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Autore: Deb    01/11/2013    8 recensioni
È nato tutto per puro caso, non mi ci sarei nemmeno messa se non me l'avesse chiesto, ma non sono riuscita a dirgli di no. Non a quegli occhi così speranzosi e a quel sorriso così sincero. [...]
Mi alzo, pronta per andare a casa di Peeta, ma il mio primo pensiero è quello di scappare. Perché mi sono dovuta imbarcare in quest’impresa? Insomma, ne potevo fare decisamente a meno.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Allora canta per me

Non posso davvero credere a quello che sto facendo. Non so come ci sia arrivata, anzi, sì.
Ho questo talento, so cantare, ma di certo non lo utilizzo. No. Ho deciso di non farlo perché Capitol City lo userebbe e non posso permetterglielo. Con Cinna, quindi, avevamo tirato fuori il mio talento nella moda, che poi è assolutamente una cosa assurda perché non ho minimamente gusto estetico e, sinceramente, non mi interessa davvero parlare di vestiti. L'ho sempre odiato.
Ma sempre meglio quello che cantare per Capitol City.
Il foglio bianco davanti a me è gremito di inchiostro, le parole vengono scritte dalla mia mano, poi cancellate e riscritte. Devo immaginare nella mia testa una melodia e provare mentalmente le parole, se vanno bene, se hanno ritmo. Non credevo che mi sarei divertita nel cercare di scrivere una canzone.
È nato tutto per puro caso, non mi ci sarei nemmeno messa se non me l'avesse chiesto, ma non sono riuscita a dirgli di no. Non a quegli occhi così speranzosi e a quel sorriso così sincero.
Vuole sentirmi cantare e, per lui, credo di poterlo fare. Ma soltanto per lui, per sdebitarmi del fatto che mi aiuta a combattere gli incubi che ho durante la notte, per il pane che mi ha lanciato e per come l'ho trattato. Per la recita che ho messo su per salvarci la vita.
Lui mi ama davvero ed io l'ho illuso. Non sono nemmeno riuscita a convincere il Presidente Snow del mio amore per Peeta ed è perché io non lo amo e mai lo riuscirò ad amare con tutta probabilità. Ho persino deciso di sposarlo, passerò la mia vita con lui e ciò mi mette il terrore da una parte e dall'altra so che non potrebbe capitarmi una cosa migliore.
Ricordo di averlo pensato durante il tour, quando eravamo nel Distretto 11 e lui ha deciso di donare parte della nostra vincita. Ed il bacio che ne è seguito non è stato dettato da alcun copione, volevo baciarlo davvero.
Questo fa di me una ragazza innamorata? Amo Peeta Mellark?
Ogni volta che cerco di rendermi conto dei miei sentimenti per lui, vedo l'immagine di Gale, quindi, o sono confusa o non amo Peeta. Ed io propendo più per la seconda.
Allora perché ora sono qui, rintanata nella mia stanza, a cercare di scrivere una canzone soltanto perché me l'ha chiesto Peeta?
Giusto. Per sdebitarmi di tutta la sua gentilezza. Lui non chiede niente in cambio, ma lo voglio e se proprio non riesco a farlo felice amandolo, allora proverò a renderlo felice cantando soltanto per lui.

«È bello che tu abbia trovato un talento che ti faccia stare bene», ho detto, soltanto tre giorni prima, osservando i suoi nuovi quadri. Mi disgustavano, e per Peeta non era un segreto, ma erano davvero fantastici. Non mi piace guardarli perché mi ricordano cose troppo dolorose e quei dipinti sono assolutamente verosimili. Mi sembra di entrare nuovamente nell'arena quando li osservo e non mi piace.
«Anche tu ne hai trovato uno».
Mi volto verso di lui ed inarco un sopracciglio, non riuscendo a trattenere un sorriso.
«Certo, la stilista. Io».
Peeta ride divertito, contagiandomi. Ridiamo per un po' prendendo in giro il fatto che voglio diventare stilista anche se odio la moda.
«Però ne avresti potuto trovare uno che ti piacesse davvero», afferma quando ritrova la calma.
«La caccia», rispondo senza esitazione, «ma non posso farne il mio talento visto che è illegale».
Peeta mi accarezza un braccio, così, come se fosse una cosa normale ed automatica, cosa che dovrebbe essere se il nostro fidanzamento non fosse soltanto una messa in scena. La sua spontaneità mi fa imbarazzare, ma cerco di non darlo a vedere, cosa che a quanto pare non riesco a fare, visto che Peeta si scosta velocemente e mi guarda come se volesse scusarsi. Vorrei dirgli che non importa, ma non trovo le parole, quindi rimango in silenzio, aspettando che dica qualcosa.
«Hai altri talenti, comunque. Non solo la caccia».
Lo guardo, «non me ne viene in mente nessuno».
«Il canto», fa una pausa per osservarmi un attimo, «non ti piacerebbe cantare?» Faccio una smorfia di disgusto, «no. Non per Capitol City. No», ammetto, pensando di cantare per il presidente Snow. Nemmeno tra mille vite. Non canterei mai per lui o per quell'ammasso di gentaccia che si diverte guardando ragazzini morire dentro un'arena.
Vedo Peeta sorridere, «allora canta per me», mi chiede con nonchalance, poi volta subito lo sguardo, come se improvvisamente si vergognasse di quello che aveva appena detto.
«Va bene, canterò solo per te», rispondo dando sfogo ai miei pensieri senza volerlo realmente e non so perché l'abbia fatto.
È che mi dispiace vederlo vergognarsi nel chiedermi qualcosa, lui può chiedermi tutto. Se lo merita.
Ed il sorriso felice che mi dona è il ringraziamento più bello che potessi ricevere.

Così, a distanza di tre giorni, mi ritrovo a provare a scrivere una canzone da cantargli per farlo felice, per rivedere quel sorriso sulle sue labbra.
E poi perché ormai gliel'ho promesso. Come potrei ora andare da lui a dirgli che ho cambiato idea?
Non è una cosa fattibile e poi, in fondo, mi sto divertendo. Cercare le parole giuste per far filare un verso, pensare a Peeta che mi osserva mentre canto. No. Dell'ultima parte non mi importa, ma devo ringraziarlo e sono felice di poterlo fare in questa maniera.
Rileggo ciò che ho scritto e trovo che la canzone possa essere orecchiabile. La provo più volte nella mia mente fino a ritenermi soddisfatta.
Il testo probabilmente è un po' banale, ma è il mio primo esperimento, non posso certo pensare di essere perfetta. Cosa che comunque non sarò mai, ma non è così orribile come credevo sarebbe stata.
Mi alzo, pronta per andare a casa di Peeta, ma il mio primo pensiero è quello di scappare. Perché mi sono dovuta imbarcare in quest’impresa? Insomma, ne potevo fare decisamente a meno.
Mi guardo intorno, come se qualcuno potesse vedermi, e faccio per appallottolare il foglio con la canzone. Lo sto per buttare nel cestino, quando sospiro, lo apro e cerco di lisciarlo alla meno peggio.
Una promessa è pur sempre una promessa.
Esco di casa indossando la giacca di pelle di mio padre, mi ci vuole poco a raggiungere l'abitazione di Peeta. Devo salire soltanto il portico, bussare e dirgli che finalmente posso cantare per lui, invece tiro dritto.
Passo tre volte davanti a casa sua, faccio tre giri dell’intero Villaggio dei Vincitori, alla quarta sobbalzo nel trovarmi Peeta davanti, mi sta aspettando e tra le sue labbra nasce un sorriso non appena si accorge che l'ho visto.
«È divertente girare in tondo?» Mi domanda divertito.
«Cosa fai, mi spii?» Rispondo brusca, quasi offesa.
Peeta ride, «cosa ti frulla per la testa per farti girare per il Villaggio senza una meta precisa?»
Sussurro qualcosa talmente a bassa voce che non riesce a capire, così mi chiede di ripetere. Sento le mie guance scaldarsi e so di essere arrossita. Potrei tranquillamente non dirgli nulla, so con certezza che se avessi cambiato idea sulla canzone, Peeta non se la sarebbe presa.
Guardo verso casa sua, imbarazzata, «ho scritto la canzone, per te».
I suoi occhi riflettono il suo stupore e li vedo sorridere curiosi. Ora so per certo che Peeta non mi farà andare via fino a che non avrò cantato.
«Davvero? Non credevo che l'avresti fatto davvero», la sua voce è emozionata, anche se non ne capisco il motivo. Ho scritto una canzone, okay, è un evento più unico che raro, ma non penso che sia un qualcosa per cui emozionarsi. A volte non riesco proprio a capirlo. Ha tutti questi sentimenti, Peeta, e non riesce a non essere genuino. Al contrario di me, lui è sempre sincero.
«Nemmeno io», faccio spallucce senza enfasi, sperando che mi dica che non c'è bisogno che canti, che basta il pensiero, ma ovviamente non accade.
Peeta mi prende la mano, che osservo per un momento, e mi guida fino a casa sua.
Rimango in silenzio, con il cuore che batte a mille per quello che devo fare. Mi vergogno.
Lui mi guarda ed accenna un sorriso, «solo per me. Non avere paura. So già che mi piacerà come mi è piaciuto sentirti cantare a scuola».
Crede che con queste parole dovrei calmarmi? Mi fanno agitare maggiormente, invece. Sento la mia mano, ancora stretta nella sua, tremare e la gola che mi si chiude in una morsa, come potrei cantare ora?
«Peeta», sussurro, cercando la sua attenzione.
«Ho capito. Non fa nulla», lascia la presa e si dirige verso la poltrona, «in effetti non credevo che l'avresti fatto da principio, invece hai scritto addirittura una canzone per me!»
Anche io mi chiedo perché mi sono data così da fare, effettivamente. In fondo sapevo che sarebbe finita così.
Il canto potrebbe essere il mio talento? Non vedo come, visto che non riesco nemmeno a cantare per Peeta.
Rimaniamo in silenzio per un po'. Non ho nulla da dire e non è che sia una gran chiacchierona, Peeta invece sembra essersi perso nei suoi pensieri.
Sospiro, alzandomi in piedi.
«Ci provo. Ma poi non ridere, non giudicare la schifezza che ho scritto o le stonature che prenderò... insomma», ed improvvisamente perdo nuovamente le parole. Dovrei cominciare a cantare invece di ciarlare, ma alla fine mi perdo nello sguardo di Peeta.
Lui non dice nulla, è stupito dal mio cambio di rotta, ma sembra quasi impassibile. Accenna soltanto un movimento del viso per annuire e si sposta, sedendosi in maniera più rigorosa ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Chiudo gli occhi e cerco di immaginarmi la melodia che avevo pensato nella mia stanza, tiro fuori il foglio completamente stropicciato e cerco di concentrarmi su quello. Lo tengo davanti alla faccia, così da non avere la possibilità di intravedere Peeta.
Mi vergogno troppo e la sensazione che farei bene a scappare torna prepotente in me, ma cerco di ignorarla. In fondo è solo una canzone, finirà presto.
Non so quanto tempo passi prima di cominciare ad intonare le note della canzone, ma ho perso diverso tempo a cercare di convincermi di dover aprire la bocca per poter cantare. Peeta è rimasto sempre prettamente in silenzio, dandomi il tempo di concentrarmi e non fiata nemmeno mentre canto, quando finalmente lo faccio. Sento soltanto il suo movimento, si è spostato, forse per mettersi più comodo e per cercare di non ridere. Vorrei abbassare il foglio per vederlo, ma non lo faccio perché so che altrimenti mi fermerei.
Devo finire di cantare, per lui, perché gliel'ho promesso.
Abbasso il foglio solamente quando finisco di cantare l'ultima strofa. So di non aver cantato al massimo delle mie possibilità. La mia voce era flebile e tremava per via dell'emozione, della vergogna che provo.
Cerco subito i suoi occhi e sussulto.
«Ho fatto tanto schifo, eh?!» Affermo con sincerità.
Peeta scrolla la testa, «che dici? Sei stata fantastica. Mi hai... mi hai ammutolito. Come.. Sei fantastica».
Arrossisco e mi copro il viso con le mani, sono riuscita a lasciare Peeta senza parole, non credevo che sarebbe stato possibile e non riesco a sentire se non un gran calore per le bellissime parole che ha pronunciato, solitamente è più spigliato di così, ma come posso non sentirmi felice?
Ed ora cosa dovrei fare? Io non lo so. Ho cantato solo per lui perché so che, alla fine, ci teneva, ma non credevo di riuscire ad emozionarlo tanto, come non credevo che mi sarei sentita così io dopo aver cantato per Peeta.
È tutto così strano. Non so nemmeno io cosa sto provando e non so cosa fare, quindi rimango in silenzio, rossa in viso, e bloccata davanti a lui che ancora è seduto sulla poltrona.
«Vorrei che cantassi per me più spesso», afferma dopo un po'.
Io inarco involontariamente le sopracciglia. No, non posso cantare per lui ancora una volta, non posso trovarmi nuovamente in queste condizioni. Non ce la posso fare.
«Io... grazie», dico solo ed i miei piedi si muovono da soli, dapprima lentamente, poi sempre più veloci. Esco da quella casa, scappo, come avrei voluto fare precedentemente e non so come potrei ritrovarmi davanti a lui senza vergognarmi di ciò che ho fatto.
So, comunque, che lui capisce la mia agitazione. Vorrei essere come lui, che non si vergogna di farmi vedere i suoi quadri, anche quando questi raffigurano me. Io so che se fossi al suo posto, li nasconderei.
Sento Peeta dietro di me e mi volto. Cerco di non guardarlo in faccia, non voglio ricordare come mi sono sentita poco fa.
«Scusami, non avrei dovuto chiederti quella cosa. So che è stato difficile per te, quindi grazie».
Cerco il suo sguardo che non mi giudica mai, ma non gli rispondo. Dovrei dirgli che non serve che si scusi, che non ha fatto niente e che, in fondo, è stato piacevole cantare per lui. Ma io non sono quella che parla, io sono quella che rimane in silenzio e non riesce a capire quello che sente. Che non sa nemmeno se abbia recitato, nella grotta, o se invece fosse tutto vero. Non riesco a capire nemmeno quello.
Non so perché ma improvvisamente mi viene da piangere, ma mi trattengo, non sono così debole.
«Non ho fatto nulla», riesco a dire infine con una scrollata di spalle, da vera menefreghista quale sono.
«Non è vero. Mi hai emozionato e sei stata grande».
Porto una mano in avanti e cerco di fermarlo, «okay, grazie, ma... non mi interessa. Davvero. Ho solo mantenuto la promessa che ti ho fatto».
Vedo i suoi occhi incupirsi un po' e già mi sento in colpa per quello che gli ho detto, ma non posso rimangiarmelo. Alla fine, l'ho fatto davvero per quello.
«Sì, hai ragione. Grazie, allora», fa per andarsene, ma lo raggiungo e lo trattengo per un polso. Cosa mi stia prendendo oggi non lo so. C'è qualcosa di contraddittorio in tutto quello che faccio. Ogni tanto mi sembra di essere decisamente incoerente, sia con me stessa sia con gli altri.
«Peeta, senti... io... è stato piacevole. Davvero. Ma...», mi appoggia un dito sulle labbra, con delicatezza, e non so cosa sia successo dopo nella mia testa perché mi ritrovo la sua bocca sulla mia e non perché mi abbia baciato lui, ma perché mi sono alzata io in punta di piedi per poterlo fare.
E non ci sono telecamere.
Quando mi scosto vedo lo stupore sul suo viso, so che mi vorrebbe chiedere il perché di tale gesto, ma non lo fa.
Dannazione, non avrei dovuto baciarlo, magari ora pensa qualcosa che non è. Perché non voglio stare con lui. Credo. Non lo so.
«Scusami», dico.
Lui ride, divertito «No, prego, quando vuoi. Non mi lamento mica».
Faccio una sorta di smorfia e rimango per un attimo lì, indecisa sul da farsi, il polso di Peeta sempre stretto tra le mie dita e il suo sguardo su di me, come se aspettasse una mia mossa che, ovviamente, non sarebbe arrivata.
Faccio per scattare, per scappare di nuovo visto che mi viene così bene, ma questa volta è Peeta a trattenermi con forza, facendomi quasi cadere. Cerco di divincolarmi, ma non molla la presa.
«Lasciami!» Esclamo con cattiveria, divincolandomi maggiormente, facendo solo sì di ritrovarmi a terra, con il coccige dolorante e Peeta sopra di me.
Sento il suo lamento e scatto involontariamente, cercando di mettermi seduta e sorreggendolo.
«Scusami, Peeta, scusami!»
Si massaggia la coscia cercando di trattenere un lamento.
«Non ci ho pensato, scusami!» Ripeto ancora. Sono un'egoista. Ha una protesi, non posso certo sospingerlo così!
«Lascia perdere, Katniss. Non importa».
Ce l'ha con me, giustamente e, come al solito, non so come comportarmi. Ho rovinato tutto. Eravamo tornati ad essere amici, ma con le mie stupide azioni ho distrutto tutto quello che avevamo.
«Io... Io canterò per te. Quando vuoi», dichiaro senza pensarci, così da mettermi in difficoltà da sola. E non è la prima volta che lo faccio. So solo darmi la zappa sui piedi.
Peeta mi guarda stupito e trattiene una risata, «se sapevo che ci voleva così poco, sarei caduto prima, davvero».
«Non scherzare! Io mi sento in colpa!»
«Non esserlo. Sono cose che capitano. Non è la prima volta che cado, sai quanto ci ho messo ad abituarmi alla protesi?»
Sbatto le palpebre cercando di immaginarmi Peeta provare a camminare con la gamba artificiale e cadere per terra. E io non ero lì per aiutarlo, troppo presa da me stessa e dal fatto che lui ce l'avesse con me per la recita.
Mi alzo in piedi e gli tendo una mano, «la mia proposta rimane comunque valida, Peeta. Se ti piace sentirmi cantare, canterò solo per te», ammetto senza guardarlo dritto in faccia, ma in un punto imprecisato della strada.
Lui sospira, lasciandosi aiutare, ma poi lascia la mia presa. Sembra quasi offeso o c'è qualcosa che lo turba che io non riesco a capire.
«Katniss, non farlo».
«Cosa?» Gli domando sinceramente curiosa.
«Illudermi», mi guarda negli occhi con un'espressione quasi sofferente, e non è per il dolore alla gamba, ma per il mio comportamento. «Non voglio sperare che ci possa essere qualcosa tra noi, se poi non è così. Anche il bacio... per me sicuramente ha avuto un significato diverso dal tuo».
Abbasso lo sguardo verso il terreno, non so cosa dire o cosa fare, so soltanto che non vorrei ferirlo, ma purtroppo qualsiasi cosa io faccia è sbagliata.
Non so nemmeno io se provo qualcosa per lui o se è davvero tutta una recita. So che è mio amico, gli voglio bene, ma non credo che vada oltre.
E allora perché dovrei volerlo baciare? Perché è Peeta. È normale che ci baciamo, no?! Siamo Katniss e Peeta, gli sventurati amanti del Distretto 12, ma non è così semplice. Non posso vivere nella menzogna e devo essere sicura di quello che provo prima di dire qualcosa che porterebbe soltanto a rovinare il nostro rapporto.
«Amici?» Chiede lui all'improvviso, riportandomi alla realtà.
Abbozzo un sorriso con grande difficoltà e sicuramente lui si ne accorge. Non posso fare a meno di pensare che Peeta metta da parte il suo orgoglio per chiedermelo. Mi vuole dare il tempo per capire quello che dovrei volere, senza pressioni.
Tutto questo non mi può far che sentire di essere una persona dubbiosa di me stessa. Per lui è così semplice amare e non si vergogna nemmeno di dirmelo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Per me è diverso, invece, non è naturale. Cacciare lo è, provvedere a Prim, non amare. Non riesco ad immaginare un futuro nel quale sono felicemente sposata, ma dovrei cercare di amarlo, probabilmente. Alla fine ci sposeremo a Capitol City e trascorrerò comunque il resto della mia vita con lui, come da copione, dovrei cercare di lasciarmi andare, di vederlo sotto una luce diversa. Peeta sarà comunque mio marito, che io lo voglia davvero o no.
Lui ha acconsentito a questa bella e divertente messa in scena, non mi ha fatto pesare – se non alzandosi dal tavolo e chiudendosi in camera sua – il fatto che non avrebbe voluto sposarsi così. Voleva che ci sposassimo per davvero, quando io fossi stata effettivamente pronta; eppure ha acconsentito. Per me, per il benessere mio e di Prim.
Ho pensato che un nostro eventuale matrimonio potesse convincere Snow, l'ho fatto solo ed esclusivamente per quello, senza pensare che Peeta fosse veramente innamorato di me. Come se fosse impossibile.
Ed io non riesco nemmeno a cantare per lui, se non dopo quattro giri dell'isolato e soltanto perché sono stata presa in castagna, non riesco nemmeno a rispondergli a quella domanda. Perché sì, voglio essere sua amica, ma, ora come ora, non mi piace per niente l'idea che lui si stia annullando per me.
In fondo dovrò comunque trascorrere tutta la mia vita con lui, perché non riesco a vederlo sotto un'altra luce? Perché non posso dire di amarlo, pensandolo davvero? L'idea del matrimonio è stata mia, l'ho comunque costretto a stare con me per sempre. Il pensiero di averlo al mio fianco per sempre non mi fa paura, è Peeta, non un estraneo. Durante il tour abbiamo persino dormito insieme come se fosse la cosa più naturale del mondo e non mi ha dato fastidio, anzi, gli sono stata grata per il fatto che mi sia stato vicino, che mi abbia così aiutato.
Peeta, prima o poi, potrebbe diventare davvero l’unico uomo per me? Il mio amico, confidente e amato?
Potrebbe, forse. Anche prima l'ho baciato, di mia spontanea volontà, perché volevo farlo. Non dovrebbe essere effettivamente così? Quando si ha voglia, baciare il ragazzo che si ama? Quindi potrei amarlo, potrei essere davvero innamorata di lui. Non mi sono dispiaciuti i baci nella grotta, tutt'altro. Mi è piaciuto baciarlo, anche se era per le telecamere, e ho rischiato davvero la vita per salvarlo e non soltanto per sdebitarmi con lui.
Ed anche ora, tra le persone che voglio proteggere non ci sono più soltanto mia madre e Prim, ma anche lui. Non voglio che gli accada nulla di male, voglio che stia sempre bene e voglio proteggerlo, come posso. Certamente non sono riuscita a farlo convincendo Snow del mio amore per lui e continuiamo ad essere in pericolo, ma proverò comunque a farlo. L'ho fatto anche quando non gli ho detto volutamente cosa mi abbia chiesto il Presidente Snow, proprio perché non volevo farlo preoccupare, perché credevo che non dicendoglielo l'avrei protetto.
Ed ora che mi chiede, nuovamente, di essere amici dovrei rispondergli celermente, conoscendo già la risposta perché sì, non so se provo per lui qualcosa o meno, ma so che voglio essergli amica.
«Amici», rispondo, allora.
Peeta mi regala un sorriso, lasciandomi con i sensi di colpa e ammetto di avere l'impulso di baciarlo nuovamente, ma non posso. Non più, non ora, non qui. Non se non ci sono telecamere nei paraggi.
Mi scocca un bacio sulla guancia, delicato che quasi non tocca la mia pelle, ma riesco a sentirne il calore ed l’affetto, «allora ci vediamo».
Annuisco e lo osservo per un attimo andare via, la gamba dovrebbe fargli male visto che zoppica più del solito e non posso fare a meno di non sentirmi in colpa. L'ho fatto cadere io.
Lo raggiungo velocemente e gli stringo una spalla, «ti aiuto».
Peeta mi guarda ed abbozza un sorriso imbarazzato, «non ce n'è bisogno, Katniss. Ce la faccio».
«È colpa mia se sei caduto e ti sei fatto male, è il minimo», rispondo sorreggendolo con il mio peso, aiutandolo come se fossi un bastone.
Lui si lascia aiutare, sa che comunque non me ne sarei andata. Non voglio essere mai in debito con nessuno e se so di aver sbagliato, devo poter rimediare.
Lo aiuto a salire le poche scale che lo dividono dalla porta, e me ne rimango ferma un attimo lì, ripensando a quanto fosse stato imbarazzante cantare per lui e tutto ciò che ne è conseguito.
«Vuoi che rimanga?» Domando, quasi con speranza che non credevo di poter avere. Non per una cosa così banale.
Peeta si siede sulla poltrona, dove era seduto precedentemente.
«In cucina ci sono le focaccine al formaggio».
Corro immediatamente a mangiarne una, le adoro. Sono le mie preferite e Peeta me le fa sempre trovare.
«Grazie!»
Ritorno in sala da lui e mi siedo sul divano. Non so cosa dovrei fare adesso, aiutarlo a salire le scale?
Alla fine rimaniamo in silenzio, Peeta prende un libro e comincia a leggere, io continuo a mangiare le focaccine al formaggio osservando la sua concentrazione.
Quando ha quello sguardo sul viso, mi rilassa guardarlo. Mi distende, così osservo i suoi occhi muoversi orizzontalmente, seguendo le righe del libro.
Mi sveglio qualche ora più tardi, non so come abbia fatto ad addormentarmi, probabilmente guardandolo. Scosto la coperta con la quale Peeta mi ha coperta, mi rimetto seduta e stiracchio le braccia, trattenendo uno sbadiglio.
Mi avvio in cucina e lo vedo intento a preparare qualcosa.
«Che ore sono?»
«Quasi ora di cena, ti fermi qui?» Si volta verso di me, sorridente.
«Ho promesso a Prim che saremmo state insieme, scusa», mi avvicino a lui, curiosa, e rubo una carota già pelata dal tagliere.
«Perché non vieni a cena da noi?» Domando, allora, «In fondo sei il mio fidanzato, non sta bene che mangi sempre da solo».
Non penso davvero quello che ho detto, o almeno, non avrei voluto dirlo, ma alla fine perché non avrei dovuto? Ho detto la verità. Io ho sempre mia madre e Prim con me, i suoi parenti, invece, hanno deciso di continuare a vivere nella vecchia casa ed è anche vero che lui è il mio fidanzato.
Peeta è sempre da solo e, al diavolo! Saremmo diventati davvero una famiglia. Che l'avessimo voluto o meno, tanto valeva cominciare ad abituarsi all'idea invece di pensare a ciò che non eravamo.
«Se non disturbo...» Risponde Peeta, incerto.
«No, tranquillo».
«Sicura?»
Annuisco, continuando a sgranocchiare la carota.
«Allora ci vediamo alle... otto e mezza?» Chiedo controllando l'orologio dietro di me.
«Va bene, a dopo».
Gli sorrido e non so se dovrei fare qualcos'altro, magari baciargli la guancia da buon amica, o andarmene e basta.
Alla fine opto per l'ultima ipotesi, lo saluto con la mano e faccio per uscire, quando vedo un foglio sul tavolo: carta appallottolata. La mia canzone.
Così, invece di baciarlo, lo saluto intonando nuovamente quei versi che perfetti non sono, ma non sono nemmeno da buttare. Gli do le spalle, così da non vederlo in volto, ma sento che non sta tagliando più la verdura.
Continuo a cantare fino alla fine, senza voce tremante questa volta, ma con un po' più di disinvoltura.
Una volta conclusa mi volto, imbarazzata. Peeta non si muove, mi guarda stupito, esattamente come lo era questo pomeriggio.
Gli tolgo le parole ogni volta.
«Io...», dico ritrovando tutto l'imbarazzo «... vorrei poter cantare per te, se tu lo vuoi».
E non sono io che parlo, perché io non avrei mai detto una cosa del genere, ma stranamente non me ne pento e non voglio scappare.
Peeta mi sorride, «non potrei chiedere di più».
Abbasso lo sguardo perché so che potrebbe chiedere di più, potrebbe farmi pressione affinché comprenda davvero ciò che voglio, ma mi dà il tempo per pensarci, per essere sicura, senza fretta. L'unica cosa che posso fare io, per il momento, è cantare soltanto per lui e voglio davvero farlo. Perché come a me rilassa osservare la sua concentrazione, a lui piace sentirmi cantare. Quindi, perché no?
Utilizzerò il mio talento nascosto soltanto per la persona che se lo merita di più.

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Questa fanfiction l’ho pensata per essere una flashfic FLUFF. Sì, in effetti è una flashfic ed è fluff, come no! Kit-kat (eco, questo soprannome è fenomenale) fa sempre quello che le pare e piace e le sue pare mentali irrompono nei miei scritti con prepotenza.
È stata una fanfiction difficile da scrivere ed il finale era orrendo. Davvero. Non era nemmeno Kit-Kat, ma non riuscivo proprio a scriverlo. Ero bloccata o.o
Fortuna eco_ ♥ Grazie mille! Chiederò a Peeta di farti un ritratto :3 E una statua, ma non so se sia capace di scolpire. Oh, imparerà tanto lui è bello, buono e bravo. xD
Ad ogni modo, mi ha aiutato tantissimo a scrivere un finale decente. :) Per cui, almeno nell’ultima parte, è una sorta di fanfic a più mani? Oh, bhè… non proprio, ma sappiate che è stata quell’autrice fantastica di nome eco_ (leggete tutte le sue fic e poi mi dite, rimarrete senza parole) ad aiutarmi da dopo la domanda di Peeta: «Amici?».
Davvero, non so come potrei ringraziarla! Suggerimenti? xD
Spero che vi sia piaciuta, anche se… boh, sarà che è stato difficile scriverla, che la volevo leggermente (ma diciamo tanto) diversa, ma non so cosa pensare di questa fic. xD
Bacioni
Deb
   
 
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