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Autore: Soqquadro04    29/10/2013    3 recensioni
[Fluff (roba da valori di glicemia alle stelle) | Deleeena | Missing Moment/What if...? ]
Un pub, una sera piovosa e una vecchia canzone. E un pizzico di esibizionismo, che non guasta mai.
«Ho capito di essere innamorato di te, quel giorno.» il mormorio è quasi impercettibile, tanto che crede, per un secondo, di aver capito male. Ma i suoi occhi mostrano uno di quei rari momenti in cui anche le più sottili maschere che lo nascondono sono spazzate via, quegli attimi in cui è così vulnerabile da farle venire in mente un cucciolo di gatto spaurito – non si azzarderebbe mai a renderlo partecipe di tale associazione, comunque – e lei comprende che è mortalmente serio.
{A Fefy94, perché è tutto merito suo}
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Delena e Fluff dilagante'
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N/A - Note dell'Autrice - Premessa

Buonsalve, lettrici.
Sì, sono tornata, e lo so che è l'una di notte, ma questo è un regalo e non ho sonno ù.ù
Sappiate che l'idea non è mia, ma della carissima, geniale e amica di fangirlamenti Fefy94: io ci ho messo solo un po' di tempo XD
Quindi, un enorme graaaazie a Fefy ù.ù
E poi sono tanto felice perché è da un secolo che voglio descrivere un ballo Delena... non so quanto m'è venuto, ma va bene ù.ù

A presto,
la vostra Soqquadro

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All I need

A Fefy94, di nuovo, perché mi è diventata una piccola dispensatrice di idee <3

 
 
Don’t tear me down for all I need
Make my heart a better place
Give me something I can believe
Don’t tear me down
You’ve opened the door now,
don’t let it close. **


A Richmond piove – anche se sarebbe più corretto affermare che sta diluviando.
Un temporale con tanto di lampi e minacciosi tuoni brontoloni, che ha sorpreso gli ignari passanti con un primo scroscio violento per poi continuare, implacabile, a riversare interi fiumi sulle folle prive di ombrelli, che si sono immediatamente disperse cercando riparo.

Fra queste, una coppia di ritardatari che si distingue a fatica nel buio solo temporaneamente illuminato dai fulmini, corre verso l'insegna luminosa di un bar, promessa di un posto asciutto.
Ridono, anche se la loro ilarità è quasi completamente soffocata dalla rumorosità dolente della tempesta.

Non appena entrano in tutta fretta nel pub, sgocciolando acqua sul tappeto all'ingresso, la musica li investe, note vibranti e volume fin troppo alto che provengono da qualche cassa nascosta.
Mentre la porta si richiude dietro di loro, le risate sfumano in ampi sorrisi inteneriti, e si osservano per qualche secondo.

Damon pare un pulcino bagnato – è una definizione che sarà meglio evitare di proporgli, decisamente –, con i capelli fradici che ricadono, disastrati, sulla fronte ampia, e le gocce d'acqua piovana che scorrono lente seguendo le curve del volto.

La sua espressione – le iridi accese di divertimento, il ghigno incrinato a sinistra – le dice, però, che lei non dev'essere da meno: la lunga chioma castana è impregnata di pioggia, e l'acqua che è riuscita a infilarsi sotto il vestito le ha ormai inumidito la schiena.
Del resto, fuori piove veramente forte, e anche se il clima non rientra fra i loro problemi, il piacevole calore emanato dai termosifoni del locale è tutt'altro che sgradito.

Elena scuote appena la testa, sbuffando e avviandosi verso un tavolo, seguita a ruota da lui.
È tutta colpa sua, e della sua stupida voglia di cinema all'aperto.

Davano “Via col vento”, e quanto aveva insistito per andare a vederlo! Come se l'ultima volta avesse portato bene, oltretutto.

Ma quando raggiunge finalmente un tavolo libero – Damon sorride, soddisfatto: è in un angolo, abbastanza appartato da potersi permettere anche qualche effusione, come non mancherà di farle notare – e si siede, lui che prende posto lì di fronte, la scherzosa indignazione è già stata sostituita da una rassegnazione tenera. Le confessa spesso, fintamente irritato, che non è capace di negarle qualcosa, ma forse non comprende che per lei è esattamente lo stesso.

O forse lo capisce benissimo e approfitta a suo piacimento di tale potere, il che è molto probabile.
Nonostante il luogo sia affollato, non passa molto prima che un cameriere arrivi a portare un paio di menù.

È giovane, biondo e obbiettivamente avvenente. Forse uno studente, e la sta fissando. Elena ridacchia appena quando nota che Damon si irrigidisce, lanciandole a sua volta un'occhiata.
Non comprende cosa voglia fare, mentre si toglie la giacca e la invita con i soli occhi a infilarla, ma lei nota che si rilassa immediatamente quando, senza domande, si allunga ad afferrare il giubbotto e se lo appoggia sulle spalle.

Poi, il suo fidanzato fulmina il ragazzino. Per un attimo fa veramente paura, e il biondino pare restringersi, complice anche il fatto che Damon è il doppio di lui e, anche se non lo sa, almeno cento volte più forte.

Quello si limita a girare sui tacchi, mormorando qualcosa che assomiglia a un “quando avrete deciso fate un cenno, arriverà qualcuno” – ma il tono terrorizzato, unito all'allegro chiasso degli altri avventori, non rende il tutto granché comprensibile – e sparire in tre secondi netti.
Damon si appoggia allo schienale della sedia, sospirando e alzando teatralmente gli occhi al cielo, mentre lei corruga la fronte, ancora stranita.

Gli domanda delucidazioni, la testa inclinata a sinistra e il peso confortante della giacca di lui addosso. Inspira profondamente, sorridendo appena quando il suo odore le riempie le narici, fresco.

«Non è carino spaventare gli studenti universitari, Damon. Che ha fatto quel poveretto per meritarsi lo sguardo da “grande vampiro cattivo”?» glielo chiede con tono estremamente sereno, anche se è seriamente confusa. Sorridente, calca sulle ultime parole tirando fuori una falsissima voce grossa.
Lui sembra corruga le sopracciglia, sospirando, quasi sconsolato.

Poi alza il mento, accennando al petto di lei.

Quando Elena abbassa gli occhi, la fronte aggrottata, la prima cosa che fa è arrossire visibilmente.
La seconda è portare le maniche troppo lunghe del giubbotto di lui davanti al seno, guardandosi discretamente intorno per verificare che nessun altro abbia notato che l'abito bianco che indossa, bagnato, è di una trasparenza assoluta.

Damon le porge uno dei cartoncini plastificati, stringendo i denti.

«Sappi che mi sto trattenendo dal venire lì e abbracciarti, per riuscire a coprirti.» è vagamente corrucciato, scontento. Elena sospira a quella gelosia infondata: come se a lei importasse qualcosa degli sguardi di altri. Ma lo capisce, meglio di quanto lui stesso pensi – dopotutto, è abituata a evitare di mostrare i canini ad ogni essere di sesso femminile che passa loro di fianco, quando sono in giro.

Afferra il menù, carezzando il dorso della sua mano, rassicurante, e lo vede espirare, lento, al contatto.
Lo calma toccarla.

Gli sorride appena, abbassando poi gli occhi per scorrere la lista. Appoggia tutto sul piano del tavolo dopo qualche secondo, rendendosi conto che non ha voglia di mangiare.
Picchietta le dita sul bordo, guardandosi intorno.

Il loro angolo dà una visuale niente male sul resto del luogo: è accogliente e intimo, le pareti dipinte di colori caldi e il bancone di legno pieno sotto il quale sgabelli solitari fanno capolino.
I tavoli sono sistemati abbastanza indietro da lasciare un certo margine di spazio, evitando di creare un'atmosfera opprimente nonostante il posto sia decisamente affollato.

Il rumore secco, quasi impercettibile, che produce il cartone a contatto con il legno la fa quasi sobbalzare: anche Damon si è arreso, gettando il menù sul tavolo con un'espressione strana in volto.
Quando parla, capisce che è disgusto, e gli angoli della bocca le si contraggono mentre cerca di non scoppiare a ridere.

«Servono il Loco Moco*. Non arricchirò un luogo dove servono il Loco Moco, Elena.» ha il viso contratto in una smorfia assurda, a metà fra il rifiuto e lo schifo più profondo. Non può nemmeno biasimarlo, del resto.
All'improvviso, la musica cambia. Forse qualcuno si è stufato della stazione precedente, fatto sta che un presentatore dalla voce irritante li infastidisce per qualche minuto, prima che il titolo non catturi l'attenzione di lui.

Lo vede sgranare gli occhi, dimentico della sua indignazione verso la terribile pietanza, e scuotere la testa, quasi incredulo.
Lei non ha udito la stessa cosa, perché non capisce. Lo osserva con aria interrogativa, il capo inclinato di lato, ma quando le prende la mano e la trascina in piedi, proprio mentre la canzone inizia, è tutto più chiaro.

Le note iniziali sono dolci, proprio come le ricorda. Per un attimo, mentre lui la conduce al centro del locale, sotto gli occhi confusi degli altri clienti, risente sulla pelle la stoffa troppo lucida del vestito, il calore del sole sul viso e le loro dita che si sfioravano senza nessun contatto più profondo, esattamente come richiesto.

Ora non importa più, mentre la canzone avanza, ancora lenta nonostante la potenza che aumenta.
Sistema una mano sulla sua spalla, accettando senza esitazione quella che lui le porge, a mezz'aria, e godendo del suo palmo contro il fianco.

Hanno già ballato così, una volta, ed era stata la notte più bella della sua vita, seconda soltanto a quella in cui era finalmente riuscita a fargli credere a quell'amore.

Quando la prima nota alta si intromette nella melodia, lui la guida in un movimento incisivo.
Un mezzo giro. Sorridono entrambi.

Proprio come allora.

Qualche altro passo – due indietro, di lato, e poi indietro ancora.

È sorprendente quanto il suo corpo rammenti bene il ritmo da seguire, la coreografia intera. Certo, il fatto che Damon sia davvero un ottimo ballerino non guasta.
Le sussurra qualcosa all'orecchio, prima di allontanarla da sé facendola volteggiare sul primo acuto.

«Ho capito di essere innamorato di te, quel giorno.» il mormorio è quasi impercettibile, tanto che crede, per un secondo, di aver capito male. Ma i suoi occhi mostrano uno di quei rari momenti in cui anche le più sottili maschere che lo nascondono sono spazzate via, quegli attimi in cui è così vulnerabile da farle venire in mente un cucciolo spaurito – non si azzarderebbe mai a renderlo partecipe di tale associazione, comunque – e lei comprende che è mortalmente serio.

In fondo alle sue iridi vede il ricordo sbiadire, sostituito dal presente mentre gli finisce addosso molto poco elegantemente, incespicando su un rilievo del pavimento perché troppo impegnata a fissarlo per accorgersi del rialzo. Rischia di farlo cadere, ma in qualche modo salva la situazione, afferrandole gli avambracci e sopprimendo un ghigno.

Quando solleva la testa verso di lui, un broncio poco convinto dipinto in volto – una vampira che inciampa. Inciampa! – si limita a baciarla nel bel mezzo di un ritornello.
È un bacio lungo, profondo, di respiri che si mescolano e carezze umide sul palato.

Damon le passa la lingua sui denti, ghignando apertamente mentre sospira appena, gli occhi chiusi.

Non si allontanano, non fino a quando il bisogno di respirare si fa pressante e urgente – fino ad allora, l'unica aria di cui hanno bisogno è il fiato dell'altro, l'unica sensazione quella del viso racchiuso fra le mani.
Poi lui le sfiora ancora una volta le labbra, appoggiando la fronte alla sua e aprendo lentamente le palpebre, contemporaneamente ad Elena.

Si guardano, studiandosi a vicenda, cercando di cogliere quanti più particolari possibili: un dettaglio nell'espressione dell'altro, una sfumatura nel colore dell'iride.
Non trovano nulla che non conoscano già, inciso nella memoria dopo tutto il tempo passato a osservarsi. Sia di sottecchi, tentando di non farsi scorgere, sia apertamente, ora che è normale che, a casa, qualcuno li sorprenda così.

All'improvviso, la relativa calma e l'istante stesso vengono infranti da un applauso, solitario ma convinto.

Questo primo apprezzamento dà il via a una breve ovazione, con tanto di fischi entusiastici e incitamenti. A prendersi una camera d'albero, ma tant'è.
Damon, malizioso, alza gli occhi al cielo e, allontanandosi, la prende per mano.

La fa voltare verso il resto degli avventori, inchinandosi scherzosamente e ridendo – una bella risata, di gola – quando lei sbuffa, fintamente contrariata, e si arrende a una minuscola riverenza.

Poi, semplicemente, la attira a sé un'ultima volta, lasciandole un bacio leggero sulle labbra dischiuse.
Questo è solo tenero, intimo.

Lui bisbiglia una domanda altrettanto tenera, giocherellando con una ciocca dei capelli di lei.

«Andiamo a casa?» un'occhiata complice.
Cinque minuti dopo sono già fuori – dopo aver recuperato la giacca di Damon, scivolata a terra alla prima giravolta –, e camminano con le dita intrecciate mentre si dirigono verso l'auto.

Elena appoggia la testa alla sua spalla, sospirando quando lui, giocosamente indispettito, le sottopone un altro quesito.

«Nemmeno un grazie per averti salvato? Non so, qualcosa del tipo “mio eroe! Ti sarò per sempre grata, dopo che mi hai impedito una rovinosa caduta con tanto di grandiosa figuraccia!”» sulle ultime parole, tira fuori una voce in falsetto che lo rende terribilmente ridicolo.

Lei ridacchia, facendosi però immediatamente seria.
Quella canzone ha portato indietro ricordi di un'epoca in cui era ancora strano sentir parlare di vampiri ed esseri soprannaturali assortiti.

Solo ora si è accorta che, alla fine, non le manca per niente.

«Non mi importa se l'universo intero si metterà contro di noi, Damon. Io ho bisogno di te, ora. Finché ci sarai, andrà tutto bene.»
 

I tried many times but nothing was real
Make it fade away, don’t break me down
I want to believe that this is for real
Save me from my fear
Don’t tear me down
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* Ho dovuto trovare qualcosa capace di disgustare Damon... ho pensato che questo fosse abbastanza XD
The Loco Moco: strato di riso sovrastato da un grande hamburger e da un uovo fritto, il tutto innaffiato con abbondante salsa di castagne.


** All I need - Within Temptation


 
   
 
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