LEGENDA
Grassetto: domande dell’intervista
Corsivo: risposte dell’intervista.
Tutto il resto
è delirio.
INTERVISTA SCHIZOFRENICA
La saletta del bar
era stata liberata da tutti gli avventori, abituali o meno, gentilmente messi
alla porta allo scopo di consentire lo svolgersi indisturbato dell’epico
evento che stava per aver luogo tra quelle mura.
Nella
fattispecie i gestori del Manhattan, due soci trentenni e scavezzacolo,
attendevano impazientemente l’arrivo della giornalista in erba che di
lì a poco avrebbe dato il via ad un’intervista epocale, interdimensionale, surreale, francamente ridicola e
priva di precedenti, con un intervistato d’eccezione. Quanta
pubblicità, per il loro locale.
Quella
era la scusa ufficiale. La motivazione autentica del loro presunto entusiasmo
era l’amicizia di vecchia data che li legava alla fanciulla in questione,
che si sarebbe certamente vendicata se avessero rifiutato di metterle il loro
spazio a disposizione.
E
quella, a vendicarsi, era bravina.
Quindi,
come da istruzioni ricevute, l’intero locale era opportunamente deserto e
loro stessi se l’erano svignata nel retro in cucina, a sfondarsi di
patatine fritte e olive ascolane scongelate sul momento, ché tanto la
fornitura era roba loro e potevano farci un po’ quel che volevano.
E
mentre le crocchette di pollo in confezione maxi sfrigolavano allegre nella
friggitrice, e fuori il sole del meriggio pallido e assorto [no, non è assolutamente un plagio] si accingeva a
declinare nell’imbrunire brumoso, un figuro di cui centinaia e migliaia
di fanciulle decantavano le grazie, con strilli spesso isterici e gran
dispiegamento di lacrime e sospiri, sebbene tecnicamente lui non esistesse
– ma di quel dettaglio non gli importava nemmeno un po’, potete starne
certi – si avventurava oltre la porta socchiusa del locale in cui quella
grandissima…ahm…seccatrice
di cui abitava saltuariamente il cervello gli aveva chiesto di raggiungerla
esattamente a quell’ora.
In
realtà era in orario per puro caso. A dirla tutta, il suo arrivo nei
tempi stabiliti era stato del tutto accidentale e anzi, lo irritava alquanto.
Lui era la star e avrebbe dovuto farsi aspettare, invece aveva sbagliato strada
e accorciato il percorso per errore.
Ma
per Godric, quella deficiente non era
ancora arrivata.
Egli sbatté sonoramente la porta alle
proprie spalle, per sottolineare probabilmente la propria indignazione,
gettando intorno un’occhiata torva, e potete scommetterci che vedendo il
ben di dio di bottiglie diligentemente accumulate dietro il bancone e i fusti
di birra in bella mostra si sentì molto meno ostile. Con un languido
sospiro gettò indietro i lucenti capelli corvini, liberando così
la visuale sui propri magnifici occhi argentei. Purtroppo nessuna delle sue
innumerevoli fans era presente in quel momento,
sicché non si registrarono svenimenti, crisi di nervi o tentativi di
stupro.
Quindi,
con innata eleganza, Egli scostò una sedia dal tavolo ad angolo e vi si
accomodò con indolenza, allungando pigramente le gambe davanti a
sé e abbandonando indietro la schiena. Il magnetico movimento
così effettuato provocò un sonoro e sognante sospiro di gruppo da
parte delle altre sedie presenti, estremamente invidiose di non essere loro ad
ospitare cotale ammirevole deretano.
E
la porta si spalancò di scatto. Egli gettò un’occhiata di
sufficienza alla scapicollata, ansimante psicotica che si scaraventò
all’interno col fiatone per la corsa compiuta, il cui secondo risultato
degno di nota, oltre al respiro asmatico dovuto del resto anche al massiccio
consumo di nicotina, erano i rossi capelli arruffati come e più di
quelli di tutti Potter di cui vi fossero notizie.
“Credevo
di dover dormire qui,” affermò Egli seccamente.
L’intervistatrice
– così era, proprio lei, in persona – sorrise con estrema
indulgenza al suo indirizzo. L’istante era unico e pregnante, il momento
scandiva un’epoca e blablabla, mentre lei
fronteggiava Egli, che attendeva evidentemente una spiegazione plausibile per
l’attesa ingiuriosa.
“Mi
spiace tato, ho finito la benzina.”
Il
Suo regale sopracciglio corvino s’inarcò vibrante, come sempre a
quell’infausta parola. Ma si poteva, Merlino, essere appunto il saltuario
abitante del cervello di una mentecatta che si rivolgeva a Lui, erede blasonato
di una stirpe centenaria, illustrissimo mago, Marauder
sopraffino, eroe, guerriero – taglia, Pad, mi addormenti i lettori
– con l’inglorioso soprannome di tato? No che non si poteva, era
infamante.
“Mpf.”
Il
secco brontolio gli attirò lo sguardo fin troppo sottomesso di lei.
“Un
whiskyno?” gli propose ossequiosa.
“Sì
grazie,” fu la pronta risposta, assai più amichevole.
Lei
sorrise, affrettandosi a oltrepassare il bancone, a cui aveva ricevuto
l’assoluto divieto di accedere. Ma infischiandosene allegramente
s’impossessò di una rossa media – che spillò
sprecando ingenti quantità di birra, perché non era in grado
– di un bicchierino e una bottiglia di rhum scuro, sapendo che Egli lo
preferiva al bianco, e lo raggiunse con un altro affettato sorriso.
“Problemi
a trovare il posto, tato?”
Egli
sospirò nuovamente, condiscendente.
“Niente
affatto. Ne dubitavi?” replicò altezzoso.
Lei
serrò le labbra cercando di reprimere una risata. Invano, perché
dissimulare proprio non era tra i suoi talenti.
Egli
le lanciò un’occhiata divertita – e le fece distogliere lo
sguardo, poiché incontrare la metallica profondità dei suoi occhi
non era cosa che creatura umana potesse sopportare senza rischiare di
stramazzare, qual Semele con Zeus – prima di
sorridere.
E
lì, lettori cari, la povera intervistatrice dovette sorreggersi al
tavolo mentre si accasciava sulla sedia, tramortita da tanto splendore.
“Cominciamo?”
gemette senza fiato, gli occhi ormai ridotti a bizzarre forme irregolari che
rimandavano nemmeno troppo vagamente alla sagoma del muscolo cardiaco.
“Certamente!”
esclamò lui, soddisfatto dall’esito della sua manovra.
“D’accordo,”
riprese lei, schiarendosi la voce per recuperare una certa compostezza, mentre
estraeva dal sacco informe che chiamava borsa un taccuino, una penna e un
piccolo registratore, che dispose accuratamente sul tavolo.
“Pronto,
Sirius?” esclamò, con un sorriso entusiasta.
“Pronto,
suni.”
Il
mondo intero parve fermarsi per un secondo, come omaggiando l’avvenimento
superlativo che stava avendo inizio. L’universo
s’immobilizzò per qualche istante, poi riprese il suo corso.
Nome completo?
Sirius Black.
“Tutto
lì? Non ce l’hai un secondo nome?”
“No…”
“Hahaha. Regulus ce l’aveva
e tu no,” lo schernì lei ilare.
“Impiccati,”
ringhiò lui offeso.
Suni
si schiarì la gola, cercando di recuperare la compostezza, non tanto per
buona educazione quanto perché lo sguardo minaccioso di lui non
prometteva bene.
Data di nascita?
8 febbraio 1960.
Sour
dice che non sembri per niente un acquario.
Guarda, sono contento di
esserlo, fosse solo per farle dispetto.
(Il
redattore è desolato di informarvi che questa non la poteva capire quasi
nessuno. Siamo spiacenti.)
Ora di nascita?
Ma cosa te ne frega?
“Sirius!
Non sei per niente serio!” protestò lei severa, qual genitrice con
l’infante.
“Ma
se fai domande cretine…” obiettò Egli sornione.
“Rispondi
e basta, sono io che decido cosa chiedere,” fu la petulante risposta
della ragazza.
Mezzogiorno e un quarto.
Ascendente gemelli. Ti
interessa il tuo quadro astrologico?
Veramente non credo in queste
cose. Anche a Divinazione non stavo mai a sentire niente sulle previsioni del
futuro, anche perché erano sempre deprimenti.
Attimi
di silenzio.
Altri
attimi di silenzio.
Forse avrei dovuto stare a
sentire, riflettendoci col senno di poi.
Forse sì.
Risate
sommesse.
“Comunque
non avrei saputo dirti nulla sul tuo quadro astrologico, non ci credo neanche
io, ma faceva fine,” aggiunse lei divertita.
Dunque, Sirius, vuoi dirci
qualcosa sulla tua famiglia?
“Su’, facciamo che mi dai del lei?”
“Ma
sei scemo, Pad?” replicò
lei scettica.
“E
dai! In fondo sono la celebrità dell’occasione!” insistette
Egli supplice.
“No.”
“E
dai, dai, dai…” continuò, e mentre suni tentennava Egli le
afferrò la mano con gesto accorato, sporgendosi per guardarla con i
grandi maledettissimi occhi
d’argento, che strapparglieli via sarebbe una buona idea.
Maporc…
Sirius, vuole dirci qualcosa sulla sua famiglia? [tremolio accaldato nella voce che pone la
domanda]
E’ indispensabile?
“E
però finiscila!”
D’accordo. Cosa vuoi
sapere?
“Io
niente, so già. Al massimo se c’è qualcuno che
legge…” brontolò lei incerta.
“E’
l’intervista più scema della storia del mondo,”
commentò Egli con uno sbuffo annoiato.
“Fattela
da solo, se sei più bravo!”
“Ma
sei tu che…”
Oh, va bene, va bene. I suoi
genitori?
Orion Black, classe 1929, e
Walburga Black, classe 1925, cugini di secondo grado e discendenti
dell’illustrissima famiglia Black. Che culo,
aggiungerei. Prima che tu mi ponga la domanda, allego alla lista di familiari
stretti un insopportabile fratello minore, tale Regulus
Arcturus.
“Lui
ne ha due, di nomi,” lo schernì lei beffarda.
“Lui
è morto giovane, in modo idiota e ha fatto la figura del
deficiente.”
“…Sei
caduto in una tenda,”
scandì lei con estrema indulgenza.
“Sei
una merda,” sbottò Egli, arrossendo visibilmente e incrociando le
braccia al petto con un broncio tremante.
Repentino
pentimento si accese violentemente nelle viscere dell’intervistatrice.
“Scusami,
tato, non volevo,” affermò di slancio.
“Scusami
un corno!” strillò Egli, stizzito, agitandosi sulla sedia –
che assai apprezzava quello sfregamento di virili chiappe. “Lo sai che ci
sono rimasto malissimo! Sei un’infame e non voglio più continuare,
ecco! E’ stato terribilmente imbarazzante, volevo morire per la vergogna
e non potevo perché ero già
morto!” continuò, ormai infervorato.
“Non
ci pensare, dai, in fondo sei qua, bello in forma…” tentò
lei, quasi sciogliendosi in lacrime all’infelice ricordo. Il suo sincero
dolore parve placarLo. “Nella mia testa non sei
mica morto,” aggiunse speranzosa.
Non
mentiva. Era pazza.
Egli
borbottò ancora qualcosa tra sé, sconvolto e rattristato.
“Quella…quella…scrittrice è il Male,”
gemette oltraggiato.
Lei
annuì ripetutamente, afferrandogli la mano con affetto – e vi
assicuro che non se l’è lavata per un bel po’, lei, la mano.
Per
qualche istante sospirarono in silenzio.
“Comunque,
almeno io non avevo la sola compagnia di qualche Inferius,”
osservò lui, recuperando un po’ di brio.
Lei
annuì convenientemente.
“Harry
ci è rimasto malissimo,” aggiunse sadicamente.
“Urlava
come un’aquila.”
“E
c’era Remus.”
Tacquero
di nuovo, rasserenati.
Avevo anche uno zio piuttosto
in gamba, Alphard. In realtà lui e mia cugina Andromeda erano le uniche persone decenti in famiglia, e
infatti sono stati disconosciuti come me.
Suo zio è stato
cancellato per averle lasciato dei soldi in eredità, giusto?
Io ero stato rinnegato e i miei
genitori non hanno accettato la sua scelta. Sì, è stato per
questo. Andromeda invece aveva sposato un Muggleborn, un mago di natali babbani.
I Black erano molto intransigenti su queste cose.
Come mai l’hanno
diseredata, Sirius?
Sono andato via di casa a
diciassette anni, perché non ne potevo più della loro spocchia e
del loro razzismo. Vivevano per la purezza del sangue e guardavano tutti
dall’alto in basso, senza un minimo di modestia.
“Che
invece è la tua più spiccata qualità…”
commentò lei ironica.
Egli
levò la testa verso l’alto, il naso svettante con baldanza.
“Ignorerò
le tue provocazioni perché sono un gentiluomo.”
“Ma
se ieri volevi fare le gare di rutti…”
Risata
sommessa.
Casa di appartenenza?
Gryffindor.
Sempre.
Soprannomi?
Padfoot,
scelto da me. Buono-sul-pane, per evidenti analogie orgasismico-alimentari
con la cioccolata, secondo le mie compagne di scuola.
“Non
lo trovo affatto divertente,” borbottò lei, evidentemente gelosa.
Lui
rise, provocandole tre sincopi e una crisi respiratoria con il suo sfolgorio di
denti e la bella espressione del viso gioioso.
Alimento preferito?
Cioccolato.
Bevanda preferita?
Whisky incendiario.
Colore?
Il grigio per i vestiti,
perché è intonato con gli occhi e mi fa fare la mia porca figura.
Per il resto, il rosso. Perché è il colore di Gryffindor.
Animale?
Ovviamente il cane.
Perché è fedele, coraggioso e di compagnia. Come me. Se fossi un
animale sarei un cane.
“Solo
se lo fossi, eh?” borbottò lei divertita.
“In
via del tutto teorica,” sogghignò Egli beffardo.
Il tuo idolo?
Godric Gryffindor,
Claudius Borsch, portiere
di Quidditch degli anni ’70, e me stesso.
“E’
assurdo che non ti vergogni neanche a inserirti tra i tuoi idoli.”
“Sono
l’uomo più bello che conosco,” gongolò lui con
innocenza.
“Lasciamo
perdere…” gemette lei, scuotendo il capo.
La persona che odi di
più?
Sono indeciso. Odio parecchie
persone. Prima di tutti direi Peter Minus, Lord
Voldemort, mio padre e mia cugina Bellatrix,
perché è una stronza e anche
perché mi ha fatto fare la figura del coglione.
E la più antipatica?
Severus Snape.
“Non
l’avrei mai detto, Pad,” osservò lei con fare compito.
“Gnegnegne,” rispose lui, dando prova di gran
maturità.
Perché?
“Perché
è Snape,” biascicò Egli con
sufficienza.
“Non
è una risposta…” commentò lei incerta, storcendo
pensosamente le labbra.
E’ presuntuoso, unto,
ficcanaso, unto, odioso, pieno di sé, maligno, indisponente, unto,
aggressivo, superbo e unto.
“Hai
dimenticato di dire unto, Pad,” commentò lei grave.
“Hai
ragione. E’ unto,” convenne lui annuendo con serietà.
Risata
sommessa.
E la persona che ami di più?
James Potter.
“Hai
promesso che non ne avremmo parlato, suni,” aggiunse, cupo, guardandosi
intorno come in cerca di fuga.
“Lo
so, infatti non ne parleremo oltre,” lo rassicurò lei, mal
sopportando quell’aria sofferente, che pure rendeva giustizia al suo
fascino – lei ci tiene a farlo sapere.
Attimi
di religioso silenzio.
Altri
attimi di religioso silenzio.
Lei
tentò uno sguardo incerto, ed Egli annuì graziosamente,
permettendole di continuare.
Quale pensi che sia la tua
più grande qualità?
“Ne
posso dire una sola?” protestò Egli, allibito.
“Pad…”
Va bene. Il coraggio.
E il difetto?
“Non
potrei dire invece un’altra qualità?” ipotizzò lui
storcendo il naso.
“Pad…”
Uffa… l’arroganza.
“Arrogante?
Tu? Nooo, davvero?”
“Gnegnegne.”
Cosa non sopporti in una persona?
La vigliaccheria. E anche il
fanatismo.
E cosa ammiri?
L’onestà e la
coerenza.
“Ti
fai sembrare una persona come si deve,” osservò suni sorpresa.
“Perché
lo sono,” replicò lui risentito.
Di cosa ti vergogni di
più?
Dello scherzo a Snivellus.
“Mi
fa piacere vedere un po’ di maturità da parte tua. Ammettere di
essere stato crudele è…” iniziò lei, favorevolmente
colpita.
“Solo
perché ho coinvolto Remus,” la interruppe lui beffardo.
“Come
non detto.”
Di cosa sei più fiero?
Di aver seguito i miei ideali anche
se non era semplice e avevo tutti contro.
Quel’è
il tuo più grande rimorso?
Aver chiesto a Peter di
sostituirmi come Custode Segreto e aver pensato che Remus fosse la spia.
E il rimpianto?
Non ho mai detto a James quanto
realmente gli volevo bene.
“Oh,
Pad!” singhiozzò lei, strappando un foglio dal taccuino alla cieca
e usandolo poi per pulirsi gli occhi. “Vuoi proprio farmi
piangere?” squittì tra le lacrime.
“E
tu non mi fare parlare di loro!” protestò Egli, visibilmente
commosso.
Lei
sospirò profondamente, riprendendo il controllo di sé.
“Va
bene, concludiamo.”
Se ti fosse concesso di
lasciare un messaggio ai posteri, quale sarebbe?
Oh…vediamo… Non
permettete mai a qualche prepotente di decidere per voi cosa è giusto e
cosa no, e non permettetegli neanche di sottomettervi e spaventarvi, ma usate
la vostra testa per decidere in cosa credere.
Belle parole.
Esatto. Quindi, se le regole
della scuola vi vietano di andare in cucina a notte fonda a rimpinzarvi ma voi
ne avete voglia, fatelo lo stesso.
“Pad,
sei un coglione!” strepitò suni
indignata, sbattendo la penna sul tavolo.
Ma
il Marauder stava ridendo di cuore, con la sua strana
risata uggiolante, gli occhi brillanti d’argento e tutto il resto. E
perciò, in fondo, non era il caso di protestare.
Era
fatto così.
Questa…cosa che non
chiamo fanfic, né storia né nulla,
perché è solo una fesseria, mi è venuta fuori in un
pomeriggio in cui ero piuttosto giù di morale e cercavo qualcosa per
risollevarmi. Devo dire che ha funzionato. Potenza di Padfoot…
E’ un peccato che non
esista il genere nonsense
o il surreale, forse sarebbe stato
più adeguato. Pazienza.
Terrei anche a precisare che
non penso REALMENTE di avere conversazioni con Sirius Black. Cioè, sono
malata, ma non fino a questo punto. So che non esiste.
Ma mi faceva ridere questa
cosa. E così l’ho lasciata venir fuori.
E forse era meglio di no,
direte voi. Bé, ormai è fatta.
Ovviamente, non tutte le…informazioni qui contenute sono
strettamente facenti parte del canon. Alcune sono
piuttosto frutti delle mie lunghissime speculazioni su Sirius.
Ecco tutto.
suni
Noticina:
“[…]qual Semele con Zeus.” Non so
quanto questa leggenda sia conosciuta, ma fa parte della mitologia greca. In
parole povere, Semele fu una delle donne mortali da
cui il signore dell’Olimpo ebbe dei discendenti. La fanciulla volle, su
suggerimento della gelosa moglie di lui Era, vederlo nella splendore del suo
vero aspetto divino, il che comportava, per un’umana, la morte per
folgorazione. Ora, potrei aver riferito la vicenda in maniera approssimativa,
purtroppo non ricordo dettagliatamente i fatti, ma so che suo figlio era
nientemeno che Dioniso. Comunque, se qualcuno ricorda la storia meglio di me
sarò lieta di correggerla con i suggerimenti adeguati.
Noticina numero due: "[..]meriggio pallido e assorto" è un'espressione presa in prestito dalla meravigliosa poesia di Montale "Meriggiare pallido e assorto". Un capolavoro che mi vergogno profondamente di aver accostato alle mie fesserie.
Noticina numero tre: il soprannome Buono-sul-pane non è una mia idea ma, come fog ha notato e come mi ero scordata di sottolineare (ti adoro! E adoro quel libro! Abbiamo i cervelli connessi, che emozione) è una citazione dal romanzo "Per amore, solo per amore" di Campanile.