespi del solito «che ti dicevo? È solo andato in bagno!»
«Nel bagno delle ragazze, Hermione? Ci sta da quindici minuti! E poi questo bagno non è quasi sempre allagato a causa di Mirtilla? Torna sotto il mantello»
Stavano aspettando Malfoy nel bagno delle femmine, notoriamente infestato dal fantasma più antipatico del castello, motivo per il quale suddetto bagno era spesso inagibile: una situazione paradossale. Erano momentaneamente usciti per ragguagliare la situazione e decidere il da farsi: se avessero parlato all’interno del bagno, avrebbero rischiato che Malfoy li sentisse. La schiena le doleva, erano finiti i tempi in cui il mantello li ospitava tutti con facilità, adesso erano cresciuti ed erano costretti a camminare curvi e stretti; eppure una vita passata a crescerci sotto, le mille avventure condivise, avevano reso i loro movimenti fluidi, rapidi e sincronizzati. Lei camminava sempre di lato perché era la più bassa e, se le toccava la fortuna di capitare accanto a Ron, aveva la scusa di stargli più vicino di quanto normalmente fosse lecito. Ascoltava il suo respiro asciugarle il velo di sudore che le inumidiva la tempia, ogni volta che erano costretti a coprirsi in tre sotto quel tessuto fitto; l’aria si faceva bollente, pesante e quasi irrespirabile, ma a quella poteva attribuire il battito furioso del suo cuore, la gola secca e il braccio di Ron che le andava a cingere la vita, come per sostenerla.
«Granger non riesci proprio a non seguirmi, vero?» Draco Malfoy, nonostante l’aria particolarmente malsana che si ritrovava, aveva racimolato da chissà dove la forza di squadrarla dall’alto in basso, come sempre, eppure i suoi occhi celavano una sfumatura che lei non riuscì a definire … fragile? «Dove sono San Potter e Weasel? Come faranno a pensare senza di te?» la schernì. Hermione sentì Ron risucchiare l’aria come ogni volta che qualcuno la infastidiva.
«Certo che non ti seguivo, Malfoy. Sai, stavo andando in bagno, dato che questo è quello delle femmine. Ti hanno forse Confuso o stai attraversando un periodo un po’ particolare della tua vita?»
«Attenta a come parli, sporca Mezzosangue» Hermione sapeva che aveva circa tre secondi prima che Ron esplodesse e palesasse la loro posizione, motivo per il quale decise di agire subito.
«Sei più pallido del solito, direi. Non è che stai tramando qualcosa?» buttò lì e diamine, Harry aveva ragione, Malfoy era l’ombra di se stesso.
Macchie rossastre gli tinsero il viso appuntito ed esangue -Macchie rosse di vergogna di un bambino colto in fallo- ma la voce rimase piuttosto ferma, solo le mani gli tremavano leggermente. «Noto con dispiacere che mi osservi, Granger. Forse tu e la tua cricca siete un po’ fissati con i complotti alle vostre spalle, che dici? Sempre così importanti, sempre al centro dell’attenzione. Ma d’altra parte come potrebbero dei così ligi discepoli di Silente non ficcare il vostro lunghissimo naso in ogni faccenda che non vi riguarda?» Sputò con astio e, notò Hermione, con una punta di paura. Improvvisamente Draco Malfoy girò i tacchi e se ne andò, lasciandoli soli.
Dopo qualche minuto di silenzio, Ron e Harry si tolsero il mantello, i tre visi perplessi erano uno l’eco dell’altro.
«Forse avevi ragione, Harry, Malfoy sta davvero tramando qualcosa» ruppe il silenzio Ron.
«Già. Ma cosa?» chiese spaesato «Non pensate che possa c’entrare qualcosa con la Camera dei Segreti, no? D’altra parte l’entrata è proprio qui, e noi non abbiamo sentito tutto il discorso fra lui e Sinister»
«È stato strano Malfoy, sembrava … spaventato. Non è riuscito neppure a essere pungente come al suo solito …» esordì Hermione che aveva cominciato a ragionare febbrilmente «Insomma, se volesse aprire la Camera dovrebbe parlare il Serpentese, no, Harry?»
«Sì. Ma se quando lo abbiamo incontrato da Magie Sinister lui stava lì anche per farsi insegnare come fare? Quello è un negozio di Arti Oscure, lo sapete! Magari Voldemort ha lasciato detto cosa dire per riuscire ad aprirla e noi siamo arrivati dopo e non l’abbiamo sentito. Se ci fosse il modo per …»
«No,» lo bloccò Hermione «Harry è semplicemente assurdo. Ammesso che voglia entrare nella Camera dei Segreti, cosa pensi ci dovrebbe fare? Non è rimasto più niente lì dentro»
«Hermione, non capisci? Sappiamo che deve riparare qualcosa, ma perché farlo in un bagno quando ha a disposizione niente meno che tutta la Camera? È un posto segreto, che nessuno conosce né sa come aprire. Sono sicuro: deve ripararci l’oggetto di cui parlava con Sinister»
Ron lo guardò molto colpito, ammirato e convinto fino al midollo; «Giusto», proferì solennemente. Harry sorrise, impacciato come sempre, ma anche vagamente lusingato.
«Ragionate, per la miseria!» sbottò Hermione «Gazza all’inizio dell’anno ci ha perquisiti uno per uno, come avrebbe potuto Malfoy introdurre qualche oggetto magico nella scuola? E se dovesse stare nella Camera a riparare questo stramaledetto coso, perché adesso avrebbe dovuto chiudersi per quindici minuti in un cubicolo del bagno?»
Harry e Ron la guardarono con lo stesso identico sguardo: fra lo sbigottito e l’imbarazzato. Eppure quelle riflessioni sembravano così sensate
«Magari adesso aveva davvero un attacco di diarrea» tentò debolmente Ron dopo qualche secondo di silenzio impacciato.
«Ehm, forse. Questo dobbiamo scoprirlo. Non se Malfoy ha la diarrea, dico, ma se nella Camera c’è qualcosa di diverso. Sono sicuro, Hermione, che conoscerai centinaia di incantesimi per capirlo»
Hermione alzò gli occhi al cielo, ma sorrise: erano sempre i soliti.
***
Gli occhi di Ron erano come le Maledizione Senza Perdono. Spiare il suo sguardo e coglierlo mentre inseguiva i visi delle altre ragazze equivaleva a beccarsi una Cruciatus in pieno petto; se lui l’avesse guardata negli occhi con interesse, almeno una volta, il suo potere persuasivo sarebbe stato pari all’Imperius.
Qualche giorno prima Grifondoro aveva vinto la partita e i suoi ricordi erano così nebulosi che neppure ricordava contro chi avessero giocato -Serpeverde?-; rammentava soltanto il guizzare di una chioma bionda e labbra serrate in un contatto che mai aveva immaginato potesse esistere con altre al di fuori delle proprie.
Lavanda Brown odorava di lezioso, di una femminilità così ostentata che da quel giorno le parve insopportabile. Si acconciava sempre i capelli e si truccava eccessivamente. Prorompeva in risatine acute e maliziose, sospirava così forte che non sussistevano dubbi che la sua fosse tutta un’affettazione, una costruzione, un teatro.
Ron, come hai potuto?
Quella sera aveva avuto un mancamento, per questo aveva visto qualcosa di strano dietro le proprie palpebre -Macchie verdi sulla propria retina-, e sentito un fischio, come un soffio di vento nelle proprie orecchie. ‘Avada Kedavra’ aveva pensato, ma non voleva indirizzarla a Ron, certo, non gli avrebbe mai fatto del male. Pensava che qualcuno l’avesse scagliata contro di lei, quella maledizione, in piena faccia; non Ron, certo, lui non le avrebbe mai fatto del male, neppure adesso che stava baciando una ragazza che non era lei. Lui non le avrebbe mai fatto del male, vero?
No. No. No.
Lei quella maledizione l’aveva semplicemente riconosciuta. -Macchie verdi nella sua retina, il vento nelle orecchie- Sì, qualcuno doveva averla colpita, di sicuro a questo punto era già morta: non sentiva più niente. Era scappata, naturalmente, e Harry, dolce Harry, l’aveva seguita. Non avevano parlato molto, neppure in quell’occasione, neppure dopo che Hermione aveva scagliato contro Ron uno stormo di uccelli impazziti: non ce ne era stato bisogno. Lei aveva appoggiato la testa nell’incavo del collo di Harry, mentre lui, geneticamente incapace di consolare qualcuno con le parole, le aveva buttato un braccio attorno alle spalle, in silenzio.
Hermione trascorse i giorni successivi alla partita il più lontano possibile da Ron e la Brown, che sembravano non avere altri pensieri se non mangiarsi la faccia a vicenda su ogni superficie disponibile allo scopo: i muri, il SUO tavolo della Sala Comune, le poltrone davanti al fuoco, le nicchie sparse per i corridoi e così via. Il suo umore era incredibilmente altalenante; c’erano momenti in cui la disperazione sembrava non lasciarle neppure lo spazio di un respiro, altre in cui provava un vuoto pneumatico così assoluto e totalizzante che non sapeva neppure dire se fosse viva.
Una notte di fine Ottobre la vedeva sveglia e ansante nel proprio letto, in alto, nelle torri di Grifondoro. Non sapeva neppure dire che ora fosse, ma il cielo era di un blu così fondo che l’alba sembrava essere ancora un miraggio lontano. I respiri lenti e regolari delle sue compagne di stanza rendevano il suo ancora più sincopato, mentre cercava di asciugarsi dal viso il sudore con il lembo di un lenzuolo.
Un incubo, ancora un dannato incubo.
Eppure c’erano degli aloni -Macchie non solo sul cuscino, non solo di sudore, ma anche fra le sue gambe, sul lenzuolo- che le ricordavano che la sua infanzia era finita da un pezzo. Un urlo le si bloccò dentro al petto, non solo per la rabbia, ma anche per la frustrazione di non essere riuscita a completare quello di cui aveva dannato, dannato bisogno.
Le palpebre traboccavano di lacrime, mentre i ricordi viscosi del suo sogno le sfrecciavano davanti agli occhi.
Era sempre quella dannata sera della partita vinta dalla sua Casa, soltanto che era LEI la ragazza che baciava Ron, non la Brown, perché sì, così doveva essere. Ricordava quell’emozione così vividamente che avrebbe potuto giurare di averla vissuta sul serio: un groppo all’altezza dello stomaco e un suo gemello nella gola, mentre faceva fatica ad attenersi al ritmo del bacio divorante che Ron aveva imposto. Prima che la scena cambiasse inaspettatamente, come accade nei sogni, era certa di aver viso la Brown spalancare quella sua bocca larga e guardarli invidiosa, mentre si premeva le unghie contro i palmi come per impedirsi di piangere. Hermione aveva sorriso contro le labbra di Ron, prima di ritrovarsi in un letto, quello stesso in cui si trovava sola lei ora, soltanto che nel sogno non aveva il viso scioccamente chiuso nelle mani, non vi erano aloni di eccitazione -Macchie di colpevolezza- fra le lenzuola, fra le sue gambe.
Si baciavano con una voracità tale che la mascella le doleva, che la saliva -impossibile distinguere a chi appartenesse- le aveva lambito anche il mento. Poi aveva cominciato a sentire qualcosa fra le sue gambe crescere e premere prepotente, che però non era solo la misura dell’eccitazione di Ron: erano un desiderio bruciante e un peso all’altezza del ventre che le facevano mancare la forza alle gambe accaldate e facevano scottare il materasso sotto la schiena e i vestiti sopra la pelle. Ron prese a baciarle il resto del corpo -Macchie di saliva lungo la sua pelle umida- fino a giungere in posti a cui lei non pensava poi così spesso. Davvero, era certa che il suo cuore non avrebbe retto a quelle onde di emozioni crescenti; ed era proprio quando Ron si decideva a prendersi quello che di meglio lei aveva da offrire che l’urlo liberatorio che le cresceva nel petto rimaneva impigliato nella gola. Improvvisamente Hermione era vestita, seduta su una sedia accanto al letto; guardava Ron, che era sempre lo stesso, possedere una ragazza bionda e leziosa sotto di lui, lo vedeva dedicarle gli stessi sguardi di adorazione e desiderio che stava rivolgendo a lei un attimo prima -Adesso neppure la vedeva, anche se era accanto a lui, anche se lei poteva arrivare a toccarlo. Era solo una macchia su uno sfondo squallido. Lei, un insieme di macchie sfocate. Niente di più, niente di meno- Ogni affondo in quel corpo tenero e tremante, che non era poi così diverso dal suo, le provocava altrettanti affondi all’altezza del cuore. Era quando le proprie labbra erano secche quanto gli occhi, che avevano pianto tutto l’amore che pensava di poter contenere, quando Ron sussurrava qualcosa di troppo intimo nell’orecchio di Lavanda per poterlo sopportare, lei si concedeva la grazia di svegliarsi.   
Il senso di colpa era come una bolla d’aria dentro al petto che era riuscita a schiacciare tutti i suoi organi contro lo scheletro. Era invidiosa, era gelosa, si sentiva tradita. L’altra parte del suo cervello però sapeva che Ron meritava di essere felice, per questo non riusciva a impedirsi di sentirsi così sporca per quell’altra parte di sé che proprio non riusciva a mettere a tacere -Macchie, sempre più macchie sulla sua coscienza-.
Ron era suo amico, solo suo amico. Aveva il diritto di essere felice. E lei … lei aveva il dovere di essere felice per lui. Improvvisamente si sentì troppo sporca e colpevole -Macchie sulle lenzuola, macchie di colpe e desiderio-, aveva così paura che il sogno riprendesse da dove si era interrotto, che fece Evanescere la biancheria dal suo letto con un gesto secco della bacchetta e stabilì di farsi una doccia. Rimettersi a dormire era fuori discussione.
Era scesa in Sala Comune, carica di libri e pergamene, decisa a svuotare la testa nell’unico modo che conosceva. Il camino, incantato, scoppiettava come sempre, mentre lei occupava il solito posto del suo tavolo preferito, passando le dita sui nomi sbrecciati come di rito. C’era anche un altro motivo, a onor del vero, per il quale Hermione amava particolarmente quella postazione, ma era segreto: da lì era perfettamente visibile la scacchiera sulla quale Ron, chino, passava la maggior parte del tempo libero, senza che potesse vederla. Era molto sciocco pensarci proprio in quel momento di vulnerabilità; era ferirsi, farsi deliberatamente del male, eppure si perse a riflettere su quanto il gioco degli scacchi avesse finito per forgiare il carattere di Ron. Non solo al primo anno erano sopravvissuti a una delle prove per raggiungere la Pietra filosofale grazie proprio a questa sua peculiare abilità, ma anche la loro vita di tutti i giorni era condita con varie espressioni derivate dal gioco degli scacchi.
Tutto poteva dire di Ron tranne che non avesse sviluppato, in quei lunghi anni di onorata amicizia, uno spirito di sacrificio e di adattamento. Ancora una volta, la scacchiera in penombra della Sala Comune le sembrò la metafora più adatta a descriverlo. Era diventato duttile con gli anni, Ron.
Il primo anno era stato come il Cavallo sul quale si era issato da bambino con insospettabile decisione, inaugurando un ruolo che non aveva mai abbandonato davvero: protettore di Harry. Era talmente calato nella convinzione che la vita fosse una partita a scacchi che non aveva neppure tentennato dinanzi alla consapevolezza che lui fosse un pezzo sacrificabile in vista di una vittoria più grande. In quell’occasione Hermione bambina era stata la Torre; lì per lì non si era chiesta perché Ron le avesse assegnato proprio quel posto, sentiva soltanto che nessun altro potesse spettarle. Soltanto anni dopo le aveva confessato, in uno dei suoi rari sprazzi di dolcezza e sensibilità, che lui aveva sempre notato quanto lei fosse stata pronta ad “arroccarsi” per Harry, Re indiscusso secondo la visione che Ron aveva della vita. Hermione non aveva capito esattamente l’allusione, non conoscendo la terminologia scacchistica, sentiva soltanto che nessuno le aveva mai rivolto un complimento più bello. Ricordava ancora con incredibile chiarezza com’era avvampata in un nugolo di rossore e, dopo un abbraccio maldestro, veloce e spigoloso, si era seppellita nella biblioteca per decifrarlo. Leggerlo era stato ancora più emozionante, vedere scritto nero su bianco quello che lei aveva intuito l’aveva colmata di una gioia così totale che le sembrava di non poter essere più felice.
Negli anni successivi, ed era lì che i problemi erano sorti, Ron, penultimo di sette figli ma ultimo fra i maschi, aveva cominciato a sentirsi una pedina nella scacchiera di Harry. Faticava ad accettare, ma lo faceva ogni giorno, di non essere esattamente un suo pari davanti agli occhi dei compagni e dei professori -non a quelli di Harry, che guardava ciascuno con il medesimo rispetto, anche se talvolta Ron tendeva a dimenticarlo-, ma non accettava di appartenere a quella folla indiscriminata di pedoni senza volto, perennemente oscurati dalla popolarità del suo migliore amico: Ron voleva una sua identità di Pezzo, voleva essere riconosciuto. Aveva sempre saputo che Harry non l’aveva mai veramente cercata quella fama, che altro non era se non attenzione morbosa e soffocante, e che anzi avrebbe piuttosto desiderato con tutte le sue forze appartenere a una famiglia normale; eppure talvolta Ron proprio non riusciva a stroncare l’urlo nella propria testa per essere stato, ancora una volta, l’ultimo, il fratellino piccolo che proprio non viene notato, cui non resta nessun ruolo libero da reclamare per sé. Fortunatamente, anche se cicliche, queste erano crisi che divampavano come un fuoco di paglia, avendo semmai avuto il merito di cementare ancora più saldamente la loro unione.
Ron era stato sempre un Re, agli occhi di Hermione, eppure non se ne era mai accorto, o, se lo aveva fatto, l’aveva disprezzato. Lei non sapeva quale delle due alternative facesse più male. Lei, invece, non era mai la Regina, in nessuna partita che valesse la pena di essere giocata, almeno.
Realizzò di stare piangendo soltanto perché un singhiozzo piuttosto forte le proruppe dalla gola senza che lei se ne accorgesse. Quello, però, ebbe il potere di risvegliarla e di riportarla ai suoi doveri.
***
Ginny Weasley, ammaliata dal calore del camino, si era addormentata nella Sala Comune dopo uno stremante allenamento di Quidditch e le sue amiche proprio non se l’erano sentita di svegliarla. Già vagava in uno stato di leggero dormiveglia, ma un rumore particolarmente violento -un singhiozzo, probabilmente- aveva avuto il potere di spezzarlo. Decise di trascinarsi in camera sua senza neppure girarsi a vedere chi fosse, un po’ perché non erano affari suoi, un po’ per non imbarazzare il povero malcapitato di turno.
«… Ginny?» chiese una voce sottile e fragile «Che ci fai qui?»
«Hermione?! Sono crollata sulla poltrona, stasera. Te, piuttosto, perché non sei a dormire?» La sua amica aveva veramente un aspetto miserabile, ma sembrò apprezzare che non le avesse chiesto il motivo per il quale stesse piangendo. Fu probabilmente per quello che Hermione, una delle persone più orgogliose che conoscesse, decise di aprire le dighe della propria coscienza e di rivelarle l’accaduto fra lei e Ron: di come inspiegabilmente la ignorasse o la trattasse male dall’inizio dell’anno fino a chiudere in bellezza con la “vicenda Brown”. Non che Ginny non lo avesse capito, ma esserne messa a parte direttamente dall’interessata la metteva nella posizione di dovere delle spiegazioni.
«Ron è un deficiente,» cominciò con convinzione «all’inizio dell’anno ti ha ignorata e trattata male perché ha realizzato che era rimasto solo lui a non aver baciato nessuno, zia Muriel a parte. Te avevi avuto Krum e Harry la Chang -un lampo di disappunto le increspò i lineamenti-, adesso che si è trovato la Brown fra capo e collo è nel suo elemento: non è più l’ultimo anche in questo. Ormai starnazza più di Arnold, il gallo del nostro pollaio. Lascialo cucinare nel suo brodo: è territoriale ed è geloso, una combinazione mortale»
Lacrime di rabbia avevano punto gli occhi di Hermione, che però aveva preferito non commentare: Ginny era pur sempre sua sorella, anche se le aveva ampiamente dato ragione. Così Ron non accettava che una come lei avesse fatto esperienza prima di lui. Gli sembrava così impossibile? Ma d’altra parte lo sapeva: il ballo del Ceppo al quarto anno le aveva lasciato una ferita profonda, perché in quell’occasione Ron aveva mostrato con abbacinante candore di non capire nemmeno che lei fosse una femmina, figurarsi che potesse realmente essere oggetto del desiderio di qualcuno. Aveva pensato, scioccamente a questo punto, che avessero superato quella fase. Ingoiando il magone, decise di tergiversare e di chiacchierare di futilità prima di darle la buonanotte.
***
Halloween si avvicinava e per uno come il professor Vitious, da sempre incaricato dell’apparato decorativo dell’intera Sala Grande, era un periodo di forte stress emotivo e fisico. Quella mattina stava probabilmente decidendo dove piazzare le zucche giganti che crescevano nell’orto di Hagrid, dato che i due conversavano animatamente, quando un uragano chiamato Harry Potter per poco non lo travolse. «Potter, fa’ attenzione!», l’interpellato per tutta risposta mormorò delle scuse distratte prima di riprendere la sua corsa a perdifiato.
«MalfoyspariscedallaMappadelMalandrino!» esclamò tutto d’un fiato davanti ai visi pietrificati di Hermione e Ron, che aveva addirittura smesso di macinare cibo come faceva costantemente.
«Harry, calmati adesso. Abbiamo controllato ogni gabinetto, abbiamo chiesto a Mirtilla e lei ha detto che nel suo bagno non succede niente di nuovo, abbiamo persino riaperto la Camera dei Segreti per vedere se celasse qualcosa di diverso dal solito e non abbiamo trovato nulla, lo abbiamo addirittura seguito ma …»
«Ma Hermione, questo significa che Malfoy lascia la scuola per … bhè, fare quello che deve fare!»
La conversazione fu però bruscamente interrotta dall’arrivo di Hagrid «Ragazzi! Quanto tempo che non mi venite a trovare, eh? Starete mica a diventare troppo studiosi? Perché non ci veniamo a prendere una cosa a casa mia? Ho chiesto al Preside il permesso di portarmi tre studenti dietro per aiutarmi con le zucche giganti, per Halloween sapete … vi ci voglio vedere a coglierle senza magia!»
«Ma Hagrid tu non hai una bacchetta nell’om …»
«Certo, Hagrid, sarebbe un autentico piacere», s’inserì Hermione per evitare di Schiantare Ronald e la sua mancanza di acume. Per buona misura gli scagliò un calcio sotto il tavolo.
«Ahi, sei impazzita? Cosa ho detto?»
«Va bene, allora» s’inserì cordiale Harry, tacitando i due con un unico sguardo «ci vediamo non appena finite le lezioni pomeridiane»
***
L’autunno inglese era rigido e non concedeva molte ore di luce con cui dilettare lo sguardo. Il sole era già tramontato vicino alla capanna di Hagrid e alle serre di Erbologia, così che la Foresta Proibita e i suoi alberi centenari non sembravano altro che macchie scure su uno sfondo ancora indefinito -Macchie ovunque, nella realtà, nella foresta, tranquille all’apparenza, ma che celavano bestie rabbiose pronte a fare del male ai suoi amici pur di arrivare a lui-. C’era pace ovunque, Harry lo percepiva, e avrebbe pagato tutti i suoi galeoni per non sentire quella tensione sottopelle ricordagli che, nonostante i soliti battibecchi degli amici, le giornate che si ripetevano uguali, provava un freddo dentro le ossa che non lo abbandonava mai.
«Ronald, dovresti ricordare che Hagrid detiene illegalmente i pezzi della sua bacchetta nel manico del suo ombrello»
«E allora? Lo sapevamo noi tre, mi sembra»
«Noi tre, appunto. Si dia il caso che questa informazione sia assolutamente riservata, Ronald. Non possiamo correre il rischio di essere ascoltati da orecchie indiscrete»
«Ma Hermione, i nostri compagni stavano ad almeno quattro sedie di distanza»
«Tre, per l’esattezza»
«Vigilanza costante, Ron, ricordati!» concluse Harry con un sorrisetto distensivo per l’amico e un suo gemello più affettuoso per Hermione. Sempre più spesso era chiamato a fare l’ago della bilancia fra i due; la cosa cominciava a stressarlo: significava che la tensione stava prendendo tutti, nessuno escluso.
«Comunque,» continuò «dove può essere Malfoy se non appare dalla Mappa? Che lasci la scuola tramite qualche passaggio segreto? »
«Miseriaccia, ma Gazza non lo becca mai? Solo noi siamo così …» cominciò Ron prima di essere interrotto da Hermione che, anche nei momenti di maggiore stress, non mancava mai di centrare il punto della questione « … Questo riduce drasticamente le possibilità di trovare Malfoy. Tutto si può dire di lui, ma non che sia stupido o sprovvisto di senso di autoconservazione»
«Serpeverde, e come li freghi a quelli là?» chiosò Ron.
«Parli del diavolo …» Lasciò Harry in sospeso.
Quasi fossero un unico corpo, i tre amici si acquattarono nel fitto della macchia vicino all’orto di Hagrid, noto per la sua riluttanza nel tagliare le erbacce che lussureggiavano nei pressi della sua capanna.
Malfoy stava girovagando vicino alla serra di Erbologia, situata alla base di molti scalini piuttosto improvvisati e scoscesi rispetto alla loro postazione, con il chiaro atteggiamento guardingo di chi avesse avuto l’intenzione di eluderne la sorveglianza ed entrare.
«Scacco per Malfoy … cosa diavolo ci farà qui?» bisbigliò Ron.
«Una pozione …» intuì Hermione, sussurrando pianissimo «gli servono gli ingredienti per una pozione»
«Avviciniamoci!» suggerì Harry di slancio «Magari riusciamo a capire cosa ha in mente a seconda degli ingredienti che prenderà»
«Harry non credo sia una buona …» ma non terminò neppure la frase, perché la mano calda e salda di Ron avvolse la sua, con l’intento di trascinarla dietro di loro come se fosse una bambina capricciosa e recalcitrante. C’era stato un tempo in cui quel gesto l’aveva fatta sentire una privilegiata, in cui si opponeva ai due soltanto perché sapeva che Ron avrebbe rotto gli indugi afferrandole la mano, permettendole di rivivere ancora e ancora quel momento in cui il cuore le rimbombava nel petto e lacrime di emozione le si affastellavano fra le palpebre. Un tempo, appunto: adesso restava solo un magone d’ingiustizia e un oceano di tristezza. Ron non aveva mai capito cosa le suscitasse quel semplice gesto, ma la cosa che faceva più male era che, più che non averlo capito, lui non se lo fosse mai chiesto.
Serve a zittirmi. Tutto qui. Non gli importa la causa, non gli è mai importata.
Era decisa a strattonare via il braccio, pur di liberarsi da quella presa che nel giro di così poco tempo era diventata soffocante e ipocrita, nonostante il vento leggero le avesse trasportato il profumo di Ronald nelle narici e il suo cuore indomabile e illogico le si fosse rivoltato nel petto come una naturale conseguenza.
Crack.
Sarà che le lacrime le avevano offuscato la vista, sarà che quel troppo pensare l’aveva trasportata al di fuori della realtà, sarà che la vicinanza di Ron a volte la rendeva incredibilmente maldestra. Fatto sta che aveva messo un piede in fallo, che aveva sentito qualcosa di duro opporre resistenza per poi cedere sotto la suola delle scarpe della divisa.
Hermione vide distintamente la testa di Malfoy girarsi lentamente, come se avesse paura che una creatura feroce potesse braccarlo al primo movimento brusco.
«Che cosa ci fate qui?» chiese questo, fra il collerico e l’intimorito.
«Potremmo chiederti la stessa cosa, Malfoy» rispose Ron aggressivo, muovendo un passo verso di lui.
«A cuccia, Weasley» sputò il Serpeverde, mentre indietreggiava «Potty è stato considerato troppo stupido persino da quel rimbambito di Silente per essere fatto Prefetto. Il tramonto è incredibilmente breve, non vi pare? Un comune studente non dovrebbe trovarsi fuori dal castello a quest’ora»
«Se togliessi i punti ad Harry noi glieli riassegneremmo» cominciò Hermione, intuendo le intenzioni del Serpeverde «ma comunque abbiamo l’autorizzazione del Preside per essere qui» e gli sventolò sotto al naso il permesso con tutta la petulanza che riuscì a trovare.
«Non ti avvicinare, Granger. Dovessi attaccarmi qualche strana malattia Babbana» ritorse sinceramente disgustato.
Ron risucchiò l’aria attraverso i denti e sfoderò la bacchetta «Ripetilo, se hai il coraggio»
«Ron,» intervenne Harry abbassando il braccio dell’amico «Davvero, non vale la pena. È solo Malfoy, dopotutto»
«Se sono solo io, perché diavolo mi seguite allora?» esplose questo, chiazzandosi di rosso sugli zigomi pallidi «È patetica questa vostra mania investigativa, come se tutto girasse intorno a voi, come se ci fosse sempre qualcosa da scoprire. Non ti è bastato il naso rotto all’inizio dell’anno, Potter? Vi vedo arrabattarvi e perdere il sonno per questioni che neppure dovrebbero competervi. Quanto devono essere vuote e miserabili le vostre vite per essere così votate a me? Non “è solo Malfoy, dopotutto”?»
«Mai patetica come la tua», riprese Hermione, perché i due amici non erano particolarmente abili nei botta-e-risposta «se sei costretto a muoverti come un fuggitivo, rubare nelle serre e usare i bagni delle femmine»
Malfoy impallidì di colpo e assottigliò gli occhi, azzardando addirittura un passo verso di loro «Tu non mi conosci, Granger» sibilò piano «non sai niente di me»
Hermione sostenne lo sguardo con fierezza, ostentando una tranquillità che non era sicura di provare davvero. Non a causa di Malfoy, naturalmente, d’altra parte era sempre il solito codardo, ma per il panico sottile che gli serpeggiava nella voce.
«Andiamocene,» ruppe il ghiaccio Ron afferrando gli amici per le spalle e forzandoli a girare su loro stessi «lasciamo lo straordinario furetto rimbalzante a cogliere fiori per l’altarino di suo padre. O forse glieli spedirà direttamente ad Azkaban?»
Non fecero in tempo a fare tre passi lungo i ripidi scalini di legno che conducevano alla capanna di Hagrid, che Malfoy urlò «Glisseo!», mentre Hermione metteva il piede in fallo per la seconda volta, cadendo in una pozzanghera e sporcandosi il viso, i vestiti.
«Nel fango, sporca Mezzosangue, dove ti spetta stare!» rincarò prima di dileguarsi.
Harry si era gettato immediatamente accanto all’amica per aiutarla a rialzarsi, mentre Ron aveva scagliato una serie di fatture dove credeva potesse trovarsi Malfoy.
«Harry, sto bene, davvero» disse Hermione passandosi ripetutamente e inutilmente le mani sulle macchie di fango sulla divisa -Quelle se ne sarebbero andate, erano le macchie nelle sue vene a restare per sempre-, ma la voce le tremava terribilmente. Dalla rabbia, dall’ingiustizia. Per il fatto che ancora degli insulti così bassi avessero il potere di ferirla nel profondo. Anche se era diventata più brava a mascherarlo, in realtà ci soffriva. Mentre Ron imprecava e malediva la schiatta dei Malfoy e Harry la aiutava a ripulirsi i vestiti, Hermione ripensò a quanto si sforzasse ad avere una reputazione impeccabile ed un comportamento ineccepibile quasi tentasse di compensare una falla, una mancanza di nascita -Priva di macchie sul curriculum scolastico, per anni era stata un’amica senza ombre e invidie. Cosa le restava? Macchie che non aveva il potere di cancellare-.
«Ragazzi, tutto bene?» li chiamò Hagrid dall’alto della capanna «ho sentito delle voci»
«Tutto bene, Hagrid,» disse Harry con voce stanca, stringendole le spalle «adesso arriviamo. Metti l’acqua per il the»
***
I giorni scorrevano tutto sommato normali, per Hermione, che spartiva proficuamente il suo tempo fra ripassi, ricerche per il suo interesse personale e per conto di Harry, ammassando tutti i suoi sentimenti sotto una coltre di iperattività che la lasciavano troppo esausta per non crollare ogni notte non appena poggiava il viso sul cuscino. Anche Ronald, nonostante la Brown, sembrava aver trovato un precario equilibrio fra Quella, il Quidditch, Quella, gli amici, Quella, i compiti che cercava di copiarle e Quella. Adesso, ad esempio, i due parlavano fitto fitto, con un sorriso ebete stampato in faccia; sicuramente stavano discorrendo di qualcosa di terribilmente stupido (di cosa poteva parlare la Brown, in fondo?), al punto da non prestare attenzione neppure a Ginny, che, come ogni giorno, passava in rassegna tutti gli scherzi escogitati da Pix ai danni degli studenti, per permettere a questi ultimi di evitarli, o quantomeno di premunirsi. «... Caccabombe al primo piano, corridoio est. Deve aver fatto qualcosa anche al bagno del secondo piano: ha reso impossibile sedersi. Ah, e ricordate le gomme da masticare che ha attaccato sulle sedie nell’aula di Incantesimi!»
Harry, dal canto suo, non faceva che arrovellarsi il cervello per spiegarsi l’MM, ovvero il Malfoy-Mistero o Mistero Malfoy -che dir si voglia-, come l’aveva ribattezzato Ron qualche giorno prima; il resto del tempo non faceva che tentare di convincere Ron ed Hermione degli infidi piani del suddetto.
«Insomma, è un mistero inspiegabile cosa faccia, ma dovete credermi sul fatto che sia qualcosa di losco che ha a che fare con Voldemort» esalò Harry seppellendo la testa fra le braccia: se non riusciva a persuaderli con la dialettica, avrebbe provato con il patetismo. Hermione lo carezzò sulla testa, tentando, a dir la verità, di abbassargli quella massa di capelli incolti, che adesso erano sparati in tutte le direzioni molto più del solito. Appena ebbe finito, Harry ci ripassò le mani più volte, come faceva ogni volta che qualche pensiero particolarmente pervicace non lo lasciava in pace, vanificando tutto il suo lavoro certosino senza neppure accorgersene.
Appunto.
Ron gli diede una pacca sulle spalle, empatico, mentre teneva l’altra mano intrecciata a quella della Brown sul tavolo della Sala Grande, imbandito per la colazione «Dai amico, non ti scervellare: mangia, piuttosto»
Da quando era successo quello che era successo fra lui e Leziosità -come Hermione la chiamava nel segreto della sua coscienza- faceva piuttosto fatica a non stizzirsi per qualsiasi cosa Ron facesse, dicesse o pensasse. Certo, lei sapeva quasi sempre quello a cui Ron pensava: non solo perché erano amici da anni, non solo perché lei era una persona particolarmente perspicace, ma anche perché Ron era una di quelle rare persone così pulite da essere cresciute senza nessun tipo di inibizione emotiva e i suoi occhi chiari erano l’esatto specchio dei suoi stati d’animo. Ed era questa una delle cose che più amava di lui. Nonostante questo, si ritrovò a dire «Ma certo, Ronald, mangiamoci sopra! Tanto così hai sempre risolto tutti i tuoi problemi, vero?»
«SMETTILA!» tuonò Ron, stringendo la forchetta e sbattendola sul tavolo «Mi hai stufato! Pensi che non mi sia accorto delle frecciatine continue che mi lanci? Degli sguardi giudicanti e pieni di disprezzo? Pensi ancora che io sia superficiale dopo tutti questi anni di amicizia, anni in cui hai detto di conoscermi meglio di chiunque altro? Davvero non ti ha mai neppure sfiorato l’idea che forse sto tentando con tutti i mezzi che ho, che va bene, forse non saranno i migliori in assoluto o buoni quanto i tuoi, ma sto tentando di alleggerire un po’ te ed Harry e tutti gli altri da questo peso insopportabile? C’è una guerra là fuori, Hermione, e tu hai ancora la presunzione di pensare che tu sia l’unica ad affrontarla o che peggio debba sobbarcarti anche me e la mia leggerezza? Eppure lo sai benissimo che i miei genitori e i miei fratelli sono là fuori, vero? Babbanofili, amici di Silente e di Harry, pensi che ci siano molte altre persone con più qualità che siano scritte prima di noi nella lista dello sterminio stilata da Tu-Sai-Chi in persona?» Appena ebbe finito di parlare, Ron si accasciò sulla panca, come svuotato, il suo sguardo vitreo e perso era la testimonianza di quanto dire tutto quello gli fosse costato.
Hermione amava il silenzio, eppure quello che era calato fra loro era una coltre così spessa che non riusciva quasi più a respirare, mentre rimaneva a corto di parole per la prima volta nella sua vita.
Certo che lo so, Ron. Io ti capisco, io ti conosco. Riconoscerei ovunque i lampi di tristezza che increspano le tue iridi all’ennesima battuta che non riuscirà mai a tirarci davvero su il morale, e riconoscerei con ancora maggiore gratitudine quelli di caparbietà e dedizione ogni volta che ci riprovi. Mi sono solo lasciata prendere dalle mie gelosie, volevo attirare un po’ la tua attenzione, magari se avessi finto di disprezzarti avrei finito per farlo davvero. Non che io voglia farlo, Ron. Disprezzarti, dico. Non credo che ci riuscirei mai, neppure tra un milione di anni, eppure qualsiasi cosa mi sembra meglio di … questo. Questo senso di tradimento, d’inadeguatezza, di privazione, di stordimento, di mancanza. Ronald Weasley, io ti am-
«Ti amo, Ron-Ron e sono orgogliosa di te. Alla fine glielo hai detto, ti sei tolto questo peso»
A quello non era pronta. Non che non fosse pronta al “ti amo”: Hermione sapeva, o meglio sperava, che la Brown non desse a quelle due parole lo stesso peso che gli conferiva lei. Senza neppure averne la consapevolezza si era alzata e aveva cominciato a correre, sentiva un vuoto così totale e assordante nel petto che neppure i libri che ci premeva contro riuscivano ad arginarlo, il cuore le pesava a tal punto che le gambe le sembravano leggerissime.
A questo non sono pronta.
La velocità e le lacrime facevano sfilare la Sala Grande ai lati dei suoi occhi come macchie sfocate, mentre scappava per cercare un posto dove nascondersi -Dove corri, Granger? Le macchie sono dentro di te. Non te l’aspettavi, vero, questa confidenza fra i due? Certo, sapevi che di confidenza fisica ne avevano molta, ma come potevi illuderti di avere l’esclusiva sui pensieri di Weasley? L’invidia macchia l’anima, e la tua già è lorda. Chissà cosa le avrà raccontato di te, così priva di amici che non siano quei due e la conigliata[2] Weasley, incredibilmente saccente, la so-tutto-io della scuola, talmente secchiona da non far neppure copiare i compiti a quelli che definisce ‘migliori amici’. Un’intimità molto più profonda, quella delle parole, non trovi? Evidentemente non sei più l’unica, Granger, ma, guardiamo in faccia la realtà, pensi davvero di esserlo mai stata?-.
Mentre placava la nausea poggiando la fronte contro la roccia fredda in un’ala del castello che non aveva neppure riconosciuto e Harry la stringeva mormorando «Lo so», si chiese confusamente per quale diavolo di motivo la sua coscienza avesse parlato con la voce di Draco Malfoy.
***
I giorni successivi furono un inferno. Inizialmente Ron, più testone di lei, non l’aveva degnata neppure di uno sguardo, ma poi, vedendola così abbattuta, aveva cominciato a mostrarsi molto pentito per quello che aveva detto e per come lo aveva fatto; si aggirava con un gran muso per la scuola ed era arrivato persino al punto di saltare alcuni allenamenti di Quidditch. Tutto questo era condito dal grande scorno di Lavanda, che aveva sperato che quello scossone lo avrebbe allontanato da Hermione senza troppi rimpianti e conseguenze. Harry soffriva moltissimo per la rottura del loro equilibrio, era incredibilmente inquieto e la viveva con una sorta di panico sottopelle pronto a esplodere alla prima pressione. Benché fosse più che ben oleato, il loro equilibrio era talmente delicato da funzionare alla perfezione soltanto se erano in tre. Non che non riuscisse a godere singolarmente dei suoi migliori amici, figurarsi che sciocchezza, ma semplicemente non era la stessa cosa. Harry voleva con tutto se stesso che i due si riavvicinassero, che tornassero ad essere la famiglia mal assortita che aveva scelto con ogni fibra del suo essere, ma nutriva una stima e un affetto troppo profondi per entrambi per forzare le cose e metterli davanti ad uno scontro e, dunque, ad una sofferenza, anzitempo. Hermione, dal canto suo, era spaccata a metà. Da una parte sapeva che Ron aveva ragione, e poteva anche trovare delle grosse attenuanti per le modalità con cui l’amico aveva espresso i suoi pensieri -al diavolo, era stata davvero insopportabile con lui nei giorni passati!-; però il suo orgoglio ferito e il suo amore non corrisposto non le permettevano di recarsi da lui e spiegargli la sua posizione.
Di scusarmi, magari.
«Hermione, vuoi del succo di zucca?» chiese Ron con deferenza, porgendole la brocca con tale impeto da versarne parte del contenuto direttamente nel suo piatto. «Scusami» si affrettò a dire, ed era ovvio che non si riferisse soltanto al succo, perché arrossì furiosamente sulle orecchie abbassando gli occhi, che prima fissavano i suoi con un timore e un’aspettativa tali che le avevano fatto stringere il cuore in una morsa di tenerezza.
Sorridi, digli di sì e chiedigli se ha bisogno di una mano con lo studio. Offriti di correggergli il tema sulla Felix Felicis, magari. In fondo sei tu quella in torto, questa volta.
«No grazie, Ronald. Adesso devo proprio andare. Devo rileggere i quaranta centimetri di ricerca che dobbiamo consegnare a Lumacorno la prossima ora»
L’aula di pozioni era vuota esattamente come sperato. Aveva mentito, naturalmente, come ogni tema che le veniva assegnato non si sarebbe mai ridotta a leggerlo qualche minuto prima dell’inizio delle lezioni; lo aveva finito giorni fa e riletto la sera passata. La verità era che aveva sentito l’impellente bisogno di allontanarsi da quella situazione e da se stessa, dalla sua incapacità di mettere da parte l’orgoglio, dalla sua rabbia verso Lavanda, che durante il pasto le aveva lanciato di continuo occhiate fiammeggianti, come se fosse stata lei a toglierle Ron-Ron e non il contrario. 
Basta.
Presa dalle sue riflessioni aveva cominciato a grattar via alcune macchie di chissà quali ingredienti dal banco sul quale si era gettata di malagrazia, fino a che un’unghia non era rimasta vittima dell’operazione. Hermione aggrottò le sopracciglia, infastidita dal dolore acuto al pollice, che si ficcò in bocca in preda allo sconforto -Complimenti, Granger. Non ritenevi che il banco avesse già abbastanza macchie, che fosse già abbastanza sporco? O non riesci a esimerti dal dare il tuo inutile contributo a tutto? Non vedi forse tutte le macchie che riesci a produrre soltanto imponendo la tua presenza? Come Mezzosangue hai macchiato la scuola. Come amica hai macchiato gli unici rapporti che ti hanno impedito di impazzire. E come ragazza, Granger, cosa hai fatto? Ah, giusto, assolutamente niente: sei una macchia tu stessa, sulla tappezzeria delle relazioni altrui-
Le succedeva troppo spesso nell’ultimo periodo di ritrovarsi in lacrime e non accorgersi neppure di aver cominciato.
***
«Cavallo in F5»
«Secondo me ci godi a battermi ogni giorno»
«Ci puoi giurare, amico. Senti, pensi di invitare qualcuno per il banchetto di Halloween?»
Hermione odiava quella moda lanciata appena l’anno prima. Halloween era una festa importante, d’accordo, c’era un bel banchetto, d’accordo, ma da questi presupposti non capiva come si fosse giunti a tal punto. A parte il fatto che lei riteneva che il 31 Ottobre fosse un giorno funesto, ma non si capacitava del perché molte coppiette decidessero di ufficializzare le loro relazioni clandestine (note già a chiunque avesse almeno un conoscente, inclusi fantasmi e armature), o perché alcuni temerari ragazzi prendessero al balzo l’idea di “invitare” la ragazza che gli piaceva a un banchetto a cui questa sarebbe andata comunque, ammesso che non avesse voluto morire di fame. Forse perché, appunto, la povera ragazza non avrebbe potuto rifiutare? Forse perché la pancia piena avrebbe obnubilato le capacità di giudizio della suddetta ragazza? Oppure perché tutti gli altri, così impegnati a ingurgitare le svariate portate che si trovavano davanti, presi da una foga divoratrice, avrebbero digerito anche la notizia senza battere ciglio? Intrappolata nelle sue petulanti riflessioni, Hermione era seduta al suo solito tavolo nella Sala Comune di Grifondoro, ma aveva aggiunto una variante: dava le spalle alla scacchiera che, anche quando non era occupata da Ron o da qualsiasi altra persona, generava dentro di lei riflessioni sconvenienti a getto continuo. Se il suo orgoglio le impediva di cambiare seduta, il suo cuore martoriato le aveva imposto di sottrarre Ronald almeno al suo sguardo. Ciononostante, le sue orecchie erano tutte tese a rintracciare qualsiasi fesseria da maschio i suoi amici usassero per riempirsi la bocca. In una condizione normale non sarebbe mai stata in grado di afferrare il senso delle loro parole: non solo erano troppo lontani, ma c’era anche un costante brusìo di sottofondo dentro il quale si perdevano anche le voci di Harry e Ron. L’Hermione di un tempo avrebbe piegato la sua vasta conoscenza in Incantesimi per spiare i suoi amici? -Macchie, sempre più macchie sulla sua coscienza-
Sperava, a dir la verità, che Ron dicesse qualcosa su di lei, carina od offensiva, insomma, qualunque cosa, per permetterle almeno di rompere quel tenace muro che era cresciuto dentro di sé.
Ron avrebbe detto, con la sua solita terminologia scacchistica, che la situazione è in stallo.
«Nah, Romilda Vane è carina, ma mi sembra un filino … ossessionata. Ginny tanto non ci verr … ehm … Torre in E3. Ma secondo te sto migliorando? Dimmelo sinceramente»
«Ginny cosa? Alfiere in E3»
«Niente. Insomma, secondo te sto migliorando?»
«… Ahi, questo Alfiere mi sembra particolarmente sadico, che dici?»
«Ron …»
«D’accordo, diciamo che non credo tu sia particolarmente … portato, ecco»
«Ho capito, sono una schiappa»
«Potevi essere peggio, diciamo che adesso sei ad un livello accettabile: il problema è stato portartici»
«Grazie eh!»
«Harry, onestamente. Sono sei anni che giochiamo almeno una partita al giorno …»
«Va bene, va bene, d’accordo, ciò non toglie che tu non vuoi solo insegnarmi, tu mi vuoi stracciare. Cavallo in H5»
«Se vuoi me, come maestro, devi prenderti tutto il pacchetto. Che dicevi di Ginny?»
«Niente, ehm, che ci va con Dean. Che affarone, dico, averti come maestro!»
«Non me lo ricordare, eravamo amici! Mia sorella, ma come gli viene in mente? Regina in F4. Comunque, come diceva sempre mio zio Bilius, “affare o non affare, io sono così, prendere o lasciare”! A proposito, Harry, scacco matto»
Hermione sorrise a quello scambio di battute; ora più che mai le erano sembrati così diversi da lei, così puliti, senza ombre -Senza macchie-, benché coinvolti nella situazione quanto e più di lei. Era davvero alla loro altezza, ci si sentiva? Riusciva a fingere una normalità in cui non si riconoscevano come ci riuscivano loro? Poteva? Doveva? Voleva? Le restava altro, se non il suo bagaglio di conoscenze, con cui aiutarli, oppure li avrebbe tirati a fondo con lei?
Voglio?
Era ovvio che volesse aiutarli,
Devo?
e in un certo senso lo doveva anche. Non solo nel nome della loro amicizia, ma anche e soprattutto per le idee che sosteneva, per tutto quello in cui credeva.
Posso?
Non sapeva più se potesse farcela. Agli occhi degli amici, se ne rendeva conto, appariva più o meno sempre la stessa Hermione: un po’ trasandata, tutto studio, poche novità. Era cambiata nei confronti di Ron, quello sì. Ma se l’oggetto dei suoi pensieri -Dei suoi desideri, dei suoi sogni, delle sue macchie sul lenzuolo, fra le gambe, sulla coscienza- aveva assorbito quel cambiamento come uno dei misteri che avvolgevano l’universo femminile senza scervellarsi troppo, Harry lo attribuiva solo ai suoi sentimenti non ricambiati.
Come erano tersi gli occhi di Harry quando le diceva «Lo so» e per la prima volta non sapeva, come era pura la stupefazione di Ron nei confronti di quegli argomenti che lui archiviava definitivamente con il bollo “femmine”.  Lei doveva davvero andare a contaminare lo sguardo di Harry, così gravato da un peso che non aveva scelto di portare, con i suoi sentimenti di fango e sporcizia e indegnità, con i suoi tormenti interiori, che andavano ben oltre una cotta adolescenziale non corrisposta? Doveva davvero mostrare a Ron quel suo grumo così intimo di carne, passione e desiderio che si agitava dentro di lei? Doveva davvero mostrargli quello che il suo cervello immaginava e che le sue mani, ormai di donna, ormai esperte, andavano poi a eseguire sul proprio corpo durante la notte? Doveva mostrare a loro, i suoi amici, tutte quelle -Macchie- parti di lei, di cui si vergognava così profondamente, proprio a loro, che forse erano gli unici a crederla ancora candida, ancora limpida, ancora la ragazzina con i dentoni, o quella che si emoziona per una pagella con tutte E? Lo avrebbe trovato, infine, il coraggio di specchiarsi negli occhi dei suoi amici una volta che avessero visto davvero chi era diventata? -Questa mi mancava, Granger. Anche codarda adesso? Con tutte queste macchie, la tua anima è pesante come il piombo. Mi obblighi a fidarmi della tua parola, quando mi dici che un tempo era come la loro, perché adesso è talmente ricoperta di macchie che non riesco più a vederne l’essenza. E tu, tu, dimmi, la vedi ancora?-
«Harry lo sai che stare davanti ad una scacchiera mi fa sempre riflettere, vero?» l’interpellato rispose con un grugnito: avevano appena cominciato una nuova partita e sembrava molto concentrato «è Hermione ad avermelo fatto notare, sai? A volte mi sembra che mi conosco meglio da quando mi conosce lei» un altro grugnito «Harry, mi stai ascoltando?»
«Certo, certo»
«Penso che Lavanda mi tradisca con Piton»
«Mi sembra un’ottima idea, Ron»
«Oh miseriaccia, Harry! Sto per dire una cosa importante, che riguarda Malfoy» bisbigliò a voce più bassa. Hermione cercò di ascoltare nonostante i battiti furiosi del suo cuore la assordassero: non riusciva a trovare i giusti binari dopo aver udito, probabilmente, la frase più romantica di tutta la sua vita. Si morse un labbro per riportarsi alla massima attenzione. Quasi le sembrò di sentire lo spostamento di Harry sulla sedia e di vedere la sua fronte che si aggrottava, come faceva quando un argomento assorbiva tutta la sua concentrazione e il suo impegno.
«Sai, adesso che mi hai fatto pensare a Ginny, oggi ha detto qualcosa sui bagni del secondo piano, ricordi?»
«Vagamente. Ti ascolto» e, ancora una volta, Hermione sentì un sorrisino compiaciuto increspare le labbra di Ronald, esattamente come ogni volta che otteneva la completa attenzione di qualcuno di cui gli importasse particolarmente -Puliti. Li conosceva come le sue tasche. Lei avrebbe potuto giurare sull’esattezza di quei gesti, sui sentimenti sinceri che guidavano ogni loro azione. Eppure, anche loro avrebbero giurato che lei non sarebbe mai arrivata al punto di spiarli, ma con la differenza che loro avrebbero giurato il falso, senza saperlo. Macchie, sempre più macchie sulla sua coscienza-.
«Diceva qualcosa sul fatto che non ci si potesse sedere, ricordi? Hermione mi ha detto una volta che i poltergeist non possono lanciare incantesimi, anche se possono subire certi tipi di fatture perché sono, beh, più solidi dei fantasmi»
«Mi stai dicendo che …»
«… che non può aver incantato un gabinetto! Ma certo, che sciocca, come ho fatto a non pensarci prima?»
«Hermione, come hai fatto a sentirci?» chiese Harry sinceramente stupito, privo di qualsiasi sospetto, osservando l’amica scarmigliata che era accorsa da loro, ora visibilmente arrossita.
«Vi ho visti parlare vicini e chini sulla scacchiera, pensavo che potesse riguardare Malfoy, allora mi sono avvicinata, eravate così assorti che non mi avete sentita» il fatto che loro le avessero creduto con tale facilità senza muoverle, ad esempio, la ragionevole obiezione che lei non avesse gli occhi dietro la testa, le fece, se possibile, ancora più male -Macchie, sempre più macchie sulla sua coscienza-.
«Ginny!» urlò a quel punto Ron, facendo voltare verso di loro mezza Sala Comune «quale era precisamente il bagno del secondo piano dove Pix ne aveva fatta una delle sue?»
«Ron, sei impazzito? Che diavolo ti urli? Mi sembra, ovvio, comunque. È quello dove accadono più stranezze in assoluto: il bagno di Mirtilla Malcontenta»
***
L’azione, cui erano tragicamente abituati, li aveva fatti ritrovare immediatamente, aveva coordinato i loro gesti e i loro respiri, fino al punto di annullare le distanze che si erano create, consapevolmente o meno, in quei lunghi giorni di fine Ottobre. Erano un solo corpo anche adesso, mentre facevano irruzione nel bagno di Mirtilla, e Harry prendeva la parola. Non avevano parlato neppure lungo il tragitto, troppo presi a non sprecare il fiato, perché ognuno di loro sapeva già cosa l’altro avrebbe fatto: quando Harry prese la parola, Ron ed Hermione sapevano già cosa avrebbe detto.
«Mirtilla, perché ci hai mentito? Perché non ci hai detto cosa succedeva qui?»
«Ciao anche a te Harry, è da tanto che non venivi a trovarmi nel mio bagno» il fantasma squittì maliziosamente «Oh, ma sai, io non sento più la tua mancanza. Poi, non ti ho mentito»
«Qui Malfoy sta preparando una pozione con gli ingredienti presi dalla serra di Erbologia» sussurrò Hermione, colta da un’intuizione «Mirtilla non ha negato che accadesse qualcosa, ci ha detto semplicemente che non era niente di nuovo, come abbiamo fatto a non capirlo? Noi ci abbiamo preparato la Polisucco, la stessa cosa ha fatto Barty Crouch junior, e ho sentito di molte ragazze che hanno tentato di preparare filtri d’amore proprio qui, perché a causa di Mirtilla nessuno viene in questo bagno se può evitarlo. È praticamente l’unico uso che se ne fa»
«Mirtilla, è Draco Malfoy che sta preparando una pozione, vero?»
«Oh, ma lui non fa solo questo. Lui si confida con me, è triste, molto triste e spaventato, ed io lo consolo. Adesso vi conviene andare, prima che lui torni»
«Malfoy è ridotto peggio di quanto credevamo … confidente di Mirtilla, nientemeno» sussurrò Ron fra il divertito e lo sbalordito.
«Fa’ silenzio, Ronald!» lo riprese Hermione, consapevole dell’importanza del momento e di quanto l’equilibrio fosse precario.
«Come mai è triste?» chiese Harry, a quel punto fin troppo conscio delle preziosissime informazioni che, ancora una volta, aveva in serbo per loro Mirtilla.
«Bhè … » tentennò il fantasma, evidentemente divisa fra la strana fedeltà che la univa a Malfoy e la sua stessa logorrea. Harry sorrise incoraggiante: non era certo un segreto il misterioso ascendente che esercitava su di lei «sai, Harry, io non so molto» si risolse a dire Mirtilla, sorridendo e arrossendo nonostante la sua consistenza evanescente «mi ha confidato che il padre gli ha detto che gli spetterà un compito, un compito importante, ma che lui ancora non sa quale è. Inoltre sa che deve riparare qualcosa, un oggetto potente, ma che per il momento non ha capito a cosa possa servire, né se è collegato con il compito per suo padre»
«Eppure con le pozioni non mi risulta si riparino oggetti» commentò Hermione con una certa pedanteria.
«Ovvio che no, sapientona!» esplose Mirtilla inviperita «non ho detto che la pozione sia per quello!»
Hermione arrossì dall’imbarazzo, temeva di aver rotto quel sottile filo che li separava dall’ignoto, ma, quando si trattava di scuola, proprio non riusciva a tenere ferma la lingua.
«Ma scusa» riprese subito Harry per riportare l’attenzione su di sé «se sta facendo una cosa per il padre, perché è triste e spaventato? Quale oggetto dovrebbe riparare? Te l’ha detto?»
«No, io non lo so, non me lo ha detto. Credo perché non voglia deluderlo, è onorato ad avere un tale compito»
Certo, come no, pensò Hermione, se si trattasse solo di questo Malfoy starebbe in giro più gonfio di un pavone. Non sa cosa fare né come farlo, e probabilmente ancora non sa a cosa porterà tutto questo. Deve riparare un oggetto che forse ha visto da Magie Sinister quando lo abbiamo incontrato, forse sta facendo delle prove, delle ricerche, magari non sa come funzioni né a cosa serva. Magari gli hanno semplicemente detto di ripararlo, giusto qualche dritta su come farlo. Ma comunque Gazza ci ha perquisito prima di entrare, nessuno avrebbe potuto introdurre oggetti magici non identificati a scuola. E se, quando sparisce dalla Mappa, Malfoy andasse da Sinister tramite qualche passaggio segreto? È triste perché è lontano dall’obiettivo, d’accordo, ma perché dovrebbe aver paura?Magari è spaventato perché non può fallire, perché la posta in gioco è molto alta. E se fosse sotto ricatto? Magari, se non riuscisse nel suo compito, incapperebbe in qualche ritorsione, magari non lui direttamente, dato che Hogwarts è impenetrabile -o almeno così dovrebbe essere-, magari la sua famiglia. Eppure suo padre è in carcere. A proposito, come avrà fatto a comunicare con lui? Peraltro è davvero plausibile che un ragazzino così vigliacco, codardo, pusillanime e giovane come Malfoy sia già stato coinvolto nella Causa di Voldemort?
«Va bene Mirtilla, grazie allora. Adesso ehm, se non ti dispiace, vado un attimo in bagno»
Mirtilla lo sogguardò squittendo lievemente «Ma certo, Harry, vienimi a trovare più spesso. Adesso mi ritiro nel mio sifone per pensare alla morte; vieni dopo, se vuoi»
«Mi sembra, err, un’ottima idea!»
E con un ultimo strilletto, il fantasma scomparve dalla loro vista, lasciandoli fra lo sciaguattare dell’acqua del water e un sonoro SPLASH sul pavimento. I tre si lanciarono uno sguardo prima di correre verso il cubicolo dove avevano visto entrare Malfoy. Ron aprì la porta con un calcio, avevano tutti e tre le bacchette sguainate come se si aspettassero di trovarsi di fronte qualsiasi cosa. Come sempre, si mostrò un semplice gabinetto, eppure Hermione questa volta pronunciò con voce ferma e sicura l’incantesimo giusto «Finite Incantatem»
Il piccolo ambiente si saturò immediatamente di una serie di odori che lei non riconobbe all’istante.
La pozione sobbolliva lentamente vaporizzandosi in spirali concentriche, la luminescenza madreperlacea la abbacinava, mentre la sua stessa mente veniva abbagliata da un lampo d’intuizione, da una violenta consapevolezza.
Pergamene nuove.
Prese fiato, immagazzinò aria nei polmoni per permettere alle sue labbra di pronunciare quelle poche sillabe con le quali non avrebbe mai creduto di avere a che fare quel giorno.
Erba tagliata.
Le labbra si mossero da sole, mentre nel cuore e nello stomaco le esplose una voragine sulla quale non ebbe la prontezza di riflettere.
… Capelli di Ron.
«Amortentia» esalò.
Ron esplose in una risata sguaiata, tenendosi la pancia con entrambe le mani, mentre Harry e Hermione fissavano la pozione, completamente basiti.
«Hai capito Malfoy» Ron si asciugò gli angoli degli occhi con le dita «e noi che ci eravamo preoccupati che stesse tramando chissà cosa … un Mangiamorte, per carità»
«Veramente» disse Harry con un filo di voce «questa cosa non esclude l’altra. Cioè, hai sentito Mirtilla, no? Deve riparare qualcosa e svolgere un compito che ancora non conosce. Sicuramente lo fa per conto di Voldemort»
Hermione fissava la pozione, in silenzio, incapace di ragionare lucidamente forse per la seconda volta nella sua vita. I fumi densi che si alzavano dal calderone andavano a raccogliersi sui muri in macchie di umidità -Fra tutte le voci che parlavano nella sua testa, una prese il sopravvento sulle altre. Era normale vedere macchie ovunque, o era la sua anima a tradurre tutto in un linguaggio comprensibile per lei? In fondo, il simile vuole il simile e la realtà non le era mai sembrata più macchiata di così; lei non si era mai sentita più macchiata di così-; Hermione provava un forte senso di disagio, ma non sapeva neppure a cosa dovesse imputarlo, sapeva soltanto che gli sghignazzi di Ron le stavano dando alla testa e non voleva altro che la smettesse. Dopo averglielo urlato con tutto il fiato che aveva in corpo, Ron si zittì di colpo e Harry trovò la forza di staccare gli occhi dalla pozione per posarli su di lei.
«Hermione, ma cosa ti succ …» un gran trambusto li fece ammutolire tutti. Qualcuno, con il fiato corto, si stava dirigendo molto velocemente nel loro cubicolo. Tutti e tre sguainarono le bacchette e le puntarono avanti a loro: non c’erano dubbi su chi fosse.
Qualche istante più tardi apparve Draco Malfoy, visibilmente trafelato, che sorreggeva fra le braccia quelli che erano, evidentemente, gli ultimi ingredienti necessari al perfezionamento della pozione. Era talmente concentrato nell’operazione che quasi rischiò di sbattere contro di loro. Appena li vide impallidì, dallo spavento lasciò cadere quello che stava portando, e a Hermione sembrò come di vivere la scena a rallentatore: mentre gli ingredienti cadevano in terra con rumori secchi, Malfoy spostò il peso del corpo all’indietro. Aveva ancora qualche foglia nei capelli -Macchie scure in un oceano di candore, proprio come, a volte, si sentiva lei- una nota infantile e commovente, che le provocò come un moto di compassione.
Non dovremmo essere qui. Queste sono le sue cose e, a quanto sembra, non possono nuocere ad Harry. Siamo noi ad aver sbagliato, questa volta. Ha sedici anni, come noi. Magari anche lui ama qualcuno senza esserne ricambiato, senza sentirsene all’altezza. Qualcuno per cui farebbe qualsiasi cosa, come ho fatto anche io, del resto (Confundus!).
Era talmente pallido, Draco, da apparire quasi un morto; eppure qualche istante dopo i suoi zigomi si tinsero di un rosso così violento che altro non poteva provare se non una rabbia cocente e una vergogna insostenibile.
Anche lui, come me, ha paura che gli altri vedano le sue debolezze. Anche lui, come noi, ha solo sedici anni.
Un odore di bruciato alle loro spalle li avvertì che Malfoy stava correndo in quel bagno per un motivo preciso, per un momento preciso, e che quell’istante era appena svanito per sempre.
-Macchie di vergogna di un ragazzino di sedici anni, la mia vergogna-
Malfoy strinse i pugni mentre serrava le mascelle, gli occhi gli si velarono di lacrime, un po’ per la rabbia, un po’ per l’umiliazione di aver fatto quella figura proprio davanti a loro. 
Solo sedici anni, come i nostri.
Subito dopo rilasciò i pugni e puntò lo sguardo a terra, consapevole che niente avrebbe potuto smentire quello che loro tre avevano appena visto. Per una volta non ci provò nemmeno; quasi le dispiacque perché proprio non sapeva come comportarsi di fronte a quell’atteggiamento remissivo.
È esausto, stanco di lottare e di pensare. Come me.
«Allora, Malfoy» cominciò Ron estremamente divertito.
Basta! Non è giusto! Urlò la sua coscienza, ma la sua bocca restò muta. Sapeva benissimo che tempo prima, anche se non avrebbe mai condiviso quello sfottò di bassa lega, non avrebbe capito davvero le fragilità di Malfoy, come se queste fossero appannaggio esclusivo dei buoni, per diritto e a seguito di grosse responsabilità.
«Amortentia, eh? Si può sapere per chi è? Per la McGranitt, forse? Magari giusto così riuscirai a prendere una A nella sua materia»
Hermione realizzò in quel momento che Malfoy non rispondeva proprio perché sapeva di essere sull’orlo delle lacrime e, se avesse parlato, avrebbe finito per versarle tutte.
«Che fai, Malfoy, piangi? Quanto credi che abbia pianto Ginny, eh? A causa tua e di quel farabutto di tuo padre, che a Merlino piacendo adesso marcirà in prigione!»
Certe ferite non si sarebbero mai rimarginate davvero, Hermione lo sapeva, mentre tentava di calmare Ron posandogli una mano sulla spalla «Tutti gli insulti alla mia famiglia ti hanno divertito eh? Il fatto che non fossimo ricchi sfondati come te ti aveva tanto inorgoglito, o sbaglio? Adesso però lo vedi chi ride davvero! Ti sentivi così superiore e poi sei finito così in basso da preparare un filtro d’amore. Che c’è? Aspiri a fare il piccolo Mangiamorte e non sai neppure conquistare una ragazza con le tue sole forze? Amortentia fra l’altro, una pozione difficile. L’hai fatta davvero tu o anche questa volta ti ha aiutato Piton?»
«Adesso basta Ron, lascialo stare» disse Harry mentre abbassava il braccio di Ron, che puntava febbrile la bacchetta contro Malfoy, che neppure aveva tentato di estrarre la propria dalla manica della divisa. Ronald prese fiato, come per calmarsi. Quando il Serpeverde trovò la forza per trattenere le lacrime e guardarlo, Weasley disse «Solo una cosa, Malfoy: qualsiasi passo falso farai da adesso in poi nei nostri confronti, sia scherzi, che prese in giro, che insulti, sappi che sapremo difenderci a meraviglia. Sai come si chiama tutto questo, Malfoy? Scacco matto. Sono un Grifondoro impulsivo, ma questo lo sai; è la scacchiera ad avermi insegnato come pensano quelli come te»
Detto questo gli andò incontro e si congedò con una spallata, cui lui non si oppose, andando a cozzare contro la parete dello stretto cubicolo del bagno, con un tonfo sordo e gli occhi bassi. Hermione era in uno stato di trance, con la testa completamente svuotata seguì la schiena dei suoi amici come poteva fare una falena con una fonte di luce. Fu solo quando si trovarono nel corridoio, che sentì Malfoy cominciare a piangere.
***
La Sala Grande, imbandita per l’occasione, non sembrava nemmeno più la stessa. I toni del nero e dell’arancione si erano sostituiti a quelli consueti, le zucche giganti di Hagrid punteggiavano l’ambiente come api in un gigantesco alveare. Nel medesimo giorno di un paio di settimane prima, oltre alle suddette zucche, avevano raccolto anche indizi e cominciato a tessere una tela di supposizioni sbagliate. Vitious aveva realizzato davvero un lavoro magistrale con le decorazioni, non lasciando nulla al caso, ma d’altra parte si trattava della sua specialità. Quell’anno aveva di suo pugno svuotato, intagliato e riempito di fuochi fatui e tremolanti le zucche, alcune le aveva incantate in modo che intonassero canzoni per l’occasione o spaventassero con fischi e grida gli studenti distratti che passavano nei paraggi. Le statue, dal canto loro, avevano perso la consueta lucentezza per acquistare toni più scuri e opachi, alcune erano state addirittura trasfigurate in mostri spaventosi. Il soffitto, invece di riflettere la tersa giornata autunnale appena trascorsa, sembrava sobbollire in tempesta ed era rischiarato qua e là da lampi spaventosi. Pix era nel suo mondo: intonava canzoncine sconce e si prodigava in scherzi continui, consapevole che l’aria di festa gli sarebbe valsa ben più blande punizioni di quanto non sarebbe accaduto durante il resto dell’anno scolastico; neppure il Barone Sanguinario sembrava riuscire a placarlo del tutto. Halloween, d’altra parte, era la festa più importante nella società magica. Hermione, soprattutto al suo primo anno, anche se la sensazione non era mai davvero svanita, si era sentita un’estranea: non capiva tutto quel coinvolgimento che respirava a pieni polmoni per una festa che sì, aveva la sua valenza nel mondo Babbano, ma che non era nemmeno paragonabile ad altre festività quali, ad esempio, il Natale. Provava, dunque, come un senso di sottile imbarazzo misto a una certa -tanto per cambiare- inadeguatezza, la stessa che si proverebbe ad assistere a una cerimonia religiosa completamente diversa dalla propria e anche particolarmente vistosa. Con il passare del tempo, però, se Hermione aveva cominciato a sentirsi accolta da quel mondo così diverso dal suo, al punto da cominciare a sentire come proprie anche le festività magiche, Halloween le aveva lasciato un nuovo senso d’inquietudine che, più che essere dovuto al suo retaggio Babbano, era dato dall’esperienza.
Il primo anno, infatti, fu la mattina del giorno di Halloween che lei sentì Ron sbeffeggiarla, motivo per il quale si rifugiò nel bagno dove il Troll aveva deciso di fare un giretto. Proprio durante il banchetto, il professor Raptor annunciò la presenza del suddetto nella scuola, prima di svenire teatralmente per sviare i sospetti.
Il secondo anno, di ritorno dal tetro complemorte di Nick-Quasi-Senza-Testa (giustiziato proprio il giorno di Halloween del 1492), trovarono Miss Purr pietrificata: la Camera dei Segreti era stata aperta il 31 Ottobre di cinque secoli dopo.
Era trascorso esattamente un anno, minuto più minuto meno, quando la Signora Grassa abbandonò la sua tela a causa di uno squarcio provocato da quello che si pensava essere il pluriomicida Sirius Black. Era il loro terzo anno.
Durante il quarto anno, la spettacolare cerimonia del Calice di Fuoco, che aveva segnato l’inizio del calvario di Harry ed era culminata con la morte di Cedric Diggory e il ritorno di Voldemort, si era tenuta ad Halloween.
I genitori di Harry erano morti il 31 Ottobre 1981.
Insomma, non era certo da biasimare se sentisse come una tensione e un nervosismo scorrerle sotto la pelle come un brivido, ogni volta che quella fatidica data si avvicinava. Senza contare che quell’anno era scossa interiormente anche da una serie di sentimenti che si erano affacciati alla sua consapevolezza con una certa dose di violenza, come mai era successo prima.
Non proprio con il piede giusto, dunque, stava affrontando quella che, obiettivamente, era una festa. Lesse la stessa inquietudine negli occhi di Harry; per lui non era mai una giornata facile da affrontare, anche se cercava in tutti i modi di non darlo a vedere, così Hermione gli strinse la mano. Lui si arruffò i capelli, lievemente in imbarazzo come gli capitava per qualsiasi contatto fisico, ma non si ritrasse, anzi gliela strinse di rimando. Soltanto Ron sembrava l’unico ad aver veramente voglia di festeggiare e di ingozzarsi al banchetto, ma probabilmente stava tentando, come al solito, di tirare loro su il morale. Spinti da una fiumana umana, si sedettero al tavolo, psicologicamente, ma non fisicamente, pronti ad affrontare un banchetto mastodontico, secondo soltanto a quello d’inizio e fine anno.
«Hermione, stai bene?» chiese Lavanda con una civetteria e una malizia del tutto fuori luogo rispetto alla domanda.
«Benissimo, grazie»
«Sicura?» insistette lei, facendo tremolare un voluminoso foulard marrone che teneva fra i capelli tirati a lucido «Perché non hai propriamente una bella cera»
«Non è molto carino farlo notare, non trovi?»
Questa notte non ho dormito.
Ron, che guardava altrove ma che evidentemente aveva sentito tutto, le scoccò un’occhiata di avvertimento. Hermione si chinò sulla sua borsa e tirò fuori un libro, per tenere mani e occhi impegnati e, soprattutto, per nascondere il suo viso dai giudizi altrui.
«Hermione non trovi che sia un tantino esagerato studiare anche pochi istanti prima che cominci il banchetto di Halloween?» chiese Ginny morbida e affettuosa.
«Sì, Ginny, hai ragione. È solo la forza dell’abitudine» rispose Hermione massaggiandosi le tempie.
Il Preside aveva cominciato da qualche minuto il suo solito, ambiguo discorso, ma lei aveva smesso di ascoltare quasi subito. Si perdeva piuttosto nell’osservare l’ambiente, l’incredibile atmosfera calda e festosa che bagnava ogni cosa e che si riverberava sui capelli e sui visi degli studenti. Harry la cercava con lo sguardo, interrogativo, ma quando Hermione si agganciò al suo per rassicurarlo, una nota più chiara delle altre attirò la sua attenzione. Malfoy le sarebbe stato di fronte, se per assurdo avessero condiviso lo stesso tavolo. Non la guardava, naturalmente; in fondo non lo aveva mai fatto.
Erano nemici, e lo sarebbero stati per sempre, senza indugi o sconti. Eppure, esisteva nel mondo una certa coincidentia oppositorum che l’aveva obbligata ad aprire gli occhi. Era stato Vedere, toccare con il cuore e con gli occhi, una realtà a cui non aveva mai pensato veramente. Lei, dalla parte dei buoni e fiera di starci, aveva ammantato alcune sue azioni dei sentimenti più puri: era stata incapace di vedere che, in realtà, i sentimenti umani sono sempre gli stessi, anche al di là della barricata. Adesso che per la prima volta aveva toccato con mano la parte più oscura di sé -Le sue macchie- aveva intravisto che al di là del velo le persone non erano poi così opposte da lei. Pur se sbagliato, anche i nemici bruciavano per uno stesso, cocente ideale, e magari erano cresciuti in un ambiente dove l’ideale giusto era considerato il loro. Malfoy, in particolare. Anche lui si sentiva così inadeguato, con un compito sconosciuto più grande di lui, proprio come si sentivano lei e Ron e Harry; anche lui era in lotta con se stesso, diviso fra quello che avrebbe voluto fare e quello che doveva alla sua famiglia, mentre lei era divisa fra quella che era e quella che gli altri pensavano che fosse.
Era ovvio che la sua coscienza parlasse con la voce di Malfoy.
Tu non mi conosci, Granger.
Perché, lei lo conosceva? Lei si conosceva?
Eppure, in quello scambio, Hermione aveva intravisto una comunanza di sorte.
Anche lui si sentiva come lei?
Privata, ecco come si sentiva. Privata dei suoi anni migliori, privata delle illusioni della giovinezza, privata dei pensieri che dovrebbero appartenere a ogni adolescente normale (cosa mi metto oggi? Ron mi ha guardata? Cosa ci sarà nel compito di Artimanzia?)
Probabilmente Malfoy cominciò a sentirsi osservato, perché si girò verso di lei. Il suo sguardo incredibilmente vuoto le confermò che sì, anche lui si sentiva così.
Privato, come me.
Era pallido, Malfoy, e la sua divisa era disordinata e gualcita.
Anche lui non ha dormito.
Nessuna ragazza sedeva al suo fianco.
D’improvviso gli occhi vacui di Draco si accesero di collera e la sua bocca si curvò in un urlo muto, mentre la mano pallida e nervosa sbatteva la forchetta sulla tovaglia: aveva sin troppo chiaro cosa lei avesse appena verificato.
-Colpa tua, Mezzosangue, un’altra delle belle macchie da aggiungere alla tua collezione-
Harry le schioccò le dita davanti agli occhi, sorridendo dolce.
«Che cosa stai guardando?» le sussurrò divertito «mi sembra di avere un Molliccio dietro le spalle»
Hermione sorrise suo malgrado «Qualcosa di simile, in effetti. Stavo guardando Malfoy»
«Ah» disse Harry, serio «Come sta?»
«Uno straccio. Ha lo stesso aspetto di Ron dopo il Mangialumache»
Harry strinse le labbra, pieno di disappunto, e sospirò forte: era davvero dispiaciuto per il Serpeverde. Aveva capito benissimo che quello era stato violare un suo spazio sacro, che non li riguardava affatto, e l’aveva compreso anche Ron che, dopo la sfuriata del giorno prima, non aveva più accennato alla cosa. Il suo Ronald, quello di cui si era innamorata, si era così adirato da arrivare a minacciare e deridere Malfoy; eppure era rimasto talmente fedele a se stesso che gli aveva comunque lasciato la mossa successiva: lo aveva messo sotto scacco matto, è vero, ma se Malfoy non avesse mai fatto la sua mossa, avrebbe finito per salvarsi la reputazione e, in ultima analisi, avrebbe vinto la partita. Hermione non se la sentiva di chiedere niente di più a chi aveva subìto per anni derisioni feroci e pubbliche sulla propria famiglia. Anche Ron, a suo modo, era stato un eroe.
D’improvviso, com’era giunta la prima epifania che l’aveva trasportata vicino ai nemici, mostrandole insospettate analogie, ora fu ben altro quello che vide. Lo aveva sempre saputo, ma solo adesso lo vedeva con chiarezza, adesso che i volti di Harry e Malfoy erano affiancati per una pura volontà del caso. Vedeva lo sguardo di Harry, pieno di affetto e traboccante d’interesse per i suoi stati d’animo, di compassione e di empatia per i nemici, stridere in maniera violenta con quello vuoto che Malfoy aveva assunto nuovamente. Che cosa avrebbe fatto il Serpeverde, al loro posto, se avesse scoperto dei lati così delicati e personali? Era inutile chiederselo: già lo sapevano. Li avrebbe derisi pubblicamente, esattamente come aveva fatto con Harry e la sua paura per i Dissennatori, o per la sua cicatrice. Lo aveva fatto con Hermione chiamandola “sporca Mezzosague”, oppure evidenziando con una fattura il difetto fisico per cui aveva tanto sofferto nella sua infanzia: i denti sporgenti; di Ron aveva sempre deriso la povertà intrinseca al suo cognome e il tradimento degli ideali Purosangue.
Loro, invece, non avevano scoperto quella sua debolezza volontariamente, solo per avere armi con cui ferirlo: ora le avevano ma non le avrebbero usate comunque. Draco Malfoy aveva già cercato, rovistato, e infine trovato il loro punto più molle per affondare il colpo più doloroso che conoscesse.
Basta.
Era giunto il termine di sentirsi così sporca, macchiata. In fondo quello che li distingueva dai nemici era molto, era la maggior parte: empatia, rispetto, altruismo, compassione.
Differenze.
Lei racchiudeva in sé una moltitudine di ombre, ma proprio accettarle avrebbe significato assolversi.
«Non dobbiamo incolparci troppo per quello che è successo, Hermione» sembrò leggerle nel pensiero Harry «Noi non seguiamo il primo studente che ha un atteggiamento strano: Malfoy ci ha dato più e più volte motivo di sospettare di lui, e a ragione. Stai male, adesso, e credo che ci sia anche qualcos’altro dietro, o sbaglio? Non è più solo Ron» Hermione si morse il labbro, sull’orlo della commozione «Non sbagli Harry. Non hai mai sbagliato, con me»
Harry, sedici anni e una forza sovraumana, le poggiò una mano sulla sua, sorridendo lieve «quando me ne parlerai, io ci sarò»
Sembrava una frase quasi arrogante, nella sua semplicità, ma celava, in realtà, solo una sconfinata fiducia e una profonda complicità.
«Lo so. Grazie, Harry»
Appena ebbe finito di parlare, le pietanze più gustose apparvero nel sontuoso servizio da portata, con un sorriso complice e malizioso Harry ci si tuffò sopra, e, dopo un paio di battute divertenti, ingaggiò con Ron una delle gare all’Ultimo Ingozzo, in cui Ron restava comunque il campione imbattuto.
Non era neppure vero, pensava emozionata, che i suoi amici non l’avevano capita. Si era sentita così brava a nascondere il proprio disagio, mentre loro lo percepivano comunque. Vedevano le sue fragilità dietro quell’aria da prima della classe, vedevano le sue mani tremare quando l’offesa Mezzosangue riusciva a trapassare gli strati d’indifferenza che si era fatta crescere addosso. Vedevano lei, le sue luci e le sue ombre, e l’amavano comunque.
Anzi, l’amavano per questo.
Senza nemmeno pensarci, con il cuore sulle labbra aveva stretto le mani dei suoi amici che, presi dalla gara, a stento se ne erano accorti.
Le luci delle candele baluginavano in tutte le direzioni, bagnando ogni cosa, mentre il viso di Ron, pulito e sincero, era aperto in una gioia che faceva male al cuore, per una volta non per gelosia, ma per amore: era talmente grande quella che lui stava provando che lei temeva di non riuscire a contenerla neppure di riflesso. Era sempre esistita, dunque, la possibilità di sentirsi pulita, a casa, perché gli occhi dei suoi amici le restituivano un’immagine di lei completamente emendata, in cui l’unica cosa che vinceva sopra tutte era l’affetto e l’accettazione incondizionata.
-D’altra parte, nessuno meglio di lei conosceva macchie d’innocenza e di purezza; una in particolare l’aveva vista molti anni fa, eppure la ricordava come se non fosse trascorso che un giorno-
Era sempre stata davanti ai suoi occhi, nei suoi ricordi, quella ricchezza che le scaldava il cuore, quell’amicizia che l’aveva riempita completamente. Così presa dal gorgo dei suoi pensieri, aveva accantonato quello che in realtà aveva sempre saputo, cioè che non poteva esserci luce senza oscurità, e prima di adesso non si era perdonata tutti quei pensieri -Quelle macchie- che non erano mostruose ma semplicemente umane.
Mentre Ron veniva unanimemente decretato vincitore e Harry sembrava sul punto di vomitare, Hermione prese due tovaglioli e, ridendo emozionata, cominciò a togliere ad entrambi gli sbuffi di cibo che erano finiti fin sulle guance ancora piene d’adolescenza dei suoi due migliori amici.
 
E poi, in fondo, era sempre stata lì, nella sua memoria, nella sua coscienza, La macchia, quella più cara e pulita di tutte: quella sul naso di Ron, il primo giorno di scuola sull’espresso per Hogwarts.
 
Fine.
 
 
 
 
 
 
 
Come avete letto nell’introduzione, questa ff partecipa al contest “Festività ad Hogwarts”, indetto da Angelique Bouchard, ma corretto da Giuly V .
Lo specchietto che dovevo seguire per la mia storia era il seguente:

HALLOWEEN - Pacchetto 3 (più complesso):
Personaggi: Harry Potter, Ronald Weasley, Hermione Granger
Incantesimo: Glisseo
Oggetto: Scacchiera
Genere: Mistero
Raiting: Arancione
Prompt: Macchie
Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Obbligo: Il trio deve incontrare Malfoy almeno una volta
NdA: Per cogliere tutti i riferimenti nel testo è necessario conoscere piuttosto approfonditamente i libri della saga, o quantomeno la filmografia a essa ispirata.  Talvolta, per esigenze espressive, è possibile trovare qualche ripetizione nei discorsi diretti. I ricordi, così come i pensieri del soggetto, sono resi in corsivo. Il prompt è segnalato dalla presenza dei trattini (-) unitamente ad una forma che permetta un evidente stacco visivo con il testo (per esempio, durante la narrazione lineare, il prompt sarà segnalato dal corsivo; durante un ricordo, segnalato esso stesso dalla forma corsiva, il prompt sarà reso in tondo). Trattandosi di una One-shot piuttosto lunga, ho pensato che un prompt basato sulla ripetizione di una medesima frase avrebbe reso poco scorrevole e pesante la lettura. Per questo motivo sarà sempre presente la parola “macchie”, tema indiscusso del presente elaborato, ma gli ambiti di riferimento, nonché le situazioni che mano a mano generano le riflessioni ad esse collegate, saranno diversi.
Piccole precisazioni (perché la mia pignoleria è un grave difetto, d’accordo, ma non riesco a liberarmene!).
L’idea che il narratore eterodiegetico a focalizzazione interna prenda il punto di vista di Hermione Granger è derivata dalla complessità insita nello stesso personaggio creato dalla Rowling. La sua forza e la sua determinazione sono strettamente unite a una commovente fragilità, umanità e senso d’inadeguatezza, che Hermione mostra sottilmente ma costantemente e senza incoerenze all’interno di tutta la saga. Anche in questa One-Shot, dunque, Hermione appare agli occhi degli altri salda, fedelissima a sé e ai suoi principi, ma non manca di mostrare inaspettatamente insicurezze e paure: ho ritenuto coerente con la complessità di tale personaggio che la protagonista abbia passato interiormente non pochi periodi di confusione e smarrimento, dati non soltanto dalla sua predisposizione caratteriale, ma anche dalle difficili condizioni di combattente in prima linea e Nata Babbana in un mondo a lei alieno e, troppo spesso, ostile. La scelta è caduta abbastanza automaticamente al VI libro: ho sempre pensato che il chiarificarsi dei suoi sentimenti per Ron sia stato un elemento catalizzatore di eventi e di forte scompenso emotivo, la classica “goccia” che ha fatto traboccare il vaso delle sue certezze, tenute sino a quel momento in equilibrio precario. Nonostante questo, tale chiarificazione le ha anche dato il dono di mostrarsi più manifestamente debole e lasciarsi avvicinare maggiormente da Harry, Ginny, Neville, Luna e, infine, da Ron stesso. Ne deriva un’Hermione un po’ sui generis: perfettamente IC – spero! – agli occhi degli altri personaggi, con le sue risposte e il suo modo di ragionare e rapportarsi con l’esterno, ma che mostra a un narratore inusuale un lato del personaggio che la Rowling è stata in grado così abilmente di lasciare alla nostra immaginazione. In questo caso, alla mia.
La mia Pedante Pignoleria mi obbliga a spiegare qualcosa circa la cronologia e gli eventi narrati nella presente storia. Zia Row non mi è stata particolarmente d’aiuto su questo punto: dice solamente che, quando Katie Bell ha subìto la maledizione della collana di opali, era metà Ottobre. La partita di Quidditch avviene poche pagine dopo, quindi spero di aver mantenuto un buon livello di coerenza con l’intreccio originale.
Naturalmente, spero sia chiaro, con questo racconto non voglio scagionare Malfoy o farlo apparire innocente o diverso da quello che è. Semplicemente, ho immaginato che Malfoy all’inizio non sapesse di dover uccidere Silente e che non avesse ancora chiaro a cosa servisse l’Armadio Svanitore. Questa piccola variante non è un puro virtuosismo, ma me ne sono servita per rendere il racconto più verosimile: è chiaro che, se Malfoy avesse saputo da subito che avrebbe dovuto uccidere Silente, non si sarebbe di certo sprecato a preparare una pozione d’amore! Ho immaginato che Draco si sia concentrato sull’Amortentia per tenersi la testa occupata, per non pensare a cosa diavolo avrebbe dovuto fare per conto della sua famiglia e di Voldemort (intuiva che era una missione che non contemplava il fallimento) e che quindi si stesse forzando a mantenere una vita normale, come potrebbe essere quella di un comune ragazzo Serpeverde che cerca di rifilare una Pozione d’amore ad una ragazza; stessa normalità che ricercano, appunto, Hermione, Ron ed Harry, anche se sanno che al di fuori di Hogwarts infuria una guerra. Era un piccolo spunto per permettere di accostare i protagonisti all’antagonista prima dell’allontanamento finale.
Naturalmente, il termine “conigliata” non esiste, ma penso che il senso sia estremamente efficace e lampante. Altri simili, come “cucciolata” o “nidiata”, sono sicuramente più corretti, ma non mi pare restituiscano al lettore quel senso di disprezzo che trapela dalle parole della coscienza di Hermione. Consideratela come una “licenza –poco- poetica”.
Ho supposto che in questa prima fase, per rimanere IC e fedele alla trama del libro, il Trio non abbia collegato la sparizione di Malfoy dalla Mappa alla Stanza delle Necessità, cosa che avverrà molto più tardi grazie all’intercessione (volontaria o meno) di Kreacher e Dobby.
Penso di aver scocciato abbastanza, mi ritiro! J
 
 
 
[1] Bellissima e celeberrima espressione pronunciata da Roy Batty -il capo dei replicanti- nel film “Blade Runner”.
[2] Vedi le N.d.A. alla fine del racconto.
  
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