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Autore: suni    16/04/2008    11 recensioni
Ebbene sì, anche io, benché abbia superato da tempo la soglia dell’età della ragione, approdo all’abitudine di dubbio gusto delle interviste potteriane.
A modo mio, ovviamente.
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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INTERVISTA SCHIZOFRENICA

 

LEGENDA

 

Grassetto: domande dell’intervista

Corsivo: risposte dell’intervista.

Tutto il resto è delirio.

 

 

 

 

 

INTERVISTA SCHIZOFRENICA

 

 

 

La saletta del bar era stata liberata da tutti gli avventori, abituali o meno, gentilmente messi alla porta allo scopo di consentire lo svolgersi indisturbato dell’epico evento che stava per aver luogo tra quelle mura.

Nella fattispecie i gestori del Manhattan, due soci trentenni e scavezzacolo, attendevano impazientemente l’arrivo della giornalista in erba che di lì a poco avrebbe dato il via ad un’intervista epocale, interdimensionale, surreale, francamente ridicola e priva di precedenti, con un intervistato d’eccezione. Quanta pubblicità, per il loro locale.

Quella era la scusa ufficiale. La motivazione autentica del loro presunto entusiasmo era l’amicizia di vecchia data che li legava alla fanciulla in questione, che si sarebbe certamente vendicata se avessero rifiutato di metterle il loro spazio a disposizione.

E quella, a vendicarsi, era bravina.

Quindi, come da istruzioni ricevute, l’intero locale era opportunamente deserto e loro stessi se l’erano svignata nel retro in cucina, a sfondarsi di patatine fritte e olive ascolane scongelate sul momento, ché tanto la fornitura era roba loro e potevano farci un po’ quel che volevano.

E mentre le crocchette di pollo in confezione maxi sfrigolavano allegre nella friggitrice, e fuori il sole del meriggio pallido e assorto [no, non è assolutamente un plagio] si accingeva a declinare nell’imbrunire brumoso, un figuro di cui centinaia e migliaia di fanciulle decantavano le grazie, con strilli spesso isterici e gran dispiegamento di lacrime e sospiri, sebbene tecnicamente lui non esistesse – ma di quel dettaglio non gli importava nemmeno un po’, potete starne certi – si avventurava oltre la porta socchiusa del locale in cui quella grandissima…ahm…seccatrice di cui abitava saltuariamente il cervello gli aveva chiesto di raggiungerla esattamente a quell’ora.

In realtà era in orario per puro caso. A dirla tutta, il suo arrivo nei tempi stabiliti era stato del tutto accidentale e anzi, lo irritava alquanto. Lui era la star e avrebbe dovuto farsi aspettare, invece aveva sbagliato strada e accorciato il percorso per errore.

Ma per Godric, quella deficiente non era ancora arrivata.

Egli sbatté sonoramente la porta alle proprie spalle, per sottolineare probabilmente la propria indignazione, gettando intorno un’occhiata torva, e potete scommetterci che vedendo il ben di dio di bottiglie diligentemente accumulate dietro il bancone e i fusti di birra in bella mostra si sentì molto meno ostile. Con un languido sospiro gettò indietro i lucenti capelli corvini, liberando così la visuale sui propri magnifici occhi argentei. Purtroppo nessuna delle sue innumerevoli fans era presente in quel momento, sicché non si registrarono svenimenti, crisi di nervi o tentativi di stupro.

Quindi, con innata eleganza, Egli scostò una sedia dal tavolo ad angolo e vi si accomodò con indolenza, allungando pigramente le gambe davanti a sé e abbandonando indietro la schiena. Il magnetico movimento così effettuato provocò un sonoro e sognante sospiro di gruppo da parte delle altre sedie presenti, estremamente invidiose di non essere loro ad ospitare cotale ammirevole deretano.

E la porta si spalancò di scatto. Egli gettò un’occhiata di sufficienza alla scapicollata, ansimante psicotica che si scaraventò all’interno col fiatone per la corsa compiuta, il cui secondo risultato degno di nota, oltre al respiro asmatico dovuto del resto anche al massiccio consumo di nicotina, erano i rossi capelli arruffati come e più di quelli di tutti Potter di cui vi fossero notizie.

“Credevo di dover dormire qui,” affermò Egli seccamente.

L’intervistatrice – così era, proprio lei, in persona – sorrise con estrema indulgenza al suo indirizzo. L’istante era unico e pregnante, il momento scandiva un’epoca e blablabla, mentre lei fronteggiava Egli, che attendeva evidentemente una spiegazione plausibile per l’attesa ingiuriosa.

“Mi spiace tato, ho finito la benzina.”

Il Suo regale sopracciglio corvino s’inarcò vibrante, come sempre a quell’infausta parola. Ma si poteva, Merlino, essere appunto il saltuario abitante del cervello di una mentecatta che si rivolgeva a Lui, erede blasonato di una stirpe centenaria, illustrissimo mago, Marauder sopraffino, eroe, guerriero – taglia, Pad, mi addormenti i lettori – con l’inglorioso soprannome di tato? No che non si poteva, era infamante.

Mpf.”

Il secco brontolio gli attirò lo sguardo fin troppo sottomesso di lei.

“Un whiskyno?” gli propose ossequiosa.

“Sì grazie,” fu la pronta risposta, assai più amichevole.

Lei sorrise, affrettandosi a oltrepassare il bancone, a cui aveva ricevuto l’assoluto divieto di accedere. Ma infischiandosene allegramente s’impossessò di una rossa media – che spillò sprecando ingenti quantità di birra, perché non era in grado – di un bicchierino e una bottiglia di rhum scuro, sapendo che Egli lo preferiva al bianco, e lo raggiunse con un altro affettato sorriso.

“Problemi a trovare il posto, tato?”

Egli sospirò nuovamente, condiscendente.

“Niente affatto. Ne dubitavi?” replicò altezzoso.

Lei serrò le labbra cercando di reprimere una risata. Invano, perché dissimulare proprio non era tra i suoi talenti.

Egli le lanciò un’occhiata divertita – e le fece distogliere lo sguardo, poiché incontrare la metallica profondità dei suoi occhi non era cosa che creatura umana potesse sopportare senza rischiare di stramazzare, qual Semele con Zeus – prima di sorridere.

E lì, lettori cari, la povera intervistatrice dovette sorreggersi al tavolo mentre si accasciava sulla sedia, tramortita da tanto splendore.

“Cominciamo?” gemette senza fiato, gli occhi ormai ridotti a bizzarre forme irregolari che rimandavano nemmeno troppo vagamente alla sagoma del muscolo cardiaco.

“Certamente!” esclamò lui, soddisfatto dall’esito della sua manovra.

“D’accordo,” riprese lei, schiarendosi la voce per recuperare una certa compostezza, mentre estraeva dal sacco informe che chiamava borsa un taccuino, una penna e un piccolo registratore, che dispose accuratamente sul tavolo.

“Pronto, Sirius?” esclamò, con un sorriso entusiasta.

“Pronto, suni.”

Il mondo intero parve fermarsi per un secondo, come omaggiando l’avvenimento superlativo che stava avendo inizio. L’universo s’immobilizzò per qualche istante, poi riprese il suo corso.

 

Nome completo?

Sirius Black.

“Tutto lì? Non ce l’hai un secondo nome?”

“No…”

Hahaha. Regulus ce l’aveva e tu no,” lo schernì lei ilare.

“Impiccati,” ringhiò lui offeso.

Suni si schiarì la gola, cercando di recuperare la compostezza, non tanto per buona educazione quanto perché lo sguardo minaccioso di lui non prometteva bene.

Data di nascita?

8 febbraio 1960.

Sour dice che non sembri per niente un acquario.

Guarda, sono contento di esserlo, fosse solo per farle dispetto.

(Il redattore è desolato di informarvi che questa non la poteva capire quasi nessuno. Siamo spiacenti.)

Ora di nascita?

Ma cosa te ne frega?

“Sirius! Non sei per niente serio!” protestò lei severa, qual genitrice con l’infante.

“Ma se fai domande cretine…” obiettò Egli sornione.

“Rispondi e basta, sono io che decido cosa chiedere,” fu la petulante risposta della ragazza.

Mezzogiorno e un quarto.

Ascendente gemelli. Ti interessa il tuo quadro astrologico?

Veramente non credo in queste cose. Anche a Divinazione non stavo mai a sentire niente sulle previsioni del futuro, anche perché erano sempre deprimenti.

Attimi di silenzio.

Altri attimi di silenzio.

Forse avrei dovuto stare a sentire, riflettendoci col senno di poi.

Forse sì.

Risate sommesse.

“Comunque non avrei saputo dirti nulla sul tuo quadro astrologico, non ci credo neanche io, ma faceva fine,” aggiunse lei divertita.

Dunque, Sirius, vuoi dirci qualcosa sulla tua famiglia?

Su’, facciamo che mi dai del lei?”

“Ma sei scemo, Pad?” replicò lei scettica.

“E dai! In fondo sono la celebrità dell’occasione!” insistette Egli supplice.

“No.”

“E dai, dai, dai…” continuò, e mentre suni tentennava Egli le afferrò la mano con gesto accorato, sporgendosi per guardarla con i grandi maledettissimi occhi d’argento, che strapparglieli via sarebbe una buona idea.

Maporc… Sirius, vuole dirci qualcosa sulla sua famiglia? [tremolio accaldato nella voce che pone la domanda]

E’ indispensabile?

“E però finiscila!”

D’accordo. Cosa vuoi sapere?

“Io niente, so già. Al massimo se c’è qualcuno che legge…” brontolò lei incerta.

“E’ l’intervista più scema della storia del mondo,” commentò Egli con uno sbuffo annoiato.

“Fattela da solo, se sei più bravo!”

“Ma sei tu che…”

Oh, va bene, va bene. I suoi genitori?

Orion Black, classe 1929, e Walburga Black, classe 1925, cugini di secondo grado e discendenti dell’illustrissima famiglia Black. Che culo, aggiungerei. Prima che tu mi ponga la domanda, allego alla lista di familiari stretti un insopportabile fratello minore, tale Regulus Arcturus.

“Lui ne ha due, di nomi,” lo schernì lei beffarda.

“Lui è morto giovane, in modo idiota e ha fatto la figura del deficiente.”

“…Sei caduto in una tenda,” scandì lei con estrema indulgenza.

“Sei una merda,” sbottò Egli, arrossendo visibilmente e incrociando le braccia al petto con un broncio tremante.

Repentino pentimento si accese violentemente nelle viscere dell’intervistatrice.

“Scusami, tato, non volevo,” affermò di slancio.

“Scusami un corno!” strillò Egli, stizzito, agitandosi sulla sedia – che assai apprezzava quello sfregamento di virili chiappe. “Lo sai che ci sono rimasto malissimo! Sei un’infame e non voglio più continuare, ecco! E’ stato terribilmente imbarazzante, volevo morire per la vergogna e non potevo perché ero già morto!” continuò, ormai infervorato.

“Non ci pensare, dai, in fondo sei qua, bello in forma…” tentò lei, quasi sciogliendosi in lacrime all’infelice ricordo. Il suo sincero dolore parve placarLo. “Nella mia testa non sei mica morto,” aggiunse speranzosa.

Non mentiva. Era pazza.

Egli borbottò ancora qualcosa tra sé, sconvolto e rattristato.

“Quella…quella…scrittrice è il Male,” gemette oltraggiato.

Lei annuì ripetutamente, afferrandogli la mano con affetto – e vi assicuro che non se l’è lavata per un bel po’, lei, la mano.

Per qualche istante sospirarono in silenzio.

“Comunque, almeno io non avevo la sola compagnia di qualche Inferius,” osservò lui, recuperando un po’ di brio.

Lei annuì convenientemente.

“Harry ci è rimasto malissimo,” aggiunse sadicamente.

“Urlava come un’aquila.”

“E c’era Remus.”

Tacquero di nuovo, rasserenati.

Avevo anche uno zio piuttosto in gamba, Alphard. In realtà lui e mia cugina Andromeda erano le uniche persone decenti in famiglia, e infatti sono stati disconosciuti come me.

Suo zio è stato cancellato per averle lasciato dei soldi in eredità, giusto?

Io ero stato rinnegato e i miei genitori non hanno accettato la sua scelta. Sì, è stato per questo. Andromeda invece aveva sposato un Muggleborn, un mago di natali babbani. I Black erano molto intransigenti su queste cose.

Come mai l’hanno diseredata, Sirius?

Sono andato via di casa a diciassette anni, perché non ne potevo più della loro spocchia e del loro razzismo. Vivevano per la purezza del sangue e guardavano tutti dall’alto in basso, senza un minimo di modestia.

“Che invece è la tua più spiccata qualità…” commentò lei ironica.

Egli levò la testa verso l’alto, il naso svettante con baldanza.

“Ignorerò le tue provocazioni perché sono un gentiluomo.”

“Ma se ieri volevi fare le gare di rutti…”

Risata sommessa.

Casa di appartenenza?

Gryffindor. Sempre.

Soprannomi?

Padfoot, scelto da me. Buono-sul-pane, per evidenti analogie orgasismico-alimentari con la cioccolata, secondo le mie compagne di scuola.

“Non lo trovo affatto divertente,” borbottò lei, evidentemente gelosa.

Lui rise, provocandole tre sincopi e una crisi respiratoria con il suo sfolgorio di denti e la bella espressione del viso gioioso.

Alimento preferito?

Cioccolato.

Bevanda preferita?

Whisky incendiario.

Colore?

Il grigio per i vestiti, perché è intonato con gli occhi e mi fa fare la mia porca figura. Per il resto, il rosso. Perché è  il colore di Gryffindor. 

Animale?

Ovviamente il cane. Perché è fedele, coraggioso e di compagnia. Come me. Se fossi un animale sarei un cane.

“Solo se lo fossi, eh?” borbottò lei divertita.

“In via del tutto teorica,” sogghignò Egli beffardo.

Il tuo idolo?

Godric Gryffindor, Claudius Borsch, portiere di Quidditch degli anni ’70, e me stesso.

“E’ assurdo che non ti vergogni neanche a inserirti tra i tuoi idoli.”

“Sono l’uomo più bello che conosco,” gongolò lui con innocenza.

“Lasciamo perdere…” gemette lei, scuotendo il capo.

La persona che odi di più?

Sono indeciso. Odio parecchie persone. Prima di tutti direi Peter Minus, Lord Voldemort, mio padre e mia cugina Bellatrix, perché è una stronza e anche perché mi ha fatto fare la figura del coglione.

E la più antipatica?

Severus Snape.

“Non l’avrei mai detto, Pad,” osservò lei con fare compito.

Gnegnegne,” rispose lui, dando prova di gran maturità.

Perché?

“Perché è Snape,” biascicò Egli con sufficienza.

“Non è una risposta…” commentò lei incerta, storcendo pensosamente le labbra.

E’ presuntuoso, unto, ficcanaso, unto, odioso, pieno di sé, maligno, indisponente, unto, aggressivo, superbo e unto.

“Hai dimenticato di dire unto, Pad,” commentò lei grave.

“Hai ragione. E’ unto,” convenne lui annuendo con serietà.

Risata sommessa.

E la persona che ami di più?

James Potter.

“Hai promesso che non ne avremmo parlato, suni,” aggiunse, cupo, guardandosi intorno come in cerca di fuga.

“Lo so, infatti non ne parleremo oltre,” lo rassicurò lei, mal sopportando quell’aria sofferente, che pure rendeva giustizia al suo fascino – lei ci tiene a farlo sapere.

Attimi di religioso silenzio.

Altri attimi di religioso silenzio.

Lei tentò uno sguardo incerto, ed Egli annuì graziosamente, permettendole di continuare.

Quale pensi che sia la tua più grande qualità?

“Ne posso dire una sola?” protestò Egli, allibito.

“Pad…”

Va bene. Il coraggio.

E il difetto?

“Non potrei dire invece un’altra qualità?” ipotizzò lui storcendo il naso.

“Pad…”

Uffa… l’arroganza.

“Arrogante? Tu? Nooo, davvero?”

Gnegnegne.”

Cosa non sopporti in una persona?

La vigliaccheria. E anche il fanatismo.

E cosa ammiri?

L’onestà e la coerenza.

“Ti fai sembrare una persona come si deve,” osservò suni sorpresa.

“Perché lo sono,” replicò lui risentito.

Di cosa ti vergogni di più?

Dello scherzo a Snivellus.

“Mi fa piacere vedere un po’ di maturità da parte tua. Ammettere di essere stato crudele è…” iniziò lei, favorevolmente colpita.

“Solo perché ho coinvolto Remus,” la interruppe lui beffardo.

“Come non detto.”

Di cosa sei più fiero?

Di aver seguito i miei ideali anche se non era semplice e avevo tutti contro.

Quel’è il tuo più grande rimorso?

Aver chiesto a Peter di sostituirmi come Custode Segreto e aver pensato che Remus fosse la spia.

E il rimpianto?

Non ho mai detto a James quanto realmente gli volevo bene.

“Oh, Pad!” singhiozzò lei, strappando un foglio dal taccuino alla cieca e usandolo poi per pulirsi gli occhi. “Vuoi proprio farmi piangere?” squittì tra le lacrime.

“E tu non mi fare parlare di loro!” protestò Egli, visibilmente commosso.

Lei sospirò profondamente, riprendendo il controllo di sé.

“Va bene, concludiamo.”

Se ti fosse concesso di lasciare un messaggio ai posteri, quale sarebbe?

Oh…vediamo… Non permettete mai a qualche prepotente di decidere per voi cosa è giusto e cosa no, e non permettetegli neanche di sottomettervi e spaventarvi, ma usate la vostra testa per decidere in cosa credere.

Belle parole.

Esatto. Quindi, se le regole della scuola vi vietano di andare in cucina a notte fonda a rimpinzarvi ma voi ne avete voglia, fatelo lo stesso.

“Pad, sei un coglione!” strepitò suni indignata, sbattendo la penna sul tavolo.

Ma il Marauder stava ridendo di cuore, con la sua strana risata uggiolante, gli occhi brillanti d’argento e tutto il resto. E perciò, in fondo, non era il caso di protestare.

Era fatto così.

 

 

 

 

 

 

 

Questa…cosa che non chiamo fanfic, né storia né nulla, perché è solo una fesseria, mi è venuta fuori in un pomeriggio in cui ero piuttosto giù di morale e cercavo qualcosa per risollevarmi. Devo dire che ha funzionato. Potenza di Padfoot

E’ un peccato che non esista il genere nonsense o il surreale, forse sarebbe stato più adeguato. Pazienza.

Terrei anche a precisare che non penso REALMENTE di avere conversazioni con Sirius Black. Cioè, sono malata, ma non fino a questo punto. So che non esiste.

Ma mi faceva ridere questa cosa. E così l’ho lasciata venir fuori.

E forse era meglio di no, direte voi. , ormai è fatta.

Ovviamente, non tutte le…informazioni qui contenute sono strettamente facenti parte del canon. Alcune sono piuttosto frutti delle mie lunghissime speculazioni su Sirius.

Ecco tutto.

suni

 

Noticina: “[…]qual Semele con Zeus.” Non so quanto questa leggenda sia conosciuta, ma fa parte della mitologia greca. In parole povere, Semele fu una delle donne mortali da cui il signore dell’Olimpo ebbe dei discendenti. La fanciulla volle, su suggerimento della gelosa moglie di lui Era, vederlo nella splendore del suo vero aspetto divino, il che comportava, per un’umana, la morte per folgorazione. Ora, potrei aver riferito la vicenda in maniera approssimativa, purtroppo non ricordo dettagliatamente i fatti, ma so che suo figlio era nientemeno che Dioniso. Comunque, se qualcuno ricorda la storia meglio di me sarò lieta di correggerla con i suggerimenti adeguati.
Noticina numero due: "[..]meriggio pallido e assorto" è un'espressione presa in prestito dalla meravigliosa poesia di Montale "Meriggiare pallido e assorto". Un capolavoro che mi vergogno profondamente di aver accostato alle mie fesserie.
Noticina numero tre: il soprannome Buono-sul-pane non è una mia idea ma, come fog ha notato e come mi ero scordata di sottolineare (ti adoro! E adoro quel libro! Abbiamo i cervelli connessi, che emozione) è una citazione dal romanzo "Per amore, solo per amore" di Campanile.

   
 
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