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Autore: umavez    01/11/2013    7 recensioni
- E non osare fare quella faccia, Sakura, non osare far finta che ti diano fastidio, le intromissioni altrui. Se qualcuno di tanto in tanto non si intromettesse nella tua vita, ci sarebbe già una tomba in più al cimitero con sopra il tuo nome. -
Le mani stringono spasmodicamente le estremità dei braccioli. Sakura si sente come incollata alla sedia, incapace di muoversi e di parlare. Tsunade la guarda disperata ma con decisione, mentre lei inizia a piangere.
Non si copre gli occhi né scaccia via le lacrime.
L’immagine della sua tomba è troppo nitida nella sua testa, con contorni delineati bene, con la scritta incisa sulla pietra che si legge senza difficoltà.
Forse perché ci ha pensato già tantissime volte, alla sua morte, e non le è mai sembrata troppo macabra, né troppo lontana nel tempo.
- Come se non ce ne fosse già una con su scritto “Sasuke Uchiha” proprio nel giardino di casa mia. – sussurra flebile.
Come se non ce ne fosse una lì nell’altra metà del letto, quando mi sveglio.
Molto Sakura-centric, ma naturalmente SasuSaku! Spero vi piaccia! :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Di anno in anno
 
 
Decimo anno
 
 
I tempi in cui le persone le chiedevano come stesse Sasuke erano passati da molto, oramai.



Sakura passeggia, sparge semi sulla terra smossa, e se lo chiede anche lei.

Lei se lo è sempre chiesto.



Come sta Sasuke?
Come sta Sas’ke-kun?


“Bene” diceva alla gente.
“Sas’ke-kun sta bene. Starà bene. Non può stare peggio.”


Finisce di fare il giro del giardino, i semi ricoprono tutta la terra, e sente che quella è la volta buona.
La volta in cui il suo prato crescerà, e potrà vedere un po’di verde.

Ritorna dentro casa e Sas’ke-kun è lì, è sempre stato lì.
 

Immobile, uguale a prima. Uguale a dieci anni fa.

Uguale ai tempi in cui le chiedevano “Come sta Sas’ke-kun?” e lei rispondeva “bene”.


Sakura lo saluta e lui invece sembra morire.

Gli si siede accanto, e lui sembra sprofondare nel divano.

Gli carezza i capelli, e lui sembra non accorgersene.
 

Sas’ke-kun sta bene, si dice.


Gli sorride senza essere vista e passa le dita sulla sua guancia, poi sul collo, e gli alza di poco il mento, toccando con i polpastrelli la ricrescita fastidiosa della barba che di lì a poco sarebbe divenuta di nuovo troppa.

E Naruto avrebbe dovuto forzarlo a radersi, quasi sotto tortura.


- Buongiorno Sas’ke-kun.

Lui annuisce.


Buongiorno a te, Sakura-chan, grazie di tenermi in vita.
La sua voce nel cervello sproloquia.

Si alza dal divano ed esce di nuovo fuori sull’engawa, in attesa del sole cocente. Sas’ke-kun del resto sta bene, è sveglio, e lei non può fare nulla per aiutarlo.
 
 
 
 
Primo anno
 
 

- Sakura-chan, - Naruto saltella, quel giorno, - come stai?

Sas’ke-kun sta bene, avrebbe voluto dire d’impulso, come si era abituata a fare negli ultimi sei o sette mesi.

Ma Naruto l’aveva stranamente chiesto a lei.

- Perché? Ti sembra che stia male?

Lui sorride imbarazzato, si gratta la testa, e poi incrocia le mani dietro la nuca come fossero un cuscino e ridacchia, camminando in quel modo scomodo e con la schiena leggermente inclinata all’indietro, in procinto di cadere.  

- Ah, lo sapevo che stavi bene! Hinata-chan si preoccupa per niente!

Lei si mangia l’interno delle guance e pensa che le donne sono troppo sensibili alla sofferenza femminile, e che Hinata l’aveva scoperta. Si ferma per la strada, lo blocca per il lembo della tuta arancione.

- Hinata-chan era preoccupata per me?


Naruto fa un gesto con la mano come a dire “bazzecole”. La prende sottobraccio e la trascina oltre.


- Voi donne vi preoccupate sempre per le stupidaggini! L’altro giorno mi ha detto che ti ha vista sciupata. Che vorrà dire sciupata poi, io non l’ho capito.


Vuol dire stanca da morire, Naruto-kun, e Hinata ci ha visto benissimo.
 

- Perché, vuoi dirmi che sei sciupata davvero, Sakura-chan?

Gli carezza il braccio mentre camminano per le bancarelle, e pensa che è troppo presto per dire a Naruto che tutto sta andando per il verso sbagliato. Lui è fiducioso, è pieno di vita, e Hinata gli sta accanto forse meglio di un angelo custode. Troppo presto, per lui.


- No, Naruto-kun, solo un po’ stanca. Sai...
Non glielo vuole dire, ma le andrebbe.


Sai, Sas’ke-kun mi sfinisce. Non migliora.


- Sai, Naruto, Sas’ke-kun...
Non glielo vuole assolutamente dire, ma le farebbe bene.


Mi sta distruggendo.


- Yo, Sakura-chan, guarda! – lui indica un punto preciso tra le bancarelle, un cartello mai visto prima che fa la sua bella comparsa - Un chioso di ramen nuovo!!

Lui fugge via come il vento, come quello che è sempre stato – vento indomabile e pieno di energia, quel vento che porta buone notizie -, per poi ritornare.

E la parola Ritornare rimbomba nel suo cervello. Naruto torna sempre, alla fine.


È Sas’ke-kun che non torna.
 
 
 
 
Secondo anno
 
 

- Tutto apposto, fronte spaziosa?


Alza di scatto il volto all’insù, strappando via dal giardino l’ennesima erbaccia selvatica venuta ad infestare il suo prato, che ormai da mesi non riesce a far crescere come Dio comanda.  

- Sì, tutto okay, ma il prato continua a non crescere, c’è solo ortica.

- Del resto non sei tu la fioraia, qui.

Sakura le lancia un’occhiata di sfida e se quei guanti da giardinaggio che porta non fossero così sporchi, punterebbe le mani sui fianchi per incuterle più timore.   

- Già, difatti io mi limito a salvare vite, maialino.

Ino strappa le erbacce insieme a lei, senza badare alle unghie curate che si incrostano di terra e alle mani piene di vesciche  per l’ortica. Sakura le è così grata che potrebbe anche abbracciarla, per una volta.

- Qualche esempio recente di salvataggio in extremis, visto che siamo in pace da...quasi due anni?  

- Beh, ora come ora…


Sto salvando Sas’ke-kun, pensa.
Ma le sue corde vocali si rifiutano di vibrare.


- Ora come ora...


Sto salvando Sas’ke-kun, lui sta meglio. Vedrai che migliorerà con il tempo, ne è passato ancora troppo poco. Sas’ke-kun ha bisogno di più tempo, datemi retta. Datemi fiducia.
Ma l’aria smise di risalire dai polmoni e non produsse nessun suono.


- Beh, ora come ora non me ne viene in mente nessuno, ma questo non cambia il fatto che sono un medico.

- Un medico che non salva vite, che spreco.

Ino continua a strappare erbacce.
Sakura invece, a quella frase, si sente invadere di ortica.

Lei stessa si sente ortica, un inutile pianta infestante.


L’ortica è utile per un sacco di cose, si dice. Ci si fanno anche i medicinali, anche se non fanno crescere il mio prato.


Con una scrollata di spalle si fa scivolare tutto addosso.

- Sempre meglio di una fioraia che mi ha dato consigli sbagliati su come far crescere un prato decente.

Ino ride e viene scossa a tal punto che piega la testa all’indietro, col sorriso bianchissimo all’aria, e la punta dei capelli si inzuppa sbadatamente nel terreno umidiccio di pioggia.

- Sei stata tu che non sei stata in grado di metterli in atto adeguatamente. – dice, mentre si strofina una guancia con il dorso della mano disimpegnata. Sakura le sorride e vorrebbe dirle “È vero, non mi ci sto impegnando gran che”.

 - Come va con Sas’ke-kun?

- Oh, Sas’ke-kun sta bene.

- Non ho chiesto questo.

Sakura continua a strappare erbacce.


Sas’ke-kun sta bene, come vuoi che vada? Bene, benissimo. Benone.


Dopo l’interessamento di Hinata tramite Naruto, adesso era arrivato il turno di Ino di preoccuparsi.

Gli occhi azzurro cielo la guardavano, ed erano dello stesso azzurro intenso dei semini del prato, quelli che comprava ogni primavera da due anni.  


- Con Sas’ke-kun...


È un inferno. 


- Va bene. Va bene, grazie per l’interessamento.

Ino smise di ripulire il prato, e noncurante del bagnato e della possibilità di sporcarsi tutti i vestiti, si siede sulla terra. Con un movimento veloce si porta la coda davanti alla spalla, cominciando a giocherellare con le punte dei capelli.

- Sicura, Sakura-chan? Non l’ho mai visto fuori di casa. E sono quasi due anni che sta qui.

Sakura continua la pulizia del prato invece, si graffia ancora le mani, si sporca le guance, e le ginocchia sono ormai immerse nella terra per evitare di stringerle attorno al collo di Ino.

- Non sono sicura che vada così bene.


Neanche io lo sono.


- Penso che non stia andando bene affatto.

E alla fine si ferma anche lei e si siede proprio di fronte all’amica d’infanzia. Non ha i capelli abbastanza lunghi per poterli portare davanti alle spalle e giocarci, ma posa timidamente una mano sul cuore.

Per trovare il coraggio di mentirle.

- Ieri abbiamo fatto anche l’amore.


Anche, tra le tantissime altre cose che avrei sempre voluto fare con lui, ma che faccio da sola.



E ieri era “un mese fa” nella realtà, e l’amore, Sakura non era sicura che l’avessero mai fatto, quello.

Ino sorride a malapena, ma non è convinta.  

- Non preoccuparti, Ino-chan. – si dimentica di chiamarla maialino.

- Sas’ke-kun sta meglio.


Sono io che sto morendo.
 
 
 
 
Terzo anno
 



- Ne, Sakura-chan, aspettami!

Si ferma e vede Shizune correrle dietro. Ha sempre troppe buste addosso, Shizune, e troppi fogli e schedari sulle mani, e viene da chiedersi come faccia a non essere di già gobba e orba.

La giovane donna la raggiunge, e arrivatale al fianco le sorride.

Sakura non riesce a giustificarlo, quel sorriso.

Da quel che sa, Shizune è sola.

Sì, c’è lei, c’è Tsunade, c’è il suo team, ci sono tutti i bambini che ha guarito che le mandano di continuo fiori e disegni.


Almeno lei avrà qualcosa da appendere, alle pareti.


Ma è sola. È senza l’amore, si dice, senza l’amore per la vita, senza un uomo a starle accanto.
E invece lei sì, lei ce l’ha, anche se più che starle accanto sta e basta.

- Ti aiuto, Shizune-chan?

- Grazie. Tsunade-hime mi ha di nuovo riempita di lavoro.

Shizune ride ancora, anche se non ha l’amore, e Sakura inizia a pensare che forse non è così necessario per stare bene.

Girano insieme l’angolo della strada e il palazzo dell’Hokage appare loro in tutta la sua grandezza: entrambe si ricordano a memoria l’intero susseguirsi di corridoi e stanze.

- Da quanto è che non dormi?

La donna ha caricato tutte le scartoffie su un unico braccio e con un veloce movimento semicircolare sotto i propri occhi le fa notare le occhiaie e le borse.

- Hai certe occhiaie.

Sakura ride leggera, i passi che quasi non fanno rumore sul terreno, come se fosse inconsistente, come se non avesse un proprio volume e un proprio peso specifico.

Shizune la guarda con occhio critico in quel momento, con occhio di medico esperto che non si lascia ingannare dalla bugia innocente di un paziente che si vergogna di ammettere il proprio dolore.

- Sono direttamente proporzionali ai miei problemi, Shizune-chan.


Sono direttamente proporzionali a Sas’ke-kun, in altre parole.


Le sembra strano il silenzio che segue, visto che per la prima volta si è lasciata sfuggire ben più di una debolezza. Continuano a camminare l’una di fianco all’altra fino a quando il portone del palazzo dell’Hokage diviene, da un piccolo puntino rosso in lontananza, un possente ammasso di legno verniciato.

- È per Sas’ke, non è vero?

- È per molte cose, Shizune-chan.

Nonostante tutto, lo difende. Fino a quando non sarà lei stessa a non potersi più proteggere.

- Tu come stai?

- Sas’ke-kun sta bene.

- No, lui non sta bene.

Sakura entra dentro al portone e cerca di lasciarsi indietro la preoccupazione di Shizune così come quella di Hinata o come quella più aggressiva di Ino. Shizune ha il passo veloce comunque, ed anche più leggero del suo.

- Non devi torturarti così, Sakura-chan, è colpa sua. Tu stavi bene e lui stava male, e adesso state solo entrambi peggio di come vi abbiamo lasciati. Tu dovresti...andartene da lì, Sakura-chan.

Si bloccò nel bel mezzo di un corridoio qualsiasi, gli occhi sgranati e la mascella serrata, delle piccole fossette di rabbia e far capolino sulla guance. Stringe le labbra fortemente per non farsi scappare tutto l’odio che prova.

- Andarmene, dici?

Shizune annuisce, ma è spaventata.

- Andarmene e pensare solo a me? E lasciarlo solo? Abbandonarlo?


Come lui ha fatto con noi, ma questa è un’altra storia.


- Ma che razza di persona sei, Shizune?

Vede i suoi occhi neri farsi giganti e riempirsi di lacrime, pronti alla fuoriuscita. Sakura si porta una mano davanti alla bocca e trattiene un singhiozzo quando si rende conto di quello che ha fatto. Posa le mani sulle spalle di Shizune, si avvicina un poco, l’abbraccia forte.

- Scusami, non volevo dire questo. Sei solo preoccupata per me.


Ma io sono preoccupata per lui.


- Perdonami, Shizune. Sono un mostro.

- Non fa niente, sono stata impertinente.

Non ha il coraggio di allontanarsi dalla sua spalla, e nonostante ci siano tra di loro discreti chili di carta a dividerle a ad impedirle di stringersi davvero, Sakura ricorda vagamente che dovrebbe essere in quel modo, l’affetto.

Si stacca a fatica, cerca di sorridere. Shizune porta via le lacrime con il lembo della maglia blu scuro.

- Non ti arrabbiare, - le dice, gli occhi rossi ma a differenza dei suoi senza occhiaie – se ti va potresti venire a dormire da me, qualche volta. Anche solo per un giorno, di tanto in tanto, per riprenderti, per fare un sonno come si deve.

- Sì, certo.

Si stupisce di quanto abbia risposto in fretta.


Tanto Sas’ke è sempre stato solo.
 
 
 

Quarto anno
 
 
 

Tsunade-hime aveva deciso di non delegare a nessuno quel compito.
Ogni anno che passava si convinceva che per Sakura non poteva esserci stato male peggiore della lontananza dei suoi due compagni di squadra, e che ora che entrambi erano a poche centinaia di metri da lei, o anche a qualche centimetro, la sua giovanissima allieva sarebbe dovuta essere felice.

Felice come quando lei era con Dan, o con suo fratello, o come quando Jiraya le dava una gomitata scherzosa su un fianco per sussurrarle all’orecchio qualche porcata.

La porta si apre e Sakura sorride.

Nonostante sia più magra, più fiacca e più ansante. E la cosa più lontana possibile dalla felicità.  
 
 
°°°



- Dovrei mandarti in missione, di tanto in tanto. Guarda come sei diventata gracile.

Si siede stancamente e poggia gli avambracci sui braccioli della sedia. Tsunade, di fronte a lei, fa lo stesso.

- Dovrebbe, maestra.


Mi aiuterebbe molto.


- Ammetto di essere diventata un po’ flaccida.



Mi salverebbe la vita.


Tsunade poggia la testa sullo schienale, i capelli sono sciolti e lunghissimi, più di quanto si ricordava.

- Senti, Sakura, non voglio usare giri di parole.

- Non li usi, allora.

Gli occhi nocciola la fissano, intestarditi.

- Sasuke Uchiha non migliora, e tu ti stai logorando.

Sakura alza gli occhi al cielo, esausta anche di tutta quell’apprensione nei suoi confronti.

- E non osare fare quella faccia, Sakura, non osare far finta che ti diano fastidio, le intromissioni altrui. Se qualcuno di tanto in tanto non si intromettesse nella tua vita, ci sarebbe già una tomba in più al cimitero con sopra il tuo nome.

Le mani stringono spasmodicamente le estremità dei braccioli. Sakura si sente come incollata alla sedia, incapace di muoversi e di parlare. Tsunade la guarda disperata ma con decisione, mentre lei inizia a piangere.

Non si copre gli occhi né scaccia via le lacrime.

L’immagine della sua tomba è troppo nitida nella sua testa, con contorni delineati bene, con la scritta incisa sulla pietra che si legge senza difficoltà.  


Forse perché ci ha pensato già tantissime volte, alla sua morte, e non le è mai sembrata troppo macabra, né troppo lontana nel tempo.

- Come se non ce ne fosse già una con su scritto “Sasuke Uchiha” proprio nel giardino di casa mia. – sussurra flebile.
 

Come se non ce ne fosse una lì nell’altra metà del letto, quando mi sveglio.      
 

- Allora è lui, è sempre stato lui. – dice Tsunade arrabbiata.  Non sa decidere se arrabbiata con lei o con Sasuke, o forse con entrambi.

Sakura annuisce, perché non ce la fa più a dire di no.

- Ti sta trascinando via.


Sakura si immagina una corda legata intorno al petto, e qualcuno – che altri non è se non Sasuke - che la tira verso il basso, sottoterra.

Annuisce di nuovo.


Ha cominciato a tirare quando avevo dodici anni.
 

Tsunade si alza dalla sua sedia e le si avvicina, le scansa un braccio e si siede sul bracciolo, tiene una gamba ancora poggiata al terreno che la fa stare in equilibrio. Le prende una mano tremante e la scruta con interesse, carezzandogliela.

- E pensare che un tempo disintegravi le pietre, con queste mani.

- Adesso ci semino il prato.

L’Hokage ride per la prima volta in quei pochi minuti, una risata forte da donna matura, le labbra rosse si stendono per far apparire tutti i denti. Le ricorda la Ino di qualche anno prima, quella che era scoppiata a ridere nel suo giardino tra la ortiche.

Si chiede se lei, quando ride, assomiglia anche solo un pochino a loro due, o se sembra solo una bambola di pezza sgangherata a cui è stato cucito in volto un sorriso non suo.

- Cresce, almeno?

- Figurati, mai un germoglio.

Tsunade si alza e con l’eleganza dei suoi tacchi se ne ritorna al suo posto, di fronte a lei, un poco più serena, i segni dell’ultima risata ancora sulle labbra. 

- Stai troppo tempo qui in ospedale.

- Non troppo, alla fine.


Non abbastanza da non dover rimettere piede in casa e vedere che non è cambiato nulla.


- Passi troppo tempo qui a Konoha, comunque.

- Sì, io...

Un’altra risposta pronta per l’uso che non si aspettava nemmeno di riuscire a pronunciare, se non nelle sue fantasie.



Passo troppo tempo inutile con Sas’ke-kun, e lui non mi vede.


- Sì, vorrei andarmene di tanto in tanto. Qualche giorno solamente, per qualche questione burocratica.

Tsunade si fa seria perché Sakura ha confessato che non ce la fa più.
E neanche lei ce la fa più, a vederla in quello stato.

- Vedrò di accontentarti.
 
 
 
 
Quinto anno
 
 
 

La signora del mercato la guarda come ogni giovedì mattina, incapace di modificare nemmeno una delle milioni sfumature di apprensione che le scorge negli occhi.
Sono sempre gli stessi, verdi scuri, puntati addosso a lei, che tengono d’occhio le sue mani per accertarsi che la frutta o la verdura non le caschi per terra.

Prende un kiwi e lo tasta bene con le dita.


Ancora troppo duro.


- Ciao, Sakura-chan.

Il frutto le cade dalle mani e la signora davanti a lei ci avrebbe messo la mano sul fuoco che non avrebbe retto. Non si arrabbia, comunque, - non lo fa mai – le rigira sempre la solita occhiata preoccupata. È amica di sua madre, le sembra di ricordare.

- Ciao, Hinata. -

Si china e raccoglie il kiwi un po’ ammaccato e lo mette nel cesto della spesa.

- Mi hai spaventata. –

- Oh, scusami tanto, non era mia intenzione.


No, neanche la mia quella di essere così spaventata.


- Non preoccuparti.

Hinata ha l’aria di una madre che ha colto la figlia con il dito indice nella cioccolata, già pronto per la bocca. E proprio come si immagina Hinata nel ruolo di madre, lei non fa vedere il disappunto.

- Hai le mani un po’ logore. – le fa notare semplicemente, mentre anche lei inizia a toccare la frutta per scoprirne la consistenza. La vede avvicinarsi alle arance, anche se terribilmente fuori stagione, perché piacciono a Naruto – gli piacciono solo perché sono arancioni, a dirla tutta.

- Colpa del prato. – risponde, mentre si avvicina al reparto della verdura. Alzando gli occhi distrattamente vede che quelli della signora proprietaria del banchetto sono ancora puntati su di lei, e quella volta sembrano essere proprio quelli di sua madre.


Ho troppe madri, attorno.


- Ti dedichi al giardinaggio?

Si allunga in avanti per raggiungere le zucchine, e ne prende una bella quantità.

- Più o meno. Distrattamente, sai.

- Sì, ti capisco.


No, non mi capisci, vorrebbe dirle.


- È rilassante, non trovi, Sakura-chan?

Sakura prende la repentina decisione di smetterla lì con la spesa e di fare la fame per la prossima settimana, pur di andar via da quel luogo. Rimpiange i tempi in cui Hinata non avrebbe avuto nemmeno il coraggio di mostrarsi per strada, figurarsi quello di porgerle domande.

- È...


Un ripiego. Un passatempo.


- È molto...


Doloroso.


- Divertente. Sì, mi diverte molto.


Ma non lo farei, se avessi di meglio da fare.


Hinata le sorride. Il suo cesto è pieno fino all’orlo, e pensando che a casa sua c’è Naruto da sfamare, lo capisce. Poi gli occhi di lei si posano sul suo cesto mezzo vuoto e si incuriosiscono un poco.

- Hai preso tutto?

Le chiede alzandosi sulle punte per dare un occhio anche al fondo del cesto.
Sakura lo guarda con molta meno attenzione rispetto quella di Hinata.

- Sì, tutto.

- Ma...

Esita, e per un attimo le ricorda la bambina con i capelli corti, gli occhi troppo limpidi e le guance sempre troppo rosse.

- Non ci sono i pomodori, Sakura-chan.

 
°°°
 

Consapevole di aver reagito male, Sakura quasi corre per le strade per tornare a casa il più in fretta possibile. Le guance sono bagnate, e il cesto è pieno di pomodori presi con foga e rabbia, tanta da far allontanare Hinata e preoccupare la signora che si divertiva a farle da madre ogni giovedì mattina.

Potrebbe anche gettarli per terra, tutti quei pomodori, perché tanto lei lo sa.


Lo so che Sasuke non sa più neanche cosa significhi sapore. E la gente crede che basti comprare pomodori, per rendere felice una persona.


Sasuke invece, agli occhi di Sakura, continua a rimanere come un kiwi fuori stagione.


Ancora troppo duro.


 
 
 
 
Sesto anno
 
 
 

Di motivi per piangere ce ne erano molti.

I posti, nota Sakura, scarseggiano.

Poi la pietra commemorativa appare in mezzo agli alberi, il prato è abbastanza verde e folto per non ferirsi le ginocchia, e l’ambiente abbastanza deprimente da giustificare un pianto disperato.

Così si accascia davanti alla pietra, senza nessuno da compiangere se non se stessa.

Negli ultimi sei anni di vita la parola a cui si è allacciata ogni qual volta temeva di crollare, era stata calma.

Per questo la gola le brucia: perché non si ricordava nemmeno più come si facesse, ad urlare, da quanto era stata impegnata a trattenersi, e perché il mal di testa da troppo pianto non se lo ricordava così martellante e doloroso.

Urla così tanto che pensa di poter esaurire tutta la voce in un solo minuto per restare in silenzio il resto della vita.

- Quando si fanno queste cose, bisognerebbe avere l’accortezza di controllare se c’è qualcun altro nei paraggi.

Dice Kakashi all’improvviso, qualche passo dietro di lei.

Sakura si volta ed è particolarmente sicura che un paio di secondi prima non ci fosse nessuno lì.

La sorpresa e la vergogna comunque non sono abbastanza forti da riuscire a far frenare il pianto, e dopo un paio di secondi passati a scrutare il solito occhio di sempre si lascia ricadere su se stessa.

Kakashi come al solito non fa rumore, ma si mette seduto accanto a lei, e a forza la costringe ad una posizione più naturale e meno scomoda di quella che aveva scelto per piangersi addosso.

E Sakura approfitta di tutta la forza di Kakashi per tirarsi su e appoggiare la testa sulla sua spalla. E del resto il suo maestro ha posto il suo braccio dietro la sua schiena, e la tiene dritta in quel modo.


Almeno fisicamente.


- La prossima volta starò più attenta. – sussurra, senza essere stata ancora in grado di prosciugare del tutto le lacrime e i singulti. Però lentamente cerca di frenarli, perché le sarebbe piaciuto che almeno una persona al mondo non la trovasse così tremendamente ridicola.

- A meno che tu non voglia far finta nuovamente di essere stato qui fin dal principio.

Kakashi sospira sconfitto e sotto la maschera gli zigomi sembrano alzarsi per far posto al solito sorriso invisibile.

- Ammetto di averti seguita. – risponde, grattandosi la testa con una mano.

Sakura lo guarda dal basso. È poggiata sulla sua spalla destra, e da quella posizione non riesce nemmeno a vedergli l’occhio buono, quello che avrebbe potuto rincuorarla un poco.

Kakashi fa passare giusto il tempo necessario per far cessare del tutto i singhiozzi prima di parlare.

- Io ho trentasette anni.

Dice all’improvviso incrociando le gambe e tirando fuori dalla sacca dove un tempo teneva shuriken e kunai uno dei libri della saga della pomiciata. Non lo riconosce, non ci bada nemmeno. Ma dal colore della copertina le sembra il primo, quello che leggeva durante la sfida dei campanelli.

Non sa cosa risponderle, comunque. Ma a sentire quel numero rabbrividisce, e pensa di non volerci arrivare ad avere trentasette anni.

- Sono molti, lo so. Il tempo passa.

- Sì...passa.


Solo che alcune cose non cambiano.


- Tu quanti anni hai, Sakura-chan?

- Io...

- Non mentire, bada.

Sakura ride. Le piace l’idea di poter essere una di quelle donne che mentono sull’età per darsi un paio d’anni di meno. Vorrebbe avere uno specchio in mano per controllare se ha davvero bisogno di mentire o, se almeno fuori, sembra ancora giovane.

- Io ne ho ventitre, Kakashi-sensei.

- Mh, ventitre.

Lascia subito cadere il libro a terra, un metro più in là, e le fa segno con una mano di avvicinarsi ancor di più, quindi si stacca dalla sue spalla e prepotentemente gli si siede sopra, il sedere che sprofonda nella conca creata dalle gambe incrociate di Kakashi, la testa quella volta gliela poggia sul petto.

- Bella età. – aggiunge quando ormai un suo braccio è già intorno al suo busto e l’altra mano le carezza una guancia.

Vorrebbe sussurrare il nome di Sasuke, in quel momento.


Se solo fosse sua, la mano.


Arrossisce confusamente.

- Non ti sembra di aver sofferto abbastanza, in ventitre anni?

- E lei, in trentasette?

- Quasi trentasette, per la precisione.

Sakura alza gli occhi al cielo e fa per andarsene. Kakashi la stringe di più, e Sakura fa palesemente finta di sussultare quando sente le dita sprofondare un poco nel costato per non mandarla via. Una voce nel suo cervello le sembra dire  “come se non lo avessi sperato”.

Kakashi sta tentando di dirle qualcosa, ma non ha voglia di ascoltarlo. Anche se la sua voce è bella e profondissima, e in altre occasioni avrebbe passato anche un’eternità a sentirsi fare ramanzine da lui.

- Sakura, ti devi...

- Non hai figli, Kakashi-sensei?

Lo vede crucciarsi. Vorrebbe togliergli la maschera e baciarlo.

- No, altrimenti li conosceresti.

- O forse sarebbero i miei.

Kakashi non mostra mai molto di sé, ma Sakura lo vede arrossire fino agli zigomi, e pensa di aver fatto breccia. Si accomoda meglio sulle sue gambe e il rossore aumenta, la presa di Kakashi si fa un attimo più debole e poi si rinforza, e quando si rinforza il rossore aumenta ancora.

Perché lei era Sakura Haruno, la bambina di tredici anni a cui era solito mentire più che insegnarle a vivere.

Kakashi pensa che tutto quel dolore forse è anche opera sua.

- Sì, sarebbero i tuoi probabilmente.

Sakura Haruno, la ragazzina di ventitre anni che era doloroso anche solamente guardare, ma che in quel momento sorrideva.

- Potremmo sempre farlo.

Gli dice, attorcigliando le braccia intorno al suo collo e spingendosi contro di lui con tutto il corpo. Kakashi asseconda ogni suo movimento e lentamente scivola sul prato, con lei sdraiata sopra.

Sakura ride e arrossisce anche lei quella volta.

- Ci pensi, Kakashi-sensei? Dei figli nostri. Miei e tuoi.

- Dei mostri.

Sakura rotola giù dal suo corpo perché le viene troppo da ridere al pensiero dei loro bambini, e anche perché Kakashi è divertente, quello che dice è bizzarro, e il rossore che ancora domina la parte scoperta delle sue guance è adorabile, e Sakura si sente incredibilmente vicina a lui.

Se li immagina bene davvero i loro bambini, e le sembrano dei mostri bellissimi, pieni di complessi e di problemi.

Pensa che sia meglio avere bambini strani con Kakashi che non averne con Sasuke.

Lui si gira su un fianco e la guarda ridere.

- Dei mostri adorabili, comunque! – conferma Sakura lasciandosi sfuggire un’ultima risata prima di mettersi anche lei su un fianco di fronte al suo vecchio maestro.

Kakashi le carezza di nuovo una guancia. Le mani non sono coperte da guanti ninja, ma sono ruvide e usurate come le sue, e quando scorrono sulla sua pelle sente brividi scorrerle dentro dalla testa ai piedi.

- Potremmo sempre farlo. – ripete lui, come poco prima aveva detto anche Sakura. Le si avvicina ancora e ancora, strusciando sull’erba, Sakura strabuzza un po’ gli occhi ma non si allontana, anzi, la mano va automaticamente sulla maschera dell’uomo, e la carezza.

- C’è Sasuke a casa.

Dice però altrettanto istintivamente, cercando di sovrapporre il  volto del suo vecchio compagno si squadra a quello di Kakashi.

- C’è Sasuke.

- Ti aspetta?

- Sì.


...
No.


E la sua bocca e il suo cervello sono in disaccordo.

- Non mentirmi, Sakura-chan.

- Lui...


Non mi aspetta.



- C’è Sasuke, a casa.

Kakashi annuisce e la mano dalla guancia risale sullo zigomo fino ad arrivare alla tempia e poi in mezzo ai capelli.

- Potremmo farlo, se solo tu mi giurassi...

- Cosa?

- Che saresti felice.

Passano i minuti e Sakura cerca di aggrapparsi ad ogni speranza che impazzisce dentro al suo corpo, I capelli di Kakashi sono belli, starebbero bene ai suoi bambini. I lineamenti sotto la maschera sono duri e un po’ spigolosi, ma sono belli da toccare, sono belli anche solo da immaginare.



E il suo occhio nero non è forse lo specchio dell’amore?



Gli si avvicina di più, le dita sono pronte a tirare giù la maschera e abbandonare per sempre il fantasma di Sasuke a casa.


Proprio come lui ha abbandonato me, ma questa è un’altra storia.


Ma Kakashi le ferma la mano quando la maschera arriva a metà guancia, e l’unica cosa che riesce a baciare è il suo zigomo ancora caldo di rossore prima di ricominciare a piangere.

Perché Kakashi è bellissimo, e potrebbe imparare ad amarlo, ma anche Sakura l’ha capito – tutti lo avevano capito fin da subito:


C’è Sasuke a casa, e io non sarò mai felice, finché non ritorna.


Kakashi l’abbraccia e da amante si trasforma in padre.

- Non avrò mai bambini, probabilmente. – sussurra al suo orecchio strofinandole i capelli. – Ma vorrei diventare zio il prima possibile.

Sakura si ritrova di nuovo a ridere tra la lacrime, anche se interrotta dai singhiozzi.

- Faresti meglio a puntare su Naruto. – riesce a blaterare.

- Naruto non sarà pronto ad avere figli per i prossimi venticinque anni, probabilmente.

Ride ancora più forte e per la seconda volta nel giro di poco tempo riesce a sconfiggere le lacrime. Si lascia cadere con la schiena sull’erba, il petto si alza e si abbassa affannosamente. Kakashi ridacchia da sotto la maschera che lo rende tremendamente composto e imperscrutabile.

- Non sprecare altro tempo, Sakura-chan. – le dice riprendendo la lettura del libro abbandonato poco distante qualche minuto prima.

- Non arrivare a trentasette anni così.

Sembra volerle dire “Non arrivare a trentasette anni come me, non arrivarci da sola”.

Quando sente nuovamente l’età dell’uomo, nonostante le risa avessero portato a casa due vittorie schiaccianti, Sakura pensa nuovamente la stessa cosa di poco tempo prima.


Non voglio arrivarci, a trentasette anni.
 
 

 
Settimo anno
 
 
 

Le fa l’ennesima domanda impertinente.

- Quanti anni hai, Sakura-chan?

Sakura cerca di contarli sulle dita, andando in ordine di eventi importanti.


Tredici quando è andato via.
Quasi diciassette la quarta guerra ninja.



E poi perde il conto quando si accorge che negli ultimi innumerevoli anni non è successo nulla che può aiutarla a tenere il conto del tempo.  

Chiude le mani a pugno, e poi calcola aritmeticamente l’età.

- Ne ho ventiquattro, Sai-kun.

- Oh, ventiquattro, niente male.

Gli sorride, e riprende a seminare il prato.

- Ne dimostri almeno quarantacinque, comunque.

I semi scivolano dalla busta di plastica reclinata negligentemente perché la presa di Sakura diventa debole, formano un mucchietto sul terreno.

Gli occhi di Sai sanno di qualcosa di strano, di un’emozione su cui ancora si sta esercitando, probabilmente, che ancora non sa come manifestare bene.

- E tu dimostri di non avere un minimo di tatto, come sempre.


Vaffanculo, Sai.



- Stronzo.


Vaffanculo.


Ma Sai è immune alle offese, e Sakura lo sa bene.

È lei ad essere troppo vulnerabile, colta in fallo a seminare un prato che non vuole crescere.


E a recuperare un Sasuke che non vuole saperne di tornare.


- Dico solo che è uno spreco, Sakura-chan. A ventiquattro anni di solito si è belle.

- Ah, davvero?

Si struscia le mani l’una contro l’altra, pulendole dal terriccio. Alzandosi in piedi calpesta maldestramente il mucchietto di semi che poco prima le erano caduti sbadatamente.

- E tu cosa ne sai? Non sai nemmeno cosa sia, la bellezza. Non sapresti nemmeno come reagire, davanti alla bellezza, non ti farebbe nessun effetto. Di cosa stai a parlare?


Sas’ke-kun è bello, è tutta la mia vita. Io ci vivo affianco, con la bellezza. Io lo so.


- Tu non sai niente su cosa possa essere la bellezza per una persona.

- Vivere così è bello?

- Non è brutto come sembra a tutti voi.


È solo distruttivo.
Tanto distruttivo quanto continuare a difenderlo senza che se lo meriti.



- Non è brutto.  

- Allora è proprio tutto quello che volevi.

Non riesce a parlare. E nonostante le basterebbe annuire un poco per rispondere, non lo fa.
Non ci riesce.

Abbassa lo sguardo e pulisce mani già pulite sui suoi pantaloncini, pensando che far crescere un prato per distrarsi non rientrava nella lista dei suoi sogni di una vita.

- Allora spero che il tuo sogno possa durare per sempre.

- Sì, infatti.

Sai sorride comunque, perché continua a non sapersi offendere, lui: sa solo riconoscere le bugie e una vita che si sgretola.

Sakura pensa che non ci sia augurio peggiore di quello che il suo compagno di squadra le ha appena fatto.


Non tutta la vita con Sas’ke-kun, vi prego.
Non tutta la vita da sola.




 
 
 
Ottavo anno
 
 
 

Oltre agli anni, oltre ai compleanni e agli onomastici, anche quello scandiva la sua vita. Oltre ai fallimenti, alle delusioni, e alle primavere in cui il prato non cresceva, ci si metteva anche quello a rovinarle la vita.

Non che si fosse dimenticata come si faceva – non che abbia davvero mai imparato a farlo, ma Sakura comincia, dopo ormai otto anni, a vederle come una sciagura.


Sasuke è solo un animale, pensa.


Geme quasi per abitudine che per un vero e proprio motivo, e comunque Sasuke non la guarda per accertarsi se sia davvero un gemito o magari più uno sforzo. Non la guarda nemmeno per il semplice gusto di farlo.

Sakura è grata al fatto che si sia sdraiato sopra di lei, e che l’altezza di lui le impedisca di guardarlo in volto.

Geme di nuovo, ma la voglia di tenere le braccia intorno al suo collo scende sempre di più. Tiene le gambe più aperte che può, più di quanto sia necessario, fino a farsi tirare dolorosamente i muscoli delle cosce, nella speranza di non riuscire a pensare ad altro se non al piacere.


O al dolore.


Nel momento in cui comincia a pensare che si davvero troppo da sopportare, sente un rantolo abbastanza comune, un sospiro pesantissimo, e i movimenti si fermano. Continua a tenere le gambe aperte spasmodicamente.

Quando sente il peso di lui togliersi le sembra quasi di respirare aria più pulita. Si alza dal letto il più velocemente possibile e si va a chiudere in bagno, per dimenticarsi nel giro di una doccia quel che è successo.

Si getta sotto l’acqua e comincia a lavarsi e a mandar via ogni minimo brandello di pelle morta che Sasuke avrebbe potuto lasciarle addosso. Una mano va giù tra le gambe e forse con più rabbia del normale si pulisce.

Si massaggia i capelli e scuote un poco la testa sotto al sifone, per far sì che l’acqua possa raggiungere ogni minimo angolo della sua faccia, e ogni punto delle sue labbra non baciate da anni.

Se ne esce dopo pochi minuti, perché sua madre le aveva insegnato a non sprecare niente, nella vita.


A parte gli anni, a parte la vita stessa.


Arrotola un asciugamano intorno ai capelli e con un altro si asciuga alla bell’e meglio il corpo. Torna in camera da letto tutta nuda, sicura che la sagoma già raggomitolata sotto le coperte non fosse realmente percettiva verso tutto ciò che la circondava.

E ha imparato che un corpo nudo, il proprio corpo nudo, non ha alcun effetto su di lui se non quando non è lui stesso a deciderlo.

Si infila una canottiera e un paio di mutande, e in due minuti è nel letto anche lei, nella sua vuotissima e freddissima metà del letto che non veniva usata nemmeno quelle poche volte che Sasuke decideva di fingere un pizzico di vita, nemmeno quando Sasuke decide di usarla perché tanto lei era lì, pronta all’uso.

Gli da le spalle, sistema meglio il cuscino sotto alla propria testa, e il silenzio prende il sopravvento su tutto, tranne che sui suoi pensieri.

Continua a pensare agli anni.

All’età.

Ai suoi sogni.


Ai bambini che vorrei avere, alla vita che vorrei avere, all’età che vorrei avere.


Ripensa ai giorni in cui Sasuke si era presentato alle porte di Konoha.

- Pensavo non ci fosse altra felicità, per me.

Sussurra gravemente, sicura che tutto quel silenzio perenne avesse reso udibile quelle parole dette più al cuscino che a lui. Non percepisce nessun movimento, tra le lenzuola.

- Quando sei tornato...


Quando hai fatto finta di tornare...


-...quando sei tornato, credevo che il fatto che tu fossi qui, potesse essere l’unico modo per essere felice.

Sakura manda giù la saliva, alza un poco il tono di voce ma continua a dargli le spalle, perché le piace l’idea di essere lei quella che lo ignora, e non lui quello che nemmeno l’ascolta.

- Sì, eri allibito, e stanco, e moribondo quasi. Ma eri tornato, e pensavo che ritorno e felicità fossero sinonimi, in quel periodo.

Ma non ci riesce a non guardarlo, quindi si rigira nelle coperte, e ciò che vede è una schiena. Inizia a piangere dall’occhio destro sperando che il sinistro abbia la decenza di trattenersi.

- Per un po’ ho pensato che ritorno, felicità e Sas’ke-kun fossero sinonimi.

È indecisa tra l’avvicinarsi o fargli una sfuriata. Poi pensa a Hinata, a Ino, a Kakashi. Alla dolcissima Shizune e all’irritabilissima Tsunade-sama, a Sai che seppur estremamente impacciato, ci aveva provato, come ci avevano provato tutti gli altri, a metterglielo bene in testa:


Che Sas’ke-kun non significa ritorno, non significa tantomeno felicità. Sas’ke significa Sas’ke, prima di tutto, e se proprio dovessi trovargli un significato, allora sarebbe lontananza. 


Così si accomodò di nuovo nella sua metà vuota di letto, e lasciò che la metà del suo cuore in cui fino a quel momento erano state riposte le speranze si svuotasse del tutto.


Sasuke non sa tornare, pensa.


Perché il suo cuore, seppur vuoto, è ancora troppo innamorato per dire “Non vuole”.
 
 
 
 
Nono anno
 
 

Toccandosi con il pollice tutti gli altri polpastrelli, come se stesse facendo segno a qualcuno di “soldi”, o “grana”, Sakura si accorge di avere la pelle secca. Sente diversi calli, e qualche irritazione da ortica la arrossa le dita. Ino si siede di botto accanto a lei, inaspettatamente. I capelli biondi le sembrano davvero troppo lunghi, ma non glielo dice.

- Non doveva essere una serata tranquilla?
Ino indica i bicchierini vuoti sul bancone.

Sakura sorride di un sorriso che sa di sakè.

- Lo è. Ma la mia serata è iniziata già due ore fa.

Ino ordina velocemente qualcosa, e il ragazzo che serve i clienti le presta un’attenzione smisurata. Quando la bionda va ad accavallare le gambe getta un’occhiata per terra.

- Che diavolo è quello schifo?

Il pavimento ha l’aria appiccicaticcia e ci sono cocci di vetro ovunque.

- Opera mia. – Sakura le sbatte davanti al volto una mano, muovendo le dita freneticamente, Ino gliele blocca in un moto di stizza.

- Ho scoperto di avere le dita secche, e molto poco prensili.

- Che diamine Sakura, sei un disastro.

Sakura ridacchia e toglie la mano dalla presa di Ino per afferrare delicatamente l’ennesimo bicchiere di sakè. Ino la guarda mandarlo giù con semplicità, senza strabuzzare gli occhi per l’altissima gradazione alcolica o per il bruciore.

- Pensavo che non ti piacesse, il sakè.

Sakura ha gli occhi annacquati e confusi.

- Dopo il quarto o il quinto bicchiere ci si abitua a tutto.

Arriva anche l’ordine di Ino: lei si bagna giusto le labbra e poi lo posa a distanza di sicurezza. Vorrebbe berselo lei, ma non osa chiedere.

- A tutto?

- Tutto.

La ragazza bionda sta in silenzio giusto il tempo necessario per rendere la sua prossima frase più tagliente.

- Allora in tutti questi anni ti sarai abituata anche a Sasuke.

Sakura vorrebbe spaccarle la faccia così come fa con i bicchieri, ma è troppo stanca e sfiduciata, e non è più sicura di riuscire a fare del male a qualcuno con i suoi pugni, ed è ancor meno sicura di volerne avere conferma.



È difficile abituarsi alla solitudine.



Scuote la testa senza voler dire né sì né no, senza sapersi dare una risposta. Ino non se l’aspetta, comunque.

- Lo lasci da solo a casa?

Sakura fa spallucce.

- Non si sarà nemmeno accorto della mia assenza.

Ino rimane in silenzio, indecisa se la scelta migliore è continuare a parlarne o bersi il suo sakè e ubriacarsi anche lei.

-...Non si accorge di me nemmeno quando mi scopa. – aggiunge senza alcuna richiesta.

Ino arrossisce di poco ma non per l’imbarazzo, forse per la rabbia, o per il caldo asfissiante del locale.

- Oh, bell’argomento. – risponde  poi prendendo un altro sorso, sempre minuscolo, di sakè.

- Lo uso per mandare via voi scocciatori. – ammette Sakura mentre si guarda le dita massacrate e si tocca la pelle ruvida.

- Si chiamano amici.
Ino la corregge, perché è puntigliosa e si offende con poco.

- Per mandare via Rock Lee ci è voluto un attimo, è bastato accennare velatamente al concetto di sesso. Anche con Naruto delle volte funziona, sai? Soprattutto quando è in vena di ricordi, e pensa a me ancora come una tredicenne. Col capitano Yamato un po’ meno, ma delle volte mi risparmia anche lui.
Con Kakashi-sensei invece non funziona, lui si mette seduto comodo quando ne parlo.

Ino avrebbe preferito non ridere per trasmetterle un po’ della gravità che le pesava sul cuore in quel momento, ma non ce la fa.

Perché Kakashi-sensei è un po’ un pervertito da sempre, e quel suo stato perenne ed immutabile le fa sperare che anche dentro Sakura ci possano essere residui di quasi dieci anni fa, qualcosa che non può morire con il tempo.

Sakura si unisce a lei, e ridono.

Come ai vecchi tempi, come quando ridere era l’attività che occupava la maggior parte del loro tempo.

E le mani di Sakura sono sciupate, è vero.
Ma la sua risata è ancora bellissima.

Ino le prende la mano e Sakura la stringe senza pensarci, per una volta prensile.

 Ma quando arriva il momento di dirle che tutto andrà bene, che Sasuke migliorerà e che lei migliorerà di conseguenza, di rifilarle tutte le balle che la stessa Sakura per anni aveva rifilato a lei, Ino non ci riesce.

Aspetta solo che la risata si esaurisca, e la immagazzina bene nel cervello, senza sapere per quanto tempo ancora dovrà attendere per sentirla ridere di nuovo.

E quando Sakura, ordinando l’ennesimo bicchiere, se lo lascia scivolare sbadatamente dalle mani, la speranza muore, e si frantuma sul legno appiccicaticcio d’alcool.

Sakura la guarda in quell’attimo e gliela legge in faccia, la delusione.

Fa spallucce.


Che ti aspettavi, Ino?


 
 
 
Decimo anno
 
 

È strano andare ad aprire alla porta.

- Oh, Naruto-kun.

- Ne, Sakura-chan, sono passato a trovarti.

Gli fa spazio all’entrata e chiude sbadatamente la porta. Sakura gli fa strada verso il salotto e lo fa accomodare sul divano.

- Vuoi qualcosa da bere?

- No, grazie, Sakura-chan.

Lei si dirige in cucina lo stesso e si versa un’abbondante tazza di tè caldo, fa un gesto come “alla salute”, alzando la tazzina di un poco quando torna in salone, e ne beve un sorso minuscolo, la lingua che già brucia.

- Come sta Sas’ke?

Rimane immobile giusto qualche secondo, poi prende due zollette di zucchero e le lascia cadere nel tè, e girando un poco la tazza con piccoli movimenti circolari cerca di farlo sciogliere più in fretta.

Poi alza gli occhi al cielo, ad indicare il piano di sopra.

Naruto annuisce, stranamente contrito.

- E tu come stai, Sakura-chan?

- La prossima domanda sarà “Quanti anni hai”?

Il volto del suo compagno di squadra è un po’ quello di Kakashi-sensei quando arrivava in ritardo stratosferico agli appuntamenti, solo un po’ meno felice, lo sguardo di uno che non ha scuse.

- Non pensavo di essere diventato così prevedibile.

- Tutti lo siete diventati, in questi anni.


Sas’ke-kun, soprattutto, lo è diventato.


- Fate tutti le stesse domande. Per risponderti, comunque, ne ho ventisette, proprio come te.

Naruto annuisce e sorride gravemente, quasi gli costasse fatica. Ha poggiato i gomiti sulle ginocchia e ha unito le mani davanti al volto a coprire naso e bocca. Sembra parlare con se stesso, e gli occhi chiusi con forza creano poco sopra le sopracciglia due rughe d’espressione.

- Anche tu lo sei, Sakura-chan.

Il rumore è ovattato perché le mani di Naruto non permettono alle onde sonore di muoversi liberamente. Poco dopo gli occhi azzurri si riaprono e le mani cadono penzoloni in avanti.

- Non ho capito.

- Anche tu sei prevedibile.

Beve un sorso di tè che è ancora bollente, e ritira la lingua quasi in fondo alla gola.

- Potrei giurare che tra poco andrai ad annaffiare il prato, come fai ogni giorno. E posso scommettere che non crescerà, e che se la prossima primavera tornassi a farti visita, ti ritroverei a seminare.

Sakura si alza lasciando la tazza di tè sul tavolo.
- Senti Naruto, adesso non mi va.

- E ci metto una mano sul fuoco, Sakura-chan, - Naruto si alza d’impeto, le prende un braccio e la fa voltare. – mi ci metto tutto, sul fuoco: il prossimo anno sarai ad un soffio dallo scomparire.

Lei non dice una parola, non bada nemmeno alle dita di lui che le stringono la carne, e nemmeno alla prime lacrime che gli vede scorrere sul volto. Tre quarti di lei provano pena per lui, provano immenso dispiacere nel constatare di essere lei la causa della sofferenza.

Ma nell’ultimo straziante anno di solitudine, Sakura ha imparato a dar voce a quell’ultimo, minuscolo quarto di lei che è sempre pieno di rabbia.

- Ce ne hai messo di tempo, per farmi la ramanzina anche tu. Tu e Sas’ke sembrate essere entrambi molto lenti, è una vostra dote comune.

- Sì, ce ne ho messo, è vero, - se la tira di più addosso e la presa sul suo braccio si fa di marmo - ma non sono un cretino, Sakura. Ho iniziato a capirci qualcosa anche io quando Hinata non ha creduto al fatto che tu stessi bene. E ho sperato che lasciandoti stare, non venendoti contro come facevano tutti gli altri, magari saresti migliorata: ti ho dato tutto il tempo che hai voluto, ma adesso...

- Adesso cosa?

Sakura ride a crepapelle al pensiero che gli anni che aveva vissuto – e che si era costretta a vivere – fossero stati una semplice concessione di Naruto, e non una sua libera decisione. La sua risata è fastidiosa come le unghie che scorrono su una lavagna.

- Adesso cosa, Naruto? – lo incalza, prendendogli anche lei un braccio e stringendolo - Adesso ci salvi tutti dal massacro come hai fatto durante la guerra? Diventi di nuovo l’eroe della situazione? Mi dispiace deluderti, ma qui non c’è nulla da salvare, e il ruolo dell’eroe dovresti lasciarlo a qualcun altro, oramai.

- E a chi dovrei lasciarlo? A te?

Per la prima volta nel tono del suo compagno di squadra non c’è più solo apprensione.

- Non sei riuscita nemmeno a salvare Sas’ke.

E Sakura smette di ridacchiare e il sorriso sulla labbra si congela, le dita che tenevano fermo il braccio di Naruto si allentano.


Come se fosse una cosa semplice, salvare una persona che non vuole essere salvata.


Si chiede se Naruto non sia venuto lì solamente per darle il colpo di grazia.

- Scusami, non intendevo...

- Certo, tu non intendi mai.

Anche Naruto a sua volta le lascia il braccio, e si asciuga le lacrime con il polso, macchiando anche la maglia stranamente non arancione, ma blu scura.

- Pensi che non ci stia sentendo, Naruto? – Sakura indica il soffitto con gli occhi – pensi che si sia chiuso le orecchie e non sappia che tu sei qui a fare il buon samaritano? Ehi, Sas’ke! – urla allargando le braccia, come aspettandosi una caduta dal cielo – Qui di sotto c’è Naruto che è venuto a fare l’eroe perché io non ne sono in grado!  

- Sakura-chan, non fare così.

Lei lo zittisce con un movimento repentino della mano, il dito indice si posa davanti alle labbra e lo stesso dito dell’altra mano indica il piano superiore. Rimangono in attesa per un minuto scarso, poi Sakura scoppia di nuovo in risa incontrollate.

- Hai per caso sentito qualche rumore?


Hai per caso sentito qualche segno di vita?


- Per caso Sasuke Uchiha si è scomodato a scendere per incontrare il suo amatissimo migliore amico? -
Naruto cerca di coprirle la bocca ma Sakura urla di nuovo, e lo spinge via con un solo gesto stizzito.
– E io che pensavo che lo avrebbe fatto! Allora non è solo Sakura Haruno, che non è in grado di salvarlo!

- Sakura, sme-

- Allora lo capisci? – gli chiede poggiandogli le mani sulle spalle. Si muove a scatti e sembra in preda ad una crisi epilettica.
- Vedi che neanche tu ne sei in grado? Non sono passati dieci anni solo per me, Naruto, sono passati dieci anni per tutti. E tu non sei stato in grado di fare nulla, Sas’ke-kun è nello stesso stato di quando è arrivato qui.


Sas’ke-kun è morto dieci anni fa, e io ho iniziato a morire poco dopo.



- Ti prego, Sakura-chan, - le mani di Naruto raggiungono le sue sulle spalle – ti prego, salvati, mettiti in salvo, vattene da qui.

- E abbandonarlo?

- Sì, abbandonalo.
Il tono di Naruto è dolce e amorevole, non è il sussurro rauco di Sas’ke-kun.

- Abbandonarlo. – ripete.


Come lui ha abbandonato noi. Ma questa...


Prima che il suo pensiero raggiunga un minimo grado di coerenza, la mente smette di funzionare, e l’idea cambia.


Questa è esattamente la stessa identica storia.
 

Per la prima volta non le sembra un’ingiustizia. Pensa che se non ci fosse Hinata potrebbe fuggire via con Naruto e farsi ricostruire piano piano, pezzo dopo pezzo, da lui, magari in un paese lontano, a parlare un’altra lingua, a fare tante cose.

Un luogo dove lui era solo Naruto Uzumaki e non un eroe, e dove lei era ancora viva.

Poi Hinata le torna in mente. E ancor di più, le torna in mente Sasuke.

Sorride a Naruto e lui l’abbraccia, le stringe la schiena e le respira sul collo.

- Credo che ormai sia impossibile, Naruto-kun.

Chiude gli occhi e sospira pesantemente.

- Ce l’ho messo io, il germe, nella mi vita.


Io mi sono ostinata ad amare Sas’ke-kun.
Io mi sono ostinata a non amare te.
Io l’ho portato dentro questa casa, quando è tornato.


Io non sono riuscita a salvarlo.


- E adesso questa casa non è altro che una tomba.
 
 
 
°°°
 
 

La strada verso casa è lunga, e i passi che fa sembrano coprire sempre meno terreno con il passare degli anni, come se le gambe si fossero accorciate.

La testa le ciondola quasi mentre cammina, come fosse trasportata da un qualche melodia.

Ha gli occhi chiusi e ciondola, i polpastrelli scorrono sul muro di cinta delle case e sulle staccionate per non perdere la via.

Segue quindi lo spigolo che la sua mano incontra e svolta a sinistra.

Gli occhi chiusi che riescono già a vedere la strada.

Era primavera, ci sarebbero stati gli alberi in fiore, i pollini in aria, e quel vago sentore di ritorno alla vita che si fermava appena al di fuori della staccionata di casa sua, senza riuscire ad andare oltre.

Il braccio teso a toccare il muro di tanto in tanto incontra qualche ramoscello di pianta rampicante fuggito ai recinti nei giardini.

- Sakura.

La voce di Ino suona preoccupata.
 

Apre gli occhi, e Ino non la sta guardando: se ne sta ferma davanti al portoncino di casa sua e guarda oltre la staccionata.

- Cosa c’è, Ino?

Le arriva accanto, e un movimento la distrae.

Sasuke è lì.


Sasuke è vivo.


È accovacciato sul prato, ha una paletta in una mano con cui scava un poco la terra per smuovere le radici delle erbacce, e poi le strappa via. Vicino a lui per terra c’è un pacchetto di semini aperto.

Dando un’occhiata oltre la sua schiena nota che il resto del giardino è già in perfetto ordine.

Ino non parla, mentre Sakura non si ricorda nemmeno più come si fa, a parlare.


Sasuke è vivo.


Lui le guarda ma non le saluta.

- Sas’ke-kun ti sta sistemando il prato, Sakura.

Lui le sente ma non risponde.

E il prato era sempre stato un modo come un altro per dire “Sasuke”, in tutti quegli anni, e non un vero prato.
Ma Sasuke era lì, in quel momento, germogliato dal nulla, o forse da tutti i concimi e da tutte le cure non corrisposti di quei lunghissimi dieci anni, e il prato era solo un prato.

- Sas’ke-kun.

Dice in maniera ridicola.

Così ridicola che lui si volta e la guarda, facendole cenno con la testa di entrare.

- Non calpestare la terra. – si raccomanda poi quando lei si avvicina troppo e troppo velocemente.


Ho aspettato dieci anni per avvicinarmi.


Si ferma al limitare delle mattonelle quindi, saluta Ino con una mano e rimangono soli.
Sasuke sembra appena riemerso da un sonno troppo profondo.
E quell’attimo in cui lui le passa il sacchetto dei semi è surreale.

A Sakura sembra di esplodere.

- Sai perché non è mai cresciuto?

Si alza in piedi – non se lo ricordava nemmeno alto in quel modo – strofinando le mani sui pantaloni, i granelli di terra che cadono, qualcuno che invece rimane incastrato alle unghie.

Scuote la testa.

- Perché annaffi con il tubo.

Lui butta l’ultima erbaccia su un mucchietto di ortica all’angolo, e poi le indica l’unico punto rimasto privo di semi. Ce ne getta qualcuno distrattamente perché la mano le trema, e metà le cadono sulle scarpe.

Sasuke gliene prende qualcuno dal sacchetto per rimediare, e quando le sfiora la mano le scappa un singhiozzo che lui non si aspettava, ma su cui non fa domande.

- Annaffi con il tubo, invece dovresti farlo con l’annaffiatoio. Altrimenti smuovi tutti i semi e non cresce nulla.

Per un attimo vuole picchiarlo per il tono autoritario con cui l’ha detto.


Ma poi pensa che le ultime parole che gli ha sentito dire sono “lasciami stare”, e allora va bene sentire qualsiasi cosa uscire dalle sue labbra.

- Vedrai che adesso crescerà.

Le dice, e un altro momento surreale viene a crearsi tra di loro. Ancora una volta sente quel quarto di rabbia emergere, ma il resto del corpo, quello pieno di pietà e compassione, la parte buona di lei, quella volta, decide di combattere.

Ne esce fuori un miscuglio di emozioni incontrollate e altalenanti.

Sakura piange, ma sembra infuriata.

- Ce ne ha messo di tempo. – sussurra.

Sasuke la guarda e non sa cosa dire, perché anche lui lo sa che non si sta parlando del prato.

- Ci ha messo dieci fottutissimi anni, e io non so nemmeno se durerà. Non so neanche se... – si porta una mano sul volto per asciugarselo e batte le ciglia velocemente almeno una decina di volte, per cercare di ripristinarsi - Magari un temporale primaverile spazzerà via tutto.

Ci sarebbero state cose superflue da dire, e cose invece molto importanti. Ma Sasuke, in quei dieci anni di silenzio e di esilio forzato, aveva forse perso molto della sua vita, ma non la capacità di rassicurarla con poche parole dette bene.

- Vedrai che crescerà.
 
 

 
Undicesimo anno
 
 
 

Da “Come sta Sas’ke-kun?” a “Come stai, Sakura-chan?” era passato poco tempo, forse qualche mese soltanto. Dopo cinque anni, le avevano cominciato a chiedere “ Quanti anni hai?”, metafora per dire “Quanti anni hai sprecato?”.

Naruto era arrivato a dirle di salvarsi la vita.

Ma Sakura, facendo una stima delle ultime conversazioni, è felice di notare che la domanda ricorrente è diventata un’altra:

Come sta il piccolo Itachi?

Sorride. Il prato è verdissimo, e lei ha ventotto anni sofferti e vissuti appieno sulle spalle. Sasuke annaffia, perché lei ha la mano troppo pesante per quello, e perché ha esaurito le sue scorte di pazienza.


Sta bene, si dice.

Stanno bene.  

Sto bene anche io.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Ehm ehm.
Sperimentalismo (si fa per dire) galoppante. Ho cercato di essere il più essenziale possibile senza prolungarmi troppo in lunghissime introspezioni o cose del genere, uno stile un po’ diverso da quello che ho usato nell’esiguo numero di storie che ho pubblicato fino ad ora, ma volevo provarci.
Non so bene cosa sia uscito fuori, e non credo di esserne pienamente soddisfatta, ma se qualcuno vorrà darmi un’opinione al riguardo o farmi qualche critica, sarà ben accetto.
Grazie per aver letto, comunque! J
umavez
 



 
  
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