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Autore: _Diane_    17/04/2008    6 recensioni
-Non capisco, perché non l’hai fermata?-
-Perché… Io ho già una famiglia.-
Wilbur Robinson torna a casa, nel suo tempo, dopo aver salutato con affetto Lewis. Ora tutto sarà come prima? Che significato assumerà per lui il motto "Andare Sempre Avanti?" E il rapporto con il padre, cambierà?
(Fiction da inserire alla fine del film "I ROBINSONS"!)
Genere: Generale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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La fiction che state per leggere, è da collocarsi alla fine del film Disney "Meet The Robinsons"; "I Robinsons-Una famiglia spaziale" in italiano. Se non avete visto questo splendido film, vi consiglio di farlo... Per questo vi avverto che il seguente testo contiene SPOILER non indifferenti sulla trama! Altre precisazioni e mie riflessioni alla fine. Sono una precisazione: qui il protagonista che racconta la storia dal suo punto di vista è Wilbur! La prima parte, in corsivo, è tratta dalla scena forse più bella del film...
Lasciate un commenticcio, se leggete!

Keep Moving Forward!

~ Andare sempre avanti! ~


Let it go,
let it roll right off your shoulder
don’t you know
the hardest part is over
let it in,
let your clarity define you
in the end
we will only just remember how it feels
....

-Non capisco, perché non l’hai fermata?-

La mia voce rompe l’imbarazzante silenzio creatosi tra noi, mentre decido di chiedere spiegazioni a Lewis dell’atto che ha appena compiuto. Grazie alla macchina del tempo eravamo appena tornati dal passato in cui la madre di Lewis l’aveva abbandonato al suo destino, davanti all’entrata di un vecchio orfanotrofio.
Avrebbe potuto fermarla. Eppure ha preferito che lo abbandonasse.... perchè?

-Perché… Io ho già una famiglia.-

Mentre alzo lo sguardo, incrocio il sorriso caldo e amichevole che tante volte avevo visto sul volto severo di mio padre. Ora però mi si ripropone in una versione mille volte migliore. Mi sento molto a disagio; come ho fatto a non accorgermi di che persona meravigliosa mi ha cresciuto?
Non ho tempo per dire nulla, perché le braccia di Lewis mi stingono forte. Lascio scivolare via tutta la mia testardaggine, il mio senso di colpa, il mio orgoglio, mentre ricambio il suo abbraccio amichevole.

-Non avrei mai pensato che mio padre…. Sarebbe stato il mio migliore amico.-
Sciogliendo l’abbraccio, tiro fuori il foglio che, con l’ausilio di un po’ di scotch, avevo ricostruito.
-E non farmi tornare a tirarti fuori dai guai.-
Gli porgo il foglio di quaderno strappato e lui lo afferra, per dargli una rapida occhiata. Intuisco che capisce subito di cosa si tratta. Il suo progetto per lo scanner mnemonico. -D’accordo.- Dice, mentre ripone al sicuro il progetto nella tasca dei pantaloni.

-Ricordati che ho la macchina del tempo.- Comincio a parlare, -Combina altri pasticci, e torno a farti fare le cose per bene!-
Ora il clima è decisamente più leggero e sereno, nonostante entrambi percepiamo l’emozione del momento. “Non è che non ci rivedremo più…. Dopotutto, è mio padre!” Penso, mentre con un balzo salto sulla macchina del tempo, e allo stesso tempo pongo una domanda importante a Lewis.
-Te lo ricordi il motto?-
-Me lo ricordo!- Mi risponde, allegro.
-Non lo dimenticare!- Puntualizzo. Incredibile. Sembra che i ruoli si siano capovolti. Io il padre, lui il figlio....
-Non credo sia possibile.- Dice, sinceramente.
Lo guardo ancora per un attimo, mentre prende sotto braccio la scatola dove è racchiuso lo scanner mnemonico, la sua prima e più importante invenzione.
-Meglio che tu vada, ora.- Aggiungo, mettendo in moto la preziosa macchina del tempo.
-Ci vediamo, Wilbur!- Risponde, avviandosi verso la porta della balconata, che conduce alle scale dell'orfanotrofio. Mentre le turbine si mettono in moto, lancio un ultimo sguardo pieno di gratitudine verso di lui, poi mi alzo in volo…. L’auto funziona anche meglio di prima!

*Bip-bip!*

Volando, scrivo poche parole nel cielo; poi suono il clacson due volte, prima di impostare le coordinate per il rientro nel mio presente, il suo futuro.

Ci vediamo dopo, papà”.


Let it slide,
let your troubles fall behind you
let it shine
until you feel it all around you
and i don’t mind
if it’s me you need to turn to
we’ll get by,
it’s the heart that really matters in the end
....





La mia epoca. Pochi secondi dopo.
Pochi secondi sono passati solo per il sottoscritto, ovvero Wilbur Robinson, perché per tutto il resto del mondo è avanti di esattamente di trent’anni. Trenta lunghi anni in cui il mondo è cambiato tanto, non posso negarlo. E la maggior parte del merito spetta ad una persona che non avrei mai sperato di poter conoscere meglio di così in tutta la mia vita. Penso che tutti i figli sognino in segreto di capire meglio il passato dei propri genitori. Io sono stato il primo ad avere avuto la possibilità di scoprire com'era papà alla mia età.

Se ero partito alla volta del passato solo per salvarmi la pellaccia (è evidente che senza Lewis e lo scanner mnemonico, non ci sarebbe stata nessuna famiglia Robinson, che di conseguenza non avrebbe avuto nessun figlio), ora tutto è diverso…. Così diverso. Non so neppure se avrò il coraggio di guardarlo in faccia come prima, quando ascoltavo spazientito tutte quelle sue noiose lezionisulle molecole, particelle, fisica e quant’altro…. Cercando di farmi appassionare. Fin da quando io possa ricordare, forse da quando ero in fasce, mi raccontava dei suoi esperimenti, facendomi vedere sì i risultati e ciò che aveva ottenuto, ma soprattutto i fallimenti. Sempre con il sorriso stampato sulle labbra, e un’espressione degli occhi che sembrava voler urlare “Andare sempre avanti!”.

Sorvolando i cieli della mia città, arrivo a casa mia, e atterro dolcemente sul prato verdeggiante di fronte al garage. Wow, atterraggio morbido. Quasi-quasi era stato più emozionante lo schianto al suolo con Lewis… Ridacchio tra me, mentre sento una voce conosciuta parlare in tono troppo solenne.

-Chi osa avvicinarsi alla grande dimora Robinson?-
Carl è di nuovo in vena di scherzi. Cerco di mantenere la calma, inarco un sopracciglio, incrocio le braccia gli rispondo pazientemente.
-Sono io, Wilbur! Vuoi sapere il mio albero genealogico, o ti basta?-
-Devi pronunciare la regale parola d’ordine!- Ribatte la voce meccanica e possente di Carl.
-Non l’abbiamo mai avuta la parola d’ordine! Al massimo, te la sei inventata quando ero via… Ricordi?-
Silenzio.
-Emh… Hai ragione.-
La voce del robot torna normale, mentre apre il portone facendosi di lato per fare passare me e la macchina del tempo, che sto parcheggiando all’interno del garage. Non riesco neanche a scendere dall’auto, che Carl mi afferra e abbracciandomi troppo stretto, mi aiuta a scendere.
-Non sai quanto io sia felice che tu esista ancora! Il mio "caro" ragazzo combina-guai!-
Ok, a Carl è partito qualche bullone. Da quando è diventato così affettuoso nei miei confronti?
-Carl… Mi…. Soffochi!-
Riesco a malapena a singhiozzare queste parole, prima che lui lasci finalmente la presa, e io possa mettermi a posto capelli e vestiti.

-Che ti salta in mente? Sapevi che sarebbe andato tutto bene! Wilbur Robinson non fallisce mai!-
Carl mi guarda in modo strano…. Sta cercando di capire cosa mi passa per la testa, o ho una macchia di vernice sulla faccia?
-Sei sempre tu…. Il solito strafottente e presuntuoso. Eppure vedo qualcosa di diverso… Scommetto che è stato conoscere Lewis, cioè tuo padre da ragazzo, che ti ha fatto scattare qualcosa dentro. Ho indovinato?-
Argh! Papà come cavolo ha regolato Carl, quando l’ha brevettato e costruito? Lo ha fornito di qualche capacità extra che gli permette di leggermi nel pensiero?
Taglio corto, giustificandomi come meglio riesco.
-No! Perchè cosa pensi sia cambiato?-
Il robot che ho di fronte mi squadra un attimo, poi mi stritola ancora un po’.
-In ogni caso sono felice che tu sia riuscito ad uscirne vivo e intero! Quando avevi lasciato aperto la porta del garage, ho temuto il peggio…-
Gli lancio un’occhiataccia veloce. Quale parte della frase “Wilbur Robinson non fallisce mai” non gli è chiara? Comunque, non riesco a dirglielo sia perché non ho abbastanza fiato nei polmoni, sia perché un’altra figura ha fatto ora il suo ingresso nel garage.

Mia madre.

-A proposito della porta del garage…. E della punizione, signorino.-
Ahia. Pensavo che dopotutto mi avrebbe lodato, ringraziato, eccetera eccetera. Invece mia madre ha la pessima abitudine di ricordarsi tutto ciò che combino, e prima o poi, farmela pagare. Magari solo prendendomi in giro davanti ai miei amici, però….
Carl mi ha lasciato e, proprio mentre riprendo a respirare, mia madre mi si avvicina a grandi passi, afferrandomi per un braccio.

-Carl, puoi andare!- Dice ad alta voce mamma rivolta al robot, il quale prima guarda il volto di Franny, poi il mio, e dunque si decide ad uscire. Cerco disperatamente di fargli intendere che solo lui può salvarmi dalla condanna eterna, ma Carl non si ferma neanche davanti ai miei occhioni da bambino-non-sono-stato-io. La porta automatica si apre, per poi richiudersi con un leggero rumore, quasi impercettibile.
Rimaniamo soli, io e mamma.


Lei è al mio fianco, non mi guarda, osserva il vuoto. Cosa le stia passando per la testa? Un mistero.
-Sai che hai fatto qualcosa che andrebbe punito con una pena esemplare. Qualcosa che ti faccia ricordare che sei un ragazzo di tredici anni, che si spera abbia un proprio intelletto…-
Cerco di interromperla, per far valere le mie tesi.
Inutilmente.
-Mamma, ma…-
-Per questo, non ti abbiamo mai frenato. Però stavolta ci sei andato proprio vicino…. A rimetterci la pelle, intendo.- Ora ha spostato lo sguardo su di me.
-Tuttavia sono certa che questa avventura ti abbia fatto comprendere più cose di quanto voglia dare a vedere. Comunque…-
Evvai. Già due persone che notano quanto cerchi di sembrare normale, mentre cerco di non fare vedere che conoscere mio papà dodicenne mi abbia davvero cambiato dentro.
-Comunque, credo che una bella punizione ti possa fare solo bene. Che ne pensi, Wilbur?-
Ah-ah. La fregatura c’è. Bene. Tutto il discorsino carino-carino sul “mio caro figliolo, sono contenta che tu sia ancora vivo!”, per poi comunicarmi che la punizione rimane. Forse non a vita, però c’è…. Eh, no. Non me ne sto zitto.

-Mamma, ascolta! Il punto è che sono veramente dispiaciuto per aver combinato questo casino. Però, allo stesso tempo, sono felice che tutto si sia rimesso a posto, felice di aver conosciuto… Papà dodicenne, felice che ora possa sentirsi parte di una famiglia. Se solo non avessi lasciato la porta del garage aperta….

Urgh! Sono davvero tutte parole che sono uscite dalla mia bocca? Non faccio in tempo a capacitarmene, che un uomo alto con i capelli biondi sparati in aria, una montatura di occhiali circolare e con un lungo camice bianco, fa il suo ingresso nel garage.

-Ehi, Franny cara! Se vuoi andare a rilassarti un po’ di là con gli altri, rimango io a fare la guardia al detenuto.- Mia madre acconsente, e dopo essersi scambiati un occhiolino, si allontana. Lasciandomi solo. Con mio padre.

***

La situazione è più imbarazzante di quanto io riesca a descriverla.
Cercate per un attimo di immaginarvela, forse ve ne farete un’idea più appropriata.
Sono ancora in piedi esattamente dove mia madre mi ha lasciato, mentre fingo di non osservare mio padre, che traffica sulla macchina del tempo con la quale sono appena rientrato. Forse per controllare se ci sono danni, o cose del genere.
-Ok, tutto a posto!-
Esclama, esultante, mentre esce da sotto l’auto, pulendosi le mani con uno straccio. Ovvio, che domande. In effetti, è stato proprio il “lui” del passato che l’ha aggiustata. Cosa si aspettava?

Dopo aver riposto lo straccio, si mette le mani in tasca e mi si avvicina…. Penso proprio che si fermi di fronte a me, e invece no. Continua a camminare, arrivando all’estremità opposta del garage, in un angolino. Non posso fare a meno di osservare cosa stia facendo; tanto non mi vede, è girato di spalle.
-Wilbur, ti devo rivelare un segreto. Trent’anni fa, un ragazzino che diceva di essere un “capitano spaziale” piombò sul tetto dell’orfanotrofio nel quale abitavo, dicendomi di provenire dal futuro. Vivemmo insieme avventure fantastiche, attraverso le quali mi insegnò a lasciare alle spalle il passato; a guardare sempre avanti.-
Parla tranquillamente, mentre sposta qualche scatolone ammucchiato nell’angolo.
Io invece, sono un miscuglio di emozioni. Ho davvero cambiato il passato di mio padre? Oppure…. Oppure doveva accadere così. Era già scritto.
-Però, sai, Wilbur… Tutto cominciò perché questo ragazzino, una sera piovosa, lasciò aperta la porta del suo garage. Ecco… Mi sono sempre chiesto perché mai quel ragazzino si fosse recato di sera, in quel luogo. E cosa stesse nascondendo.-

Si gira, tiene qualcosa tra le mani… Qualcosa che riconosco subito!
-Come hai fatto… a trovarlo? A sapere che…- Balbetto io.
La sera che l’uomo con la bombetta rubò la seconda macchina del tempo dal garage, è vero, lasciai aperta la porta. Ma lo feci distrattamente e non di mia volontà, per una buona causa. Stavo nascondendo quel sacco nel garage, convinto che nessuno l’avrebbe mai trovato. Soprattutto lui, mio padre.
Vi erano infatti contenuti tutti gli studi e i progetti che di nascosto realizzavo, per non dare la soddisfazione a papà di vedermi fare quello che voleva lui. Prendevo spunto dalle sue invenzioni, le modificavo, le miglioravo…. Oppure inventavo qualche congegno molto semplice di mia sana pianta.
Altro motivo per cui li nascondevo dalla persona che ora tiene in mano il sacco, era che ho sempre saputo di non essere un genio, come lui. Vedendoli, si sarebbe messo a ridere, dicendo che lui alla mia età, già costruiva robot e astronavi. Il che corrisponde effettivamente al vero, l’ho costatato in prima persona.

-Pensavo che… Oh, insomma! Non potevo certo farti vedere le mie banali invenzioni sceme, mettendole a confronto alle meraviglie che inventi!-
Cerco di difendermi, camminando in circolo, lo sguardo fisso a terra. Tengo le braccia incrociate al petto, i miei passi sono veloci e di una lunghezza millimetrica, sempre uguale.
-Volevo fartelo sapere. Adoro inventare. Progettare. Sono tutte balle quando ti dicevo che è qualcosa di noiosissimo, eccetera, eccetera… Mi capisci, Lewis..?-
Interrompo la frase, portandomi le mani davanti alla bocca. Ahi, ho parlato troppo, e sono andato in confusione. Nel mio cervello, una vocina mi dice “Wilbur, ora si chiama Cornelio, ed è tuo padre! Non potete essere migliori amici, è impossibile!”.
-Questa è una splendida domanda.-
Risponde lui, allargando le braccia, pronto ad accogliermi. Un ampio sorriso nasce sul suo viso, mentre pronuncia quelle parole che mi sono divertito tanto a dire a lui…
Trent’anni fa.
la mia camminata subisce un brusco arresto.
Mi sposto in avanti con un balzo, buttandomi tra le sue braccia accoglienti, nascondendo le lacrime che mi scendono lungo le guance. Ci sono stati momenti felici nella mia vita; nessuno però si può equiparare alla felicità che provo in questo momento.

-Questo vuol dire che posso chiamarti Lewis? Posso considerarti ancora il mio migliore amico?-
Scioglie piano l’abbraccio, fissandomi.
-Sono comunque tuo padre. Non te lo dimenticare!-
Mi tira poco l’orecchio, ridendo.
-Non credo sia possibile.- Rispondo, allegro.

Tenendomi una mano sulla spalla, mi passa un foglio ingiallito e con diversi pezzi di scotch, per tenerlo insieme. Sembra piuttosto vecchio, però sotto quello strato appiccicoso, riesco ancora a distinguere…
-Il tuo primo disegno dello scanner mnemonico!- Esclamo, riconoscendo il pezzo di carta che avevo minuziosamente ricostruito, dopo che lui l’aveva ridotto in briciole.
-Sì, esatto. Voglio che lo conservi tu.-
Non so cosa rispondere… Perciò opto per il silenzio. Non voglio rovinare il momento.
Tenendo una mano sulla mia spalla, nell’altra stretto il sacco con i miei progetti, comincia a camminare, io lo seguo.
-Ora andiamo! Sono davvero curioso di vedere se ciò che hai progettato funziona!-
-E anche se non dovessero funzionare…- Aggiungo....
-…. Sappiamo che dagli sbagli non si può che imparare, giusto?-
Ci completiamo le frasi a vicenda! Poco tempo fa, avrei pensato che fosse una cosa disgustosa. Ora invece…
-Keep Moving Forward!(Andare sempre avanti!)-
Diciamo all’unisono, mentre ridiamo come due matti, lasciando dietro di noi il garage, le nostre divergenze, i nostri scontri.

Davanti a noi, un magnifico futuro ci attente….

Our lives are made
in these small hours
these little wonders,
these twists & turns of fate
time falls away,
but these small hours,
these small hours still remain
....

Commenti dell'autrice:

Wow! E' la seconda fiction che scrivo nella sezione "Disney", e ne sono soddisfatta! Avevo in mente di scrivere qualcosa su di questo bellissimo film non appena lo vidi per la prima volta. Ora finalmente è qui, nero su bianco!
Purtroppo so che la sezione "Disney" su EFP è un po' trascuratina... Cerchiamo di portarci un po' di vita! ^^

Analizzando qualche punto della storia che avete appena letto...Considero Wilbur un personaggio davvero interessante. Per questo, mi sono qui divertita a "sondargli" il cervello, e mi sono immaginata cosa gli sarebbe potuto accadere una volta tornato nel suo tempo, inel 2037.

Invece i "pezzi" di canzone che ci sono via-via, appartengono al brano scritto da Rob Thomas per questo film, e si intitola "Little Wonders". La canzone e i personaggi del film "I Robinson" non mi appartengono, bensì alla Disney! (Mi piacerebbe tanto, però! T__T).
Voglio ringraziare di cuore angy92 e Matta_Mattuz per aver recensito la mia fiction, "A Table, a mouse, a man!"

Detto questo, vi saluto che devo scappare... ^^
_Diane_
   
 
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