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Autore: Alessandro_Sisti    02/11/2013    2 recensioni
Come l'amore cosa tanto bella può portare a fare brutte decisioni per colpa della propria paura di farlo sapere a tutti...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il dolore dell'amore

Ad essere sinceri non ricordo quando iniziai ad essere frustrato e violento verbalmente.
È iniziato e basta, da un giorno all'altro, senza che potessi controllarlo.
È come se qualcosa mi filtrasse nel cervello facendomi incupire, da un momento all'altro; facendomi perdere il coraggio di parlare e rendendomi arrabbiato.
Devono essere legati a questo i miei sbalzi d'umore, è perché non riesco mai a togliermi il peso che mi porto dentro da mesi; sapevo di non essere pazzo, o beh, di non esserlo ancora diventato.
Davvero non capisco, non capisco quelle persone che dicono che innamorarsi è bellissimo, che ti fa sentire leggero e come se camminassi sulle nuvole.
Io mi sento pesante, triste e stanco di tutto.
Non sono mai stato molto loquace, soprattutto a scuola.
Sono il tipo sempre attento nelle lezioni, quello che lavora sempre, quello attento ai voti, che deve eccellere in tutto, anche nello sport, ma non ho mai parlato volentieri; non perché non mi piacesse parlare, socializzare o fare qualsiasi cosa normale che fanno i ragazzi della mia età, ma solo semplicemente perché non ci riesco.
Mia madre dice che ho qualche problema d'insicurezza, ma non mi sento insicuro, mi sento solo in imbarazzo ed a volte non riesco a sostenere lo sguardo delle persone.
O forse è proprio questa l'insicurezza? Non saprei.
In questi due anni di liceo mi sono fatto pochissimi amici e ora non ho nemmeno quelli, ma quest'anno è successo contro la mia volontà, di fare "amicizia".
Forse è stato il momento in cui l'ho vista sulla porta, nuova e spaesata, con lo stesso sguardo di un cervo abbagliato dai fari di un'auto, che mi ha ricordato me stesso, due anni fa.
E allora sono andato a stringerle la mano, visto che nessuno sembrava vederla nella sua solitudine.
Non so bene cosa mi abbia colpito di lei, forse i capelli di un castano con ciuffi un po' sparsi di un rosso veramente scuro quasi da non vedersi, gli occhi di una tigre; mi si è acceso qualcosa in testa, credo di aver anche sorriso e ricordo che per un attimo sentii il cervello come vagare.
Mi sentivo strano, mi sento strano a ripensarci ancora adesso e quasi maledico quello stupido giorno.
Da lì iniziammo a parlare tutti i giorni, ricordo che le sorridevo e lei mi sorrideva per ricambio ed ogni volta che lo faceva sentivo come un calore al centro del petto.
Scoprii molti interessi comuni, ogni giorno non vedevo, vedo, l'ora di veder la sua testolina da quel colore inimitabilmente bello e varcare la soglia della classe e salutarmi.
Passavamo le ore a scherzare, era diventata una mia amica, anche cara.
Per la prima volta dopo anni ero felice, ridevo tutti i giorni.
Le ho dato il mio primo abbraccio, non avevo mai abbracciato un amico prima d'ora, la lasciavo anche sedersi sulle mie ginocchia quando eravamo da soli.
E passavamo la ricreazione sempre assieme, io rinunciavo al salutare i miei amici nelle altre classi e stavamo lì, in classe io con il braccio attorno alla sua spalla e la sua dolce mano che respingeva il mio braccio dolcemente per evitare problematiche in classe, parlavamo, parlavamo di tutto, mi diceva, almeno una volta ogni ora: < Sei tutto rosso, sei così dolce >, io neanche me ne accorgevo e poi non riuscivo più a parlare, restavo lì, in silenzio, a sentire il suo profumo alla vaniglia, mentre l'ascoltavo.
Iniziai ad essere frustrato quando tutti iniziarono a canzonarmi.
Tutti ci chiedevano costantemente se stavamo insieme, ma noi rispondevamo sempre di no, forse cominciai a rifletterci su in quei giorni.
In effetti la pensavo, la penso, sempre.
Mentre studio, a scuola, in maneggio, a casa, ovunque.
Amavo, amo, il suo profumo e mi sembrava di sentire anche quello ovunque andassi o mi girassi.
Allora capii, capii che ero innamorato di lei e divenni frustrato.
Ogni giorno volevo dirglielo, urlarglielo ma, ogni volta che ci provavo, mi bloccavo, mi veniva, mi viene, da urlare e da piangere.
Finivo per poggiare la testa sul banco, affondandola nei libri.
Lei non ha colpe, lei è sempre la stessa, sono io che diventavo, divento, ogni giorno diverso.
Ricordo che un giorno che ci guardammo profondamente negli occhi, sentii un nostro compagno di classe che da lontano ci chiamava "piccioncini", la scansai, le dissi che non mi andava di essere fissato in quella maniera da lei, non scorderò mai la sua faccia spaesata, distrutta.
Era delusa, ma non voleva farmelo vedere, mi sentii un nodo in gola, mi bruciavano fortemente gli occhi fino a farli lacrimare, presi un respiro.
Cominciò tutto da lì.
Cominciai ad essere sempre più arrabbiato, con me stesso, con tutti, forse anche con lei, che non c'entrava nulla, iniziai a risponderle male, anche se non volevo, non volevo, era come se non fossi io, ogni volta le parole diventavano, diventano, più cattive.
Ogni volte le lacrime diventano di più, le mie nascoste nei bagni, le sue nascoste tra le proprio maniche e sulle spalle degli amici.
Non ci abbracciammo ne ci guardammo più come una volta, non parlammo più.
Ogni volta il suo viso diventava sempre più cupo, ogni volta il mio cuore diventava sempre più triste.
Non riuscivo, non riesco, a vederla così, ogni volta che la guardo mi sento arrabbiato, mi viene voglia di urlare ed urlo contro di lei, lei piange, io muoio dentro.
La vedo quando si riposa sulle panchine, durante le lezioni di educazione fisica, so dove si siede e lì ci lascio la mia felpa, perché so che le manca tutta la tenerezza che ha scoperto in me, almeno non è costretta a sedersi accanto a persone che non le piacciono, solo per avere ancora me in memoria.
La vedo che non riesce a rimettere a posto tutte le attrezzature che il professore le ordina di riordinare, visto il suo incarico di aiutante, per alzare un po' i voti; così quando va a cambiarsi negli spogliatoi, rimetto tutto a posto io, chiedendo al professore di chiudere un occhio.
La vedo che non riesce ad aprire la porta della palestra, che è troppo spessa e pesante, così la apro io, facendo passare tutti, con la scusa di dover aspettare un fantomatico amico.
La vedo che a volte si dimentica di portare un libro, così chiedo al mio compagno difronte di darle il mio spacciandolo per suo.
La vedo che a volte si dimentica le ricerche, così ne faccio sempre due ed una appare sempre, magicamente, sul suo banco.
La vedo che vuole prendere le merendine che le piacciono tanto, ma nei distributori, che sono solo due, c'è troppa fila; allora esco qualche minuto prima che suoni la campanella per prendergliene una, nasconderla nel giubbino ed appoggiarla sul suo banco, perché so che non c'è nessuno in aula dopo che è suonata la campanella e che nessuno sospetterà mai di me, perché sanno che resto fuori a chiacchierare anche più del dovuto.
La vedo che mi guarda e cambia espressione, qualche volta anche piange ed io rimango lì, cercando di non crollare con tutto me stesso.
Alimento la mia frustrazione, il mio odio, il mio stress, non dormo più.
Mi sento come morire, ma ogni volta che la guardo mi sento rabbioso ed esplodo.
Torno a casa e rimango a terra, contro la porta, senza respiro, con le mani tra i capelli, cercando di urlare, ma i suoni non escono.
Gli urli muti, il volto rigato, lei, io.
Ci sto uccidendo e non so come fermarmi.
Ho bisogno di aiuto.
Ho bisogno di aiuto per favore.
La mia testa, la mia mente, ha qualcosa di oscuro, qualcosa che non funziona.
Sono solo, spaesato.
Ho bisogno di essere guarito.
Non voglio più soffrire.

Non voglio più che lei soffra...

 
  
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