Questa storia si è classificata terza al concorso
“I Do What I Want!”, indetto da vannagio.
Titolo: Here Comes
the
King (ispirato a “Here Comes the King”, di X-Ray
Dog)
Villain scelto: Adrian
Veidt/Ozymandias (Watchmen)
Perciò Khalid, dopo tanti anni di fedele
servizio come direttore di laboratorio, aveva smesso di pretendere
spiegazioni,
nonostante la natura curiosa di scienziato fosse pronta ad affiorare in
ogni
istante. Ma aveva sempre funzionato, perché mai il signor
Veidt sbagliava i
propri calcoli, né mancava i propri obiettivi.
Tuttavia, quando Khalid si era trovato
dinanzi a quella stramba sfida, la sicurezza acquisita dopo tutti
quegli anni
aveva iniziato a vacillare. Certo, non era la prima volta che il signor
Veidt
gli proponeva esperimenti al limite dell’assurdo, ma in
questo caso si trattava
di sfidare le leggi che la natura stessa aveva stabilito, e di
sconfiggere il
disegno che il destino aveva prescritto. Ciò andava contro
ogni insegnamento
che, da quando lui era bambino, era stato la base della sua vita.
“Dottor Miller, la prego, mandi a
chiamare il signor Veidt” disse, con un cenno quasi
distratto, perché la parte
più delicata dell’esperimento stava per iniziare,
e di lì a poco si sarebbe
saputo l’esito. All’idea di un successo, le mani di
Khalid minacciarono di
tremare. Che fosse paura o aspettativa, nemmeno lui lo sapeva, ma
questo era il
brivido inconfondibile che aveva provato ad ogni nuova scoperta, e gli
piaceva.
Gli piaceva al punto che aveva sacrificato una vita normale per il
proprio
lavoro, e non ne era pentito. Proprio con il signor Veidt, fra
l’altro, aveva
raggiunto la maggior parte dei propri obiettivi.
Preso da queste riflessioni, Khalid non
si era nemmeno accorto che, nel frattempo, Miller era già
sparito. Il signor
Veidt sarebbe arrivato entro al massimo una ventina di minuti.
Peccato che avesse già visto troppo.
“Grazie, Marla” rispose Adrian,
prendendo il pacco con l’accenno di un sorriso.
Le notizie del giorno non lo stupirono,
ma gli lasciarono comunque l’amaro in bocca. Nixon infine era
stato eletto:
prevedibile, sì, ma catastrofico. Era stato quello che
più di tutti si era
opposto alla politica pacifica del giovane Kennedy, che mai avrebbe
sguinzagliato il Dottor Manhattan contro i propri nemici. Adrian non
aveva
dubbi che Nixon, invece, alla prima occasione avrebbe inviato Jon sul
campo di
battaglia. Una volta avvenuto questo, molti Paesi si sarebbero sentiti
in
diritto di utilizzare armi di distruzione di massa, e la
possibilità di una
guerra nucleare sarebbe diventata più che mai reale.
L’elezione di Nixon stringeva i tempi, non
solo dell’umanità, ma anche del proprio piano.
Senza perdere la propria maschera di
compostezza, Adrian posò i giornali sulla scrivania, quindi
si rivolse
all’assistente, che nel frattempo era rimasta in piedi, al
suo fianco, senza
muoversi di un passo.
“Qualche novità da riferirmi, da parte
dei nostri ricercatori?”
Marla, per qualche istante, sembrò
irrigidirsi ulteriormente.
“No, signore, nessuna notizia, ma…”
Si interruppe, evidentemente conscia del
fatto che stava superando una linea oltre la quale fare domande sarebbe
stato
inutile. Tuttavia, Adrian era sempre lieto di ascoltare i propri
dipendenti,
qualora avessero qualcosa da dire, quindi le rivolse un sorriso.
“Ti prego, continua.”
“Se posso permettermi, signore” riprese
lei, dopo essersi ricomposta “credo che
l’esperimento che si sta svolgendo ora
sia totalmente estraneo ai nostri propositi.”
Intelligente, Marla. Dopotutto, era una
sua dipendente, ed era la migliore. Il re dei re, prima di tutto, deve
essere
circondato da consiglieri acuti e sinceri.
Prima di risponderle, Adrian si alzò, le
mani in tasca, e fece qualche lento passo intorno alla scrivania.
“E’ vero, il nostro proposito è creare
energia pulita e rinnovabile. La nostra azienda lavora per migliorare
la vita
di tutti. Ritengo però che il potere del Dottor Manhattan
possa essere utilizzato
anche per altri scopi, e questo esperimento non è che il
primo passo verso una
nuova era.”
Marla l’aveva ascoltato con vivo
interesse, rigida nel tailleur firmato che lui stesso le aveva regalato
al suo
ultimo compleanno.
“Certo, comprendo” disse infine lei,
dolce e sincera anche senza aprirsi in un sorriso.
Il suono di qualcuno che si schiariva la
voce attirò poi la loro attenzione. Il dottor Miller era
entrato discretamente
nell’ufficio.
“Signor Veidt, il dottor Madani mi manda
a chiamarla. L’esperimento è quasi
concluso.”
“Grazie, dottor Miller. Marla, resta qui
e chiama la sede a New York, credo che rimanderò il mio
ritorno di qualche
giorno.”
Dal modo in cui il dottor Miller gli si
era rivolto, era chiaro che ci fossero ottime probabiIità di
riuscita, motivo
più che sufficiente per prolungare il soggiorno a Karnak. Se
quell’esperimento
fosse riuscito, però, non avrebbe proseguito la ricerca. Il
potere di Manhattan
sarebbe stato utilizzato per un unico scopo, molto diverso da quello
che Marla
immaginava. L’esperimento di quel giorno sarebbe stata la
prima e ultima
deviazione dal piano originale.
La
direttrice dello zoo si chiamava Mavis, ed era una donna molto
semplice, bassa
e tarchiata. L’aveva incontrata molte volte, e non
l’aveva mai vista vestita in
modo elegante, semplicemente perché dedicava talmente tante
ore alle sue
creature che di conseguenza non aveva molto tempo da dedicare a
sé stessa. Ciò
non la rendeva una persona sgradita, anzi, era decisamente
più vera dei
giornalisti che li aspettavano fuori, pronti a ricevere la lieta
notizia.
“Era
il minimo, signor Veidt, se non fosse per lei questo posto sarebbe
ancora un
cantiere.”
Investire
in uno zoo, in effetti, non era stata una mossa economicamente
produttiva: i
tempi in cui la gente si accalcava per vedere degli animali esotici
erano
finiti, ed i guadagni faticavano a coprire le spese. Ma investire in
imprese
come questa era soltanto un bene per l’immagine pubblica, e
lui non si era tirato
indietro.
L’arrivo
di una cucciolata, appunto, era una di quelle notizie che piacevano
sempre al
pubblico, indipendentemente dall’interesse verso lo zoo.
Pareva quasi un
simbolo di speranza per il futuro. Ma difficilmente la speranza
è tinta solo
dei colori della gioia.
Adrian si mosse solo per girare intorno
al tavolo, i passi leggeri e silenziosi, ridondanti nel silenzio che
avvolgeva
la stanza. Sotto gli occhi dei due scienziati brillava una fievole luce
azzurra, chiaro segno che il potere di Manhattan era stato innestato e
che
stava facendo il suo lavoro. A quel punto, era solo questione di
aspettare.
“Signora,
temo che non ce la farà.”
Dopo
un primo istante di sbigottimento, Mavis fece un profondo sospiro,
passandosi una
mano fra i capelli. Ad Adrian parve che fosse sul punto di piangere,
così si
avvicinò alle due donne, il sorriso affettuoso tramutato in
una maschera di
compostezza.
“C’è
qualcosa che la turba, Mavis?”
“No…
voglio dire, sì, mi scusi” rispose lei, estraendo
un fazzoletto dalla tasca e
asciugandosi gli occhi lucidi, “uno dei cinque cuccioli
è nato malato. Una
femmina. Sono stata accanto a lei e alla madre tutta la notte, sembrava
che
stesse per riprendersi ma…”
A
quel punto non resse all’emozione, e soffocò un
singhiozzo nel fazzoletto.
“Sono
certo che abbia fatto del proprio meglio” disse Adrian, nel
tono più affettuoso
che conoscesse.
La
direttrice alzò gli occhi su di lui e un lieve rossore,
certamente diverso da
quello del pianto, si diffuse sulle guance morbide.
“La
ringrazio, signor Veidt” mormorò, asciugandosi
nuovamente le lacrime.
“Potrebbe
essere così gentile da accompagnarmi
all’ambulatorio?” disse poi Adrian, rivolgendosi
alla ragazza, che chiaramente era una veterinaria. Voleva vedere
l’esemplare
malato. Voleva essere certo che non si potesse far proprio nulla per
salvarlo.
Dopotutto, era già stato annunciato che i cuccioli nati
erano cinque, la morte
di uno di loro avrebbe gettato un’ombra sulla lieta notizia.
Alla
sua domanda, la ragazza lo guardò con fare interrogativo.
Lui si aprì
semplicemente in un sorriso.
“La
stampa può aspettare.”
E il suono dell’elettrocardiogramma
seguitava nella sua monotonia, scandendo i battiti, lento
sì, ma più regolare
che mai.
Ce
l’avrebbe fatta.
Senza
più far caso alle due donne, Adrian si avvicinò.
Tutto avrebbe pensato, ma mai
avrebbe immaginato di trovare quella creatura assolutamente,
incomparabilmente bella, e
poco
gli importava della malattia che le stava divorando il corpo.
“La
prendo io” disse, dopo quelli che forse erano diventati
minuti. Sfiorò
delicatamente il corpo del piccolo felino, che ebbe un fremito.
C’era
ancora speranza.
Così, dopo la conferenza stampa, in
brevissimo tempo si era trovato in volo in direzione di Karnak, dove i
suoi
scienziati stavano già allestendo un laboratorio apposito
per l’operazione.
Era stata una corsa contro il tempo, ma
la piccola lince aveva retto benissimo, dimostrando di avere la tempra
adatta
per continuare a vivere. Lo meritava, così come meritava un
posto al suo
fianco.
“Signor Veidt, abbiamo finito” disse
all’improvviso una voce, che lo riscosse dai pensieri. Era
stato il dottor Madani
a parlare e, prima di incrociare il suo sguardo, Adrian aveva
già capito
com’era andata.
“Ce l'abbiamo fatta” disse infatti lo
scienziato, aprendosi in un sorriso raggiante e facendogli spazio per
mostrargli il risultato.
Se c’era qualcosa di adatto a descrivere
la perfezione, Adrian non aveva dubbi, era quello. Osservò
con attenzione la
piccola lince che, ora sveglia, si stava mettendo a sedere, goffa nel
suo corpo
mutato. I caratteri tipici della specie erano cambiati: le orecchie e
la coda
si erano allungate, le macchie erano divenute striature e il pelo aveva
assunto
delle curiose sfumature azzurre, segno che il potere di Manhattan aveva
agito
alla perfezione: aveva distrutto le cellule malate
dell’animale e le aveva
ricostruite, rendendole più forti e resistenti.
Senza più trattenersi, lentamente Adrian
allungò la mano per sfiorare la testa della lince. Le dita
scivolarono sul pelo
morbido, e per tutta risposta il felino si inarcò contro la
sua mano, per
fargli capire che apprezzava il gesto. Non passò molto prima
che iniziasse a
fare le fusa e lui si divertì a pensare che, forse, quello
era il suo modo per
ringraziarlo.
Non aveva alcun rimpianto per il potere
utilizzato. Quella lince era splendida, era più di quanto
lui stesso potesse
immaginare. Ora capiva cosa doveva aver provato Alessandro dinanzi a
Bucefalo:
la creatura che gli stava dinanzi era la sintesi perfetta di una dea e
di un
compagno degno di un re.
Lui
era un re.
Si rese conto che la
conferma del
proprio destino gli stava dinanzi, e che fino a quel momento non se
n’era
nemmeno accorto. Presto quel miagolio sarebbe diventato un ruggito. A
quel
pensiero, le sue labbra si piegarono in un sorriso.
“Bubastis.”
Salve a tutti! Se state
leggendo qui,
vuol dire che siete ancora vivi. Ne sono felice! Non sono solita
lasciare le
note alla fine dei capitoli, ma in questo caso vorrei chiarire alcune
cose che
ho inserito nella storia.
-Khalid Madani
è il nome che ho dato
allo scienziato che compare nel film davanti a tutti gli altri, nel
momento del
brindisi con Adrian. Mi piace pensare che fosse musulmano. Dovete
sapere che,
secondo l’Islam, il destino di ogni creatura vivente
è nelle mani di Dio: così
il destino di morte non può essere cambiato. Per questo la
possibile riuscita
dell’esperimento sconvolge tanto Khalid: guarire un essere da
una malattia che
l’avrebbe sicuramente ucciso va contro il destino prescritto
da Dio.
-Marla è la
segretaria che compare anche
in “Before Watchmen: Ozymandias”.
Finite anche le note!
Come ultima cosa,
ma non meno importante, ringrazio bluemary,
per il sostegno che mi dà anche quando
l’ispirazione sembra avermi voltato
completamente le spalle. Ringrazio tantissimo anche PZZ20, che per le recensioni che mi
lascia sempre, anche se non lo merito.
Infine ringrazio vannagio, per avere indetto un contest
così interessante! Grazie. A questo punto non mi resta che
sperare che la
storia vi sia piaciuta, vi ringrazio infinitamente per averla letta.