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Autore: HeavenIsInYourEyes    01/11/2013    3 recensioni
Aveva sempre avuto un difetto di pronuncia, Sehun. Quella maledetta S blesa era stata la sua croce.
Non ricordava precisamente quando aveva optato per il silenzio o per i discorsi brevi e sottovoce; forse quando si era stancato delle risate soffocate, quando le imitazioni frivole dei compagni lo avevano esasperato, quando si era accorto che udirsi lo irritava.
Sehun non amava parlare, ma da un po’ di tempo non riusciva a stare in silenzio e i motivi erano due.
Uno: il suo psicologo personale -Lu Han- aveva professato che solo parlando l’imbarazzo verso quel tanto odiato difetto di pronuncia sarebbe svanito.
Due…
Due… Jongin.
Una volta gli aveva detto che il suo difetto era carino. Che lo rendeva unico.
E da allora, Oh Sehun non si era più stancato della propria voce.

{Sekai. Con accenni Hunhan. Le note all'interno}
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Kris, Kris, Lay, Lay, Lu Han, Lu Han, Sehun, Sehun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso profondamente con quelle poche anime che magari si aspettavano un aggiornamento lampo ma ho avuto altro per la testa e Absentia è uscita dalla lista delle priorità, purtroppo. Sono tornata perché le voglio comunque bene e piano piano sto mettendo insieme i pezzi. Non so quando riuscirò ad aggiornare ancora, dato che sul fronte lavoro si prospettano tempi neri fino a… Marzo 2014? (così dice la boss, almeno.), ma spero di non sparire.
Vorrei tanto che questo fosse un comeback spumeggiante, ma non sono davvero in vena. Vi chiedo di perdonarmi se ciò dovesse notarsi anche in ciò che ho scritto, per quanto tenda a distaccarmi sempre.
E niente, per chi fosse interessato qui c’è il nuovo capitolo.
Mi erano mancati questi disagiati, lo ammetto.
Buona lettura

 

Absentia

 

“Ma gli uomini mai mi riuscì di capire, perché si combinassero attraverso l'amore.
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore.”
                                                                      -Un chimico, Fabrizio De André-

 

Capitolo 4

I’m sorry, but your Sehun is in another castle

(Di Super Mario, Kai e lettere d’amore)

 


14 luglio 2013. Ore 9.10
Seoul. Seoul Institute of the Arts.

 

 

Arrivare al cuore di Sehun, per Lu Han era sempre stato come uno Shoot 'em up [1].

Nemici da affrontare lungo il percorso, munizioni nascoste in scrigni e savepoints lontani anni luce, che lo costringevano a non commettere nessun passo falso pur di non dover ricominciare da capo. Ogni sorriso strappato o chiacchierata conclusa tra le risate era una missione portata a termine, con conseguenti punti esperienza che lo rendevano un po’ più invincibile.
Ma Lu Han, in quella specie di massacro, si era sempre sentito il Super Mario della situazione: sconfiggeva temibili avversari, superava prove di inenarrabile difficoltà e una volta arrivato a quello che doveva essere il traguardo, con tanto di boss cazzuto pronto a divorarlo, c’era qualcuno che con seraficità disarmante e assolutamente fastidiosa, gli diceva: Mi dispiace, ma il tuo Sehun è in un altro castello! Solitamente era Minseok la voce della verità che gli ricordava quanto Sehun fosse in realtà ancora troppo innamorato di Bowser-Jongin, per potersi accorgere di un idraulico baffuto dalla sgargiante salopette rossa. Ma Lu Han aveva dalla propria una dose massiccia di pazienza e impavido come sempre, sarebbe andato di castello in castello, fino a che non lo avesse trovato. O si fosse fatto trovare. 
Cominciava a credere che fosse lo stesso Sehun a scappare di mondo in mondo, solo per non venir salvato.

Perché Sehun era diventato un’ombra nella sua quotidianità fatta di discorsi interrotti, sguardi buttati e parole sparse solo per  dar da mangiare a quel silenzio opprimente che continuava a schiacciarli. E quella mattina, Lu Han non aveva resistito: Sehun non lo aveva salutato quando i loro sguardi si erano incrociati nella minuscola cucina, si era limitato ad un’alzata di mano mentre immergeva la faccia nella tazza di latte. 
Purtuttavia era rimasto, convinto che il proprio –Fa un freddo cane, non credi? Non sembra neppure di stare a luglio.- avrebbe fatto uscire l’amico dalla bolla di apatia che lo accompagnava da ormai qualche settimana.

Sehun aveva però sollevato il viso e Lu Han era naufragato nella sua sofferenza.

Poteva leggerne il motivo nei suoi occhi rossi e gonfi, nella meccanicità con cui masticava i cereali, nel suo guardarlo senza davvero accorgersi della sua presenza. E deleterio sarebbe stato il suo Hai pianto ancora?, perché sapeva che ne sarebbe seguito uno sfiancato Non ho pianto a cui avrebbe ribattuto con uno scoglionato Ti ho sentito, lo sai? Non hai fatto altro per tutta la notte!, e inevitabilmente sarebbero precipitati in una discussione fatta di ringhi e ruggiti che avrebbe trovato il proprio culmine in Kim Jongin. 
Perché l’epicentro di tutto era sempre Kim Jongin. 
Quel nome trascinava con sé talmente tanto da costringerlo a scappare, onde evitare lo scoppio di una guerra che non aveva voglia di combattere; Lu Han si era reso conto di essere un mago negli sparatutto virtuali ma quando si trattava di viverli in prima persona, non era poi così geniale come dava a vedere.

Se n’era andato prima che qualche cattiveria sfuggisse al suo controllo, complice un Jong-dae che continuava a tempestarlo di sms per ricordargli che doveva fargli da cavia per un esame. 
Non seppe neppure se Sehun lo ebbe ascoltato quando gli disse –Farò tardi. Sai che Jong è lento.- talmente era impegnato ad imbronciarsi di fronte ad un cellulare silenzioso. Non gli chiese chi stesse aspettando.
Lo sguardo che gli rivolse prima di annuire, valeva più dei pianti notturni che avevano riempito casa loro da ormai due settimane.

L’università era una landa deserta, a parte qualche sparuta anima che vagava per i corridoi. Lu Han se ne stava incollato all’enorme finestra che dava sul cortile bagnato dalla pioggia scrosciante, gli occhi fissi su di una busta bianca trovata nella cassetta della posta. Non gli erano mai piaciute le buste, in particolar modo quelle anonime. Solitamente nascondevano missioni secondarie talmente difficili da impedirgli di completare il gioco al 100% oppure riportavano scuse prestampate per non essere stati ammessi all’università dei propri sogni, costringendolo ad accettarne una a buon mercato. Altre volte, semplicemente, trasportavano talmente tanto amore adolescenziale non corrisposto, confessato nel retro della scuola, da farlo sentire in colpa per averlo rifiutato.

Questa volta, invece, si celava chissà quale missione secondaria che avrebbe compromesso ogni suo piano di conquista. Perché quella lettera anonima era indirizzata al suo coinquilino e cazzo, le cose stavano assumendo una piega che non gli piaceva. 
Ringraziò il cielo di essere stato lui a prendere la posta, altrimenti avrebbe rischiato che Sehun Peach venisse a conoscenza di questo fantomatico spasimante segreto. Il pollice continuava a carezzare il nome del ragazzo scritto in maniera così elegante da farlo sentire un rozzo, per via del suo pessimo modo di scrivere. Si chiese cosa mai potesse esserci lì dentro, alimentando la voglia matta di aprirla per scoprire l’identità del mandante e carpire informazioni su come avrebbe portato a compimento il livello. 
In certe occasioni era sempre meglio anticipare le mosse dell’avversario, anche se ciò significava ricorrere a trucchi.

Sollevò appena l’angolo dell’apertura, deglutendo quando un flebile rumore di strappo rimbombò nel corridoio vuoto. Che male ci sarebbe stato, se anche avesse letto? Sicuramente Sehun l’avrebbe cestinata, lui lo stava solo anticipando sul tempo…

-Perdonami! Sono in ritardo Questa mattina ci ho messo più tempo del solito a prepararmi!- l’uragano Jong-dae turbinò nella sua atmosfera con capelli freschi di piega e sorriso smagliante, interrompendo il suo losco operato. Si guardava attorno con aria famelica, celata da quel sorriso un po’ furbetto che spesso intimoriva Min-seok (anche se Min-seok era praticamente terrorizzato dal mondo).

Lu Han gli lanciò un’occhiata stizzita, poi tornò a concentrarsi sulla busta –Se stai cercando Min-seok, oggi non viene. Sta poco bene.-

Jong-dae si rabbuiò, le braccia molli lungo i fianchi e gli occhi saettanti -Vuoi dire che ho perso un’ora davanti allo specchio per niente?- Lu Han annuì –E tu lo sapevi?- annuì ancora –Te l’ho mai detto che sei uno stronzo, vero?-

-Tutti i giorni. Ma amo sentirtelo dire.-

Jong-dae era uno dei pochi amici che Lu Han conservava con cura, di quelli a cui mai avrebbe rinunciato. Maestro supremo della trollaggine, Jong riempiva le sue giornate con espedienti più o meno creativi per conquistare il puro ed innocente Minseok che, come da copione, ovviamente non si era accorto di come l’altro sbavasse ogni qual volta sorridesse o parlasse o semplicemente respirasse.
Lu Han si sentiva a proprio agio stando al suo fianco; il proprio male, condiviso con qualcun altro nella sua stessa situazione, diveniva un po’ più sopportabile. Come quel momento, con lui che continuava a passare mentalmente in rassegna la carrellata di papabili pretendenti che avrebbero potuto scrivere a Sehun, e Jong-dae, che nel mentre se la prendeva con la sua proverbiale sfiga.

-Si può sapere che leggi?-

-Mh? Questa? E’ una lettera per Sehun, ma non c’è il mittente.-

-Uh, un ammiratore segreto?- appoggiò il mento sulla sua spalla e studiò quei pochi ideogrammi scritti finemente sulla busta –Dev’essere un tipo raffinato. Guarda come scrive o anche il tipo di carta usata.-

-Nh, e sapresti dirmi anche chi gliel’ha scritta, Sherlock?-

-Mi spiace, Watson, ma non ne ho la più pallida idea. So solo che dovresti consegnargliela ed evitare di combinare cazzate- fece per replicare ma l’altro fu più veloce –Niente stufa, niente accendini, niente acqua e soprattutto: non aprirla.-

-Non era mia intenzione.-

-Dal tuo sguardo non si direbbe- Jong-dae gli tirò su le guance, cercando di farlo sorridere, ma tutto ciò che ottenne fu un Fanculo appena biascicato e qualche altro smadonnamento –E poi se non ti muovi, rischi sul serio che qualcun altro te lo porti via. Ancora…- il cuore di Lu Han traballò nell’esatto istante in cui quelle parole lo sfiorarono. Il passato incombeva come gli enormi nuvoloni che avevano coperto il cielo plumbeo di Seoul e più ci rimuginava su, più continuava a dirsi che avrebbe cambiato tutto se solo avesse avuto la possibilità di tornare indietro -Non commettere gli stessi errori, d’accordo?-

-Di certo non sono io ad aver commesso errori- replicò snervato, storcendo il naso al ricordo di un euforico Sehun che gli annunciava di star andando al primo, vero appuntamento con quel demente di Jongin. Cose da conati di vomito, sul serio –Magari è solo uno scherzo.-

Jong-dae arricciò le labbra, pensieroso –E se fosse di Kim? Magari è tornato e non sa con che faccia ripresentarsi- lo enunciò seraficamente, con le mani dietro la testa e lo sguardo rivolto al soffitto. Per Lu Han fu come se il mondo avesse smesso di girare –Ormai è via da un sacco. Non aveva mica detto che—

-Non so niente- lo interruppe lapidario, innervosendosi quando il suo pedante –Ma tu— tornò alla carica, costringendolo a rifilargli una delle occhiate più cupe che possedesse –Non. So. Niente.- esalò un’ultima volta, rilassandosi di fronte al suo veloce annuire.
L’opzione Kim è tornato in città non l’aveva presa in considerazione e forse era stato un bene perché il terremoto di sentimenti che aveva causato, stava scombussolando la sua quiete interiore faticosamente rifocillata. 
Jongin era un boss troppo difficile da sconfiggere, non ce l’avrebbe mai fatta, non adesso. Non aveva armi potenti per eliminarlo e cosa più importante, Sehun ne era ancora troppo assuefatto perché potesse schierarsi dalla sua parte.

-Ah, prima che me ne dimentichi!- Jong-dae ravanò nello zaino, rapendolo dai propri farneticamenti -Ta-dan!- gli porse un volantino su carta patinata con un sorriso alla Cheshire e Lu Han rabbrividì. Era inquietante quando esclamava Ta-dan!, anche perché di solito non seguiva mai nulla di buono.

-Che roba è?-

-Ma che ne so. La galleria d’arte dove lavora mio fratello ha indetto un concorso di fotografie per non ho capito cosa. Mi ha detto di distribuire i volantini ai miei amici- gli sorrise –Ho pensato che potresti darlo a Sehun. Magari gli servirà a distrarsi-
Si, certo…
Peccato che Sehun avesse smesso di fare fotografie, se non per necessità. Diceva di andare al parco ma mai gli aveva mostrato qualche foto. Prima gli faceva perdere le ore nel descrivergli i giochi di luce, le pose... C’era così tanta bellezza in quei momenti, che Lu Han cominciò ad avvertirne l’asfissiante mancanza –Ci incamminiamo? Siamo già in ritardo!-

Lu Han annuì. 
Infilò il volantino in tasca e prima che potesse gettarvi anche la busta, guardò l’angolo che aveva leggermente strappato, sentendo il cuore precipitare, la coscienza scalciare. 
E poi c’era stata quella voce, che da tempo non aveva udito e che, ancora, ebbe il potere di farlo sentire sempre un passo indietro al mondo…

Mi dispiace, ma il tuo Sehun è in un altro castello.


******

 

14 luglio 2013. Ore 18.48
Seoul. Scatola di sardine di Sehun e Lu Han.

 

Sehun aveva smesso di tormentarsi davanti ad un telefono che non squillava mai all’età di sedici anni, quando aveva capito a proprie spese che la cotta adolescenziale, che da tempo aveva occupato i suoi sogni erotici, non lo avrebbe richiamato. 
Anche se tra loro c’era stato un bacio in discoteca, anche se il dj aveva messo quella che lui aveva sempre considerato la loro canzone –senza che l’altro lo sapesse, com’era giusto che fosse-, anche se gli aveva promesso che un giorno o l’altro lo avrebbe invitato a casa sua per ripassare fisica –e Sehun aveva ardentemente sperato che stesse parlando di educazione fisica.-.

Non che ci fosse riuscito da solo, era troppo emotivo e paranoico per poter uscire con le proprie mani dal baratro dell’umiliazione; era stato Lu Han a fargli capire che il tempo che sgocciolava davanti i suoi occhi lucidi, poteva essere speso in maniera più costruttiva. 
Ricordava ancora quando si era presentato a casa sua in lacrime dopo una settimana di messaggi mai arrivati e chiamate mai ricevute, con gli occhi gonfi e il naso rosso, stringendoselo in un abbraccio da cui subito l’altro si era divincolato perché Cristo, ci sono i miei e poi sai che rompono i coglioni!
Le parole erano state dure, gli sguardi dell’amico erano scivolati sul suo corpo corrodendo quel briciolo di amor proprio che, nonostante tutto, credeva gli fosse ancora rimasto. Ridursi così per un cretino è proprio da deficienti, aveva esalato aspro prima di rituffarsi nel proprio mondo fatto di tubi, funghi e omini baffuti, Non capisco perché la gente si disperi per queste cazzate. Morto uno stronzo ne arrivano sempre altri cento.
E piano piano, aveva sentito l’amarezza divenire indifferenza, fino a che ogni traccia di affetto e devozione non era finita nel dimenticatoio.

Lu Han aveva sempre avuto modi bruschi di sbattergli in faccia la realtà, riuscendo a non farlo sprofondare. Eppure non gli parlò della chiamata a vuoto fatta a Jongin, che aveva preso a pugni ogni cumulo di speranza che serbava nel vederlo tornare indietro solo e unicamente per lui.  Non sarebbe stato capace di sopportare i suoi sguardi, i lineamenti del suo volto che andavano tumefacendosi per la collera, le sue parole pregne di disprezzo che avrebbero finito con l’avvilirlo un po’ di più.

Sehun era stanco di tutto quello.

Lui voleva solo sapere perché. Perché fossero arrivati a quel punto di non ritorno, perché tutto non stesse andando come avevano programmato. 
Perché, alla fin fine, era sempre lui quello che veniva lasciato indietro. 
Non c’era attimo in cui non se lo chiedesse, ma neppure le notti insonni erano state propizie. Il mondo si stava sgretolando sotto i suoi occhi colmi di questi Perché?, e più tentava di raccoglierne i cocci, assemblandoli, più quello continuava a sbriciolarsi.

E se neppure Sehun sapeva che farsene del proprio mondo crollato in pezzi, chi altro avrebbe voluto rovistare fra le sue macerie, cercando addirittura di ricostruirlo?

-I Backstreet boys?- Lu Han si intromise nei suoi vaneggi –Deve girarti proprio male.-

-Tu non dovresti parlare- abbassò il volume dello stereo -L’ultima volta che sono entrato in casa, stavi ballando Baby one more time.- un ghigno appena scorgibile sbucò, quando le guance dello hyung si tinsero di un acceso rosa pastello.

-Quell’esame era più complicato del solito.- si giustificò, mangiando ogni sillaba come se il suo stesso disappunto servisse a prevenire eventuali prese per il culo.

Cosa che ovviamente Sehun cercò di trarre a proprio vantaggio, visto che le occasioni di poter superare Lu Han in stronzaggine erano pressoché nulle, ma lo sguardo cadde in picchiata sulla pozza d’acqua sotto le sue Nike sporche e subito il suo istinto da massaia repressa sbucò -Non azzardarti a fare un passo!- gli intimò con cupezza, assottigliando gli occhi quando Lu Han si tolse il giaccone fradicio e lo gettò per terra –Ho appena pulito!-

-Ripasserai lo straccio.-

-Io non ripasserò proprio nulla. Sarai tu a farlo!-

-Scordatelo. Sei proprio un rompipalle, lo sai?-

-No, sei tu che rompi!-

-Quante storie per un po’ d’acqua.-

-Il problema non è l’acqua!- puntò il dito contro le piastrelle –Il problema è l’acqua sul pavimento appena lavato!- esalò pratico, facendo lampeggiare l’indice sulla sua figura grondante di pioggia.

Lu Han alzò le spalle e come se nulla fosse attraversò il piccolo salotto per rifugiarsi nella propria tana, ignorando il suo restarsene immobile ed attonito con quell’indice a mezz’aria che, ormai, aveva smesso di muoversi. Seguì le sue impronte disegnate da gocce, facendo attenzione a non calpestarle. Impresa più facile a dirsi che a farsi, perché Lu Han aveva sempre avuto la brutta abitudine di trascinare quei suoi maledetti piedoni, anziché sollevarli come ogni essere umano.

-Potresti alzare quei maledetti piedi, una volta tanto? Stai bagnando tutto il pavimento!- Lu Han si infilò in camera, Sehun captò un annoiato Che due coglioni frantumarsi a pochi centimetri dai propri calzini bagnati –Che due coglioni lo dico io, chiaro? E non imprecare, hai capito? Non farlo! Mi dai sui nervi quando lo fai!-

Lu Han non si degnò neppure di voltarsi, continuava la sua svestizione senza badare alle occhiate infuocate o agli sbuffi o qualsiasi altra cosa che avrebbe dovuto catturare la sua svagata attenzione. Sehun sentì la rabbia mescolarsi alla verdognola gelosia; anche a lui sarebbe piaciuto vivere senza alcun pensiero, lasciarsi ogni paranoia o fobia alle spalle e trascorrere serenamente il resto della propria esistenza. Capì però ben presto, quanto solo pochi eletti come Lu Han potessero riuscire in tale impresa: lui non era in grado di rinunciare ai ricordi e, soprattutto, non riusciva ad abbandonare le anime che avevano sostato nel suo cosmo.

-Sembri mia madre, dico sul serio. Hai anche lo stesso grembiule.-

Sehun aprì le labbra, pronto a ringhiargli contro che sua madre non aveva mai usato grembiuli e che se lo ricordava benissimo, perché indelebili erano le sue magliette a fiori sporche di farina e i pantaloni maculati di marmellata o cioccolata. 
Ma le parole si aggrovigliarono in un gomitolo indissipabile, che rotolò nelle cavità più buie della sua mente mentre le guance andavano imporporandosi.
Lu Han si stava spogliando davanti ai suoi occhi ora larghi e, diamine, certi spettacoli erano da fiato mozzato in gola, di quelli che poche volte si provavano nella vita e quando ciò avveniva, lasciavano un segno talmente profondo che il ricordo non poteva più essere manomesso. La schiena nuda di Lu Han trascinava con sé una scomoda sensazione di déjà-vu. 
Fu uno spettacolo già visto, eppure ai suoi occhi parve nuovo.

La sua schiena svettava nel candore della camera da letto, che sapeva di detersivo al limone comprato nel negozietto sotto casa. Era stretta, lattea, di quel bianco che stonava con l’azzurro tenue della stanza, che strideva con l’ultima che aveva visto. Che era ambrata, larga, capace di reggere ogni sua paura ed insicurezza...

-Dovresti chiudere la porta quando ti cambi!- gracidò dandogli le spalle.

-Come se non mi avessi visto nudo già un mucchio di volte. E comunque sei stato tu a seguirmi.-

Sehun strinse i pugni, indeciso se ammazzarlo seduta stante o aspettare che pagasse la sua quota di affitto. Guardò oltre la spalla e lo vide trafficare nel comò alla ricerca di una maglietta pulita. Decise in quel momento che l’unica vendetta era mutilarlo, almeno non avrebbe potuto più giocare ai suoi amati videogames e sarebbe perito nella disperazione.

-Era diverso.- osservò nostalgico, memore di un’infanzia fatta di bagni assieme al migliore amico e svestizioni negli spogliatoi della scuola prima di un torneo. Non c’era mai stata malizia, forse per la giovane età o forse perché Lu Han era una specie di fratello rompipalle, giunto appositamente per rovinargli l’esistenza già di per sé schifosa e, anzi, se solo ripensava a quei momenti, un sorriso di pura nostalgia sbocciava irrefrenabile.

La nostalgia legata a Lu Han non gli faceva male.

Sapeva di torte appena sfornate nei pomeriggi di primavera, quando studiava nel giardino sfiorito di casa e Lu Han si presentava con una scatola di latta di Dragon Ball con dentro i suoi tesori: le carte dei Pokemon che raccoglieva con tenacia e fatica. Sapeva dei suoi sorrisi sbilenchi mentre si vantava di aver trovato quel Blastoise argentato rarissimo e delle sue colorite ma mai pesanti imprecazioni quando lui, invece, gli sbatteva in faccia con placidità di aver trovato nel cassonetto della spazzatura un Charizard dorato nuovo di zecca. Sapeva del cigolio delle altalene al parco fuori città quando facevano a gara a chi per primo avrebbe toccato il cielo, anche se Sehun perdeva sempre perché soffriva di vertigini e allora si fermava a metà. Aveva lo stesso sapore della speranza quando guardava i bui cieli d’agosto con il naso all’insù, seduto sul tetto di casa, di fianco ad un Lu Han stravaccato che continuava a ripetergli quanto stupido fosse il loro aspettare le stelle cadenti, l’esprimere centinaia di desideri che mai si erano avverati e sentirsi dire con scazzo Te l’avevo detto.

La malinconia che provava per Jongin, invece, faceva un male atroce.

Anche in quel momento poteva udire i suoi passi cadenzati riecheggiare nel corridoio, le proprie grida mentre gli intimava di tornarsene in camera e non rendere vane le sue ore di pulizie; la sua risata spensierata che riempiva ogni crepa del muro, capace di malleare perfino il mutismo più spesso che era solito rivolgergli quando non sapeva come altro incazzarsi. E il modo in cui lo abbracciava quando prendeva un bel voto o quando semplicemente aveva bisogno di coccole, mostrandosi per il bambinone che era sempre stato; il suo sorriso smagliante quando diceva a qualche sua improvvisa idea e il broncio decisamente adorabile che gli piazzava quando si negava, in qualsiasi circostanza.

Sehun aveva sempre amato considerarsi la riva su cui Jongin sempre si sarebbe infranto, ma lui era una di quelle onde che carezzava il bagnasciuga e poi si ritrascinava in acqua, perché quello era il suo posto.

-Non sono poi così cambiato- la sua svagatezza lo trasse in salvo –Ma dove cacchio sono le mie magliette? Le hai spostate di nuovo tu?!-

Sehun si mosse, impietosito dai gesti irascibili del compagno. Sollevò la pila di libri sulla poltrona posta nell’angolo della camera e gliele mostrò con una smorfia –Dovresti mettere in ordine.- gli rifilò quelle parole con incertezza, intimorito al pensiero che potesse rinfacciargli qualcosa come Non sai mettere in ordine la tua, di vita, e vieni a lamentarti con me?, del resto sarebbe stato tipico di Lu Han. Ma quello si limitò a mangiucchiare delle scuse mentre sceglieva una maglietta dal mucchio, concedendogli di nuovo la vista della sua schiena candida e stretta.

Era vero, Lu Han non era poi così cambiato dal bambino di dieci anni che picchiava i bulli che gli rubavano il pranzo o da quello di quindici anni che lo consolava malamente quando l’ennesima cotta rifiutava le sue avances. Solo i gesti erano mutati, divenendo radi e calcolati, come se un abbraccio in più avesse potuto scalfire quel loro rapporto perennemente in bilico su di un filo che, Sehun, nemmeno sapeva quando fosse stato filato. 
E le parole… Lu Han ci aveva sempre giocato, con le parole.
Amava rigirarle, invertirle, metterne una in più per fargli sbrodolare il cervello e toglierne qualcuna per farlo vivere nell’ansia.

Ma nonostante tutto, non si era spogliato delle vesti di amico pronto a trasformarsi nella sua ancora di salvezza.
Fu forse per questa sacrosanta certezza che Sehun si ritrovò a svelargli quel terribile segreto che da settimane aveva custodito nei cassetti della propria mente, non senza un certo imbarazzo misto a timore di venir pietosamente deriso.

-La settimana scorsa ho provato a chiamarlo.- la discesa della maglietta rallentò, a Sehun parve che ogni suo movimento fosse rallentato.

-Chi?-

Sehun si mise a braccia conserte –Oh, lo sai benissimo di chi sto parlando.-

-Naha, proprio no.-

Sbuffò –Ma sì, di lui…- Lu Han lo guardò oltre la spalla, scosse la nuca e attese con espressione a metà fra Ti prego non dirmelo, non voglio saperlo e Ma ti muovi, sì o no?. Sehun deglutì e con mastodontica difficoltà, pronunciò poche lettere che, sapeva, avrebbero inevitabilmente incrinato la loro conversazione -…Kai.-

La maschera di apatia di Lu Han si sgretolò, lasciando in bella vista una smorfia di disappunto che subito gli venne negata e, di nuovo, si ritrovò a scrutare la sua schiena ora più incurvata del solito.

Kai era il tutto e  il niente del suo universo. 
Era il Kim Jongin dei suoi giorni cupi, quella figura distorta che stava ricostruendo sulla base dei se, i forse, i magari.
Era il nomignolo che aveva affibbiato alla felicità, relegata in una fotografia che aveva abbandonato in una casa vuota, piena di spifferi, dalle pareti tremanti quando il treno passava alle tre del mattino. 
Quel mucchio di abiti smessi, chiusi in una scatola di cartone su cui aveva scritto “Non aprire”, quella valanga di parole che faceva franare sul proprio cuore invece di mandarle alla deriva del mondo che lo circondava e che, a dispetto di ogni suo più macabro pronostico, non aveva smesso di girare.

Kai era il nome che aveva dato all’assenza, solo perché così faceva meno male.

Aveva pascolato qualche mese prima, fra il sale e l’olio, vicino al ramen preconfezionato e subito aveva portato scompiglio. Ricordava lo sguardo di compatimento di Lu Han, quelle sopracciglia talmente aggrottate che avrebbe voluto far rilassare passandoci sopra i polpastrelli, quando lo enunciò per la prima volta, con la stessa placidità con cui si direbbe l’ora ad un estraneo. Ricordava i suoi esasperati E ora cos’è ‘sta roba?, gli scazzati Fatti curare, dico sul serio, accompagnati da sbuffi, parolacce e spessi silenzi in cui era annegato.

E alla fine, si era arreso. Lu Han si arrendeva sempre, per lui.

-Ah…- fu tutto ciò che gli lasciò, concentrandosi sulla lampo dei jeans. Sehun si ritrovò ad osservare la scala di vertebre che scompariva dietro l’elastico dei boxer e si ricordò che proprio quello era il punto debole di Jongin. Quante notti aveva accarezzato quel lembo di pelle color caramello, quanti brividi aveva sentito scorrere fino a divenire pura elettricità. Incredibile come ancora potesse sentire sotto i propri polpastrelli certe cose, come se stesse compiendo quei gesti in quel preciso momento.

-Beh, cosa ne pensi?-

-Penso che “Kai” sia un soprannome troppo bello per un coglione del genere.-

Sehun scivolò lungo lo stipite –Sii serio, ti scongiuro.-

-Ma infatti lo sono!-

Sehun capitolò, non provò neppure a vincere quella battaglia, già persa quando le scarpe bagnate di Lu Han avevano contaminato il pavimento lucente del salotto. Decise di chiuderla lì con un blando –Finisco di pulire, che è meglio.- ma la pazienza di Lu Han placò ogni sua decisione di resa.

-E cosa ti ha detto?- Sehun lo fissò con occhi sbarrati e labbra semiaperte; Lu Han gli rifilò un’occhiata scettica prima di far scivolare i pantaloni lungo le gambe magre –Beh? Prima rompi e adesso non rispondi?-

Si riprese dallo shock, dovuto in parte all’improvviso interesse dell’amico e in parte alla vista completa dei suoi boxer a righe blue e bianche. Cos’era quell’attorcigliamento di budella nel ritrovarsi davanti Lu Han mezzo nudo?! Richiamò all’ordine lo stomaco e ogni organo e muscolo che aveva deciso di contrarsi tanto da fargli male, ma vani furono i tentativi di placare i battiti del cuore. 
Decisamente, aveva bisogno di scopare, di quelle sane botte di sesso che gli avrebbero fatto addirittura dimenticare come si tiene in mano una forchetta.

-Non mi ha detto nulla, non era raggiungibile.-

-Magari ha cambiato numero- ipotizzò infilandosi i calzoni della tuta, riassestando così i suoi battiti ormai impazziti –Ma perché lo hai chiamato? Credevo fosse passata quella fase.-

-Quale fase?-

-Quella che: se non sai perché se n’è andato, non potrai andartene via da questo mondo in santa pace. Pensavo non fosse più così importante.-

Sehun non ebbe bisogno di realizzare quanto le cose non fossero poi così tanto cambiate, nonostante il tempo avesse ormai logorato la sua pazienza, l’unica capace di sostenerlo mentre attendeva un suo ritorno. Tutti quei Ci penserà a me almeno un po’?, i sofferenti Anche lui si starà chiedendo se sto sopravvivendo?, i laceranti Mi avrà già rimpiazzato?, non erano mai cessati, persistevano nel tormentarlo e se riusciva a non crollare, era solo per paura di venir lasciato indietro anche da quei pochi che si erano sorbiti i suoi pianti.

–Non l’ho chiamato per quello. Io volevo solo— già, cosa voleva chiedergli? Se stesse bene? Se si sentisse uno schifo per essersi comportato da insensibile bastardo? Magari voleva sentirsi dire che la vita, senza di lui, era uno schifo colossale? O appurare che i brividi, nell’udire la sua voce profonda, erano ancora gli stessi? Sehun si ritrovò a brancolare nell’angoscia e quando Lu Han lo incalzò con i suoi occhi larghi e un velo di noia a farlo sbadigliare, tutto ciò che riuscì a dire fu –Volevo solo dirgli: Ciao.- perché, dopotutto, non era poi così lontano dalla realtà.
Perché prima di essere stati due tremendi amanti, erano stati l’uno il porto sicuro dell’altro, uniti da un inossidabile vincolo di amicizia che credeva sarebbe perdurato nei secoli.

E l’amicizia di Jongin, quella, era stata talmente bella che il cuore gli si scioglieva ancora…


La prima volta che staccarono la luce per non aver pagato le bollette, Sehun stava studiando inglese per l’esame del giorno dopo. Era acciambellato sul futon  quando un'assordante “Tac” aveva anticipato il buio.

Sehun non ricordava granché cosa fosse successo negli istanti successivi. C’era stata una sonora imprecazione di suo padre, proveniente dalla cucina; sua madre era divenuta una mitragliatrice di domande e più queste non trovavano risposta, più andava in escandescenza. Le urla si erano librate alte, mescolandosi ad un pianto che Sehun non era riuscito a sopportare. 
C'era stato il motore dell’auto che risuonò in cortile -perché suo padre se ne andava sempre quando le cose si facevano ingestibili- e tutto ciò che rimase, fu il pianto nervoso di sua madre che marciava fino in camera. 
Avvertì gli occhi pizzicare quando si accorse di non poter più reggere a tutto quello sfacelo, perché le sue spalle erano troppo gracili e se non si lasciò andare, fu solo perché un’ombra gli scompigliò i capelli, facendolo urlare.

-Sehun, sei sveglio?-

-Jongin, demente! Vuoi per caso uccidermi?!- la sua risata gli perforò un timpano, miscelandosi ai battiti impazziti del suo cuore.

-Tesoro? Qualcosa non va?- sua madre bussò, gli parlava oltre la porta con malandata tranquillità.

-No, mamma, non è niente!- si accertò che i suoi passi sfumassero, poi diede una spinta all’amico appallottolato al suo fianco –Cretino, vuoi farti scoprire?!-

-Scusami, è che eri così spaventato che non sono riuscito a trattenermi- sbrodolò senza fiato; doveva avere un sorriso da capogiro in quel momento -Stavi dormendo?- Sehun non rispose, Jongin continuò con incertezza –Ho visto le luci tutte spente, così ho pensato che—

-Papà non ha pagato le bollette.- lo interruppe con bruschezza, giocherellando con il cuscino a forma di panda rubato a casa di Lu Han.

-Oh… Mi dispiace- Sehun alzò le spalle, ringraziando il buio che inghiottiva lo sguardo di pietà dell’amico; il suo non lo avrebbe sopportato –Sarebbe divertente se venissero quei tizi con le pistole laser che fanno scomparire i divani e i televisori. Come in “The sims”!- trillò euforico, strappandogli uno sbuffo misto a risata.

-Già, sarebbe divertente…- ricacciò indietro le lacrime –Ascolta, se sei qui per i compiti di inglese, non li ho finiti. Non ho voglia di—

-In realtà volevo portarti fuori- il cuore di Sehun perse qualche battito, la cadenza della sua voce era perfino più dolce che nei suoi sogni –Mia sorella dice che stasera ci saranno un mucchio di stelle cadenti… Ti va di vederle assieme?-

Avrebbe voluto dirgli di no, perché doveva finire di studiare e poi non era in vena di stronzate. Voleva solo dormire e magari svegliarsi morto o qualcosa del genere. 
Ma Jongin gli aveva tirato addosso il cappotto e prima che potesse brontolare, lo stava seguendo silenziosamente sul tetto...

 

Parlavano di tutto e niente.
A dir la verità, era Jongin che intavolava discorsi e li portava a termine senza attendere un commento. Aveva quel sorriso scintillante che condiva ogni sua chiacchiera, quegli occhi sempre sorridenti in cui si smarriva e la sua spensieratezza, diamine, la sua spensieratezza era talmente adorabile da fargli dimenticare per un attimo che, una volta rientrato dalla finestra, una montagna di problemi lo avrebbero divorato.

-Ti ricordi che tra due settimane c’è il saggio?- la sua domanda euforica fu un tir che lo colpì in pieno. Il suo sorriso traballava un poco, eppure non accennava a diminuire.

-Aha, cercherò di esserci.-

-No, tu dovrai esserci. Me lo avevi promesso.- lo riprese con puntiglio, imbronciandosi mentre si stringeva nel piumino per ripararsi da una sferzata di vento improvvisa.

-Vedrò di non mancare.- ripeté con un briciolo di entusiasmo, quel tanto che bastava per farlo tornare il solito moccioso che era. Con i suoi sorrisi e i suoi occhi colmi di ingenuità, le sue mani che battevano e i piedi che dondolavano oltre il cornicione, come se i mali del mondo lui nemmeno sapesse cosa fossero. E per un breve istante, quando Jongin scoppiò a ridere per una cazzata non meglio identificata, anche Sehun si sentì allo stesso modo: spensierato e libero.

Su quel tetto, da solo con lui, era come stare sospesi e assaporare la vera felicità in tutta la sua lucentezza.

-Senti, mh, ecco…- si grattò la nuca, morse il labbro inferiore mettendo in bella mostra la fila di denti bianchi –Domani c’è il test di inglese e—

-Non ti lascio copiare.-

Le mani di Jongin sbatterono sulle cosce –Ma non volevo chiederti quello!-

-Se mi stai riproponendo di scambiarci i compiti, la risposta resta sempre quella di prima.-

Jongin gonfiò le guance, gli ricordava il criceto di Lu Han quando si rimpinzava di semi di girasole –Andiamo, ho bisogno di prendere un bel voto! Se venissi bocciato anche lì, mio padre sarebbe capace di sbattermi fuori di casa!- si lamentò mogio, poggiando il mento sui pugni chiusi. Sehun nascose un sorriso divertito dietro la sciarpa, guardandosi le mani guantate pur di non fissarsi sul suo profilo che, ormai, sarebbe riuscito a tratteggiare anche bendato –E allora verrò qui e sarete costretti ad ospitarmi.- aggiunse ferreo.

Sehun pensò che non sarebbe stato male vederlo gironzolare per casa in boxer o mentre improvvisava qualche passo di danza. Gli sarebbe piaciuto vedere sua madre ridere per le sue sciocche battute e suo padre rimproverarlo bonariamente perché non metteva lo studio al primo posto.

Averlo sempre intorno, così, come se non vi fossero limiti di tempo.

-Non punire i miei genitori, loro non c’entrano nulla.- rimarcò ironico, sbuffando quando cominciò a scuoterlo per la spalla con bambineschi “Non sei divertente!”. No, non lo era affatto… Ma Jongin sì, era talmente divertente che Sehun faticò a non scoppiare a ridere di fronte alle sue narici dilatate e le orecchie fumanti.

-A tua madre piaccio. Forse le piaccio più io, di te.- brontolò acquattandosi nel suo cantuccio, giocherellando con i lacci dorati delle Air Jordan appena comprate. Erano quelle rosse e nere, con il simbolo della Nike di un oro brillante. Sehun le aveva amate non appena lo sguardo era scivolato per caso sulla vetrina, ma la modica cifra di 84.835 Won [2] lo aveva fatto imprecare mentalmente mentre ripercorreva i propri passi.

-A mia madre piacciono tutti i miei amici, indistintamente. Vorrebbe adottarli in massa.-

-Anche Lu Han?- Sehun non badò a quella domanda posta con leggerezza, proprio mentre un'auto passava con la musica a palla.

-Oh, lui è in cima alla sua lista.- lo aveva quindi pronunciato con la stessa, placida tonalità con cui Jongin si era rivolto a lui, con il naso puntato all’insù e il volto modellato dalla serenità.

-Lo è anche nella tua?- e quando fece piovere una domanda del genere, dopo un’eternità di quiete, Sehun non seppe cosa fosse quel terremoto che gli colpì il cuore. 
Improvvisamente, trascinandosi dietro una valanga di domande che gli affollarono il cervello ormai in tilt.

Osservò il proprio respiro arrotolarsi nell’aria, come se potesse dargli le risposte che cercava, ma tutto ciò che riuscì a replicare fu un gracidante -Ma io non voglio adottare Lu Han!- stringendosi nel cappotto, riparandosi dal buio della notte cosicché non si accorgesse delle sue gote arrossate. Rossore che divenne color peperone quando la risata di Jongin si spandé nell’aria.

-Non intendevo quello!-

Sehun lo guardò di sottecchi e per un attimo il suo profilo gli parve distorto. La fronte era leggermente corrugata, c’era la linea morbida del naso solcata da quella impercettibile gobbetta che avrebbe voluto tracciare con i polpastrelli e le labbra piene erano arricciate in una smorfia, come se dalla sua riposta fosse dipesa la loro amicizia –Non ho alcuna lista, figurati.- tutto si inabissò in un silenzio teso, di quelli che non era solito affrontare quando Jongin era l’interlocutore. Lui parlava sempre per entrambi, adorava colmare i loro silenzi senza però risultare pesante. Oddio, per cinque minuti, poi veniva voglia di trivellarlo con una mitraglietta.

Sehun fu sul punto di chiedergli il perché di quella domanda, perché il coraggio gli veniva sempre quando era lui ad esporsi, in quella maniera un po’ criptica e che lo faceva vivere in un limbo per giorni interi, fino a che la normalità non si ristabiliva.

Ma il ragazzo era esploso in un –Wow!- che per poco non fece affacciare sua madre e prima che potesse accertarsi della sua sanità mentale, Jongin stava già strattonando il suo braccio –Una stella cadente! L’hai vista?! Esprimi un desiderio, coraggio!- e mentre lo pronunciava, aveva un’espressione talmente stupida che Sehun si ritrovò a nascondere un sorriso dietro la sciarpa a scacchi che Lu Han gli aveva regalato il precedente Natale, gli occhi ormai incollati sul suo profilo: le sopracciglia e il naso erano arricciati per lo sforzo, minuscole rughette si diramavano agli angoli degli occhi chiusi e il modo in cui si inumidì le labbra fu solo un colpo in pieno petto, che trasformò le gambe in due budini.

Sehun guardò il cielo e un tripudio di desideri prolificarono come un’emorragia inarrestabile.
Gli sarebbe piaciuto avere più soldi per poter aiutare i suoi, avrebbe voluto vincere quella borsa di studio tanto agognata così da non dover sobbarcare mamma e papà di ulteriori sacrifici, sarebbe voluto diventare astronauta o chirurgo, e che Lu Han la smettesse di chiamarlo nel cuore della notte per dirgli di aver completato qualche stupido livello.
Ma più di tutto, in quel preciso momento, ardeva dal desiderio che Jongin lo inglobasse in una bolla e lo portasse via su di una stella o un pianeta sconosciuto, qualsiasi posto andava bene purché ci fosse lui a tenergli la mano. Dicendogli che tutto andava bene e che avrebbero superato qualsiasi avversità, come nelle migliori favole che sua madre gli leggeva prima di addormentarsi, da bambino.

-Allora, lo hai espresso?- annuì appena, perdendosi nel suo sorriso così folgorante da illuminare perfino la notte –E cos’hai chiesto?-

-Non si dice! Altrimenti non si avvera!-

La gioia di Jongin si sgretolò in un –Oh…- che concretizzò il suo imbarazzo –Ecco perché non se n’è mai avverato neppure mezzo. Io li spifferavo sempre alle mie sorelle!- scoppiò a ridere fragorosamente, prima di sdraiarsi sul tetto e bombardarlo ancora di ricordi legati alla sua infanzia, che Sehun annotava mentalmente.

Jongin se ne andò solo quando suo padre rincasò, qualche ora più tardi, come se avesse capito che per lui quella casa sommersa da pianti e lacrime era solo un Inferno, e che da solo non sarebbe riuscito a sopravvivere. 
Era così buono, ma così buono, che sentì le lacrime scendere quando vide la sua schiena scomparire oltre il vicolo, cullato solo da quell’ultima frase lasciatagli inaspettatamente…

-Oh, e comunque neppure io ho una lista. Ma se l’avessi... Saresti di sicuro in cima.-

E che lo aveva fatto innamorare un po’ di più…

 

Fu una palla di carta quella che si schiantò sul suo viso senza delicatezza alcuna. La osservò perplesso, avvertendo il sollievo scivolare in ogni vena pulsante del suo corpo teso come corde di un’arpa. La raccolse con infinita lentezza e quando la aprì, fu solo confusione mista ad incredulità. Le parole Concorso e Fotografia e Mostra si rincorrevano tra di loro, mandando in completo blackout il suo cervello già malfunzionante.

-Che roba è?-

-Me l’ha dato Jong-dae. Pensa che potrebbe interessarti- Lu Han raccolse un mucchio di magliette sporche e stropicciate; imprecò quando gliene scivolò qualcuna dalle braccia –Potresti sempre dimostrare a quello stronzo del tuo prof che non sei uno da sufficienza scarsa.- lo pronunciò con tutto il sostegno di questo universo; Sehun avrebbe solo voluto sprofondare in una voragine per avergli raccontato una cazzata.

-Ci penserò…- mormorò sfibrato, deglutendo un secco No che avrebbe fatto incazzare il coinquilino. Sehun non era abituato a mostrare i propri lavori, a meno che non servissero per un esame. Era geloso del mondo che ritraeva su pellicola patinata e aveva il costante timore che la gente potesse scoprire ogni sfaccettatura del suo microcosmo, se solo avesse compreso il perché di determinate angolazioni, giochi di luce e sguardi che valevano più di mille sorrisi o parole.

Sehun non era bravo a mettersi in gioco, preferiva che fossero gli altri a trascinarcelo dentro, così da poter dar loro tutta la colpa in caso di sconfitta.

-Tanto so che non lo farai…- bisbigliò apatico, quasi avesse seguito il flusso dei suoi pensieri -Dove hai messo il detersivo?-

-Cosa?-

-Il detersivo… Dove l’hai messo?-

-E’ vicino alla lavatrice, perché?-

Lu Han alzò le spalle prima di superarlo col suo esercito di magliette, biascicando mugugni incomprensibili.

Da un po’ di tempo Sehun si sognava le cose.

Ma giurò di aver udito un incerto –Ti aiuto a pulire.- che lo fece sorridere di cuore.

 

*******

19 luglio 2013. Ore 23.14
Seoul. KTV.


“Quindi, ti andrebbe di uscire con me?”.

Così recitavano le ultime parole di quella lettera che stringeva fra le mani, letta per la prima volta quella sera e solo perché costretto dalla seconda birra. Ideogrammi di inchiostro blu che si seguivano disordinatamente sul giallo canarino di fine carta di riso, scorrevano davanti i suoi occhi solcati da noia. Era infarcita di cliché, cose alla Il cuore perde colpi quando ti vedo, dal primo momento che ti ho visto non ho fatto altro che pensare a te e tante altre cose che, se mai le avessero propinate a lui, probabilmente gli avrebbero fatto essiccare le palle. Insomma, chi sarebbe mai potuto cadere per cose come Non riesco a smettere di pensarti? A lui, cose così, mettevano un’ansia talmente tanto profonda da farlo soffocare…

-Si può sapere cosa stai leggendo?- la voce di Wu Fan sovrastò il vociare concitato di un gruppo di ragazzi che cantava Fantastic Baby davanti al televisore. O quel che ne rimaneva... Ma chi gliel’aveva data la licenza per cantare, a quei quattro?! Probabilmente TOP si stava rivoltando nel letto, a quest’ora. Chissà se GD sarebbe stato lì, pronto a placare le sue pene. A proposito, una volta tornato a casa avrebbe dovuto controllare se SunsetGlow aveva aggiornato la sua fanfiction a rating rosso oppure no. Aveva lasciato un TOP fedifrago nella disperata missione di riconquistare un GD ormai votato alla depressione permanente e, dannazione!, erano ormai due mesi che quella non aggiornava!

-Non dirmi che è un’altra di quelle robacce che trovi su internet.- mormorò caustico, il capo penzolante in avanti quando Lu Han gli rivolse un’occhiata colma di sdegno.

-Le fanfiction non sono robacce. Molte hanno una trama decisamente più solida di tanti libri che ho letto. Come Twilight, ad esempio. Quello può essere considerato un libro, secondo te?- sventolò la lettera, rischiando di versare sul pavimento la birra che reggeva nell’altro mano.

Wu Fan roteò gli occhi mentre scivolava sul divano in pelle bianca –Ti scongiuro, non cominciare.- mugolò mettendosi a mani giunte, stuzzicando il suo sopito senso di colpa. Quando Lu Han partiva a parlare di film e libri, diveniva un fiume in piena inarrestabile; constatò in quel momento quanto doveva aver rotto i coglioni a Kris con la storia di Twilight, perché solitamente si limitava a seguire i suoi deliri senza interromperlo, con quel sorriso candido che spesso lo metteva a disagio.

-Comunque, sto leggendo una lettera.- si premurò di precisare, storcendo il naso quando lo sguardo ricadde in picchiata sugli ideogrammi.

-Oh, un ammiratore segreto- la cadenza maliziosa e rauca che aveva assunto la voce di Kris lo ridestò –Devo esserne geloso?- il suo alito sapeva di birra e tequila tanto da stordirlo. O forse era il suo sorrisetto a farlo rabbrividire.

-Non è per me- lo spintonò con una gomitata leggera, ma quello non si mosse di un millimetro. Nh, forse pure lui aveva esagerato con la Qingdao[3] –E’ per Sehun.- la sventolò, poggiando poi la guancia sul palmo aperto.

Il viso di Wu Fan si fece distante. Pochi millimetri di spessa aria li separavano ma Lu Han sentì che nulla avrebbe potuto tagliarla, neppure le sue labbra protese in un bacio che non sarebbe stato ricambiato –E… Perché ce l’hai tu?-

Il tono di rimprovero con cui quella domanda venne pronunciata non gli piacque, non gli piacque per nulla. Si premurò di imprimere nella mente altre poche parole di quella roba che stringeva fra le dita e tornò a fissare il ragazzo. Non v’era traccia di gelosia sui suoi lineamenti marcati ora costretti in una morsa di disappunto. Il disappunto di Kris era qualcosa di inquietante, lo ammise con una deglutizione e un gioco di sguardi a cui non partecipò. I suoi occhi appuntiti tendevano ad aguzzarsi più del solito, la palpebra destra poi si abbassava di qualche millimetro conferendogli un’aria da mastino pronto ad azzannarlo alla gola e le labbra si serravano, tanto da perdere la loro linea ben definita.

Insomma, quando Wu Fan si incazzava, era meglio correre ai ripari.

Lu Han si guardò attorno ma nessun angolo sembrava fare al caso suo. Forse avrebbe fatto meglio a salutare i commensali sparpagliati sui divani, fra le cibarie o vegetanti sul pavimento, e dirgli che si sarebbero rivisti un altro giorno, perché la piega che il suo volto e la conversazione stavano assumendo, facevano presagire l’Apocalisse. Fece per muoversi, ma la mano di Kris era stretta sul suo ginocchio –Perché l’ho trovata nella buca della posta.- ed era la pura verità! Il fatto che glielo avesse confessato con occhi larghi e ciglia sbatacchianti non era un incentivo a credergli?

-E questo ti da il diritto di leggerla?-

… No, a quanto pareva no.

-Mi sto solo assicurando che non sia una trappola.-

-Una trappola?!-

-Non capisco il perché di tanta sorpresa. Sehun ha il radar per gli stronzi, quelli sono capaci di trovarlo anche se fosse invisibile.- spiegò con assoluta serietà, memore di tutti i suoi precedenti abbagli che si erano consumati fra le pareti di camera sua in singhiozzi.

-E da cosa, esattamente, hai capito che questo qui è uno stronzo?-

-I cretini che ti intortano con cazzate come Mi togli il fiato, sono solo stronzi camuffati da santoni.- sancì ferreo, mandando giù un po’ di birra. Wu Fan lo guardò a lungo prima di scuotere la nuca e perdersi in sbuffi pesanti, che gravarono sulle spalle ricurve di Lu Han.

-Ottimo, altre cose da appuntare sulla “lista delle cose da non fare” per evitare che ti scazzi- fu un sibilo leggero, di quelli che trapassavano lo spesso strato di indifferenza che aveva erto e si insidiavano fra i suoi pensieri –Coraggio, andiamo. Domani devo lavorare.- indossò la giacca con secchezza.

-Oi, non puoi guidare. Hai bevuto un—

-Tranquillo, sto bene. Incredibile come certe cose portino alla sobrietà, tu non trovi?- i suoi occhi erano campi di lampi e saette, talmente infuocati da paralizzarlo sul divanetto di quel karaoke. Era incazzato e questa volta non sarebbe riuscito ad addolcirlo con qualche moina o semplicemente ignorandolo. Non seppe neppure perché si stesse preoccupando così tanto, Lu Han, mentre saliva in macchina con un muso lungo quando il Nilo.

Il viaggio verso casa fu un calvario, scandito da sospiri e sbuffi che resero l’aria irrespirabile. Lu Han si chiese come avessero potuto finire così, come una coppia che rincasava da una bella cena a lume di candela rovinata da qualche parola di troppo. Lui non era portato per questo genere di cose, le rifuggiva come se dovesse morirne. Si sentì opprimere dall’ansia al pensiero che una cosa del genere stesse capitando proprio a loro, dopo tutti i paletti e le regole che avevano creato. O meglio… Che lui aveva imposto. 
Perché Lu Han voleva tenere un posto libero per Sehun, nel qual caso si fosse accorto di come ormai la loro amicizia gli andasse stretta.

Lu Han si affacciò alla realtà solo quando l’auto arrestò la sua corsa. La scatola di sardine mai gli parve così confortevole, come se stesse per portare a termine quel livello impossibile su cui stava penando da settimane. La voce di G-Dragon lambiva quel silenzio pesante che Wu Fan non accennava a rigare e quando la mano fu ormai sulla maniglia, Lu Han sentì che non poteva andarsene con il broncio e incazzosi Cercami solo quando ti sarà passata.
Loro due non potevano permettersi certi lussi da coppiette felici ed innamorate.

-Non mi chiedi se voglio venire a casa tua?-

-Ho smesso di fare domande di cui so già la risposta. E poi, anche se mi dicessi di sì, sono troppo stanco. Voglio solo dormire- già, dormire. Lu Han represse un sorriso amaro, conscio che lui non avrebbe chiuso occhio. Il pianto di Sehun, nell’altra stanza, lo avrebbe tenuto sveglio fino a che gli occhi non si sarebbero serrati dalla disperazione. 
Il freddo lo colpì in pieno quando uscì dall’auto, fu come uno dei tanti schiaffi che forse Wu Fan avrebbe voluto rifilargli, limitandosi però a colpirlo con le sole parole –Lu Han, ascolta, Sehun non è un bambino. Impara a lasciarlo camminare con le sue gambe. Se non si scotta, come può capire di non dover giocare con il fuoco?- lo abbandonò davanti casa con quella perla pescata dal cilindro delle “Frasi mature e ad effetto da usare per farlo sentire uno stronzo” e che risvegliarono il suo senso di colpa mandato in letargo. 
Niente baci, niente sesso, niente scomode richieste a trascorrere la notte assieme… Lu Han trovò tutto così serio, da farlo pentire di aver cominciato quel gioco con Wu Fan.

Risalì le scale come un automa, rendendosi conto di essere già in cucina quando l’odore di the verde gli fece storcere il naso. Di Sehun non v’era traccia, probabilmente era già a dormire. Fu grato di ciò, almeno non avrebbe potuto vedere il suo volto costretto in una maschera di frustrazione. 
Adagiò la lettera sul tavolo, richiamato dal cestino che continuava ad ammaliarlo con languidi Usami, vedrai che le cose andranno meglio.
La lettera bruciò sotto i suoi polpastrelli e prima che potesse dare ascolto a tutta la cattiveria che continuava a fargli commettere scemenze, Lu Han le aveva già dato le spalle.

-Fanculo.- fu tutto ciò che riuscì a mormorare fra i denti prima di sbattere la porta di camera propria.

Solo l’indomani si sarebbe accorto di quanto fosse bello e al contempo doloroso, poter vedere Sehun camminare sulle proprie gambe.

Accadde di prima mattina, mentre l’odore del caffè permeò la cucina silenziosa. C’era stato il suo sciabattare fino al tavolo, con quei suoi capelli biondicci tutti scompigliati, il suo –‘Ngiorno.- sbadigliato, il suo stringersi nella felpa e stropicciarsi gli occhi, com’era solito fare da bambino. Furono proprio questi ultimi a far vibrare il cuore di Lu Han fino a che non provò le vertigini. Erano scuri, non più arrossati, ci si sarebbe perso infinite volte.

-Ciao… Dormito bene?- aveva smesso di chiederglielo da quando il silenzio faceva loro compagnia, a colazione. Quella mattina volle però accertarsi che tutto ciò non fosse una chimera, che davvero Sehun stava risalendo la via della guarigione. E poco importava a quanti Autogrill si fosse fermato… Bastava saperlo in cammino, bastava solo quello.

Annuì –Hai fatto tardi? Non ti ho sentito rientrare.-

-Come al solito.- buttò giù un po’ di caffè, ricacciando indietro le parole di Wu Fan che per tutta la notte lo avevano tormentato. Sehun non si tuffò in chiacchiere e Lu Han gliene fu grato. Sentiva che, quella volta, non sarebbe riuscito a raccontargli frottole e l’idea di crollare di fronte a lui, era ciò che di più snervante potesse esserci.

-E questa?- la sua confusione lo strappò ai propri pensieri, riportandolo bruscamente in quella realtà di carta velina che si sfaldava con niente. A volte bastavano poche parole, proprio come quelle due dall’altro appena pronunciante.

-Cosa?-

-Questa lettera. E’ per me…- analizzò ogni angolo e ideogramma, sussultò dopo averla letta superficialmente –Ma è una dichiarazione d’amore! Non ne ricevevo una dalle superiori!- un mix tra imbarazzo e gongolamento intaccarono il piattume della sua voce un po’ roca –Come c’è finita qua?- gli rifilò un’occhiata confusa, inclinò il capo e lo scrutò ad occhi socchiusi.

-Non ne ho idea. Probabilmente era in qualche tuo libro e non te ne sarai neppure accorto. Tonto come sei, non mi stupirebbe.-

-Non sono tonto!- si rabbuiò, lasciando che la carta che veniva stropicciata colmasse il vuoto in cui si erano gettati. Lu Han studiò ogni suo più minuscolo gesto, appoggiato al lavabo, incanalando tutto il nervosismo nelle dita che stringevano l’enorme tazza. Si chiese cosa potesse esserci di meglio che svegliarsi la mattina e trovarsi Sehun davanti, come avesse fatto a sopravvivere quando la sua figura scombinata non gli aveva dato il Buongiorno.
Era così importante che tutte le sue collezioni di Action figures, videogiochi e manga, potevano venir cestinate e a lui non sarebbe importato.
Per lui, Sehun era importante tanto così.

Si ridestò quando un –Oh, mamma…- sfuggì alle sue labbra ora serrate. Quelle parole dovevano davvero averlo tramortito, perché cadde sulla sedia con un tonfo sordo.

Lu Han respirò la bellezza di quel momento, provando un dolore lancinante a livello del petto. Se Kris fosse stato lì, probabilmente sarebbero stato orgoglioso di quella che lui reputava una puttanata colossale… Si allontanò dal lavabo, scrutandolo.

-Io vado a studiare.-

Niente…

-Poi magari mi butto dal balcone.-

Nada, nessun segnale dalla base spaziale Oh…

-Ma prima do fuoco alla casa, così non morirò da solo.-

Ma Sehun non lo ascoltava, seguiva ogni ideogramma con sempre più concentrazione, fino a che gli angoli delle labbra non si sollevarono di propria sponte.

Lu Han non riuscì a guardarlo che per pochi secondi, prima di sciabattare in camera. 
Giusto il tempo di ricordarsi quanto gli facessero bene i sorrisi genuini del ragazzo, quanto riuscissero a conficcarsi in ogni cicatrice e sanarle, ricordarsi che proprio grazie a quelli se ne era invaghito tanti anni prima.

 

Il tempo di ricordarsi che a lui, quei sorrisi, non li aveva mai rivolti.

 

 

 

[1] Videogiochi “sparatutto”.

[2] Circa 80 dollari (se non ho cannato, eh).

[3] Tipica birra cinese. E’ buonissima

 

 

Inutili note conclusive:

Il mio consiglio è: non giocate a Mario Kart per più di quattro ore consecutive immedesimandovi nei personaggi che scegliete. Finirete col venire odiati perché avete scelto Mario (everybody hates Mario, a quanto pare), insultare il vostro amico appellandolo come Baby Peach, sognare di fare una strage perché il tipo che avete tamponato vi fa una constatazione amichevole farlocca, e infine si scriveranno certi capitoli.
Ammetto che non mi dispiace, l’ho rimaneggiato talmente tanto che non avrei potuto fare di meglio. 
E niente, se vi va lasciatemi pure detto cosa vi garba e cosa no, qualsiasi tipo di critica è sempre ben accetta.
Ringrazio infinitamente dylandogs e CassidyKeynes che hanno commentato lo scorso capitolo, chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e coloro che leggono in silenzio. 
You make my days, sappiatelo.

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.

   
 
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