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Autore: arwen5786    16/04/2008    16 recensioni
“La tua è un’ossessione. La tua è una folle ossessione.”
“Sasuke…”
“Come puoi amare uno come me? Sono un tossico alcolizzato che ogni sera si chiede perché non è morto. Per quale cazzo di ragione sono vissuto fino ad oggi, quando la mia sorte era quella di morire con i miei genitori?”
Sakura gli si strinse contro, incapace ancora di trattenersi. Lui non rispose all’abbraccio. Ma lei lo strinse ancora più forte, nascondendo il viso sul suo petto, il respiro affannoso.
Lui, dopo un attimo di imbarazzo, le carezzò con timore i capelli morbidi. La sentì sussurrare, schiacciata sulla sua maglietta, parole flebili ma perfettamente distinguibili.

Sakura e il suo amore, Sasuke e la sua distruzione. Lei che lo vuole salvare, lui che vuole solo morire. Apparentemente, non c'è alcuna speranza di salvezza. Apparentemente.
[Prima classificata al concorso SasuSaku indetto da Kaeru_chan]
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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HOPELESSNESS



Odiava entrare in quel palazzo: odiava l’atrio buio e fatiscente, le pareti umide e sporche, i corrimano arrugginiti.
Odiava quel quartiere, in una zona di Tokyo pericolosa e malfamata: di giorno regnavano la miseria e il degrado, la notte furoreggiavano prostitute e spacciatori.
Ma, come ben sapeva, era quello il posto dove lui aveva scelto di vivere, ormai da tre anni: semplicemente, era quello che voleva.
Sakura sollevò il sacchetto della spesa, improvvisamente pesante dovendo affrontare quelle traballanti scale, improvvisamente pericoloso.
Arrivò faticosamente al quarto piano, come unico silenzioso rumore la muta preghiera che rimbombava nella sua testa.
Fa che stia bene. Ti prego, fa che non sia successo nulla…
Riconobbe subito la porta scrostata e color ruggine, ancora più diroccata di quando l’aveva vista l’ultima volta.
E sapeva anche che l’avrebbe trovata aperta, non si era mai dato pena di chiuderla; come soleva ripetere alle sue proteste, i ladri non avrebbero trovato nulla di valore, e qualora qualcuno l’avesse voluto uccidere…beh, forse gli avrebbe fatto un favore.
Mandando giù il terribile groppo in gola, girò la maniglia: come previsto nessuna chiave o chiavistello, ed entrò richiudendola dentro di sé.
Ancora peggio dell’ultima volta, se possibile.
Ovunque aleggiava un opprimente aura mortifera, accentuata dalla polvere e dalle finestre socchiuse che non lasciavano trasparire la luce del giorno.
Poteva essere la stanza di un luogo dimenticato da dio, disabitato da anni. Non certo di un appartamento.
Posò la borsa su una sedia, notando le numerose sigarette spente, i ritagli di giornali sparsi per terra, qualche libro.
Sussultò all’improvviso vedendo una bottiglia di vodka vuota, seminascosta dalle gambe del tavolo, e numerose lattine di birra ammassate in un angolo. Si morse le labbra, trattenendo le lacrime.
Ha ricominciato a bere…
“Sasuke-kun!”
L’invocazione le uscì di bocca stridula e affannata prima che potesse bloccarla: terrore improvviso che lui non fosse in casa, angoscia lacerante che fosse successo qualcosa…
Sospirò di sollievo quando lo vide emergere dalla sua camera da letto, con sguardo accigliato e interrogativo.
“Ah, sei tu.”
Fu il laconico commento del ragazzo. La guardò di sfuggita, andandosi a sedere sul divano malconcio: Sakura lo fissò intensamente, sentendo pulsare il cuore, impazzito.
Era dimagrito ancora, aveva le guance scavate e gli zigomi affilati. Gli occhi carbone erano lucidi, il volto pallido segnato dalle occhiaie, i capelli lunghi e scarmigliati gli coprivano la fronte.
L’emblema della dissolutezza.
E, nonostante tutto, sempre bellissimo.
Sakura lo vide vuotare tutto d’un sorso il bicchiere accanto al suo tavolo, e certo non era acqua. Si morse un labbro sforzandosi di controllare il proprio tono di voce.
“Hai…hai ricominciato a bere…Avevi promesso che avresti smesso, Sasuke-kun…”
Fu un flebile mormorio, che lui accolse con un’alzata di spalle.
“Piantala con quel kun. E a chi l’avrei promesso, se posso saperlo?”
La sua voce tagliente la fece sussultare. Sakura trattenne le lacrime.
A nessuno. Avrei solo voluto che lo avessi promesso a me.
“Speravo solo che fossi davvero intenzionato a finirla, Sasuke-k…Sasuke. Io ci credevo…un mese fa io ero convinta che ce l’avresti fatta…”
Lui sbuffò versandosi un altro bicchiere di- ora sì che lo riconosceva –gin .
“Ti preoccupi sempre senza motivo. Perché non ti fai mai i fatti tuoi? Perché stai sempre a seccarmi?”
Lei dischiuse leggermente la bocca, ma non uscì alcun suono.
Perché ti amo, e tu lo sai bene.
“Non puoi bere alle undici di mattina. Sasuke, maledizione, non puoi!” lo implorò infervorata. Lui la guardò sprezzante.
“Sakura, ho diciannove anni. Faccio quel cazzo che mi pare, tengo a precisarlo.”
Lei ammutolì del tutto, sentendosi come sempre incapace.
Perché, perché aveva fallito con l’unica persona che voleva disperatamente salvare?
Sakura Haruno era una ragazza determinata e persuasiva.
Una promettente studentessa di medicina. La più brillante del suo corso, senza alcun dubbio.
Ma tutto questo non aveva alcun senso, anzi risultava solo svilente e avulso di significato: lei non era riuscita a salvare il ragazzo che aveva amato sin da ragazzina.
Si voltò, dandogli le spalle.
“Ti ho portato la spesa…sono passata all’alimentare qui sotto, ho comprato un po’ di roba. Frutta, un po’ di legumi in scatole…del riso, del sushi. E poi latte e succo d’arancia.”
Sakura pronunciò quelle parole distogliendo lo sguardo da quegli occhi antracite, che la facevano solo stare male.
La cucina era spoglia, come se nessuno l’avesse mai usata. Inorridì alla vista del frigo vuoto, eccettuate due solitarie mele rosse, ormai ammuffite.
Non c’era nulla.
Solo delle bottiglie di sakè, della vodka, stipata in un’anta.
Dannazione.
Con gesti rapidi svuotò il sacchetto, disponendo con cura quanto comprato, e mise subito a bollire dell’acqua per il tè; la calma apparente nascondeva fremiti incontrollabili, che aveva ormai imparato a dominare. Bastava che non incrociasse i suoi occhi. Se non lo guardava, il suo tono di voce rimaneva controllato e deciso.
“Hai intenzione di morire, Sasuke? Hai deciso di non mangiare più e farti morire di fame? Alimentazione a base di alcool e sigarette, un’idea geniale.”
Parlava con le nocche strette, lo sguardo fisso sull’acqua che iniziava a bollire.
Sì. Non fissandolo riusciva a dire tutto quello che pensava.
Sobbalzò avvertendo improvvisamente la sua presenza accanto, accorso vicino come un fantasma, lieve e impalpabile.
“ Non ho fame. E mangio spesso fuori.” Sentenziò Sasuke prendendo l’accendino posato vicino ai fornelli. La sua mano sfiorò inavvertitamente le dita di Sakura, che arrossì di colpo.
Calore. Bruciante, schiacciante sensazione di calore.
Lo osservò sedersi nuovamente sul divano, lo sguardo vacuo, le dita sottili che armeggiavano con le sigarette. Lo seguì poco dopo, in mano le tazze di tè.
“Vorrei…vorrei solo che tu la smettessi. Io…vorrei solo aiutarti.”
E che tutto tornasse come prima. Quando eravamo felici, io, te e Naruto. Quando tu eri felice. E io non chiedevo nulla di più. Nulla.
Le iridi nere di lui luccicarono divertite.
“Sakura…apprezzo gli sforzi. Ma inizi ad essere seccante. Noiosa.”
Le parole la trafissero come lance acuminate. Noiosa. Già.
La solita, ingenua Sakura Haruno.
L’unica che ancora dopo tre anni pensava che i vecchi tempi potessero magicamente riapparire.
Ignorando che Sasuke era ormai alcolizzato.
Che suo fratello Itachi, quando Sasuke aveva sedici anni, aveva ammazzato in un raptus di follia i genitori. Suicidandosi subito dopo sparandosi alla testa.
Ed ora Sasuke cercava nell’autodistruzione l’oblio che agognava, la pace dei sensi che sembrava averlo completamente abbandonato.
Nulla del suo vecchio mondo, dei suoi vecchi amici, aveva più un senso.
Una persona che sceglie consapevolmente di irridere alla morte, annientandosi sempre più, cosa mai poteva ancora vedere in un passato che ormai era confuso e caliginoso?
Niente. Un bel niente.
E lei non era altro che una figurina, ormai vuota, dei suoi ricordi anteriori al baratro improvviso della sua vita.
La realtà, la desolante realtà, era questa, davanti ai suoi occhi: un ragazzo disilluso, cinico, privo di qualsiasi scintilla vitale.
I vecchi tempi, ormai, erano morti, sepolti.
Sorseggiò tremante il suo tè, caldo e piacevole, ma nemmeno il buon sapore bastò a confortarla. Voleva solo stringerlo, in quell’istante.
Sentirlo accanto a sé. Tutto quello che avrebbe voluto in quell’istante era abbracciarlo, e la cosa più frustrante era avere la certezza che il suo abbraccio non sarebbe stato ricambiato.
Sasuke prese il tè, storcendo leggermente il naso.
“Odio il tè.”
“Una volta ti piaceva.”
Fu la secca risposta di Sakura. Sasuke sospirò, bevendone un piccolo sorso.
“Già, una volta.”
Rimasero per un attimo in silenzio, in quella stanza buia e polverosa, come suono solo il vociare dei pochi passanti che passavano per quella via al mattino.
“Allora…come mai sei venuta?”
La domanda di Sasuke la colse leggermente spiazzata. Come se ogni volta dovesse giustificare la sua presenza.
“Io…vengo sempre, Sasuke. Ogni mese. Lo sai.”
“Lo so. Solo che ritengo che potresti usare meglio il tuo tempo.”
Sakura strinse le mani intorno alla tazza, rischiando quasi di spaccarla; certo, avrebbe potuto non venire più. E forse sarebbe stata la cosa migliore per lei, visto come usciva devastata dopo ogni visita. Sempre con la recondita speranza che lui sarebbe cambiato, che il mese successivo l’avrebbe trovato diverso.
Come se Sakura potesse continuare a credere ancora nelle favole.
Piccola, stupida ragazzina.
Si sforzò di modulare il tono di voce, un esercizio che ormai era abituale: quanto sarebbe stata rotta dal pianto, altrimenti? Ma sapeva, oh sì, che era sull’orlo del crollo.
Sarebbe bastata una singola frase sbagliata.
“Il mio tempo è impiegato benissimo. Se tu non vuoi che venga più, allora è un altro conto.”
Sasuke scrollò le spalle.
“Che vuoi che cambi per me?”
Stavolta Sakura lasciò cadere a terra la tazzina, che si frantumò in mille pezzi, piccole schegge che si dispersero sul pavimento sporco.
Sasuke alzò solo la testa, le sopracciglia corrucciate, la fronte aggrottata. Fissò inespressivo il volto di Sakura, ora bagnato dalle lacrime, copiose.
Perché faceva sempre così, Sakura: tratteneva, e poi tutto d’un tratto le sue emozioni scoppiavano, esplodevano irrefrenabili.
Si nascose il volto tra le mani, incapace ancora una volta di frenare i singhiozzi.
Ma quello che faceva più male era certamente la sua indifferenza.
“Sasuke…ti prego…ti scongiuro…basta…”
Incurante del suo sguardo vacuo, si avvicinò a lui, e gli prese la mano, stringendola forte. Lui non la tolse, ma nemmeno rispose alla stretta.
Semplicemente, la mano restò inerme.
E Sakura piangeva, piangeva.
“Ti prego, Sasuke…ti prego…fallo per te stesso…o almeno fallo per me…”
Sasuke la fissò, gli occhi tristi.
Avrebbe voluto dirle di smettere di piangere, dirle che era inutile. Non era colpa di Sakura, se lui era diventato quello che era.
Non era colpa sua se lui non avrebbe mai potuto darle quello che lei, incessantemente, chiedeva.
Come può un relitto umano amare qualcuno?
Non può.
Ritirò la mano, deciso, e alzandosi andò ad appoggiarsi al tavolo, le mani che stringevano forte il bordo. Fissò i grandi occhi verdi della ragazza, ancora inginocchiata vicino alla sedia.
“Perché.”
Sakura chiuse gli occhi al suono della sua voce funerea, ma Sasuke proseguì.
“Perché ti ostini a volermi redimere? Non capisci che io non ho speranze, né un futuro…né uno straccio di sentimento che mi sia rimasto in corpo.”
Sakura non voleva guardarlo. Sapeva già la domanda che stava per farle.
“Sakura. Perché tu…non puoi…”
Non chiedermelo Sasuke…ti scongiuro non farlo…
“…essere felice con…”
No…ti prego no…
“…Naruto?”
Silenzio di tomba, e Sakura aprì finalmente gli occhi. L’espressione di Sasuke era malinconica.
“Lui ti ama. Lui saprebbe come renderti felice. Perché non gli dai questa possibilità?”
Sakura lo fissava.
Di nuovo quella domanda.
Ed ecco che subito, repentini e implacabili, la assalivano i ricordi, immagini di tempi diversi che si sovrapponevano con fin troppa chiarezza nella sua mente.

*
Due giorni addietro.
Lei e Naruto si erano dati appuntamento al parco, approfittando della bella giornata; una di quelle mattinate soleggiate che non facevano che risaltare la solarità di Naruto, contagioso nel suo sorriso smagliante, gli occhi turchesi ridenti, i capelli che catturavano ogni raggio di luce.
Era impossibile non restarne abbagliati, Naruto era il sole in persona. Anzi. Il suo sole.
“Saaakura-chan, guarda cosa ti ho portato? Ti piace? È il tuo genere? Ci ho messo tre ore a decidere quale scegliere…non è che ci capisca molto in queste cose, ‘tebayo!”
Sakura guardò sorridendo la collana che le tese Naruto: una sottile catenella d’argento,con un ciondolo smaltato a forma di luna.
Proprio quello che piaceva e lei. Lo abbracciò con trasporto.
“Ma non dovevi! Certo che è il mio genere, baka…assolutamente sì!”
Tu sai sempre cosa mi piace. Mi conosci troppo bene.
“Scherzi!? È già imperdonabile che non ti ho fatto il regalo di compleanno in tempo…dovevo cercare qualcosa di veramente bello, Sakura-chan!!” gongolò contento.
L’atmosfera era lieta. Serena. Fino a quando lui con finta noncuranza le aveva posto la fatidica domanda.
“Andrai ancora a trovarlo?”
Sakura si era irrigidita all’istante, la bocca improvvisamente secca. Il nome, seppur non pronunciato, aleggiava pesante nell’aria.
Naruto l’aveva guardata intensamente.
“Sakura-chan…lo sai che non devi. Maledizione.”
“Non parlare così. Eravate come fratelli.”
Aveva sussurrato lei debolmente.
Gli occhi azzurri di Naruto avevano assunto una sfumatura più scura, dolorosa.
“Vero. Ma i fratelli non ti sbarrano la strada. Non ti mettono nelle condizioni di scegliere. Non ti escludono dalla loro vita con disprezzo e rancore.”
“Ma anche tu lo vai ancora a trovare.”
Una debole replica.
Naruto aveva annuito.
“Sì. Perché per me lui sarà sempre un fratello. Anche se non è rimasto nulla di quello che era il vecchio Sasuke. Anche se ogni volta lui mi allontana, e io sto male. Ma tu, Sakura…perché tu ci vai?”
Sakura l’aveva fissato, tremante.
Naruto le aveva preso una mano, delicatamente.
“Sakura…perché vuoi soffrire così? Lui…ti farà stare sempre più male…e tu ogni volta continui a illuderti…sempre…sempre più.”
Parole che facevano male, parole disperatamente vere.
Si era alzata di scatto, come se il sole, fino a poco fa piacevole, ora scottasse troppo, insostenibile.
“Io…io devo andare, Naruto…”
La voce triste del ragazzo la raggiunse alle spalle.
“Sakura-chan…lui non ti amerà mai! Mai! Lui non può amare, non capisci?”
Sakura aveva affrettato i passi, distrutta, ma le ultime parole di Naruto, seppur rivolte più a se stesso, l’avevano raggiunta ugualmente, trafiggendola.
“E soprattutto…non potrà mai amarti quanto ti amo io…”
*

Ed eccola lì, a fissare per l’ennesima volta il volto esangue di Sasuke, l’aria di chi attendeva una risposta.
E lei che, per l’ennesima volta, sentiva il cuore sanguinare.
“Perché ogni volta mi costringi a ripeterlo, Sasuke…Io non amo Naruto …”
“Sei sempre la solita ragazzina…”
A quel punto Sakura si era rialzata in piedi, gli occhi fiammeggianti.
“No, non è il termine giusto, Sasuke! Io sono un’idiota. Io potrei avere accanto il ragazzo più dolce dell’universo, un ragazzo che mi ama…e invece no. Perché tu sei costantemente nella mia mente, perché ogni volta che ti vedo provo una fitta al petto, perché il pensiero di non vederti più mi uccide. E ogni mese io…io vivo con l’angoscia di perderti per sempre.”
Chinò il viso, affranta. E improvvisamente sentì la mano di Sasuke che le si posò su un braccio, e incrociò i suoi occhi pece.
Così neri, così profondi.
“Sakura…”
Anche la sua voce, un roco sussurro, la faceva ogni volta impazzire.
“La tua è un’ossessione. La tua è una folle ossessione.”
“Sasuke…”
“Come puoi amare uno come me? Sono un tossico alcolizzato che ogni sera si chiede perché non è morto. Per quale cazzo di ragione sono vissuto fino ad oggi, quando la mia sorte era quella di morire con i miei genitori?”
Sakura gli si strinse contro, incapace ancora di trattenersi. Lui non rispose all’abbraccio. Ma lei lo strinse ancora più forte, nascondendo il viso sul suo petto, il respiro affannoso.
Lui, dopo un attimo di imbarazzo, le carezzò con timore i capelli morbidi. La sentì sussurrare, schiacciata sulla sua maglietta, parole flebili ma perfettamente distinguibili.
“Sasuke… la mia non è un’ossessione…”
“Si che lo è. Potresti amare Naruto. Potresti essere felice, come meriti. Perché diamine continui a sperare, non ti rendi conto che io non…”
“Perché ti amo!”
Eccola, quella frase. Eccola, la semplice verità.
Lo guardò straziata, sconfitta.
“Io ti amo con tutta me stessa. Chiamala ossessione. Chiamala follia. Chiamala…pazzia. O stupidità. Ma la verità è che io non smetto un secondo di pensare a te. E quando ti vedo io…sto così male, così male…vorrei solo…”
Le parole si spensero così come erano prima erano sgorgate con tanta facilità.
Parole che si spezzarono per la troppa pena, per la concitazione più nera.
E le mani che nel frattempo si artigliavano alla maglietta, come se aggrapparsi a Sasuke avrebbe potuto salvarla dall’abisso di dolore nel quale lentamente stava precipitando.
Ora erano solo i singhiozzi di Sakura a riempire il silenzio della spoglia stanza, mentre Sasuke lentamente chinava il viso a guardarle la nuca.
Avrebbe dovuto amarla.
Avrebbe potuto amarla.
Se tutto fosse stato diverso…Sakura sarebbe stata la sua vita.
Perché seppur nella sua grigia esistenza, in quella sua patetica vita dedicata alla sofferenza e all’autodistruzione…seppur in quella sua ostinata persecuzione del rifiuto della felicità…
Forse…
Sì. Stringere Sakura, in quel momento, lo faceva sentire più vivo.
Non un relitto umano, non un tossico alcolizzato depresso.
Solo più vivo.
Ma non bastava.
Sasuke la stringeva, ma sapeva anche che non sarebbe bastato quell’istante, quel breve attimo in cui sembrava che finalmente le tenebre lo abbandonassero.
Era così poco.
E nemmeno uno come lui era tanto egoista da far soffrire così tanto qualcuno che lo amava.
Qualcuna come Sakura. Che non lo aveva mai abbandonato.
E fu così che la scansò lentamente, guardandole con una dolcezza rara il volto rigato dalle lacrime, la solita luce spenta negli occhi.
“Sakura. Vai a casa. Vai da Naruto, vai da chi ti renderà felice, come meriti. Vai via da me. Vattene.”
“No.”
“Sakura…non farmelo ripetere. Io non posso amarti. Non potrò mai amarti.”
Parole che le fecero chiudere all’istante gli occhi.
E Sasuke, dentro di sé, sapeva che non era vero.
Ma l’amore che lui provava, o che avrebbe potuto provare, era qualcosa che l’avrebbe solo condannata a una vita d’inferno.
E allontanarla era la cosa migliore che potesse fare, visto che, del resto, lui era il maestro delle fughe.
Sakura riaprì gli occhi, lo sguardo deciso e determinato, come se le parole pronunciate poco fa non avessero sortito alcun effetto.
“Io ti amo.”
Ostinata.
“Io ti amerò sempre.”
Molto ostinata.
“E fino a che non ti salverò, fino a che non ti riporterò indietro…io non mi darò pace.”
Dannatamente ostinata.
E quasi senza preavviso Sasuke si ritrovò le labbra di lei premute sulle sue, calde, morbide.
Le mani che gli accarezzavano il viso.
Una sensazione sconvolgente, nuova.
Un’altra cosa che…lo faceva sentire vivo.
Ma Sasuke ancora una volta si scostò, paralizzato dalla sorpresa e dal tremore. Ancora una volta indietreggiò, ignorando il corpo che voleva tutt’altro, ignorando la bocca improvvisamente umida.
Ignorando qualsiasi cosa che potesse minimamente essere paragonata a un’emozione.
Ancora una volta andò alla finestra, cercando di ritrovare la calma, l’usuale apatia che ormai lo avvolgeva, sicuramente più sicura e meno sconosciuta di quella marea di trepidazioni che Sakura all’improvviso gli stava trasmettendo.
“Vai a casa, Sakura. Non farmi ripetere un’altra volta…”
Vattene perché stai scardinando la mia esistenza.
Vattene perché è vero che ho bisogno di te.
Vattene perché ho paura di amare.

Sakura rimase ancora immobile per un attimo, incredula di quanto aveva appena fatto, incredula di essersi spinta fino a baciarlo.
Ed essere poi respinta.
Ma cosa si aspettava del resto?
Eppure, l’avrebbe rifatto altre dieci volte. E cento, e mille. Tutto, ogni cosa per quei pochi secondi.
“Non farmi ripetere tu, un’altra volta. Io ti salverò, Sasuke. Se non oggi, domani. O tra mesi. O anche anni. non mi importa quando tempo ci vorrà. Tu…tu devi vivere.”
Afferrò la borsa a tracolla, asciugandosi gli occhi ormai gonfi e saturi di lacrime, rassettando alla meglio i capelli arruffati.
Si avvicinò alla porta, la mano tesa, la gola che pulsava.
“E sappi che ti amerò sempre. Chiamala pure ossessione, se così preferisci, se così ti fa sentire più sicuro. Se così credi. Ma il mio è semplice amore, Sasuke. Purtroppo? Oh, non lo so. In fondo, è quello che ho sempre voluto. E sempre provato. Ma io sarei felice solo accanto a te, Sasuke. E’ questo che tu non vuoi capire.”
Lui dava sempre le spalle. Non si girò.
Non si sarebbe girato.
E Sakura uscì reggendosi a stento sulle gambe, chiudendo piano la porta.

Sasuke rimase per un breve istante ancora alla finestra, fissando dritto davanti a sé, in teoria il balcone del vicino pieno di piante sfiorite.
In pratica, il nulla.
Solo dopo qualche minuto andò in cucina, prendendo una bottiglia di gin mezza piena.
L’avrebbe finita all’istante, se quello fosse servito ad annullare il malessere che lo aveva improvvisamente annebbiato.
Malessere fisico.
Perché la tua vita sta andando sempre più a puttane.
Ma forse peggio ancora il malessere psicologico.
Perché per la prima volta avverti che ti manca qualcosa.
Afferrò la bottiglia.
Ti manca lei.
Il primo sorso, speranzoso. Oblio.
È uscita e tu non ti sei girato.
Il secondo, amaro. Pena.
Perché sei un fottuto bastardo che vuole morire invece di amare.
Il terzo semplicemente rivoltante. Resa dei conti
La verità è che non puoi andare avanti così.
E Sasuke gettò per terra la bottiglia, il liquido scuro che sporca le mattonelle, i vetri che per la seconda volta in un pomeriggio invadono un pavimento.
Ma stavolta per una buona causa.


Sei mesi dopo

Amava quell’appartamento, Sakura. Era la sua casa.
L’affitto era basso perché oggettivamente c’era ben poco da ammirare, ma a Sakura andava bene così: l’importante era ricreare un’atmosfera intima e accogliente, e poco importava che fosse così piccolo e poco illuminato.
Anzi, se avesse avuto soldi a sufficienza avrebbe voluto comprarlo.
E così sembravano pensare anche le sue due compagne di università che abitavano con lei: non appena avessero completato i rispettivi corsi, quell’appartamento sarebbe diventato loro. Tanti i ricordi che le teneva legate.
Quel giorno Sakura era sola, l’unica rimasta a casa per le vacanze di Natale: troppi gli esami da preparare.
Una volta finito di appendere gli acquarelli astratti del ragazzo di Ino, Sai, era ora il turno di smistare la posta.
Come sempre, tonnellate di cartacce.
Aggrottò un attimo la fronte quando vide lì accanto un foglio stropicciato con la grafia tonda e infantile di Hinata: un foglio dove il nome Naruto faceva da padrone.
Incorreggibile Hinata.
Sakura rise ad alta voce, ricordando all’istante gli incontri tipo che avvenivano tra i due.

“Sakura-chan sono venuto a portarti il libro che dicevi…Oh, ciao Hinata!”
“N-n-n-naruto-kun…”
balbettava di regola con la sua vocina sottile e delicata, arrossendo come un peperone, sotto lo sguardo divertito di Sakura e quello perplesso di Naruto.
“Mm…ma stai bene?”
“Eh? Oh…b-benissimo, Naruto-kun…v-vado di là a farvi un tè.”
E immancabilmente spariva, con Sakura che come sempre rimbeccava l’amico.
“Ma proprio non capisci?”
“Che Hinata è pazza?”
“Naruto, ma sei cieco o cosa? È cotta di te!”
E allora Naruto scuoteva la testa, perplesso, per poi sorriderle.
“Quando ami una persona non ti comporti così…Tu non lo faresti di certo.”
“Oh andiamo, ma che ne sai.” cercava di schermirsi lei.
E Naruto allora diventava serio.
“Semplice. Arriveresti a fare di tutto per la persona che ami. Le diresti ogni cosa…e ogni fibra del tuo essere sarebbe tesa verso di lui. È sempre stato così con Sasuke, no, Sakura-chan?”


Sakura chiuse gli occhi, maledicendo i ricordi che anche quando erano lieti inevitabilmente prendevano una piega amara.
Sasuke.
Il dolore era ancora così forte.
Sei mesi senza sapere più nulla. Sei mesi in cui era ormai lei a vivere per inerzia, dopo l’iniziale shock e il terrore che fosse…
Quando cinque mesi addietro non lo aveva trovato in casa si era sentita morire. Ma ci aveva pensato rapidamente un ragazzo del palazzo a dirle che non era, come credeva, morto.
Semplicemente, se ne era andato.

“Ma quando, come?!” aveva urlato distrutta, torcendosi le mani.
Il tizio aveva scrollato la testa, l’aria apatica.
“Boh. Se ne è andato da una decina di giorni. Mi ha detto che partiva, non so dove. Non mi ha detto però che sarebbe tornato.”
E Sakura si era accasciata sul marciapiede, incurante degli sguardi delle persone, incurante della pioggia battente.
Sollevata perché era vivo.
Distrutta perché l’aveva perso per sempre.



Asciugandosi rapida le lacrime che, impietose, già stavano sopraggiungendo, si concentrò sulla posta.
Pubblicità, pubblicità.
Retta universitaria.
Bolletta del gas. Bolletta della luce.
Pubblicità.
Cartolina di Ino in vacanza che la salutava.
Una rivista in omaggio di floricoltura.
Cartolina di Hinata.
Busta con timbro di New York.
Pubblicità…
Sakura si fermò perplessa.
La busta di New York cosa c’entrava?
Bianca, piccola, il suo indirizzo scritto a chiare lettere.
L’aprì stupita, facendo scivolare sul tavolo il foglio ingiallito all’interno.
Poche righe, al centro della pagina.
E il suo cuore che smise per un attimo di battere, per poi riprendere a pulsare impazzito.

Non cercare di rintracciarmi. Probabilmente cambierò città già domani.
Ho smesso completamente con la droga, forse smetterò anche di bere.
Sai, solo lontano da lì posso imparare a convivere con il mio passato.
La mia non è una fuga…è solo un temporaneo allontanamento.
Ma non tornerò fino a che non saprò realmente vivere.
E allora saprò amarti come tu mi hai sempre amato.
E potrò davvero renderti felice.
Grazie, Sakura.
Mi hai salvato.





Parto con l'esprimere la mia contentezza e la mia graditudine a chi ha giudicato la mia fic meritevole del primo posto del concorso: quindi a Rory e Kaeru(sperando di sapere che fine ha fatto in tempi brevi!)
Cosa posso dire...questa fic mi ha fatta penare, perchè iniziata in un momento di sconforto, in cui la situazione ricreata è attinente a certe realtà vissute. Più la scrivevo, però, più ero convinta che potesse uscirne qualcosa di buono: raramente io sono soddisfatta di quanto scrivo, sono autocritica a livelli maniacali, ma questo è uno dei casi in cui posso non trovare eccessive pecche.

Spero di essere riuscita a coinvolgervi, e farvi sentire partecipi, e anche a farvi sperare, nelle ultime righe: insomma, il titolo non è beneaugurante, ma in fondo, è la situazione che ahimè intercorre tra Sasuke e Sakura: ma finchè il manga non finisce, non bisogna mai perdere la speranza.

Dedicata a tutte le fan di questa coppia, perchè il SasuSaku, anche se Kishimoto dovesse farci qualche brutto scherzetto, non morirà mai. Sono troppo belli insieme.

E un abbraccio particolare a robi e susi, che mi hanno sempre incoraggiata durante questo concorso: la prima con la sua dolcezza e il suo entusiamo, la seconda con la sua ironia e la sua decisione. Grazie ragazze^^
Un bacio a tutti, e grazie per i commenti che lascerete!

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