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Autore: Fauna96    31/10/2013    5 recensioni
- Non parla. A stento riusciamo a farlo mangiare. Dorme pochissimo e ha sempre gli incubi. In compenso, passa ore a giocare a scacchi da solo o a risolvere rompicapi. –
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Un bambino particolare. Una giovane psichiatra. Un frammento di infanzia del più grande detective del mondo e un mio piccolo regalo di compleanno per lui.
ATTENZIONE: SPOILER sul vero nome di L!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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A tutti i bambini piacciono i dolci
- Non parla. A stento riusciamo a farlo mangiare. Dorme pochissimo e ha sempre gli incubi. In compenso, passa ore a giocare a scacchi da solo o a risolvere rompicapi. – La donna sospirò. – E’ intelligente, molto intelligente, su questo non c’è dubbio. Ma non riusciamo a farlo interagire, né con noi né con gli altri bambini. Ci hanno provato tutti i nostri psicologi e psichiatri -.
Eva Atwood osservò la direttrice dell’istituto, pensierosa. – Da quanto tempo è qui il bambino? –
- Qualche mese. Ma prima di venire qui è passato attraverso molti altri orfanotrofi e case famiglia senza mai riuscire ad adattarsi. A quanto pare, se non viene disturbato, non fa niente... ma ho sentito dire che dei ragazzini che lo infastidivano al suo arrivo qui si sono presi un bel po’ di pugni. Non hanno riferito nulla ma... Be’, c’è da dire che ha subito delle esperienze orribili... –
Eva fece una faccia interrogativa e la signora Cole sospirò. – Un anno fa, una settimana prima di Halloween, i suoi genitori sono stati uccisi davanti a lui da una specie di setta, che lo ha rapito. E’ rimasto con loro fino ad Halloween... quando la polizia è riuscita a liberarlo. Quella notte, avrebbero dovuto usarlo come sacrificio in non so che rito... –
Eva sgranò gli occhi. – Povero bambino... non mi sorprende che sia in quelle condizioni. Che lei sappia, aveva già altri problemi prima dell’omicidio dei suoi? –
La direttrice esitò.- Pare avesse alcuni sintomi della Sindrome di Asperger... Dottoressa Atwood... lei ci è stata caldamente raccomandata: se non ce la fa lei, noi non sappiamo proprio a chi rivolgerci e cosa fare -.
Eva annuì e si alzò in piedi. – Mi porti da lui -.
 
La signora Cole si fermò davanti a una delle tante porte di quel corridoio grigio e bussò. Nessuna riposta. Lei sospirò e aprì la porta. – Lawliet? C’è qui una signora che vorrebbe parlarti -.
Eva sbirciò incuriosita oltre le spalle della direttrice, che era molto più alta di lei, ma non riuscì a vederlo, e lui non parlò, né fece alcun movimento. La donna sospirò nuovamente e la fece passare, sussurrandole un buona fortuna poco convinto prima di uscire. E finalmente Eva lo vide.
Se ne stava rannicchiato per terra, le ginocchia contro il petto e i piedini nudi. Era piccolo ed esile, infagottato in vestiti troppo grandi. I capelli erano tutti arruffati, neri quanto gli occhi: due lastre di ossidiana, grandi e spalancati... assenti.
Eva si sentì radiografata da quei pozzi scuri mentre posava la borsa a terra, mentre si avvicinava a lui. Non si ritrasse, non si mosse né parlò: rimase a fissarla, immobile.
Si era sbagliata: lo sguardo sembrava assente, ma sotto sotto brillava qualcosa, come una scintilla. Quel bambino era vivo.
Davanti ai piedi di Lawliet vi era una scacchiera coi pezzi già in gioco. Eva sedette dall’altro capo e mosse un cavallo. Un guizzo illuminò quegli impenetrabili occhi neri. Lawliet allungò una manina pallida e spostò un pedone.
Eva era un’abile scacchista, sebbene non proprio una fuoriclasse; ma rimase scioccata nel vedere le proprie strategie smantellate in poco più di mezz’ora da un ragazzino. Con gli occhi sgranati, osservò Lawliet colpire il re nemico con il proprio cavallo e farlo cadere.
- Non è possibile – sbottò incredula.
Sul viso del bambino apparve un impercettibile sorriso trionfante. Eva faticò a trattenerne uno simile. Non sei di pietra, allora... E ti piace vincere.
L’ora successiva la passarono a giocare a scacchi, ovvero Lawliet vinse senza battere ciglio tutte le altre partite. Eva non lo forzò a parlare; in effetti, le uniche parole pronunciate risultarono essere quelle sfuggite alla giovane subito dopo la prima batosta.
Alla fine, la psichiatra si alzò, ormai sfinita da quel torneo di scacchi. – Torno domani – disse. – Se ti va -.
Lawliet la fissò, infine annuì, gli occhi neri sempre impenetrabili.
 
Eva tornò l’indomani, come promesso, e decise di portare un sacchetto di dolciumi. Insomma, a tutti i bambini piacciono i dolci, no? Forse, partendo da lì, poteva riuscire a convincerlo  a mangiare.
Quel giorno, Lawliet era intento a leggere un grosso libro, rannicchiato sul letto sempre in quella buffa posizione.
- Ciao – lo salutò e lui richiuse il volume, osservandola con una scintilla curiosa nello sguardo. – Cosa leggevi? –
Lawliet le allungò il libro: Le avventure di Sherlock Holmes.
- Ah, uno dei miei libri preferiti – sorrise Eva trafficando con la borsa.- Senti un po’, mi dicono che non vuoi mangiare... ma capisco che qui il cibo non sia il massimo della vita... ti ho portato questi -.
Il bambino prese il sacchetto di carta senza toccarle la pelle. Non gli piace il contatto umano. Come aveva detto la direttrice. Probabilmente anche per quello che aveva passato... Se ne parlasse, potrei aiutarlo di più...
Lawliet estrasse esitante un dolcetto ricoperto di zucchero tenendolo tra il pollice e l’indice. Le lanciò un’occhiata, come a voler chiederle il permesso.
- Assaggia! – lo spronò Eva. E lui prima leccò cautamente lo zucchero e sembrò rifletterci su; poi affondò i denti e lo divorò in quattro e quattr’otto. In cinque minuti il sacchetto era vuoto, le labbra di Lawliet luccicavano di zucchero e le sue dita erano tutte appiccicose.
- Visto che avevi fame? – Eva si sentiva immensamente soddisfatta di sé. – Bastava trovare quel che ti piace. – Frugò ancora nella borsa e ne estrasse un plico di fogli e una penna. – Se hai voglia, dovresti fare questi test. Quelli che vuoi, quanti ne vuoi. Servono a me, per vedere il tuo quoziente e le tue capacità – Che di sicuro sarebbero risultate eccezionali. Anche per quello Eva gli aveva detto subito la verità: sentiva che quel bambino avrebbe smascherato qualsiasi menzogna gli avrebbero propinato. E inoltre, detestava mentire, specialmente ai suoi pazienti.
Lawliet prese i fogli e la penna con un sorrisino furbo sul volto. Evidentemente ne aveva già fatti e numerosi, probabilmente. A Eva non piaceva dare quei test: le sembrava di mettere le persone (e i bambini in particolare) sotto osservazione, farli sentire come animali rari da studiare. Molti si erano indignati o rifiutati di sottoporsi a quei test, ma quel ragazzino aveva affrontato il tutto con tranquillità, quasi come un’abitudine per lui.
E quando, a casa, passò ad esaminare i fogli, coperti da una scrittura infantile, un po’ disordinata ma chiara, capì che Lawliet doveva aver svolto quei test sin dalla più tenera età; perché era fin troppo evidente che il suo intelletto era straordinario: chiunque se ne sarebbe potuto rendere conto.
Nel suo lavoro, Eva aveva avuto a che fare più volte con bambini prodigio, ma andando avanti nell’analisi e passando sempre più giorni con lui, comprendeva che quella mente non era lineare, ma oscura, complessa e contorta, un labirinto inesplicabile nel quale ci si poteva solo perdere. Un’ulteriore prova l’ebbe un pomeriggio, quando era passata circa una settimana dal loro primo incontro. Dopo aver bussato, non aveva ricevuto risposta, come al solito; entrata, l’aveva trovato in piedi, la testa inclinata di lato, lo sguardo perso. Sembrava quasi stesse ascoltando qualcosa...
- Lawliet? – Nessuna reazione. Come se non l’avesse nemmeno sentita.
Eva si inquietò. Lo chiamò di nuovo, più forte e lui parve notarla solo allora. Sbatté le palpebre, come risvegliandosi da un sogno. E, per la prima volta, parlò: - Non  le senti? – Una voce acuta, seria, quasi senza inflessioni né tantomeno errori di pronuncia.
- Che cosa? – domandò Eva a sua volta, cauta.
- Le campane – fu la sconcertante risposta. – Oggi sembrano impazzite... tintinnano, tintinnano... come quella volta... –
Eva si piegò per essere alla sua altezza. – Vuoi dire... il giorno in cui i tuoi genitori sono morti? –
- Sì – Dal volto, dagli occhi non trasparì nessuna emozione, ma una manina corse a stringere un lembo dei jeans.
- Ti va di parlarmene? –
Lawliet si accucciò per terra e si portò il pollice sulle labbra, un comportamento che Eva aveva già notato; probabilmente gli infondeva sicurezza.
- E’ successo esattamente un anno fa. Ma non mi ricordo bene... C’era rosso. E nero. E sono arrivati gli dei della morte a prendermi. E poi le campane che continuavano a suonare... e a suonare... – la guardò fisso. – Io non mi ricordo altro -.
Eva annuì. – A volte... la nostra mente cancella le esperienze dolorose. Però... vorrei chiederti: cosa intendi per dei della morte? –
Lawliet non rispose; si strinse di più a se stesso, chiaramente bloccato e terrorizzato. Eva gli parlò dolcemente: - Gli dei della morte non esistono, Lawliet. Erano solo persone cattive. Ma ora sei al sicuro -.
- Non verranno a riprendermi? – in quel momento, fu un bambino, un qualunque bambino spaventato.
- No, Lawliet. No. – Seguendo un impulso improvviso, Eva posò una mano sulla testolina arruffata. Il bambino ebbe un leggero brivido, ma non si scostò.
- E le campane? – si azzardò a chiedere lei. – Le senti in continuazione? –
- Solo ogni tanto... A volte più forti, a volte più lievi -.
Eva esitò prima di porre l’ultima domanda. Non voleva turbarlo troppo, tuttavia... – Che cosa ricordi prima che succedesse tutto questo? –
Inaspettatamente, Lawliet si aprì in un sorriso. – La torta di fragole e panna della mamma... me la faceva per il mio compleanno -.
- Quanti anni hai, Lawliet? –
- Sette anni e trecentocinquantotto giorni -.
 
- Signora Cole, è un mese ormai che lavoro con Lawliet – esordì Eva, ma la direttrice la interruppe: - Sì, e non ha idea della nostra gratitudine! Ora esce dalla sua stanza, mangia, anche se solo dolci, e l’abbiamo portato persino al luna park con gli altri! E’ straordinaria, dottoressa! –
Eva scosse il capo, sorridendo. – Se ho capito un poco Lawliet – replicò – credo che non sia merito mio: ha deciso lui stesso di uscire dall’isolamento. Forse... io gli ho dato una spinta e ce l’ho fatta solo perché gli sono risultata simpatica. Comunque – continuò – come avrà notato, Lawliet ha capacità intellettive straordinarie. E’ anche per questo che fa fatica a relazionarsi con gli altri bambini. Ma... se lo mettessimo insieme ad altri come lui... –
- Vorrebbe trasferirlo in un istituto speciale? –
- Se lei e il bambino siete d’accordo, sì. Conosco il posto giusto per lui.
 
- Pronto? –
- Signor Wammy? Sono Eva Atwood, si ricorda di me? Sono la figlia di... –
- James Atwood! Certo che mi ricordo. Come stai, cara? –
- Bene, grazie. Sa, sono diventata psichiatra e ho tra le mani un bambino molto interessante. E intelligente. Le piacerebbe incontrarlo? –
 
Eva individuò subito Lawliet: era accucciato sotto un albero, osservava gli altri ragazzini giocare a calcio. Era imbacuccato per benino, con le guance un po’ arrossate per il freddo.
- Non ti piace giocare a calcio? –
- Preferisco il tennis. Ma nessuno qui ci sa giocare – fu la laconica risposta.
Eva si dondolò incerta sugli stivaletti. – Oggi verrà quel signore a conoscerti. Ma ricorda che non sei obbligato a far nulla, se non vuoi -.
- Lo so. Hai una caramella? –
Lei si frugò nelle tasche. – Uhm... no, mi spiace -.
- Ho io una caramelle per te – interloquì improvvisamente una voce bonaria. Un uomo anziano, con baffi grigi e occhialini rotondi si avvicinava sorridendo.
- Signor Wammy! – lo salutò Eva, tendendogli la mano. Lui la strinse. – Ciao, Eva. Che piacere vederti, sei diventata una donna, ormai -. Si voltò verso il bambino, muto e immobile. - E tu devi essere Lawliet – Cercò nella tasca del cappotto e gli porse un dolciume colorato.
Gli occhi scurissimi scrutarono gli occhi azzurri e benevoli. Poi una manina si tese e accettò la caramella.

 
Per prima cosa... buon compleanno L!! ♥ Questa storiella (prima su Death Note) è stata scritta esclusivamente per lui e per rendere ancor più dolce questa giornata... perché, diciamocelo, L bambino è una delle cose più pucciose mai esistite u.u Ordunque, se non fosse chiaro, il piccolo L è stato appunto rapito da questa setta, i cui adepti si mascherano da shinigami (da qui la reazione di L al sentirli nominare); le campane scandivano i momenti della “celebrazione e gli sono rimaste impresse. Uhm... nello speciale di Death Note, Last Note, si vede una conversazione del nostro detective con i ragazzi della Wammy’s e una bambina gli chiedeva di cosa avesse paura; lui risponde dei fantasmi, e tra essi “quelli che rapiscono i bambini”, per cui ho immaginato avesse subito un sequestro.
Per domande, insulti ecc... son qua :) Ah, prendiamoci un minuto per ringraziare quell’uomo meraviglioso di Watari che ha cresciuto il nostro piccolo genio e gli ha cucinato innumerevoli di torte *^* Ora vado a prepararmi per Lucca e a mangiare tanti dolci xD *zompa via*
  
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