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Autore: thedarknightess    31/10/2013    2 recensioni
Questa storia rappresenta una delle mie paure più grandi. Perdere la ragazza che amo, in futuro.
"Era passato un bel po' di tempo dal giorno in cui lei aveva detto che non poteva più farcela. Che l'aveva fatta soffrire troppo in passato, che non avrebbe mai potuto dimenticarlo. E beh, quel giorno era crollato tutto, con violenza.
Come un fragile castello di carte che viene sfondato da una mazza da baseball."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il cellulare riprese a squillare, facendole vibrare violentemente la tasca. Sbuffò, ed imprecò a bassa voce. Era la quinta volta in un'ora che sua madre la chiamava, per informarsi dei suoi spostamenti. Afferrò il telefono per l'ennesima volta e cercò di non rispondere male, nonostante fosse parecchio seccata, ma neanche di suonare troppo gentile, per farle capire che avrebbe dovuto smetterla di chiamarla, senza farla arrabbiare. Era una sottile tecnica che aveva imparato negli anni. 
-Si, tutto bene. No, non ho freddo. Lo so, è domenica, prima o poi lo troverò questo benedetto latte, fammelo cercare. Va bene, ci sentiamo dopo. Ciao.-
Premette il tasto rosso sullo schermo con forza, e rimise il cellulare al suo posto.

Era alla ricerca di un bar aperto, di domenica pomeriggio, a dicembre, durante il periodo natalizio. Praticamente una missione impossibile. Aveva rigirato il quartiere in lungo e in largo, nella completa desolazione, ma quando ormai stava pregustando l'idea di dire a sua madre che la torta avrebbe dovuto prepararla con l'acqua al posto del latte, o meglio ancora, che avrebbe dovuto rinunciare ai suoi propositi da pasticciera, poco lontano vide la scritta "Tabacchi". Non riusciva a capire però se fosse chiuso o aperto, dato che una delle saracinesche era tirata giù e l'altra no. Sospirò e prese a camminare a passo più veloce, data la temperatura e la voglia di tornare a casa il più in fretta possibile. In qualche secondo giunse all'entrata del bar, e vide che non solo era aperto, ma che tutte le persone del vicinato che avevano usato uscire con quel freddo, si erano messe al riparo li' dentro. Scosse la testa, odiava la folla, soprattutto in posti stretti come quello. Si fece largo, e giunse davanti al bancone frigo. Lo aprì e prese un cartone di latte scremato. Fece per andarlo a pagare, ma ovviamente c'era la fila, così si mise ad aspettare. Per perdere tempo cominciò a guardarsi intorno, a notare quanto quel locale fosse arredato e dipinto male. Poi passò ad osservare la gente. Le piaceva criticare cose e persone da sempre; esprimere la sua opinione era all'ordine del giorno. Notò un vecchietto che portava un cappotto rosso che sembrava uscito da un telefilm anni 70' , una signora con un barboncino al posto dei capelli e il marito che sembrava impagliato, un bimbo identico a quello di Shining, Danny... E poi vide una ragazza bionda. Era girata di spalle, e aveva un berretto nero in testa. Strinse il cartone del latte un po' più forte e si sforzò di distogliere lo sguardo, ma la curiosità era troppa. Poteva essere lei? Non lo sapeva. Non sapeva cosa sperare. Sentì il battiti cardiaco aumentare i colpi, come una sorta di tachicardia temporanea. Non si sentiva bene, cominciava a fare troppo caldo lì dentro. Le cadde il latte dalle mani, quasi involontariamente, quando si voltò. Era lei. Raccolse il latte e lo poggiò sul primo ripiano che vide, coprendosi la faccia e uscendo il più velocemente possibile.  Lo stomaco le si era ormai ridotto ad un pietoso straccio strizzato, le lacrime le pungevano i lati degli occhi con cattiveria e il groppo in gola sembrava non voler andare ne su ne giù, come fosse cemento. Era istantaneamente diventata un ammasso inutile di dolore. Rimase a fissare un tombino in terra per qualche minuto, com espressione vacua,  sforzandosi di non pensare a tutto ciò che quel viso avrebbe potuto farle ricordare. Ma poi non riuscì a resistere e sbriciò. La cercò fra tutti, con una mano poggiata al vetro. Fece ancora più male quando vide che era diventata più bella. Dopo tutto quel tempo ancora pensava che non ci fosse una migliore di lei. 

Quella ragazza era stata sua. L'aveva tenuta stretta fra le braccia, sorridendo, sfiorandole le mani piano. Si portò un dito sulle labbra e le accarezzò, ad occhi chiusi. Si figurò nitidamente tutte quelle volte in cui l'aveva  baciata, e aveva provato la bellissima sensazione di avere tutto quello che poteva desiderare. Lei. 
Qualche lacrima cominciò a scendere. Aveva veramente pensato che avrebbe potuto tenerla con se per sempre. 
La amava ancora come se non fosse cambiato nulla fra loro, non poteva non farlo, nonostante facesse così dannatamente male. Non poteva scegliere di dimenticarla. Lei era tutto. 
Quando fra se si ripeteva "è ancora l'amore della mia vita", si sentiva una patetica idiota che ancora non si era rassegnata al fatto che era tutto finito, non era riuscita ad andare avanti. Non c'era nessun amore, nessuna storia fra loro. Ma in quel momento non poté fare a meno di scandire con le labbra il nome di lei, con un tono di voce impercettibile. Altre lacrime scendevano calde e subito si raggelavano a causa del freddo. Lei stava sorridendo guardando il telefonino, e subito si chiese chi la stesse rendendo felice in quel momento. Chi fosse a quello che una volta era stato il suo posto. Sentì una fitta di gelosia, antica ma ancora più dolorosa, data dalla consapevolezza di non aver più alcun diritto di provare una cosa del genere. Premette le unghie contro il palmo della mano trattenendosi con tutta se stessa dallo scoppiare a piangere li davanti. Ci riuscì per quel tanto che bastava ad allontanarsi un pò da quella vetrata, poi non ce la fece più. I singhiozzi la stavano scuotendo, e le lacrime continuavano a scendere. Pensava a tutte quelle volte che lei le aveva detto che la amava, a tutte le volte che l'aveva chiamata amore e le aveva detto che non avrebbe mai potutto vivere senza di lei. Erano state stronzate? Per qualche assurdo motivo non voleva crederci. Non lo erano state.
Avrebbe voluto anche emettere dei suoni, gracchiare il suo nome, avrebbe voluto liberarsi da quel peso che non le faceva prendere fiato. 

Era passato un bel po' di tempo dal giorno in cui lei aveva detto che non poteva più farcela. Che l'aveva fatta soffrire troppo in passato, che non avrebbe mai potuto dimenticarlo. E beh, quel giorno era crollato tutto, con violenza.
Come un fragile castello di carte che viene sfondato da una mazza da baseball. 

Aveva perso tutto. Era tutta colpa sua, della persona di merda che era ed era sempre stata. L'aveva ferita, si era lamentata, era stata cattiva. Non aveva saputo fare un cazzo. L'aveva fatta piangere mille volte.
I primi mesi dopo la rottura furono un inferno. Giorni passati a chiederle di tornare, a guardare il soffitto, a non mangiare, a non studiare. Era il vuoto, si era portata via tutto. Ma pensava di meritarlo. Avrebbe voluto morire ogni giorno, ma puntualmente si diceva che vivere le avrebbe fatto più male. Avrebbe pagato.
I mesi passavano, durante il giorno non pensare a lei era semplice. Si teneva occupata, era tornata a giocare a pallavolo, a cucinare, a parlare con la gente. Non era mai uscita e non le era più piaciuto nessun altro, però aveva comunque delle amiche con cui passare il tempo.
Ma ogni notte lei era li' e non riusciva a togliersela dalla testa. Ci pensava, la sognava. Si limitava a rimuovere tutto quello che aveva visto la sera, la mattina successiva, anche se ogni giorno ricominciava tutto da capo.
Non poteva eliminare così l'unica persona che era riuscita ad amare.


Quell'ammasso di ricordi si era solidificò in singhiozzi più violenti che la percossero da capo a piedi. Voleva darsi un contegno ma non ci riusciva, sembrava comunque la più patetica delle persone. 
Vide la porta del bar aprirsi, e vide lei uscire con naturalezza. Non si accorse di lei, che era seduta a terra, al buio. Così si limitò a guardarla camminare in silenzio, come se stesse sparendo di nuovo dalla sua vita. In un attimo si alzò in piedi e fece per seguirla, come animata da un qualche impulso; avrebbe voluto dirle quanto sentiva la sua mancanza, quanto le dispiaceva, quanto si sentisse morta, da quando non c'era.. ma si fermo' subito. Lei aveva sorriso prima, era felice e in fondo, era quello che aveva sempre voluto per lei. Avrebbe sempre preferito che la sua felicità comprendesse lei, ma non era stato possibile.
Quindi, nonostante quell'orrendo dolore, non le corse dietro. Non voleva rovinarle la vita per la seconda volte. Rimase li' in piedi ad asciugarsi inutilmente le lacrime, che continuavano a scendere, con la manica della felpa. 

-Ciao, Fra - sussurrò.

Ogni tanto, quando voleva stare peggio, immaginava ancora di vederla vestita da sposa sorridente, in pigiama a gironzolare per casa loro o con il suo anello dell'infinito indosso. E moriva dentro.



  
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