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Autore: hapworth    30/10/2013    5 recensioni
Il giovane Smith sapeva di non dover rivolgere la parola a bambini dei quartieri malfamati – l’aspetto del piccolo era tutt’altro che curato – ma non poteva assolutamente starsene zitto; non mentre i suoi eroi venivano denigrati in quel modo da un ragazzino sporco e irritante.
[Settima classificata al Shingeki no Kyojin Contest indetto da Mokochan]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa cosa è stata scritta per il Shingeki no Kyojin Contest di Mokochan, quindi non me ne vogliate: mi piace l’idea di poter fantasticare su come si siano conosciuti Erwin e Rivaille ecco, lo ammetto. Dunque questa non è né la prima né l’ultima volta che scriverò su tale evento, perché sono troppo adorabili ù.ù
I personaggi non mi appartengono - anche se lo vorrei tanto ;^; - e io non scrivo a fini di lucro.
Ps: non soffro di schizofrenia, qui ho usato “Irvin” al posto di “Erwin” perché l’ho scritta mesi fa, quando ancora usavo, appunto, questa traslitterazione invece che quella che uso tuttora e, dato che partecipa ad un contest, non ho voluto modificare il testo originariamente spedito.

By athenachan


Autore: athenachan. 
Titolo: L’egoismo dei vivi.
Personaggi e Pairing: Irvin e Rivaille, pre-pairing Eruri.
Genere: Malinconico.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: Oneshot, linguaggio scurrile.
Introduzione: Alcuni desideri rimangono nostri per sempre.
Note dell'Autore: Niente di particolare da segnalare; mi stuzzica da sempre l’idea di scrivere sul passato ipotetico in cui Rivaille e Irvin si sono ritrovati ad incontrarsi. Così ho preso la palla al balzo e ne ho scritto. Ho cercato di rimanere IC il più possibile, spero di esserci riuscita in entrambe le scene ecco ù.ù.




  L’egoismo dei vivi

«SONO TORNATI!» la voce forte di un membro della Polizia Militare si fece udire; era uno di coloro che facevano la guardia al Cancello delle Mura Maria. Il Muro che li separava dal mondo esterno.
Il mondo dove Loro dominavano.
Irvin Smith era solo un ragazzino di dodici anni ma sapeva bene che cosa voleva fare in futuro. Sapeva che il suo destino era proprio lì, davanti a lui, oltre quella folla che gli impediva di vedere chiaramente le figure che rientravano in città dopo una missione all’esterno.
Anche se veniva da una buona famiglia, che aveva una certa influenza nella politica delle Mura, ad Irvin non importava molto. Non davvero; forse troppo piccolo per considerare la propria posizione: lui voleva entrare a far parte della Legione Esplorativa, non gli importava come.
Il ragazzino si trovava dietro alla folla che, agitata, si era riunita nella via principale; cercava – nella sua altezza ancora esigua – di vedere qualcosa: ma c’erano solo le teste che si muovevano e voci indistinte. Troppo confuse per capirci qualcosa.
«Stupidi
Non aveva sentito la presenza che era finita al suo fianco, almeno finché una voce infantile ma acida non aveva parlato. Irvin si era voltato e, a meno di due passi da lui, aveva visto un bambino dai capelli neri che, con un’espressione insondabile e le braccia incrociate al piccolo petto, osservava dinanzi a sé per nulla interessato.
Il giovane Smith sapeva di non dover rivolgere la parola a bambini dei quartieri malfamati – l’aspetto del piccolo era tutt’altro che curato – ma non poteva assolutamente starsene zitto; non mentre i suoi eroi venivano denigrati in quel modo da un ragazzino sporco e irritante.
«Non è vero. Muoiono per noi ogni giorno, dovresti smetterla.» il tono era rimasto pacato ma, forse, leggermente severo – suo padre gli impartiva fin troppe lezioni su come essere un uomo determinato – ma per nulla risentito, malgrado tutto.
«Resta il fatto che sono degli stupidi. E anche chi li considera degli eroi, è stupido. Vanno solo a morire inutilmente.»
«Meglio che restare senza fare niente!»
Il bambino moro, che fino a quel momento non gli aveva rivolto un solo sguardo, volse il viso sporco verso la sua direzione, per guardarlo. Aveva il taglio degli occhi sottili e l’espressione neutra: non sembrava né arrabbiato né altro, semplicemente lo guardava con i suoi occhi grigi, fisso.
«Vuoi morire, quindi.» fu la conclusione che il bambino trasse, dopo averlo guardato dal basso verso l’alto, benché la differenza d’altezza fosse piuttosto evidente tra i due, complice probabilmente l’età che li diversificava.
«Io voglio solo distruggere questa gabbia. E voglio indossare le Ali della Libertà
Le sue parole parvero stuzzicare l’ilarità del moccioso che, con un sorriso irrisorio, lo guardò dal basso: sembrava prendersi beffe di lui, con quegli occhi grigi e quell’espressione irritante ma, allo stesso tempo, Irvin non poté evitarsi di notare quanto fosse magro nelle vesti strappate.
«Una gabbia marcia non può essere aperta.» disse quello; aveva di nuovo l’espressione incolore ma gli occhi parvero brillare per un istante. Forse si stava prendendo gioco di lui, forse non era altro che un ragazzino che voleva distruggere il suo sogno per chissà quale motivo. Forse.
«Puoi pensarla come vuoi, tanto tu-»
«Finché ci saranno persone egoiste come te il marcio resterà, stronzo.» non gli aveva lasciato terminare una frase di cui, certamente, con il senno di poi si sarebbe anche pentito di aver pensato. Lo aveva guardato con i suoi occhi chiari, prima di voltarsi e dileguarsi, rapido com’era arrivato, in uno dei tanti cunicoli lì vicino.
Per la prima volta Irvin pensò di aver sbagliato a giudicare: aveva ferito qualcun altro con la propria spocchia infantile.

Rientrare dentro le Mura dopo una missione era sempre qualcosa di troppo doloroso: pensare di esserci ma che molti di loro non fossero stati altrettanto fortunati faceva male, a volte troppo. Probabilmente la verità era che Irvin non era ancora abituato all’idea della morte, malgrado avesse lasciato tutto per entrare nella Legione Esplorativa; era rassegnato alla propria, quella l’aveva accettata ma allo stesso tempo non riusciva ad accettare di veder morire gli altri, l’Umanità intera, in un certo senso.
Era molto presuntuoso da parte sua pretendere di non veder morire nessuno, dirsi “La prossima volta torneremo tutti a casa”; era una bugia ma lo aiutava ad andare avanti per quella strada che lui stesso si era scelto. Non era affatto pentito, non aveva rimpianto una sola volta il passato e la propria decisione: non ne era il tipo.
A volte ripensava all’infanzia però, a quel comportamento infantile che aveva ferito un bambino senza più niente; si rammaricava solo di non essere più riuscito a vederlo, di non essersi potuto scusare e di non essere riuscito a farsi capire, aiutandolo.
Stava girando l’angolo quando andò a sbattere – come il più banale dei cliché – contro qualcuno; nessuno cadde a terra ma ci fu un insulto tutt’altro che simpatico da parte di una voce maschile.
Irvin abbassò lo sguardo, trovandosi faccia a faccia con un ragazzo più giovane ma di bassa statura: capelli neri un poco lunghi e vestiti semplici; non era affatto pulito ma, contrariamente a quanto avrebbe potuto pensare, non puzzava.
«Stronzo, chiedi scusa almeno.»
Non seppe esattamente che cosa lo indusse ad abbassare lo sguardo per regalargli una seconda occhiata ma quando lo fece strabuzzò gli occhi nel constatare che erano due occhi grigi dal taglio severo e allungato, quelli che lo osservavano con un luccichio per nulla rassicurante.
«Tu-»
«… Alla fine eri proprio uno stupido.» le parole erano nel tono saccente che ricordava, forse meno rancoroso e più indifferente ma comunque piuttosto antipatico. Irvin lo riconobbe malgrado gli anni e, per quanto cambiato, non gli ci volle molto per intuire che fosse diventato un ladro o un malvivente. Faceva parte del marcio nella gabbia.
«E tu uno che si è arreso.» non sapeva come avrebbe potuto reagire ma, del resto, un ragazzo non faceva così paura: i Giganti, Loro si, che mettevano terrore; un umano qualunque non avrebbe mai potuto incutere lo stesso identico terrore. Non in lui.
Un breve riso, falso, che si interruppe dopo un attimo, attirando comunque l’attenzione del biondo a guardare il più giovane con i propri occhi chiari: aveva una mano pallida davanti al viso e i capelli scompigliati, la pelle pallida – più pulita di quanto avrebbe potuto pensare, vista la condizione in cui era sicuro vivesse.
«Le alternative sono per chi possiede una merda di passato.»
Sembrava non avesse perso l’abitudine di parlare in modo piuttosto generalizzato, senza dire nulla di chiaro; Irvin non ne fu poi così infastidito, non quanto lo era stato da bambino ma, anzi, la trovò una particolarità apprezzabile contrariamente a tutto ciò in cui aveva sempre creduto.
«Sbagli invece: le scelte appartengono a tutti. Non serve un passato per crearsi un futuro.»
«Sei un idealista del cazzo, parli bene ma di certo questo non cambierà le cose.»
Il maggiore sorrise in modo pacato alle parole del moro; non disse niente per un primo momento, gli occhi appena socchiusi, prima di alzare leggermente le spalle.
«Le cose cambiano se le si vuole cambiare. Io sto cercando il cambiamento, e tu? Un ladruncolo sporco e con un pessimo carattere non potrà mai fare qualcosa. Un soldato, invece, quello si.»
Se qualcuno li avesse osservati in quel momento, probabilmente avrebbe visto solo due ragazzi a meno di un passo l’uno dall’altro che si fissavano; l’uno dallo sguardo gentile, l’altro dall’espressione indisponente ma non per questo crudele.
«Un soldato, mh?»
Fu mentre il giovane Rivaille gli prendeva la mano che Irvin decise che avrebbe fatto tutto ciò che fosse stato in suo potere per cambiare il mondo in cui vivevano; rinnovare quella promessa, per lui, significava davvero provare a cambiare le cose. Anche se la gabbia era marcia, anche se tutta l’Umanità lo fosse stata, lui sarebbe riuscito a uscirne e distruggerla. Perché in fondo era un uomo, e gli uomini desiderano sempre troppo.


Fine
   
 
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