12) Saving You, Saving Me:
“Proprio
le condizioni atmosferiche migliori per giocare a Quidditch”.
“Non
abbiamo mai giocato contro Grifondoro col bel tempo, ma così
è esagerato!”
“Già”.
All’ennesimo tuono Rose non poté far altro che
concordare coi compagni di
squadra, mentre si limitava a spiluccare distrattamente la propria
colazione.
Aveva lo stomaco chiuso. Non
tanto per
l’ansia dovuta alla partita: essendo di natura estremamente
competitiva,
l’atmosfera di agitazione e lo stress che precedevano una
prova, sportiva o
accademica che fosse, erano per lei come una carica di adrenalina e la
rendevano incredibilmente lucida e reattiva.
A
turbarla era piuttosto il brutto presentimento di Daria. Era stato
utile,
durante quella settimana, per tenere la mente occupata, ben lontana da
pensieri
che non voleva e non doveva
fare. Però, ora che tutti i suoi
tentativi di capirci qualcosa, di scoprire a cosa si riferisse o a cosa
fosse
dovuto erano caduti miseramente nel vuoto, era rimasta solo la
frustrazione. La
frustrazione e l’ansia. Un’ansia illogica che le
impediva di godersi la
meravigliosa atmosfera del pre-partita.
Rose
si fidava ciecamente dei presentimenti dell’amica, sarebbe
stato stupido non
farlo, visto quanto si erano sempre rivelati accurati.
Quando
l’italiana le aveva confidato quanto peggiore fosse la
sensazione che la
perseguitava e che una così negativa non l’aveva
avuta mai, Rose aveva sentito
un brivido percorrerle la schiena e quell’ansia
incomprensibile attanagliarle
le viscere.
È
assolutamente
logico essere preoccupati, no?
E
non era la sola.
Daria
si aggira per
il castello con un’aura così negativa che se
incontrasse dei Dissennatori fonderebbero
all’istante un fan club in suo onore, con tanto di bandierine
colorate e
striscioni. Magari la pregherebbero pure di insegnar loro il mestiere.
“Tutto
bene, Rossa? Non è da te non fare colazione prima di una
partita”.
“Uhm..
sì tutto ok”. La ragazza si riscosse dai propri
vaneggiamenti mentali e si
sforzò di rivolgere a Moira un sorriso che sperava
credibile.
“Dovreste
davvero mangiare qualcosa. Tutti e tre. Agitarsi così
è solo controproducente”.
Continuò l’altra con tono pratico, rimproverando
con lo sguardo sia lei che
Daria e Dave. La rossa annuì e si costrinse a inghiottire
una cucchiaiata di
porridge.
Daria
non aveva voluto parlare con nessun altro di ciò che la
angosciava e Rose si
era trovata assolutamente d’accordo: era inutile far
preoccupare anche altri,
quando nemmeno loro avevano idea di che
cosa bisognasse preoccuparsi.
Allontanò
da sé il piatto colmo di cibo – non sarebbe
riuscita a ingoiare nient’altro – e
si alzò, lanciando uno sguardo all’amica.
“Andiamo?”
La
castana annuì sollevata e si alzò di scatto,
tradendo la propria nervosa
agitazione.
“Non
è un po’ presto?” Chiese Asa, inarcando
le sopracciglia, perplesso.
“Tra
un po’ dovrebbero arrivare i miei insieme agli zii e non mi
va di vederli”.
Rispose lei con la scusa pronta. Scusa che non era poi tanto una scusa:
mamma capirebbe in un secondo che
c’è
qualcosa che non va e non muoio dalla voglia di mettermi a spiegare.
Appena
furono fuori dalla Sala Grande e lontano da sguardi indiscreti, Daria
le afferrò
una mano stringendola con forza e lei rispose alla stretta senza
esitare.
Camminarono verso il campo da Quidditch in perfetto, tormentato
silenzio.
Quel
periodo per lei si era rivelato estremamente faticoso: lei, Daria,
Moira e
Domi, con l’aiuto sporadico di Lily e Molly, si erano letteralmente date i turni
per non lasciare
mai Meg sola troppo a lungo, si era data da fare per allontanarsi da
Dave e nel
contempo aveva continuato a solidificare i suoi rapporti con Moira,
aveva anche
imparato a scomparire in poco tempo ogni qualvolta si trovava in
presenza dei
due contemporaneamente e aveva fatto tutto, ma davvero tutto
ciò che era in suo
potere per tenere Scorp… Malfoy! Per
tenere Malfoy lontano dai suoi
pensieri.
E
iniziare a
chiamarlo per nome non
era d’aiuto.
Stupido
cervello.
“Rose!”
Rose
si voltò esattamente quello che sperava di non vedere: suo
padre stava
trotterellando allegramente verso di loro, seguita a poca distanza da
sua
madre. Si stampò un sorriso entusiasta, che sperava
convincente e lanciò
un’occhiata all’amica nella speranza di trovarle in
viso un’espressione
credibile. Il sorriso un po’ nervoso, ma fondamentalmente
sereno, la sorprese e
le infuse un po’ di fiducia.
Forse
abbiamo una
possibilità di superare lo sguardo che tutto vede e tutto
capisce di mamma. Io
e Moira dovremmo davvero smetterla di sottovalutare le sue doti
recitative.
“Rosie!
Daria! Pronte per la partita?”
“Buon
giorno papà”. Fece Rose con tono a metà
tra l’esasperato e il divertito. “Ciao,
mamma”. Aggiunse poi, quando lei li raggiunse.
“Ciao,
Rose. Non è un po’ presto per scendere al
campo?”
“Decisamente
sì, ma qualcuno qui era un po’ nervoso. Tanto per
cambiare”.
“Non
è colpa mia, se io non
sono fatta di
ghiaccio, Rossa”. Ribattè Daria dandole una
leggera spinta con la spalla.
Sua
madre annuì, comprensiva. “Non
c’è niente di male ad essere emotivi: io mi
agitavo tantissimo prima degli esami e tuo padre diventata pallido e
loquace
quanto un muro prima di ogni partita”.
“Visto?
Sei tu quella anormale”.
Lei
scrollò le spalle indifferente, mentre iniziava a cercare
una via di fuga da
quella situazione.
“Allora
Daria, quando pensi di venirci a trovare?”
“Beh,
Rose mi ha invitata a passare capodanno da voi e restare fino al
ritorno a
scuola”.
“Mi
sembra un’ottima idea. Un’intera settimana a
mangiare quello che cucini tu”.
Commentò suo padre, portandosi le mani dietro la nuca. Rose
avrebbe potuto
scommettere che stava già pregustando i pranzi e le cene che
Daria avrebbe
preparato per loro. Fin dalle sue prime visite, l’italiana
aveva sempre insisto
per occuparsi della cucina, ogni volta che la andava a trovare e
passava
qualche giorno a casa sua.
Inutile
dire quanto suo padre fosse entusiasta della cosa. La sua adorazione
per tutto
ciò che Daria cucinava, era seconda solo
all’adorazione per Daria stessa. La
sua amica aveva fatto subito una magnifica impressione ai suoi
genitori, che se
n’erano innamorati subito entrambi. Ma, mentre sua madre
riusciva ad essere più
discreta ed equa nel suo modo di rapportarsi con tutti gli amici dei
figli, l’ammirazione,
l’affetto e la stima di suo padre per la ragazza dagli occhi
blu erano
assolutamente palesi.
Rose
si lasciò sfuggire un sorriso, poi riportò la
propria attenzione sulla propria
volontà di liberarsi dei genitori. “Zio Harry e
zia Gin non sono venuti?”
“Sono
già saliti al castello. Noi vi abbiamo viste allontanarvi e
abbiamo deciso di
raggiungervi per augurarvi buona fortuna prima della
partita”. Spiegò sua madre
con un sorriso.
“Grazie,
ma’”.
“Sì
grazie, Hermione”.
“Mi
raccomando, ragazze, fatevi valere. E tu Rose fa vedere a quel moccioso
arrogante come si gioca veramente a Quidditch”.
La
ragazza sorrise, il fuoco della competizione vivo e fremente nei suoi
grandi
occhi azzurri. “Tranquillo, pa’. Sono il portiere
migliore di Hogwarts. Malfoy
non può competere con me”.
***
Quella
partita le sembrava infinita. Infinita ed estenuante. Il tempo mefitico
la
obbligava ad usare il triplo delle forze per restare in sella e gli
occhi le
pizzicavano brutalmente per quanto li stava sforzando. Ogni minuto che
passava
diventava sempre più difficile vedere i suoi compagni, per
non parlare della
pluffa.
L’ennesimo
tuono scosse il cielo, seguito a breve da un lampo che
illuminò a giorno il
campo da gioco. Rose poté così vedere Albus e
Daria volare parecchi metri sopra
di lei. Un raggio di speranza le risollevò il cuore per un
secondo.
Forse
hanno visto il
boccino! Proprio
mentre formulava questo pensiero la Serpeverde vide la scopa
dell’amico dare un
brusco, imprevisto scossone e il cugino perdere inevitabilmente la
presa,
precipitando nel vuoto.
I
metri che lo separavano da terra diminuivano ad una velocità
incredibile,
mentre Rose, paralizzata dal terrore, realizzava, con la
lucidità tipica dei momenti
di forte shock, che nessuno sarebbe riuscito ad intervenire in tempo.
Lei
stessa non poteva fare niente. Niente se non guardare impotente il
corpo di suo
cugino cadere sempre più giù.
***
***
Il
vento le schiaffeggiava con forza il volto, ferendole gli occhi e
ululandole
assordante nelle orecchie, mentre si cacciava in picchiata verso il
suolo, a
tutta velocità in una disperata corsa contro il tempo.
Si
stava lasciando guidare dall’occhio della mente. Non era
qualcosa che Daria
aveva deciso: quando la sua mano aveva sfiorato appena il boccino e
quelle
immagini si erano imposte nella sua testa, le sue dite non avevano
chiuso la
presa, lasciandosi sfuggire la pallina dorata, e lei aveva
semplicemente smesso
di ragionare. Smesso di opporre resistenza.
Si
stava affidando totalmente e ineluttabilmente a quelle immagini che le
infestavano la testa da settimane.
Fermò
la propria scopa all’improvviso, bruscamente, poi, senza
avere il coraggio di
guardare, allungò un braccio. Il suo cuore gioì
di sollievo, quando la sua mano
si chiuse con forza attorno a della stoffa bagnata.
Il
peso improvviso le fece urlare i muscoli e sbilanciò il suo
equilibrio. Strinse
le gambe con forza attorno al manico della scopa. Allungò
l’altro braccio ad
afferrare l’amico sotto l’ascella. Lo
sentì boccheggiare e ricambiare la presa.
Chiuse gli occhi blu per lo sforzo. Percepì ogni singola
fibra dei suo muscoli
tendersi all’inverosimile. Infine, digrignando i denti per la
fatica e aiutata
dalla disperata volontà dell’altro, lo
issò sulla propria scopa.
Era
accaduto tutto talmente in fretta, poche manciate di secondi, che il
pubblico
non sembrava aver realizzato pienamente quanto accaduto.
Anche
se così non fosse stato, Daria non se ne sarebbe minimamente
resa conto.
L’unico suono che riempiva le sue orecchie era il battito
forsennato,
irregolare di due cuori: il suo e quello di Al. Non era mai stata tanto
felice
di sentire qualcosa in tutta la sua vita.
La
presa del Grifondoro sulle sue braccia era talmente ferrea da farle
male e, considerato
quanto il suo corpo fosse indolenzito dal freddo, la ragazza era
convinta che
presto avrebbe smesso di sentirle del tutto. Non cercò di
liberarsi, non pensò
nemmeno di farlo. Le sue stesse dita erano ancora arpionate saldamente
alla
fradicia stoffa rossa della divisa dell’altro.
Respiravano
affannati, le loro fronti che si sfioravano appena e la scopa che
fluttuava
faticosamente nell’aria. Dopo un tempo infinito, o, forse,
dopo solo pochi
secondi, entrambi lasciarono la presa sull’altro. Daria
posò entrambe le mani
sulla porzione di manico tra le sue ginocchia e quelle
dell’amico, nel
tentativo di stabilizzare un minimo la scopa. Al, invece,
infilò una mano in
tasca e ne estrasse una pallina dorata grossa quanto una noce.
Sfoderò
un sorriso che forse voleva essere strafottente e compiaciuto, ma era,
in
realtà, solo debole e appena accennato.
“Te… te l’avevo detto…
c-che.. avremmo
v…vinto noi”.
Lei
gli lanciò quella che, nei suoi intenti, doveva essere
un’occhiataccia
raggelante, ma probabilmente ne era solo una pallida imitazione
tremolante.
“S…solo perché ho.. s-scelto di
salvarti la v-v..vita, …M-Mini-Potter”.
“Al!
Stai bene?” La voce preoccupata, terrorizzata di Rose li
rimise finalmente in
contatto con il resto del mondo. Dietro la rossa, tutti i giocatori di
Grifondoro e Dave si stavano avvicinando ad una certa
velocità.
“Sto
bene, sto bene”. Fece lui, sorridendo rassicurante come per
confermare le sue parole.
Il respiro finalmente normale.
Daria
lanciò un’occhiata ammonitrice a Rose e
Lily, che sembravano assolutamente intenzionate a saltare
al collo del
cugino e fratello per abbracciarlo. “Non pensateci nemmeno.
Sono appena
riuscita a riportarci in equilibrio”.
***
***
“Però
non riesco proprio a capire cosa sia successo alla mia scopa. Mi ha
disarcionato all’improvviso, senza motivo”.
“Hai
ragione, non ha senso. Le nostre scope sono in perfetto stato e dotate
dei più
potenti incantesimi di protezione in commercio”. Rose
annuì alle parole di
James: zio Harry aveva sempre avuto una strana fissazione per gli
incantesimi
difensivi delle scope dei figli.
Mamma
dice che ha a
che fare con certi traumi della loro adolescenza.
“Già,
ma dalla reazione della scopa è come se qualcuno vi avesse
castato un potente
malocchio... non c’è altra ragione per cui un
manico in perfette condizioni
avrebbe disarcionato il suo cavaliere”. Commentò
Fred, pensieroso. Rose, però,
sapeva bene che gli incanti di protezione erano troppo forti per poter
essere
spezzati da una sola persona per quanto potente.
“Gli
incantesimi di difesa erano troppo avanzati per essere superati dal
malocchio
di un solo mago. Devono essere stati almeno tre o quattro”.
Detestava
ammetterlo, ma le considerazioni di Malfoy avevano appena dimostrato
per
l’ennesima volta quanto il loro modo di ragionare fosse
simile e le loro menti
sincronizzate. Comunque
non gli avrebbe
lasciato la soddisfazione di essere l’unico ad avere
deduzioni brillanti. “Probabilmente
quattro, posizionati ai quattro punti cardinali, per attaccare la scopa
in
contemporanea da punti diversi e spezzarne definitivamente le
difese”.
“Papà
deve aver pensato la stessa cosa”. Fece James, voltandosi ad
osservare la folla
agitata degli spettatori. “Non ha permesso a nessuno di
lasciare il proprio
posto”.
Al
sospirò pesantemente. “Anche così non
penso cambierà molto. Ci sono troppe
persone perché gli auror possano interrogarle tutte. Senza
contare che non ci
sono prove per dimostrare che si sia trattato veramente di malocchio:
la mia
scopa è probabilmente andata in pezzi”.
“Hai
ragione, maledizione! Se solo avessimo un modo per restringere il
campo!”
“Quello”
Esordì Daria, che fino a quel momento non aveva proferito
parola. “forse posso
farlo io”. Si prese una breve pausa, poi spiegò.
“Si può dedurre molto dal
battito cardiaco di una persona. Quasi tutto”. Poi la
cercatrice chiuse gli
occhi e Rose alzò una mano per bloccare le proteste e le
perplessità degli
altri.
Il
fatto che Daria avesse scelto di usare il proprio udito in quel modo
lasciava
un po’ perplessa anche lei, ma si fidava ciecamente
dell’amica e del suo
giudizio. Perciò, anche se lei non vedeva come sarebbe
riuscita a distinguere
gli aggressori dal loro battito cardiaco, quando probabilmente la gran
parte
degli spettatori era agitata, aveva
l’assoluta certezza che l’italiana avesse un asso
nella manica.
Infatti
solo una manciata di secondi dopo, Daria spalancò gli occhi
blu. “Gradinata
est: posto 9, fila 15. Gradinata sud: posto 3, fila 7. Gradinata ovest:
posto
17, fila 2. Gradinata nord: posto 12 fila 20”.
Tutti
loro si voltarono di scatto nel tentativo di localizzare le persone
indicate
dall’italiana. “Ho già comunicato la
cosa al padre di Rose. Terranno in
considerazione le nostre deduzioni”.
***
***
Daria
non aveva mai apprezzato tanto come in quel momento il fatto che lo
spogliatoio
femminile di Serpeverde fosse utilizzato solo da lei e Rose, in quanto
uniche
ragazze della squadra. La situazione era la stessa anche a Grifondoro,
ma Lily
diceva sempre di non ritenersi altrettanto fortunata: lei non divideva
lo
spogliatoio con la sua migliore amica, ma con la Baston e la piccola
Potter,
per solidarietà con Rose, non aveva mai provato una grossa
simpatia per la
compagna di squadra.
Chissà
perché quel
terremoto dai capelli rossi con tutte le magnifiche cugine che ha, ha
scelto
proprio Rose e me
come sue sorelle maggiori e suoi esempi.
L’italiana
si rendeva perfettamente conto di quanto fosse strano concentrarsi su
pensieri
simili in un momento come quello. Il suo, però, era un
comportamento
assolutamente motivato: stava facendo di tutto per non vedere le
immagini che
continuavano ad affollarle la mente .
Un
gemito di fastidio e dolore le scappò dalle labbra,
richiamando l’attenzione di
Rose. “ Tutto ok, Al?”
“Solo
un po’ di mal di testa. Niente di che”. Daria scosse il capo
esasperata, mentre le
immagini si facevano sempre più difficili da ignorare. Si
sfregò gli occhi e
mugugnò con voce rotta. “Tuo.. padre ci sta
aspettando qui fuori… gli auror
vogliono… farci delle domande… Specialmente a
me..”
Rose
le rivolse un’occhiata preoccupata, probabilmente per via del
suo tono, ma non
le chiese come facesse a saperlo e l’italiana
apprezzò infinitamente la cosa:
non le piaceva mentirle. Quel giorno l’aveva fatto e
probabilmente sarebbe
stata costretta a farlo ancora, presto. Di certo avrebbe dovuto mentire
ad
altri: a breve avrebbe dovuto rispondere ad un milione di domande e non
lo
avrebbe fatto con la verità. Non poteva farlo con la
verità.
La
verità avrebbe portato solo a problemi e domande che lei non
si voleva porre, a
cui non sapeva rispondere, a cui non voleva
rispondere.
Il
fatto che tutti lì pensassero che non sapesse mentire, poi,
giocava a suo
favore. In un certo senso avevano anche ragione: la Daria che
conoscevano loro,
quella che studiava ad Hogwarts ed era un’adolescente magica
più o meno
normale, era incapace di mentire e non lo aveva mai trovato necessario.
Quello,
però, era, in realtà, solo uno dei suoi modi
d’essere: la ragazza era infatti
perfettamente conscia dell’esistenza di due
“versioni” di se stessa.
La
Daria che l’Inghilterra conosceva era una riservata ragazza
di sedici anni,
un’adolescente intelligente e tranquilla che faceva di tutto
per mantenere un
profilo basso e non attirare l’attenzione.
L’altra
versione, quella italiana, era molto meno simile ad una normale
teenager e
molto più vicina al prototipo del leader ideale, era la
sedicenne che aveva
l’ammirazione e il rispetto di un intero popolo e godeva
della massima
influenza sui maghi e sulle famiglie più potenti del paese.
Non
si trattava di due persone diverse, né, tantomeno, di due
personalità distinte,
era solo questione di necessità. Quando era lì,
in Inghilterra, poteva essere
chi voleva essere davvero, poteva avere uscite imbarazzanti, ridere,
scherzare,
arrabbiarsi. Non aveva bisogno di mantenere sempre il contegno o di
essere
sempre impeccabile. Non aveva sempre gli occhi di qualcuno puntati
addosso né
un ruolo ben definito a cui conformarsi, di conseguenza, il lato
più
controllato e Serpeverde della sua personalità non era mai
davvero venuto
fuori. Fino a quel momento.
Adesso
aveva dovuto accettare la realtà: per uscire da quella
situazione avrebbe
dovuto usare quelle abilità che di solito era ben contenta
di lasciar riposare
e di non dover usare quando era ad Hogwarts in mezzo ai suoi amici.
Avrebbe
dovuto tirar fuori quella “versione” di se stessa.
Quella
che era bravissima a mentire e a manipolare la verità, a suo
piacimento. Quella
che non avrebbe avuto problemi a rispondere a domande scomode, come ad
esempio
in che modo fosse riuscita a prendere Al o come mai avesse reagito come
se
sapesse già cosa stava per succedere. Quella che non avrebbe
avuto difficoltà a
mentire, a dire di essersi semplicemente affidata al suo infallibile
sesto
senso. Quella che non avrebbe esitato a trarre vantaggio dal fatto che
i suoi
interrogatori non avessero idea di quanto vago e approssimativo fosse
in realtà
il sesto senso degli Eredi.
“Beh,
immagino che sia normale dopo quanto è accaduto. Sono sicura
che non sarà
niente di duro o traumatico”. Rose le passò un
braccio sulle spalle e Daria
trasse un profondo respiro, mentalmente pronta ad affrontare qualunque
domanda
decidessero di porle. Varcarono la soglia dello spogliatoio assieme,
ciascuna
presa dai propri pensieri.
Ron
Weasley le stava aspettando lì fuori. Aveva
un’espressione preoccupata, ma
quando le vide uscire sorrise rassicurante. Le salutò con
calore e cominciò a
sommergerle di parole entusiaste. Daria non ne ascoltò
nemmeno una.
Il
suo cervello veniva bombardato sempre più intensamente da
quintali di immagini,
che le scorrevano davanti agli occhi come un fiume in piena.
Più cercava di
ignorarle, più loro aumentavano ed erano così
tante e coì vorticose da causarle
un profondo e intenso mal di testa.
Se
continua
così, non so quanto reggerò ancora.
***
***
Suo
padre le aveva condotte in una stanza del castello dove, insieme al
resto della
loro squadra e a quella di Grifondoro, avrebbero aspettato di essere
interrogate. Daria era stata l’ultima ad essere chiamata
nella stanza
adiacente, in cui Alaric Jones, un compagno di squadra di suo padre, e
un altro
auror che Rose non conosceva, avevano posto loro le domande del caso. I
primi a
venir chiamati erano stati i giocatori meno coinvolti con gli eventi
della
mattina: quasi tutti i serpeverde e la Baston.
Nella
stanza spoglia, ad aspettare che l’italiana finisse erano
rimasti in otto: lei,
Dave, Albus, Lily, James, Fred, Hugo e Malfoy.
Rose
sospirò pesantemente. Le attese non le erano mai piaciute
particolarmente, ma
quella volta era anche peggio del solito. Sentiva di stare per
esplodere. Lo
shock, l’ansia, il terrore che si era tenuta dentro fino a
quel momento
minacciavano di uscire. Non sarebbe riuscita a mantenere il controllo
ancora
per molto e non aveva la benché minima intenzione di
perderlo in presenza di
altre persone, nemmeno di Daria o Al. Allo stesso tempo,
però, voleva aspettare
che l’amica tornasse: si era resa conto che nemmeno lei
sembrava pienamente in
controllo di se stessa.
Quando
mio padre ci
ha accompagnati qui, non ha detto una sola parola e penso che non abbia
sentito
nulla di ciò che abbiamo detto noi. Non è da lei,
estraniarsi così dalla
conversazione.. ha fatto preoccupare persino pa’..
“Non
ci stanno mettendo un po’ tanto? Daria sarà
lì dentro da almeno dieci minuti”.
“è
normale”, rispose Rose con la sua solita logica. In quel
momento era l’unica
cosa, insieme al suo orgoglio, a cui la ragazza poteva ancora
aggrapparsi per
continuare ad apparire tranquilla. “Dopotutto è
stata lei a dedurre l’identità
dei sospettati”.
Gli
altri annuirono nervosamente al suo ragionamento. Erano tutti agitati e
sul chi
vive. Ciò che era accaduto durante la partita li aveva
scossi tutti
profondamente.
Per
assurdo, l’unico ad apparire calmo era Al. Ma,
d’altra parte, era anche l’unico
che non era stato trascinato lì direttamente. Quando era
sceso dalla scopa di
Daria l’avevano portato immediatamente in infermeria per
controllare che fosse
tutto a posto.
Rose
immaginava ne avesse approfittato per sfogarsi: quando erano ancora in
cielo a
fare deduzioni gli occhi di suo cugino erano spalancati, le pupille che
vagavano erratiche. Non c’era stato bisogno di essere un
medimago per capire
che si trovava sotto shock.
La
stessa cosa che
succederà a me di fronte a tutti, se Daria non si sbriga a
tornare.
Proprio
mentre formulava questo pensiero, la porta si aprì
lentamente. L’espressione
controllata e indifferente della ragazza cadde non appena i suoi occhi
blu si
posarono sui volti preoccupati dei suoi amici.
Rose
la vide cercare di forzarsi un sorriso tranquillo in viso e fallire,
prima che
le sue palpebre si chiudessero e le sue gambe cedessero, facendola
cadere a
terra. Albus che era il più vicino la afferrò
prima che toccasse il pavimento.
La
ragazza dai capelli rossi rimase per qualche secondo immobile a fissare
l’amica
svenuta.
Stava
combattendo una dura battaglia interiore. Lo shock minacciava di avere
la
meglio su di lei.
No!
Non adesso!
Manterrai il controllo ancora per qualche minuto! La tua migliore amica
ha
bisogno di te!
Si
avvicinò ad Albus che teneva Daria tra le braccia, con
un’espressione sorpresa
e preoccupata in volto. Mai preoccupato quanto il fratello che lo
sovrastava
continuando a ripetere il nome dell’amica, come una chioccia
agitata. Rose gli
schioccò le dita sotto al viso per attirare la sua
attenzione. “Così non
l’aiuti, Jam”.
“Come
fai a restare così calma? La tua migliore amica è
appena svenuta!”
Calma?
CALMA James?
Ma se sto dando fuori di testa! “Cerco
solo di comportarmi nel modo più utile
per lei”. Giusto devi esserle utile
e poi
dartela a gambe per perdere il controllo da qualche parte dove nessuno
possa
vederti.
La
guardò più da vicino e le posò una
mano sul viso, toccandole la pelle ghiacciata,
la strana sensazione che la sua energia venisse risucchiata la
colpì
all’istante, strappandole un sospiro sollevato. Era una
reazione che conosceva
bene quella. “Non è nulla di grave. Svenimento da
abuso di poteri”. Mormorò
riportando lo sguardo su James. “Se non volete finire come
lei vi consiglio di
non toccare la sua pelle nuda”.
“Eh?”
“In
questo momento il suo corpo è affamato di energia. Se
toccate la sua pelle nuda
assorbirà la vostra”.
“Stai
scherzando spero? La mia Daria non è una specie di mostro
succhia-energie!”
“Mai
detto questo James. Senti è complicato.. lei ti
saprà spiegare meglio”.
“D’accordo.
Quindi come la aiutiamo?”
Rose
sospirò ancora alla giustissima domanda di Albus. Quella
proprio non ci voleva.
“Dovrò andare nel nostro dormitorio. Daria tiene
una boccetta di essenza di
mare nel baule proprio per casi come questo”.
“Essenza
di mare?” Chiese la voce di Lily da dietro di lei. Rose
lanciò una rapido
sguardo alle proprie spalle e solo in quel momento si rese conto che
tutti gli
occupanti della stanza si erano radunati attorno a loro.
“Già
l’odore del Mar Mediterraneo la aiuta a riprendersi in questi
casi”. Poi,
precedendo le loro domande, aggiunse: “Anche questo
è complicato. Vi spiegherà
tutto lei”. Si raddrizzò preparandosi a scendere
fino ai sotterranei per
prendere la boccetta.
Spero
solo di
arrivarci
“Allora
non c’è bisogno che tu vada, Rosie”. La
voce del cugino la bloccò sul posto e
portò la Serpeverde a voltarsi per guardarlo. Al aveva
piegato le gambe per
riuscire bilanciare meglio il proprio peso e quello della ragazza e
poter
passare un braccio sotto le ginocchia dell’amica. Mentre
l’altro braccio andava
a circondarle la schiena tirando il corpo dell’italiana
più vicino a quello del
Grifondoro.
“Senza
offesa, Albus, ma penso proprio che ce ne sia bisogno, eccome. Tu di
certo non
puoi entrare nel dormitorio femminile
di Serpeverde”.
Pure
aggressiva!
Andiamo bene, rossa! Mi dicono che questa cosa del mantenere il
controllo sta
funzionando davvero alla grande.
“Non
è per quello, Ros… è che ho lo stesso
odore del suo mare”. Poi Albus abbassò lo
sguardo sulla ragazza che teneva tra le braccia, negli occhi un misto
di
dolcezza, preoccupazione e orgoglio, e aggiunse quasi in un sussurro.
“Almeno
stando a quanto dice lei”.
Rose
abbandonò improvvisamente la posa aggressiva. “Ah
bene. Allora te la affido”.
Poi raccolse la sua borsa da terra ed uscì, fuggì
dalla stanza. Talmente di
fretta da non rendersi conto di essere seguita.
***
***
La
prima cosa che Daria realizzò riprendendo conoscenza fu
l’intenso profumo di
acqua di mare.
La
seconda che qualcuno stava sfiorando le sue labbra con le proprie.
Da
questi due dati la mente annebbiata della ragazza dedusse la terza: Al
la stava
baciando.
Un
secondo dopo, quando Albus si allontanò dal suo viso, Daria
dovette reprimere
un mugugno infastidito. Era piacevole! Più per
l’energia che quel contatto le
stava fornendo che per il contatto in sé, certo. Ma restava
il fatto che fosse
piacevole.
Poi
cominciò un dondolio cadenzato e Daria prese coscienza anche
delle braccia che
la stavano sostenendo.
Ah
sta
camminando con me in braccio. Per andare dove?
Dopo
qualche altro secondo la serpeverde decise che quello era qualcosa che
non
sarebbe riuscita a dedurre da sola, perciò
spalancò gli occhi scuri, battendo
le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco la
sagoma del
ragazzo che la teneva tra le braccia.
“Mini-Potter?”
Lui
smise di camminare e abbassò lo sguardo a incontrare il suo.
“Ben svegliata, De
Lupo”. Poi incurvò le labbra in un sorriso dolce e
sollevato che la fece
sorridere a sua volta.
“Dove
mi porti di bello?”
“Nel
tuo dormitorio”. Rispose, lui senza distogliere lo sguardo.
Poi, le rivolse una
smorfia di rimprovero, smorzata impietosamente dai suoi grandi occhi
verde
chiaro che riflettevano ancora troppo sollievo per poter essere davvero
ammonitori. “Pare che qualcuno qui abbia esagerato un pochino
con certi poteri
particolari”.
La
Serpeverde sbuffò e si mosse a disagio tra le sue braccia.
Era vero, ma non
l’aveva fatto volontariamente.
Dall’istante
in
cui mi sono affidata a loro per salvarti, quelle maledette visioni non
mi hanno
dato tregua. Ho visto così tante cose, volti e
scenari… anche solo ripensarci
mi fa girare la testa.
Le
immagini avevano continuato a vorticarle impetuose ed impietose nella
mente,
senza controllo. Susseguendosi con una tale rapidità che, se
anche avesse
voluto, non sarebbe riuscita a vederne comunque nessuna. Ma lei non aveva voluto e continuava a non volere, quindi almeno quello andava
bene.
Per
lo meno
adesso pare che abbiano deciso di lasciarmi in pace.
“Immagino
sia stato tu a prendermi, quando sono svenuta”.
“Ho
ricambiato il favore”. Scherzò lui con uno dei
suoi sorrisi smaglianti.
Daria
scosse il capo, sorridendo a sua volta, e allungò una mano
per lasciargli una
carezza sul viso. La pelle di Al era più liscia e morbida di
quanto si
aspettasse e l’italiana sentì le proprie dita
formicolare piacevolmente.
“Grazie”. Sperava davvero che i suoi occhi
riuscissero a trasmettergli tutta la
sua gratitudine e il suo sollievo a saperlo sano e salvo. Quelli verdi
di Al ci
riuscivano benissimo, con un’intensità tale da
costringerla a stemprarla e ad
abbassare lo sguardo. “Ora puoi mettermi
giù”.
“E
vederti svenire di nuovo? No, grazie. Preferirei non ripetere
l’esperienza”.
La
ragazza spostò la mano dal suo viso, riportandosela in
grembo, e risollevò gli
occhi blu ad incontrare quelli dell’altro. Sulle labbra
carnose spiccava un
malizioso sorrisetto di sfida. “Uff, e io che volevo farti un
favore! Darti
un’altra occasione per farti bello ai miei occhi e poi
baciarmi mentre sono
incosciente”.
Spostò
di nuovo lo sguardo: non aveva bisogno di vederlo per sapere che era
appena arrossito
impietosamente. Se c’era una cosa che aveva imparato in quel
mese e poco più di
amicizia, era che Albus nei rapporti con l’altro sesso era
imbranato quasi
quanto lei.
Non
so fino a
che punto si sia spinto con Viperanda, ma tanto in là non
devono essere andati.
Lo imbarazzano le stesse cose che imbarazzerebbero me… che
imbarazzano me. Si
corresse,
sentendo il rossore salirle alle guance, mentre si rendeva conto che
quella
particolare realizzazione le faceva un po’ piacere.
“Comunque
dico sul serio. So di essere pesante, non è il caso che ti
sforzi
ulteriormente. Posso camminare, davvero”.
“Se
lo permettessi, poi verrei torturato e ucciso da almeno quattro o
cinque
persone. Vedila così: è il mio modo per
dimostrarti che dovresti smetterla di
chiamarmi “Mini-Potter””.
“Sai
che non accadrà mai, vero?” Controbatté
lei, prendendolo in giro.
Suo
malgrado, però, doveva ammettere che non stava male, anzi.
Farsi portare in
braccio da lui era piacevole. E caldo.
Aveva
sempre adorato sia il Quidditch che le arti marziali, ma non ne aveva
mai
apprezzato così tanto gli effetti.
Sentiva
un confortevole calore irradiarsi dalle sue ginocchia e dalla sua
schiena e
tutto il suo corpo sembrava perfettamente, sorprendentemente
consapevole sia di
ogni singolo, minuscolo punto in cui era in contatto con quello del
Grifondoro,
sia di tutti i muscoli che permettevano all’amico di reggere
il suo peso.
Quando
lui riprese a camminare lentamente, Daria si mosse appena per cercare
una
posizione più comoda tra le sue braccia. Finì col
posare la testa nell’incavo
del collo del ragazzo, il colletto della sua camicia che le solleticava
lievemente
la guancia. Chiuse gli occhi, strofinando meglio il naso contro la sua
pelle
per respirarne più a fondo l’odore, e
lasciò che una sua mano si posasse sul
petto del Grifondoro, alla stessa altezza del cuore.
Daria
non seppe mai dire se, a tranquillizzarla, fu il battito regolare del
ragazzo,
o i muscoli ben delineati su cui poggiavano le sue dita. Forse furono
entrambi.
***
***
Rose
non era riuscita ad andare molto lontano, aveva svoltato appena un paio
di
angoli, prima che il tremore cominciasse. Spasmi incontrollati
continuavano a
scuoterle tutto il corpo, con violenza.
“Maledizione”. Sputò tra i denti,
mentre tentava invano di impedirgli di battere. Chiuse i luminosi occhi
azzurri, lasciò cadere la borsa atterra e strinse le braccia
attorno al corpo.
Maledizione!
Maledizione! Maledizione!
Non
riusciva a cancellarsi dalla memoria l’immagine del corpo di
Al che cadeva
inerte e ogni volta che lo visualizzava sentiva anche la stessa
impotenza che
aveva provato in quel momento di fronte alla quasi morte del suo
migliore amico
e cugino. Pensare
alla propria
disarmante incapacità di reagire, di fare qualcosa per
salvarlo la riempiva di
terrore e rabbia e portava a quegli stupidi, maledetti spasmi.
Se
non fosse stato
per la prontezza di Daria, Al non sarebbe qui. Mio cugino sarebbe qui.
Era
l’unico pensiero che la sua mente spezzata riusciva a
formulare e continuava a
tormentarla a ciclo continuo.
Ha
rischiato di
morire. È quasi morto.. morto.. mio cugino. Albus, morto.
No!
Sta bene. Daria
l’ha preso.
Daria…
Daria è
svenuta! Albus quasi morto.
Albus
cadere sempre più giù. Il suo corpo inerme
avvicinarsi velocissimo,
inarrestabile al terreno. Daria cadere anche lei, svenire. Al perdere
la presa,
precipitare.
NO!
BASTA! BASTA! Stanno
bene, loro stanno bene
Ma
gli spasmi continuavano, facendosi sempre più forti e Rose
sentì gli occhi
pizzicare: calde lacrime premevano per uscire.
Proprio
credeva di essere sul punto di rompersi, di spezzarsi in milioni di
minuscoli
frammenti, un paio di braccia calde e solide la avvolsero da dietro,
impedendole di andare in frantumi.
Nonostante
il tremore e lo stato emotivo disastrato, Rose riuscì a
girare rapida su se
stessa e a dare uno spintone al ragazzo, allontanandolo da
sé. Con gli occhi
lucidi di lacrime che non avrebbe lasciato uscire, la Serpeverde mise
lentamente a fuoco la sagoma di un ragazzo biondo, bello come il
peccato.
Scorpius
Malfoy la stava guardando, la pallida fronte corrugata in quella che
sembrava
essere un’espressione preoccupata. La mente di Rose, troppo
scossa per
sorprendersene o per leggerne le altre sfumature, riuscì
solo a realizzare che,
per quanto il suo corpo bramasse quell’abbraccio, il ragazzo
di fronte a lei
era l’ultima persona sulla faccia del pianeta da cui avrebbe
voluto farsi
vedere in quello stato.
“Rose”.
Il suo nome pronunciato con quella dolcezza ed attenzione dalle labbra
di
Malfoy, la scosse dentro causandole l’ennesimo brivido.
Ciò nonostante, la Serpeverde
riuscì a tirar fuori abbastanza voce da mormorare
“Vattene”.
Il
ragazzo scosse il capo, senza spostare gli occhi grigi dalla sua figura
tremante, e sollevò entrambe le mani chiuse a pugno.
“Guarda”.
Lei
lanciò una rapida occhiata, incuriosita e rimase a bocca
aperta. La mano
sinistra del biondo era coperta di escoriazioni e graffi sulle nocche,
piccole
croste coprivano dei tagli che, pur non essendo profondi, dovevano
causare
dolore e fastidio e la pelle tutt’attorno era arrossata ed
irritata. Il pugno
destro verteva in condizioni ancora peggiori: dalla nocca
dell’indice a quella
dell’anulare non c’era nemmeno un millimetro di
pelle, la carne nuda era
esposta e, anche se aveva smesso di sanguinare, la crosta sembrava
essere ben
lungi dal formarsi.
“Ciascuno
sfoga lo shock a modo proprio. Tu tremi, io prendo a pugni i
muri”.
“Bene,
vedi di andarlo a fare da un’altra parte”. Quello
che nelle sue intenzioni
doveva e voleva essere un sibilo minaccioso, in realtà le
uscì solo come un
misero, flebile sussurro.
“Avanti,
voglio solo aiutarti Weasley”.
Lei,
incapace di parlare senza cominciare a balbettare in modo sconnesso,
scosse
violentemente la testa e fece un passo indietro.
Il
Grifondoro trasse un profondo respiro, poi fissò gli occhi
grigi in quelli
azzurri della ragazza. “Ti prego, Rose. Non posso…
non riesco a vederti così. Ti
prego”.
Lei
testarda, scosse ancora il capo, andando contro a ciò che il
suo corpo e la sua
mente annebbiata e scioccata le stavano chiedendo. L’orgoglio
unico baluardo
alle sue difese.
“Quando
ti sarai ripresa ti concederò di obliviarmi. Sarà
come se io non ti avessi mai
trovata, come se nessuno ti avesse mai vista in queste
condizioni”.
A
quelle parole gli occhi chiari della Serpeverde si spalancarono, mentre
anche l’ultimo
minuscolo brandello di resistenza andava in pezzi.
Scorpius
Malfoy fece un paio di passi verso di lei, fino ad azzerare la distanza
che li
separava, poi avvolse la ragazza tremante tra lei sue braccia. Rose,
scossa
dagli spasmi, passò le proprie dietro la schiena del biondo,
aggrappandosi disperatamente
alle sue spalle per restare in piedi, per evitare di andare in frantumi.
Mi
scuso moltissimo per il ritardo. Ho avuto i miei
motivi, ma questo non giustifica un’assenza così
prolungata. Spero solo che
questo capitolo, possa rimediare almeno in parte. E giuro che il
prossimo è già
in cantiere e non dovrei impiegarci troppo ad aggiornare di nuovo.
Ah
qualche tempo fa ho scritto due flashfic POV
Alvus e POV Scorpius ambientate nel capitolo 10 se vi va di dare
un’occhiata
queso è il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1480746&i=1
Un
bacio
AiraD