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Autore: fuoritema    02/11/2013    13 recensioni
L'uomo che emerge dall'oscurità è alto e snello, con i capelli tagliato quasi a zero, e tutti i pezzi vanno a posto. Tiene le mani dietro la schiena e indossa gli abiti grigi degli Abneganti [...]
Marcus mostra le mani. In una, chiusa a pugno, stringe una cintura avvolta intorno alle dita. Lentamente, la svolge. "E' per il tuo bene" afferma, e la sua voce riecheggia una decina di volte.
(Da Divergent)
***
Ho appena posato le statuette al loro posto quando sento dei passi: è lui.
Calmo Tobias! Calmo! Sussurro per tranquillizzarmi. Hai ancora un po’ di tempo per nasconderti. Mi guardo attorno spaventato. No, non ho scampo.
(Dal testo)
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Four/Quattro (Tobias), Marcus Eaton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'This house no longer feels like home'
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E' per il tuo bene

 






La statuetta è per terra, in frantumi… Rappresentava un simbolo noto a noi Abneganti: un uomo e un bambino che si stringono la mano, per simboleggiare il nostro altruismo.
E’ strano… A noi giovani non è permesso parlare da pari a pari con un adulto e il simbolo della nostra fazione è questo.
Prendo in mano uno dei cocci e lo accarezzo nei punti scheggiati. Le due figure si sono staccate proprio nel punto dove le due mani si toccavano, le dita incrociate si sono rotte e lo sguardo dell’ adulto sembra arrabbiato. Sì, arrabbiato come sarà mio padre quando scoprirà cosa ho fatto, rabbrividisco solo al pensiero.

Ho appena posato le statuette al loro posto quando sento dei passi: è lui.
Calmo Tobias! Calmo! Sussurro per tranquillizzarmi. Hai ancora un po’ di tempo per nasconderti. Mi guardo attorno spaventato. No, non ho scampo.
La porta sia apre cigolando. Ci scambiamo un’occhiata: non posso fare a meno di pensare al suo sguardo duro e inespressivo che ora si è trasformato in un sorriso maligno. Abbasso gli occhi: mi fa paura il modo in cui non esterna la sua rabbia, preferirei mi urlasse contro da subito. E invece no, deve prolungare quegli attimi di puro terrore, come se gli facesse piacere.
Lentamente comincia ad avanzare. Indietreggio fino a toccare la finestra, poi, quando mi sta per afferrare, mi scosto di lato e la scavalco finendo nel giardino.
Ora sto correndo tra gli alberi, l’aria fresca mi accarezza il viso. Ripenso a quando mia madre mi rincorreva ridendo, e a quanto ero felice allora… Ma oggi non è così, scaccio via i ricordi e mi fiondo nel mio solito nascondiglio: un tronco cavo coperto da foglie secche.
Lo sento avvicinarsi, trattengo il respiro e mi sporgo per vedere dov’è.
Non sono stato abbastanza cauto: mi ha visto, i suoi occhi, anche se solo per un secondo, hanno inontrato i miei.

“Tobias” dice con voce suadente, la stessa che usa nei suoi discorsi, ma che con me non attacca, “ so benissimo dove sei”.
Purtroppo è vero, è una delle poche volte in cui mi dice la verità, "se esci da solo ne prenderai di meno”.
Non so come reagire, insomma: mi ha visto quindi se non esco volontariamente mi tirerà fuori lui. Ma se non lo faccio almeno il mio orgoglio rimarrà intatto.
Mi faccio vedere: non sono abbastanza coraggioso da rimanere nascosto.
”Bravo” mi dice prendendomi per un braccio e inizia a trascinarmi verso casa. Quando ormai siamo arrivati all’uscio mi impunto: non voglio, in fondo non ho fatto nulla di male. Ma lui continua a tirarmi, non resisto più di pochi secondi: un adulto è sempre più forte di un tredicenne. Allora smetto di tentare di liberarmi e mi lascio portare nella mia stanza.
Arrivati mi lascia, ormai sa che non scapperò, e lentamente chiude la porta.

Sono schiacciato contro una parete, perfettamente immobile, quando, con molta calma, si sfila la cintura dai passanti. Ci siamo, penso, e chiudo gli occhi. Mi costringe a riaprirli e mi fa segno di girarmi, la schiena rivolta verso di lui.
“No” sussurro, e sento che sto per iniziare a piangere. Mi trattengo: non gli darò questa soddisfazione, e mi giro con la faccia rivolta verso il muro.
"E' per il tuo bene" dice mentre sento il fischio della cinghia. Stringo i denti.
Uno. Inizialmente non sento nulla, poi un dolore lancinante mi sale su per la colonna vertebrale.
Due. Il dolore si è fatto più acuto, ora, e sto tremando tutto.
Tre. Trattengo il fiato per non urlare.
Quattro. Non mi controllo più, sono debole, troppo debole.
Cinque. Mi accascio per terra, non mi sposterò da qui, può scordarselo.

“Su alzati, non costringermi a tirarti su io” .
Alzo la testa e lo guardo negli occhi. Si è rinfilato la cintura e non sembra affatto arrabbiato. Abbasso lo sguardo, non riesco a sostenere il suo tanto a lungo. E’ un segnale di sottomissione: come quando un cane abbassa le orecchie dopo essere stato sconfitto. Ma io non sono sconfitto, glielo faccio credere, ma non lo sono…
Mi sono rialzato, mio padre mi prende per un braccio e lentamente saliamo le scale. Ormai so tutto a memoria: il terzo scalino che scricchiola, il sesto che se ci metti il piede affonda, le scale che finiscono con una porta, la porta del ripostiglio. 
Ora respiro a fatica, sto tremando e tra poco scoppierò a piangere: ho sopportato troppo. Mio padre apre la porta facendomi cenno di entrare, rimango immobile. Senza dire nulla mi spinge dentro mentre sento la chiave girare nella toppa: sono in trappola…

Vengo assalito dai miei ricordi: i miei fantasmi. Ripenso a mamma, se ci fosse lei ora non sarei qui, ma lei non mi proteggerà più. La devo smettere di pensare a come sarebbe se lei fosse qui, tanto quel che è successo è successo e io non lo posso cambiare.
Mi rannicchio per terra, le lacrime cominciano a scorrere senza sosta e mi riscaldano il viso. Inizio a tastarmi con delicatezza i punti dove mi ha colpito, sento dei solchi: il dolore mi rimarrà per parecchio tempo e mi ricorderà che lui è più forte di me e che mi continuerà a controllare, almeno per ora. Lentamente gli angoli della mia bocca si alzano: quando sarò grande potrò dire la mia e allora mi vendicherò. Mi asciugo le lacrime e mi sdraio addormentandomi con quell’unico pensiero in testa.
Vendetta…



 
♦♦♦
Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?
(Gianni Rodari)

♦♦♦

 






















































Angolino dell'Autrice:

Cucù, eccomi... Questa è la mia prima fan fiction ( vi prego non uccidetemi). Così ho deciso di scriverla sul mio personaggio preferito: credo abbiate capito chi è.
Leggendo Divergent la prima cosa che mi è venuta in mente è che potevo scrivere qualcosa anch'io su di lui. Mi sono messa al lavoro e questo è il risultato. Spero vi piaccia.
Grazie a tutti per aver preso in considerazione una fan fiction scritta da una "novellina del mestiere" che cerca di imparare qualcosa divorando le storie degli altri.
Stavo dimenticando una cosa importantissima. Questa storia è nata anche grazie all'aiuto di una mia amica che mi ha consigliato di leggere Divergent. Senza di lei non avrei avuto il coraggio di pubblicarla. Grazie toniacartonia. Ah: bisogna che mi diate una mano ad ad aggiungere Marcus ed Evelyn tra i personaggi...
Spero di leggere qualche recensione.
A presto :)

Hope 13


 
  
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