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Autore: adria    29/10/2013    2 recensioni
"Non restare a piangere sulla mia tomba.
Non sono lì, non dormo.
Sono mille venti che soffiano.
Sono la scintilla diamante sulla neve.
Sono la luce del sole sul grano maturo.
Sono la pioggerellina d’autunno.
Quando ti svegli nella quiete del mattino …
Sono le stelle che brillano la notte.
Non restare a piangere sulla mia tomba.
Non sono lì, non dormo."
Canto Navajo
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Essendo la prima volta che posto qualcosa di originale, sarebbe gradita una recensione, grazie mille.
Ho modificato alcune cose e modificato i capitoli (oltre ad averne aggiunto di nuovi), spero vi piacciano!!!
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
14 Marzo 2010
Londra, Inghilterra
Cimitero di Highgate
 
Era mezzogiorno.
Cielo limpido.
Il sole brillava alto.
Non soffiava un filo di vento e nell’aria c’era odore di ghiaccio.
Faceva freddo.
Il cimitero era affollato quel giorno.
Si stavano svolgendo tre funerali in simultanea.
Tre bare color ciliegio avevano sfilato per il sentiero in selciato fino al luogo del loro eterno riposo. Tre famiglie piangevano la morte prematura di quelle tre creature e attorno a loro si erano riuniti amici e conoscenti in un macabro abbraccio nero. Al centro il prete, unica presenza bianca, unica luce solitaria, unica guida.
Questo era lo spettacolo che si osservava dalla collinetta che lo sovrasta.
Questo era lo spettacolo a cui assisteva in silenzio Derek Cabrera al riparo di una splendida quercia secolare. Una delle tante che erano state piantate nei dintorni.
Di sotto nessuno si era accorto della presenza di quel ragazzo alto, dal corpo atletico fasciato in un pesante cappotto nero, dalle spalle larghe, dai corti capelli cioccolato fondente, dalla mascella scolpita e dai cupi occhi ambrati che osservava silenzioso nell’ombra come un guerriero ninja.
- La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto,
sento i tuoi passi esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio. - recitò in un sussurro solenne al cielo il ragazzo rompendo il silenzio di quel luogo sacro. Il tono era piatto.
- Fernando Pessoa. – rispose una voce maschile alle spalle di Derek.
Come Derek anche l’uomo era stretto in un cappotto doppio petto nero, avevano la stessa corporatura, ma l’uomo aveva lunghi capelli biondi stretti in un codino e occhi neri.
- Esatto Edward. – si complimentò il ragazzo voltandosi a fronteggiare il nuovo arrivato. L’ombra di un sorriso tirato gli balenò sul viso.
- È stata una morte orribile. – disse Edward guardando il cimitero alle spalle del suo interlocutore
- Già. -
– Mi dispiace per la loro morte. Erano così giovani, avevano ancora tutta la vita davanti. –
- Già. –
Il silenziò calò di nuovo mentre i due osservavano il cimitero svuotarsi lentamente.
Le bare erano state inghiottite dalla terra, sparite per sempre.
- Andiamo. – disse Derek ad un tratto avviandosi svelto giù per il sentiero tre le lapidi che avevano percorso per salire.
L’altro lo seguiva in silenzio come un’ombra.
Raggiunta la berlina grigia, parcheggiata ai piedi della collina, salirono.
Edward al fianco dell’autista, Derek dietro dove aspettava composto un ragazzo che era la sua copia sputata.
- Possiamo andare? – chiese il giovane al gemello appena chiuse la portiera.
- Certo Alan. – rispose Derek voltandosi a guardare il gemello con gli occhiali da sole che teneva lo sguardo fisso davanti a sé come sempre.
- Non mi sono mai piaciuti i funerali. –
- Lo so. –
Entrambi sorrisero.
Un sorriso tirato, stanco, triste.
A vederli così, l’uno di fianco all’altro, l’unica vistosa differenza era che Alan portava i capelli abbastanza lunghi da far si che qualche ciocca ribelle ricadesse disinvolta sulla fronte e gli coprissero un po’ i lobi delle orecchie, ma se il giovane si fosse tolto gli occhiali da sole Armani con lenti a specchio avrebbe rivelato l’altra grande differenza, due occhi bianchi, completamente ciechi.
- Dove andiamo signore? – chiese dal sedile anteriore l’autista guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore. Aveva una voce cavernosa.
- A caccia. – rispose lui non curante.
L’autista accettò passivo la risposta e mise in moto.
  
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