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Autore: wilderthanthewind    01/11/2013    0 recensioni
Raccolta di fanfic che vede protagonisti Andy Taylor e la sua ragazza Ebony Wilder in episodi di fluff estremo.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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CENTO LIRE


La malinconia degli asfalti e degli edifici in cemento, armonizzati nella loro scala di grigi, era mascherata dai colori del millenovecentottantaquattro. Ragazze sfoggianti la loro bionda chioma, ondulata e spumeggiante, labbra rosso fuoco e ingombranti orecchini abbinati accuratamente a ombretti appariscenti, popolavano le tristi strade di Milano, riempiendole di un allegro brusio, nel quale, porgendo attenzione in un momento di noiosa solitudine, si potevano distinguere risatine e gridolini un po' trattenuti, non appena passava un gruppo di ragazzi piuttosto popolari.
Superò la folla Ebony, assorta nei suoi pensieri. Nei timpani si fondevano i suoni dei sintetizzatori e delle chitarre elettriche, non fluidamente tuttavia: ad Ebony capitava così spesso di addentrarsi in assembramenti di ragazze rumorose e di ragazzi troppo vanitosi che ormai la vita della piccola musicassetta che ogni volta ascoltava stava giungendo al termine.
Ebony non aveva tempo da perdere con ragazzi dai capelli leccati e i piumini fosforescenti. E camminava a passo svelto per le tristi strade di Milano, e spiccava nella folla, chissà se per il suo aspetto un po' insolito e in tinta con gli asfalti e gli edifici di cemento, o per la sua eleganza. E chissà cosa pensavano di questa ragazza dai lunghi capelli castani, che di biondo avevano soltanto il vago riflesso del sole, sebbene bellissimo. Questa ragazza, con un largo maglione acquistato l'anno precedente al mercato di un piccolo paese in provincia, con i braccialetti di cuoio ad emanare ricordi grigi come gli asfalti e gli edifici di cemento, con gli occhi brillanti e quasi lucidi senza l'ausilio di strane polveri vistose.
Ebony si addentrò nell'unico luogo in cui riusciva ad apprezzare luci, colori e suoni di ogni tipo: un locale di giusta ampiezza, arredato non di tavoli, divani oppure armadi, bensì di numerose macchine a gettoni poste all'interno di allettanti cabinati. «Benedetto il tizio che ha inventato questa roba», disse tra sé e sé la ragazza compiaciuta, estraendo dalla sua profonda borsa a tracolla un astuccio colmo di monete da cento lire. Alleggerito il bagaglio del piccolo patrimonio lo lasciò cadere ai piedi della sua postazione, pronta ad iniziare una nuova partita. Ormai, all'ingresso della sala giochi, non era nemmeno preoccupata di trovare impegnato il suo videogioco preferito: non v'era alcun addetto o giocatore che non la conoscesse già, né che non ricordasse alla perfezione a che ora si presentava ogni giorno e quale postazione occupava. «Eh, Space Invaders...», sospirava il proprietario della sala ai suoi dipendenti, vedendola arrivare. Come biasimarla, del resto?
Secondo Ebony, non c'era nulla di meglio che uccidere in modo semplice e divertente - e soprattutto legale - masse di... insomma, quel ch'erano. Questo poteva definirsi un degno millenovecentottantaquattro! Altro che quelle brutte copie di Madonna. Quel familiare suono elettronico ad ogni colpo sparato, la rilassava; quei pixel sgargianti, la divertivano. Ah, il millenovecentottantaquattro. Già, come biasimarla?
Si udì una serie d'improperi a non grande distanza, talmente improvvisa che attirò l'attenzione di Ebony, la quale si voltò sorpresa del forte grido, e lasciando la sua navicella nelle mani dei mostriciattoli nemici. Alla ragazza sfuggì un «Uh!» impercettibile, alla vista del proprietario di quella voce così potente: un ragazzetto dai vispi occhi blu, blu come il cielo in un giorno di sole, come l'oceano brillante, come il fantasmino che inseguiva sempre Pac Man; le labbra sottili contratte in una smorfia di rabbia, i lunghi capelli neri legati in una coda morbida. Un'abbondante giacca rossa, le cui maniche erano state alzate fino ai gomiti in modo che gli avambracci stessero in mostra, copriva una canotta nera un po' rovinata e non ben rifinita al collo. Dunque notò due, o tre, braccialetti di cuoio al polso destro.
Ebony afferrò la sua borsa e con essa il portamonete, e decise di abbandonare la postazione prima del previsto, nonostante la sorpresa di tutti, per avvicinarsi al ragazzetto dagli occhi blu come il cielo in un giorno di sole, come l'oceano brillante, come il fantasmino che inseguiva sempre Pac Man. Divertita gli chiese se c'era qualcosa che non andasse, e il ragazzetto rispose, non mancando di ingiurie, di aver smarrito il suo denaro. Questo tipo deve venire da qualche quartiere malfamato, pensò Ebony sempre più interessata alla faccenda. Il ragazzo continuò imperterrito a condire le sue furie con bestemmie di vario tipo, apparentemente incosciente di aver attirato l'attenzione dell'intera sala giochi. «Oh! Il piacere è tutto mio», lo prese in giro lei, sul punto di scoppiare in una risata fragorosa; sul punto di dimenticare quelle catene di ricordi che le stringevano i polsi. E chissà se quel ragazzo avrebbe mai avuto la consapevolezza d'esser stato così fortunato a vedere la bellissima fanciulla sorridere sebbene non fosse costretta. «Dio, scusa», disse finalmente con un tono quieto, sfoggiando un dolce sorriso contagiato dalla gioia della giovinetta dai lunghi capelli castani. «Io... Io sono Andy», e le porse la mano. Ebony pensò che si trattasse di mani davvero perfette: parevano morbide e rassicuranti; sì, morbide, sebbene ricoperte di calli e vesciche. Tuttavia ella trovava nelle mani incallite un certo fascino; le considerava impresse di esperienze e passioni.
«Ebony. Suoni?»
«Sì», mormorò, intento a sistemarsi il cerotto che gli avvolgeva l'anulare.
«E così i tuoi soldi...»
«Già...»
«Guarda qua», sussurrò indicando il suo borsellino. «Ho iniziato a giocare da poco. Possiamo dividercele»
«Ma non ci conosciamo nemmeno...»
«Come no? Ti chiami Andy, sei un idiota che perde soldi per strada e... e anche tu... oh, sono dispari. Tieni tu quella in più»
«No, mi hai già dato settecento lire, non avresti dovuto...»
«Non ti facevo così educato...»
«Vaff... vaffambagno!»
«Come non detto!»
«Dovresti apprezzare i miei sforzi. Tieni», replicò porgendole la moneta da cento lire.
La gentile e generosa ragazza rifiutò: si convinse che alla lunga avrebbe addirittura trovato noiosi quei videogiochi. Assurdo, avrebbe definito un comportamento del genere, soltanto poche ore prima.

Per Andy i videogiochi erano puro divertimento.
Per Andy erano una vera e propria passione.
Erano una droga.
Una fuga.
Nelle sue pupille luccicanti il perenne riflesso dello schermo luminoso; colori che si muovevano sempre più velocemente, immagini che si scomponevano e si ricomponevano.
Le sue mani ormai sudate si muovevano agevolmente sul joystick e i lunghi capelli erano ormai disfatti dell'elastico logoro che li reggeva.
Imprecò nuovamente (tuttavia, per quanto ne fosse in grado, con prudenza: voleva apparire decentemente, sebbene neanche egli stesso sapesse spiegarsene il motivo, alla graziosa ragazza dai capelli scuri): aveva perso la partita. Infilò una mano nella tasca ed estrasse l'ennesima moneta da cento lire, realizzando dunque che si trattava dell'ultima, nonché quella donatagli da Ebony: la moneta dispari. La osservò con cura. Sfiorò con le dita rovinate le vesti, leggermente in rilievo, della bella e saggia Minerva, che nel suo elmo ed impugnando una lunga lancia, protendeva una mano verso una pianta d'alloro. In basso, quasi nascosto, era inciso l'anno di produzione: 1978. Nel momento in cui lo notò, nella sua mente si scatenarono i ricordi di un'intera vita, i ricordi di una felicità perduta poi col passare del tempo, e la nostalgia lo avvolse. Il suo sguardo calò sul polso destro, adorno dei braccialetti di cuoio.
Una voce ormai familiare lo riportò alla realtà: «Io vado», fece Ebony, raccogliendo la sua borsa e riponendovi gli ultimi oggetti che aveva tirato fuori. Vedendola allontanarsi, Andy decise di seguirla: s'incamminò verso l'uscita della sala giochi e conservò la moneta in tasca, infilandovi poi le mani fredde. Non ebbe il tempo di superar l'uscio che la sua attenzione fu attirata da un luccichio: si trovava, sulla pavimentazione della strada, una moneta; a giudicare dalla raffigurazione della dea della guerra, da cento lire. Futile sarebbe descrivere la sorpresa che illuminò i suoi occhi blu; ad ogni caso egli non perse un secondo per raggiungere la ragazza ed introdurre la monetina con furtività e prontezza nella sua borsa.
«Ehm... domani, Space Invaders, ore diciotto?»
«D'accordo. Porterò il doppio dei soldi»
«No...», la guardava accigliato. «Io... io ti... a modani, cioè a domani volevo dire»
«Ti a modani anche... ehm, a domani»

La malinconia degli asfalti e degli edifici in cemento, armonizzati nella loro scala di grigi, era mascherata dai sorrisi timidi, dalle gote rosse e dalle farfalle nello stomaco del millenovecentottantaquattro. Ebony aprì la sua borsa e trovò la moneta da cento lire: sul suo viso apparve un sorriso smagliante, i suoi occhi sprigionavano urla di gioia. Il cielo era nuvoloso, coperto delle insicurezze e dei ricordi grigi erranti: ora i polsi della fanciulla, liberi dei braccialetti di cuoio, non emanavano altro che una gradevole fragranza alla vaniglia. E camminava a passo svelto per le tristi strade di Milano, e spiccava nella folla, di certo per la luce che risiedeva in lei.
Dall'altro capo del viale giungeva, camminando a passo svelto, questo ragazzetto dagli occhi blu come il cielo in un giorno di sole, come l'oceano brillante, come il fantasmino che inseguiva sempre Pac Man. Quegli occhi che splendevano come non mai quel pomeriggio, il cuore pieno di qualcosa di bello, un qualcosa che neanche egli stesso sarebbe stato in grado di definire; e non era di certo l'unico motivo per cui guardandolo, quel giorno, si avrebbe avuto l'impressione che avesse qualcosa di diverso. Dunque ci si sarebbe resi conto che non si trattava semplicemente di un'impressione, c'era effettivamente qualcosa che mancava: i braccialetti di cuoio.

  
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