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Autore: KiraGiuls    01/11/2013    2 recensioni
Austin Carlile, Vic Fuentes, Oli Sykes, Ben Bruce e Danny Worsnop si incontrano dopo un anno dalla scomparsa di Mitch Lucker.
Scusatemi se è scritta malissimo, ma è solo frutto di tristezza e fretta e agitazione.
Spero vi piaccia :)
Fu come tornare bambini e, per qualche secondo, Austin, Danny, Ben, Oli e Vic seppero che Mitch era lì con loro, che li abbracciava e li portava sempre nel cuore.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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1st NOVEMBER 2013-11-01

 

 

h 6:17 a.m. – CANTERBURY

Ben smise di fissare l’orologio digitale attaccato al muro. Esattamente a quell’ora, Mitch gli aveva stretto le mani per l’ultima volta, e aveva chiuso i suoi occhi truccati per sempre. Aveva pianto mentre le infermiere coprivano il suo corpo tatuato con il telo bianco. Lui, che non piangeva mai, si era reso quasi ridicolo, rannicchiato nell’angolo di quella stanza d’ospedale, senza la forza di alzarsi né il coraggio di affrontare la crudele e fredda realtà dei fatti.Mitch non si sarebbe più svegliato. In un sordo scatto d’ira era uscito dalla camera bianca e si era avventato contro quel dannato motociclista. Non aveva senso che lui, un qualsiasi ragazzo di venti anni caduto dalla moto dall’altra parte della città, se la fosse cavata con un braccio rotto e qualche graffio mentre nessuno avrebbe più potuto godere della risata di Mitch Lucker, dei suoi scream alternati alla più bella voce presente su questo pianeta. Non era giusto! Voleva fare male a quello stupido uomo inutile, picchiarlo, ucciderlo. Nella fredda luce del neon l’aveva sbattuto contro il muro e aveva iniziato a schiaffeggiarlo violentemente mentre le lacrime gli bruciavano gli occhi. Le infermiere avevano dovuto sedarlo, per evitare il peggio. Quando si era svegliato, Danny gli aveva portato un abito scuro, lo aveva fatto cambiare e poi avevano chiamato un ragazzo della crew per avvisarli che sarebbero tornati più tardi.

Un movimento al suo fianco lo riportò bruscamente al presente. Danny si sedette di fianco a lui scrutando il fondo del bicchiere. Aveva ordinato un Queensland Diesel, come faceva sempre anche Mitch. Il dolore era palpabile tra i due amici: solo un anno prima festeggiavano il compleanno di Ben tutti insieme, e poi tutto era finito nel giro di pochissime ore.

Ben si girò piano verso Danny, e lo fissò per un momento negli occhi.

“Andiamo.” Disse semplicemente l’altro. I due si alzarono, lasciarono qualche sterlina sul bancone e uscirono. Poco dopo una hostess abbastanza carina augurò loro buon viaggio e cercò di convincerli a scegliere il Kent’s International Airport di Manston anche per i voli a venire.

 

 

h 8:45 a.m. – COSTA MESA (CA)

Attento a non sgocciolare fuori dal lavandino, Austin lavò via gli ultimi residui di schiuma da barba e si asciugò il mento. Si passò una mano sul viso e scese sul collo, accarezzando i disegni d’inchiostro incisi sulla pelle. Girò la testa quel tanto che bastava per vedere la rosa riflessa nello specchio. Si ricordava benissimo quel giorno in cui Mitch l’aveva praticamente trascinato dal tatuatore, e tutte le volte che gli chiedevano che bisogno c’era di tatuarsi una rosa sul collo il suo cuore perdeva un colpo. Lo sguardo si posò sui trucchi usati la sera prima, in occasione di Halloween. Si era truccato come lui quella notte, ma poi le lacrime avevano rovinato tutto. The dead are living. Sì, lui viveva, viveva ancora nel suo cuore, in quello dei ragazzi e di tutti i fan, nessuno l’aveva mai dimenticato, e anche se poi i Suicide Silence avevano trovato un nuovo cantante e pubblicato l’album, facevano concerti e i loro fan crescevano a vista d’occhio, come il reddito di ognuno di loro, niente era più tornato come prima. Mitch mancava a tutti, eppure Austin era convinto che nessuno avrebbe mai sofferto come lui. Quel giorno avrebbe camminato fino all’Harbor Lawn-Mount Olive Memorial Park, e ci si sarebbe fermato con una bottiglia di rum, per ricordare tutte quelle notti passate nei pub più squallidi e poi in giro per le strade della California a fare i coglioni.

Sospirò.

“Mi manchi ogni fottuto giorno, fratello.”

 

 

h 2:20 p.m. – LOS ANGELES

Stravaccato sul sedile posteriore del taxi giallo, Oli guardava il paesaggio scorrere veloce fuori dal finestrino. Annoiato, sbloccò lo schermo del telefono e controllò i messaggi e poi le notifiche di twitter per, tipo, la centododicesima volta. Nulla. “Ma si può sapere che senso ha farsi adorare dalle folle se poi nel momento del bisogno non c’è mai nessuno?” si chiese, ironico. Si era perso, un’altra volta, nelle vie di Los Angeles, e la sua salvezza dipendeva unicamente dal 37% di batteria rimanente nel telefono.

Senza neanche sapere come si ritrovò a sfogliare le immagini, una dietro l’altra, prestandoci poca attenzione finché non arrivò ad una foto in bianco e nero scattata qualche mese prima. La vista gli si appannò improvvisamente, e lacrime di nostalgia e dolore gli colarono sul viso. Erano lui e Mitch, il suo amico Mitch che lo trattava sempre come fosse un bambino nonostante i soli due anni di differenza, in quella foto, sorridenti come non mai, pieni di tatuaggi e speranza, insieme. Dopo solo due giorni, Oli gli si era affezionato moltissimo, e viceversa. Non avrebbe mai dimenticato poi, quando lui gli aveva fatto conoscere Kenadee e come lei non aveva più voluto lasciarlo andare. Dopo la morte di lui il suo pensiero era andato a lei: secondo il volere di quale crudele divinità un bambina dolce come lei avrebbe dovuto passare la vita senza un padre? O meglio, senza il padre che l’amava più di qualsiasi altra cosa al mondo?

Con la voce spezzata fece fermare l’autista e sussurrò un “mi porti al cimitero di Costa Mesa, per favore.” Senza specificare nient’altro.

L’autista alzò gli occhi al cielo e si chiese se sarebbe stata davvero quella la meta finale di quel confuso ragazzo in lacrime.

 

 

h 4:35 p.m. – SAN DIEGO

“Mikey, io davvero non ce la faccio” disse in tono frustrato Vic Fuentes, rivolgendosi al fratello, mentre con lo sguardo seguiva l’ennesimo ragazzo sul marciapiede che indossava una maglietta di quel gruppo. Sembrava che quel giorno i Suicide Silence lo perseguitassero, o almeno i loro fan.

Mike storse la bocca per qualche minuto, come per pensarci su.

“D’accordo allora” disse. “Vai pure a Orange County se ci tieni, ma sappi che Jaime non ne sarà affatto contento.”

“Ehm… Mike? Non è che mi presteresti la macchina eh?”

Con un sospiro il giovane gli passò le chiavi e urlò un “mi devi un favore, Vic!” al fratello che era già scappato dall’altra parte della strada.

Quel giorno avrebbero dovuto incontrarsi con Jaime e Tony, ma Vic non riusciva a smettere di pensare a Mitchell Adam Lucker, quell’uomo che avrebbe compiuto da poco 29 anni se fosse stato vivo. Accese il motore e ingranò la marcia, cercando di svuotare la mente. Non sapeva come mai, ma sentiva che c’era qualcosa che lo attraeva come una calamita verso quel luogo. Ne aveva bisogno, così come aveva bisogno di ossigeno ora aveva bisogno di fermarsi per qualche ora sulla tomba dell’amico, magari raccontargli com’erano passati i giorni e poi le settimane e i mesi senza di lui, fino a chiedersi com’era stato possibile andare avanti per un anno senza i suoi scherzi.

Aveva bisogno di lui, come non mai. Aveva bisogno di un amico.

 

 

h 8:40 p.m. – HARBOR LAWN-MOUNT OLIVE MEMORIAL PARK

Austin calciò via le foglie secche cadute dall’albero che accarezzava la lapide con la sua ombra e si appoggiò al tronco, come se stesse aspettando qualcuno. I primi ad arrivare dopo di lui furono Danny e Ben, sebbene devastati dall’insonnia della notte prima e dal jet lag. Si sedettero per terra senza parlare, mentre Oliver Sykes li raggiungeva imprecando contro il tassista che gli aveva fatto pagare uno sproposito in dollari. Arrivato vicino ai tre uomini però, tacque improvvisamente e cadde in ginocchio. Vide un foglietto di carta per terra, lo raccolse e lo studiò per un attimo. La manina di una bimba di quattro anni ci aveva disegnato sopra un angelo coperto di tatuaggi; sotto, una scritta colorata: You Only Live Once. Avrebbe riconosciuto i suoi disegni ovunque: Kenadee. Qualcuno gli appoggiò una mano sulla spalla quando quest’ultime iniziarono a tremare violentemente, scosse dal pianto. Si girò, i suoi occhi incrociarono quelli di Victor.

Le braccia forti di Danny Worsnop lo alzarono da terra e gli altri uomini si strinsero l’uno all’altro, in abbraccio di fratellanza invincibile. Fu come tornare bambini e, per qualche secondo, Austin, Danny, Ben, Oli e Vic seppero che Mitch era lì con loro, che li abbracciava e li portava sempre nel cuore. Legends never die.

“Andiamo, ragazzi, offro io stasera.” cercò di sdrammatizzare Vic, e i cinque amici si avviarono verso l’uscita con qualche risata sommessa e pacche sulla schiena.





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Okay, eww, scusatemi se non so scrivere e mi intestardisco sempre con le angst, non posso farne a meno ><
Innanzitutto, spero vi sia piaciuta, o come minimo ci abbiate capito qualcosa e ci terrei a farvi sapere che questo è tutto quello che il mio cervello fuso a causa devasto post-Halloween Ieroween//ansia pre-concerto degli YMAS e 3OSTM//tante lacrime per Mitch riesce a partorire.
Big up to MelodramaticFool_ e WestboundSign_ che mi hanno betato metà a testa in tempo da record (sì, scrivo così tanto da cani che ho bisogno di DUE persone che mi betano gli obbbbrobri oKAY), vi voglio bene.
Se recensite fate felice me e Mitch <333
Adieu
-Giuls

   
 
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