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Autore: mizuki95    01/11/2013    2 recensioni
[God Breaker]
[God Breaker][NairexLiàthan]
E se Naire, per tutto questo tempo e quello che verrà, fosse rimasto al fianco dell'intrattabile Liàthan per un motivo più profondo di una stramba amicizia?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio! Sono nuova in questa sezione, ma credo che vi tornerò per qualche altra fan fiction! Ora, per quelli che hanno letto il libro di Tarenzi e sono rimasti piacevolmente sconvolti da questa fic, fornisco una risposta: secondo me non è possibile, pur avendo una pazienza "divina", stare accanto ad uno come Liàthan senza qualche motivazione segreta. Soprattutto per uno come Naire che, seppur poco approfondito, è un personaggio sveglio, serio e intelligente, che non avrebbe mai ricavato alcun vantaggio nel frequentare quell'altro scapestrato di dio se non avesse avuto una qualche ragione segreta. So che questa risposta è molto approssimativa e personale, ma vi pregherei di accettarla. Inizialmente la fan fiction doveva essere un monologo di Naire, ma alla fine ho fatto una brusca inversione perché per una volta, una volta sola, volevo che il personaggio - a mio personale e soggettivo parere, eh, non iniziamo a discutere sull'IC dei personaggi - da me tratteggiato come amante segreto ed infelice ottenesse quello per cui si è battuto. E cavoli, Naire si è spaccato il divin didietro miliardi di volte, a causa di Liàthan! Inoltre, inizialmente ero combattuta sul linguaggio da usare, perché quello del libro è molto "colorato" mentre il mio un po' meno, per cui ho provato a creare un miscuglio accettabile. Spero sinceramente che la storia vi piaccia. In caso, ditemi che ne pensate. Buona lettura! :)

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Non era solito bere molti alcolici, ma quella serata ci stava andando pesante. Il barista non faceva in tempo a versargli da bere, che il bicchiere era subito vuoto.

Nei suoi millecinquecento anni di vita, quella non era la prima volta che si ubriacava tanto, capitava spesso quelle volte in cui Liàthan lo coinvolgeva nei suoi party scatenati… pensando al biondo, involontariamente sbatté con forza il bicchiere di vetro contro il balcone, e tutto quello che aveva cercato di dimenticare con l’aiuto dell’alcol tornò su con prepotenza, insistente, incancellabile.

Gli ritornarono in mente brevi spezzoni della vita che aveva condotto da quando aveva conosciuto il bellissimo quanto egocentrico dio, di come avessero influito e non sulla vita dei mortali, dei loro giorni felici, di quelli pieni di tensione a causa del caratteraccio del biondo e di quando il gigante Siaghal si era unito a loro, trasformando il duo in un trio, che in seguito sarebbe diventato molto famoso tra gli immortali.

Gli tornò in mente pure uno degli episodi della sua vita che voleva più di ogni altra cosa dimenticare: il giorno in cui aveva baciato Liàthan addormentato. Era iniziata da poco la caccia al figlio del dio, ma quest’ultimo non si impegnava molto, lasciandogli tutti i compiti più pesanti.

Dopo aver raccolto informazioni utili sulla spada angelica in possesso del mezzo-dio, andò in cerca dei due amici, che trovò nudi in una palestra femminile (ma Siaghal era ancora in dolce compagnia, circondato da due ragazze mortali). Vedendo il corpo pallido ma perfetto del dio, i suoi pensieri iniziarono a correre selvaggi: perché era segretamente attratto dal biondo?

Ovviamente, nel corso della propria vita aveva era andato a letto con entrambi i sessi per puro divertimento, e ne aveva dedotto che preferiva le donne; eppure, non riusciva a stare calmo davanti alla figura nuda e slanciata dell’altro, non riusciva a non pensare a come fosse averlo tra le proprie braccia e sfogare su di lui i suoi peggiori istinti maschili, toccare con mano quel dio con l’aspetto di un ragazzo che si affaccia alla maturità ma con tremila anni e passa sulla schiena, averlo alla propria mercé, averlo tutto per sé.

Non aveva nulla di lodevole anzi, era uno dei peggiori individui mai comparsi sulla faccia del pianeta: sbruffone, egocentrico, impaziente, casinista, perennemente annoiato, sciupa femmine, dedito solo ai piaceri, irresponsabile, impulsivo, combina casini e tante, tante altre cose.

Nonostante questo, provava qualcosa per lui.

Non sapeva se fosse amore o meno, perché non lo aveva mai provato. Forse era solo amicizia, si diceva, ma doveva essere un sentimento d’amicizia davvero profondo, visto che non faceva altro che salvargli il culo dalla mattina alla sera, da secoli e secoli, ricevendo in cambio solo insulti e ingratitudine.

Cosa poteva spingerlo a provare quei sentimenti?
Cosa lo faceva stare dannatamente male, quando vedeva Liàthan appartarsi con una o più ragazze?
O il vederlo morire giorno dopo giorno, di una morte che non influenza il corpo ma lo spirito?

Mentre pensava a queste e altre cose, si era inconsciamente avvicinato al viso del dio, e avvertì molto chiaramente la puzza d’alcol provenire dalla bocca socchiusa del biondo.

Fu un pensiero fugace, qualcosa come “Che puzza!” o “E’ insopportabile questo odore!”, che lo spinse istintivamente a chiudere la fonte di quel forte odore, tappandola con la propria bocca.

Non arrivò a farvi penetrare la lingua, che la coscienza e il buon senso ripresero le redini della situazione, e lo fecero subito indietreggiare mentre elaboravano velocemente lo stupore, lo sgomento per quel gesto, l’autocommiserazione… e la leggera voglia di ripetere subito l’esperienza.

L’imbarazzo per quel gesto era talmente grande da privarlo temporaneamente della propria impassibilità e, nel tentativo di interrompere pensieri e silenzio, stava per schiacciare il viso del biondo, che però lo intercettò e lo bloccò a mezz’aria con una mano.

Naire perse un battito del cuore al pensiero che Liàthan fosse stato sveglio per tutto il tempo, ma la discussione che ebbe inizio gli dimostrò che non aveva nulla di cui preoccuparsi. A parte l’esser attratto da un cafone che, neanche il tempo di svegliarsi, già dava ordini e segni di malumore, cose che avrebbe dovuto fare lui.

Nel mentre, il dio delle acque si detestava per il fatto di provare quei sentimenti – o qualsiasi cosa fossero, ma detestava ancora di più l’ingratitudine del biondo, nonostante gli avesse procurato delle informazioni importanti sul sekhem.

«Uno di questi giorni ti ripagherò di tutto questo facendoti la cosa peggiore che posso farti» disse rialzandosi, dopo esser stato scaraventato all’indietro dall’altro, che chiese con tono di sfida «Che sarebbe?» «Andarmene e lasciarti sprofondare da solo nella tua merda, fino ad annegarci» «Ma piantala!».

Nonostante il tono serio con aveva pronunciato quelle parole, Naire era convinto di non attuarle mai, grazie all’innata pazienza che lo aveva accompagnato nei suoi millecinquecento anni di vita e che lo avevano aiutato a sopportare l’altrettanto innato caratteraccio di Liàthan.

O almeno, fino a quel giorno, al giorno in cui si era sentito additato come traditore dal dio, in cui era stato definito come un semplice comprimario nella vita di quell’ingrato. Ira, scontento, delusione e mille emozioni simili riempirono il cuore del dio delle acque, che sapeva bene si fossero manifestate anche sul viso imperturbabile.

Quando fu scaraventato verso l’alto dalle correnti di vento controllate dal biondo, Naire non riuscì più a trattenersi e gridò a pieni polmoni tutto quello che pensava di Liàthan, pensieri tanto negativi e pieni di rabbia da spingere al suicidio anche la persona più felice del mondo.

Ed eccolo lì, in piena notte, in qualche pub di lusso di una qualche metropoli umana, a tracannare bicchieri di super-alcolici e non come fossero acqua. Aveva le palle piene di Liàthan e della sua presunzione, ma non riusciva a smettere di pensarlo.

Se non fosse stato per Siaghal, che lo aveva cercato fino a lì e che, nonostante provasse gli stessi sentimenti iracondi del moro, aveva fatto di tutto pur di convincerlo a tornare insieme da Liàthan («Quel cazzone si farà ammazzare in modo davvero coglione, ti dico, e non voglio passare il resto della vita a pensare alla sua merdosissima faccia! E poi chissà, magari ci ringrazierà per avergli salvato il culo!» era il concetto che il gigante non mancava mai di ribadire, tra un bicchiere e l’altro che toglieva velocemente dalle mani dell’amico), sicuramente Nas l’avrebbe fatta franca e Naire avrebbe dovuto passare l’eternità sotto l’influsso delle visioni pazzoidi del Re Fungo.

Da quella sera, usò l’influenza e la buona reputazione rimastegli per evitare grossi casini e aiutare il biondo, che scoprì essere nella merda fino al collo quando venne a sapere che gli dei di Milano gli avrebbero dato la pena di morte se si fosse presentato nuovamente nella città italiana.

Al termine dell’incontro con la Corte del Drago in cui aveva tentato vanamente di salvare la testa di Liàthan, prima di esser congedato il fantasma di un famosa contessa della cittadina gli chiese perché stesse rovinando in modo irreparabile la sua buona reputazione per un individuo come Liàthan.

Fu una delle rare volte nel corso della sua lunga vita in cui dovette riflettere per qualche secondo su cosa dire, ma con la sua solita espressione impassibile e uno strano senso di sicurezza nel cuore, rispose «Sono la sua balia».

Una volta non avrebbe mai detto parole così degradanti, men che mai con una simile sicurezza in sé; una volta non avrebbe rovinato una delle cose a cui teneva di più al mondo e per cui aveva faticato tanto, soprattutto per quell’idiota; una volta non avrebbe avuto tanta consapevolezza di quello che provava, neanche dopo tutto il tempo che vi aveva speso per pensarci; una volta non avrebbe mai detto a se stesso con una sicurezza innata la verità da cui era fuggito inconsciamente per tanto tempo: lui amava Liàthan.

Lo amava con tutti i suoi innumerevoli difetti e pochissimi pregi.
Lo amava nella sua interezza, anche se a volte avrebbe voluto farlo a pezzi per come si comportava.

Ma soprattutto, quando salvò il dio da un attacco mortale del leggendario drago milanese, le parole che Liàthan gli rivolse nonostante non fosse né il luogo né il momento adatto per esse, lo riempirono di una gioia che mai aveva provato.

Sentirlo scusarsi con lui (e con Siaghal, ma era secondario), sentirlo dire tra gli ansimi di fatica «Mi dispiace. Non eravate voi, era un fottuto fungo. Voi siete sempre rimasti con me e io non…» e doverlo interrompere pur desiderando di lasciarlo terminare per godersi il momento, gli diede la forza e la volontà di usare i propri poteri al massimo per salvare la vita del dio che amava.

Dopo quell’esperienza, Naire decide di affrontare di petto i propri sentimenti e li rivelò al biondo, che era maturato più in un anno che nei tremila e passa anni che aveva vissuto.

Liàthan li accettò, ma non promise fedeltà eterna né tutte quelle cose che solitamente ci si promette tra innamorati, anche se gli sarebbe rimasto per sempre il dubbio sulla faccia e il significato dei borbottii del biondo, che nascose voltandosi verso un gruppetto di turisti.

A Naire questo bastava perché, nonostante non nutrisse alcuna fiducia nel piano del dio per il Capodanno imminente e l’appuntamento con il destino (sfidarlo e sconfiggerlo a duello, fare un discorsetto strappalacrime per farlo desistere dalla sua decisione, salvarsi il culo in ogni caso con il potere della dea incarnata), se questo si fosse svolto nel migliore dei modi, avrebbe passato l’eternità con l’inguaribile egocentrico scassamaroni del dio Liàthan.

Il SUO dio.
 

 
THE END
  
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