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Autore: CamillaAngelotti    03/11/2013    0 recensioni
Una ragazza di diciassette anni, Camilla Ori, dopo essere stata trovata in una strada di montagna in situazioni drammatiche, sul punto di morte, si salva per miracolo, dopo quattro mesi di coma; al suo traumatico risveglio in un ospedale di Trento, si rende conto di non ricordare assolutamente niente del proprio passato, nonché della propria identità e si trova costretta ad accettare la convivenza con i misteri nascosti in un corpo a lei sconosciuto. Quando finalmente la situazione sembrerà migliorare, con l’inizio di una nuova vita, Camilla dovrà riuscire a lottare contro il dolore provocato da ricordi e immagini confuse del passato. La ragazza dovrà riunire tutte le proprie forze per capire chi fosse prima di essere trovata in quella strada il venti luglio del 2000, ma soprattutto dovrà imparare a guardarsi le spalle e a dare un nome alla malefica ombra che sembra non abbandonarla dai suoi ricordi più lontani…e che forse la segue ancora.
GENERE: GIALLO PSICOLOGICO
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi vennero brividi per tutto il corpo e sorrisi perplessa, trovando in quella reazione la mia unica barriera per nascondere la paura:
-Scusa?-
Il suo sguardo era di ghiaccio, ripeté in un sussurro quelle parole:
-Incy Wincy Spider-
-Scusa, ma temo che tu mi stia sbagliando con qualcun altro. Perdonami, ma devo proprio andare, ora...-
-Camilla Ori, fermati- disse ancora, afferrandomi per la giacca e impedendomi di allontanarmi.
-Come sai il mio nome?-
-Non mi riconosci?-
-Io non ti conosco- ripetei ancora convinta e diffidente. La ragazza, con le mani tremanti, mi fece cenno di seguirla in un angolo più isolato della stanza; sembrava vecchia, vecchia e consumata mentre i suoi occhi incavati mi fissavano:
-Guarda- mi disse, portando le mani magre e secche sulla fine dei pantaloni sgualciti; le dita lunghe alzarono la stoffa vecchia fino al ginocchio. Aveva un tatuaggio: lessi il numero 64. Erano uguali, uguali a quelli che avevo io. Scossi la testa confusa e sconvolta, dopodiché lei si abbassò per fare lo stesso alle mie gambe... ma si accorse che non c’era proprio niente
-Li hai cancellati- disse terrorizzata -Come ci sei riuscita?-
-Non ho cancellato proprio niente- risposi freddamente, cercando di allontanarmi da quel personaggio così spaventoso
-No, tu li hai cancellati!- alzò ancora la voce, terrorizzata e infastidita da ciò che aveva visto -Come hai avuto il coraggio di fare una cosa simile?!-
-Io non ho mai avuto quella... cosa- risposi con un mormorio, desiderando con tutto il mio cuore che Dan finisse il più in fretta possibile di pagare -E non ti conosco- mi allontanai, iniziai a camminare decisa, con il cuore che rimbombava spaventato dentro di me, finché quella voce non mi fece ancora fermare:
-Trecento- mi bloccai, immobile sui piedi che a stento reggevano il mio corpo tutto tremante e spaventato. E lei continuò -Sei nata in Scozia il dodici aprile del 1983, Bones ti ha preso con lui l’undici settembre del 1991-
-Abbassa la voce- la ammonii, portandola in un luogo più isolato -Chi sei?-
-Come hai fatto a fuggire?-
-Senti, chiunque tu sia... sono andata in coma, io ho perso la memoria, non so niente...-
-Stai mentendo- rispose lei severamente -Stai mentendo, bugiarda      ! Bugiarda!- mi colpì con le braccia deboli, mi spinse davanti alla porta del bagno e cercò, con la poca forza che aveva, di picchiarmi:
-Lasciami!- la fermai terrorizzata -Io lo giuro, non ricordo niente!-
-Mi avevi promesso che mi avresti salvata...- rispose lei, abbassando la voce e parlando con tristezza e delusione, fissandomi con disprezzo -Mi avevi detto “Tornerò a prenderti domani, ti salverò”-
-Io non...-
-E non sei più tornata... ti ho aspettato, povera illusa, con lo zaino sulle spalle... e non sei più tornata, mi hai lasciato là! E hai lasciato che mi torturassero ancora! Io ti ho aiutato e tu, bugiarda, vigliacca, mi hai lasciato morire!-
-Ti prego, smettila...- la pregai sconvolta, con la voce rotta dal pianto -Ho paura-
-Devi avere paura. Come una stupida ti ho aspettato per ore, ma tu eri già in fuga, mi avevi ingannato... loro sapevano che ti avevo aiutato: sono stata punita, mi hanno fatto male, mi hanno distrutto!-
-Mi dispiace, si sta sbagliando, io...-
-Non fingere più- mi fermò lei -io ti riconosco. Io li posso ancora vedere i tuoi occhi, non sono cambiati... c’è il dolore riflesso: il dolore che hai provato, e quello che hai procurato-
-Devo andare- dissi subito, cercando di allontanarmi da quella donna striminzita e minacciosa
-Dov’è Sam?-
-Chi?- chiesi perplessa
-Sam. Tu non capisci che Bones ti cerca, vero?-
-Ho detto... ho detto che non ti conosco. Vattene, ti... ti scongiuro- balbettai, pallida. Un semplice riferimento al passato e il mio muro difensivo, costruito con tanta fatica, si spezzava del tutto... e ogni volta lo ricostruivo più debole. Non so dove sarei potuta arrivare facendo così
-Guardami negli occhi- disse, circondandomi il viso con le mani secche, sporche e grinzose -Tu ti sei salvata e mi hai lasciato sola, mi hai colpito alle spalle, ma io ti amo ancora, piccola Camilla, io...-
-Basta!- mugolai, cercando di allontanare le sue mani dalle mie guance pallide
-Scappa- disse un’ultima volta -Scappa, perché lui ti troverà, e tu devi pensare a Sam... devi, devi pensare a lui. Bones ti vuole, lui non ha dimenticato-
-Dimenticato cosa?-
-La vostra promessa, Camilla… Sam. Lui lo rivuole indietro-
Sam? Scossi la testa confusa: ricordo bene le sue parole, mi ronzano ancora oggi nella testa. Le ascoltavo passivamente, ad occhi chiusi, e intanto continuavo a negare. La tensione cresceva, ero spaventata, sconvolta, terrorizzata:
-Basta!!!- urlai con tutta la mia voce. Improvvisamente si zittì, tutti si girarono. Un uomo distinto si avvicinò preoccupato a me:
-Va tutto bene, signorina?-
-No...- borbottai, senza fiato
-Sono un dottore; la signora è malata, molto malata. Mi dispiace, mi ero allontanato per un po’ e...-
-Stia più attento...- dissi, guardandomi intorno mentre decine di occhi preoccupati mi fissavano
-Mi hai tradito- disse un’ultima volta, dimenandosi fra le braccia del dottore. Scossi la testa, la fissai immobile... e scoppiai a piangere. Incontrai lo sguardo interrogativo e preoccupato di Dan, mi scusai con gli occhi e di corsa scappai dal locale, allontanandomi dalla porta, da tutti i rumori, da quegli sguardi curiosi e da quelle minacce pericolose.
Mi sentii rinfrancata dall’aria aperta. Continuai a piangere con la testa fra le mani, quando mi resi conto di non essere sola: delle braccia sicure mi strinsero in un abbraccio, circondarono il mio corpo debole e fragile... mi sentii cadere... in un buco nero, senza fine. Mi sentivo così inerme, così sciocca... in pericolo e sola. Chiunque avrebbe criticato il mi comportamento, ma Dan non lo fece. Perché lui non era “chiunque”... perché lui mi aveva capito, perché fin dal primo momento che i nostri occhi si erano incontrati tutto l’amore che non avevo mai donato a nessuno aveva preso una direzione... volevo lui e solamente lui; ero disponibile a dargli tutta me stessa, perché sapevo che sarei stata più al sicuro fra le sue braccia che da sola. Ed era la prima persona di cui pensavo qualcosa di simile. Piangevo fissando la strada davanti a me... era freddissimo, c’era ancora un po’ di neve sui lati delle strade mentre il ghiaccio buio della notte ci avvolgeva. Le sue mani strinsero le mie, mentre piangevo con la testa bassa e le sue braccia cercavano di confortarmi, sebbene non sarebbe stato abbastanza per risolvere i miei problemi. Usando la voce più calma e dolce possibile mi sussurrò lentamente:
-Vuoi dirmi che ti prende?-
-Scusa...- sussurrai con tono fioco, intrecciando le mie dita alle sue; mi girai con le lacrime agli occhi… quanto avevo bisogno di quello sguardo. In quel momento, proprio in quel momento di debolezza io volevo i suoi occhi: più avevo la fortuna di capire cosa significasse essere amati, più soffrivo pensando a quanto, in realtà, non avessi niente.
Appena mi voltai il suo sguardo profondo incontrò il mio, insicuro e spaventato; passai le nocche infreddolite sulla sua guancia e singhiozzando cominciai a parlare:
-Ci sono troppe cose che non puoi capire e troppe cose che non ti posso spiegare. Dan, io ti adoro, ma... ma ho bisogno di stare sola...- mentii, mentii perché in realtà avevo solo bisogno di lui
-Ti prego, spiegami…-
-No, ho bisogno di stare sola...-
-Puoi fidarti, Katy...- non lo ascoltavo, continuavo a camminare con le lacrime agli occhi, quando mi voltai di scatto:
-Credimi, non posso!-
-Fermati, ora! Dove vuoi andare da sola a quest’ora? Stai calma, ti prego... va tutto bene-
-Va tutto male, invece...- lasciai che mi raggiungesse, abbassando lo sguardo il più in fretta possibile
-Come credi di risolvere tutto da sola? Voglio davvero aiutarti...- rimasi in silenzio e incrociai le braccia, fissando il freddo marciapiede grigio e ancora imbiancato sotto i miei piedi. Dan fece l’ultimo tentativo, sperando che finalmente gli rispondessi:
-Conoscevi quella donna?-
-Io non so cosa mi stia prendendo, ma...-  misi una mano sulla fronte ghiaccia e mi avvicinai alla panchina più vicina, sentendo la testa girare fin troppo forte
-Katy, cerca di rimanere calma: devi dirmi chi è quella ragazza... cerca di capire, è importante-
-Beh, non ne ho la minima idea, ma credo che fosse con me quando…- Dan capì cosa intendevo, anche se in realtà ciò di cui stavo parlando non era proprio quello che pensava, comunque mi abbracciò ancora e io rimasi in silenzio, singhiozzando e asciugandomi le lacrime con le dita ancora ghiacce per il freddo
-Katy...- sussurrò fra il vento gelido; mi strinsi con ancora più forza al cappuccio del giubbotto che avvolgeva il suo collo... non avevo paura di lui. Il suo corpo non mi spaventava, ma mi faceva sentire al sicuro... e sentivo che ciò che provavo verso di lui non faceva altro che crescere. Rimanemmo in silenzio, perché non c’era niente da dire... in un solo mese aveva cambiato la mia vita. Aveva preso il mio debole corpo insicuro e gli aveva dato una forma... ero tornata a vivere, ero tornata a sorridere, a provare sentimenti... forse non gli avevo mai fatto capire quanto tenessi a lui. L’avevo amato ogni singolo giorno per più di un mese... ma non glielo avevo mai detto. E mi chiedevo come potesse fare tanti sacrifici per me! Per me, che in realtà non gli avevo dato niente, se non la mia debolezza, perché la trasformasse in forza.
Mentre eravamo abbracciati, passai debolmente la mano sul suo collo e lasciai un piccolo bacio su di esso:
-Ho freddo...- sussurrai. Ma proprio in quel momento, a Dan squillò il cellulare: era William. Mentre parlava, ascoltavo con ansia le sue parole, perché mi aveva detto che la sorella di Kaitlin sarebbe tornata... quindi sapevo che quella serata sarebbe stata l’ultima passata fingendo di essere Kaitlin Connor. Per questo, quando sentii pronunciare il nome “Jasmine” al telefono, mi irrigidii e cercai di fare la massima attenzione alle sue parole. William lo avvertì del fatto che Jason e Jasmine erano bloccati all’aeroporto e non riuscivano neppure più a rintracciarli a causa di una tempesta... quindi io non avrei dovuto incontrarla, per il momento. Questo mi rincuorò leggermente, nascosi il lieve sorriso del quale mi sarei dovuta vergognare, anche se non durò per molto, visto che quasi subito ripensai al fatto che il giorno dopo comunque ci saremmo riviste. Non sapevo come reagire, avevo solo paura e una voglia incredibile di raccontare tutto a qualcuno, così che potesse aiutarmi, lasciarmi sfogare, ma soprattutto capirmi.
Fin da piccola avevo sofferto di gravi crisi d’ansia, mi venivano soprattutto quando mi sentivo sola e persa, quando mi sembrava che non ci fosse più niente di buono intorno a me e quando credevo che non sarei mai più uscita da una situazione. Cominciavo a non respirare e mi sentivo incredibilmente male, anche se non sapevo bene spiegarne il perché. E proprio così successe in quell’occasione; Dan con la solita calma mi fece sedere e cercò di calmarmi… aveva imparato a conoscermi e sapeva di me quei piccoli particolari dei quali nessuno si sarebbe mai curato. Non so cosa stesse pensando in quel momento, ma sembrava che mi capisse alla perfezione; non parlava e non mi chiedeva niente.
Ero seduta su quella panchina, davanti a me le macchine veloci e frettolose... era pungente e inaspettato il freddo di quella notte. Avevo gli occhi pieni di lacrime, gonfi per il pianto e le mani rosse per il freddo, appoggiate inermi sulle gambe. La mano di Dan sfiorò la mia ed io, senza guardarlo negli occhi, la strinsi, socchiudendo gli occhi. Perché era tutto sbagliato? Io non potevo rinunciare a Dan... lui mi aveva salvato nei momenti di debolezza, mi aveva dato ciò che nessun altro mai mi aveva offerto, ovvero il cuore. Io gli avevo dato il mio... ed ero disponibile a fare qualsiasi cosa per lui, da quanto sentivo il bisogno di ricambiare quello che ogni giorno faceva per me. Lo guardai teneramente negli occhi appena iniziai a sentirmi leggermente meglio:
-Scusami, Dan...-
-Va tutto bene. E puoi parlarne con me, davvero...-
-No, non  voglio e non posso. Ci sono tante cose che io stessa non so, che io stessa non ricordo! Non capiresti mai se…-
-Ti ha fatto così male?- chiese improvvisamente, con un tono di disprezzo
-Ho detto di smetterla-
-Devo saperlo… se avessi quell’uomo davanti giuro che lo ucciderei con le mie mani!- disse aggressivamente, colpendo il muro dietro di noi con un pugno -Oh, è possibile che le cose peggiori accadano sempre alle persone che non le meritano?!- cercò di calmarsi scuotendo la testa, per poi scostarmi una ciocca di capelli dal viso, addolcendosi -Dovresti parlarne, lo sai...-
Io di nuovo mi innervosii molto, mi faceva male la testa e riuscivo solo a piangere, non avevo energie per altro, così gli risposi urlando:

-Perché continui con queste domande? Ho detto che non ne voglio parlare!!!- buttai la testa fra le mani piangendo, cercando di rimanere calma... ma non ci riuscivo
-Katy, così non va. C’è un albergo qui davanti… vieni!-
-No, torniamo a casa... voglio stare sola, ti prego-
-No, stai troppo male... non voglio portarti a casa in queste condizioni- mi lasciai praticamente trasportare sulle strisce, stavo malissimo. Mentre stava per entrare, lo fermai quasi con violenza, con le lacrime che ancora mi rigavano il viso:
-Smettila, ti ho detto che non voglio entrare! Ho bisogno di stare sola... vattene! Non ho bisogno di te!- esclamai fuori di me. Non intendevo dirlo davvero, ma il mio equilibrio era completamente offuscato dal panico e dalla paura. Vidi gli occhi di Dan spengersi come non avevano mai fatto prima di allora... abbassò lo sguardo e allentò la presa sul mio braccio, lasciando che ricadesse debolmente sui miei fianchi. Ci fu un minuto di silenzio, quella frase tagliente mi aveva tolto il respiro, non sapevo perché lo avevo detto. Dan abbassò lo sguardo:
-Perché dici sempre così?- chiese fievolmente, fissando il cielo scuro sopra di noi. Non riuscii a rispondere... perché non avevo una risposta, in fondo. Incrociai le braccia intorno ai fianchi per il freddo, finché non trovai il coraggio di parlare:
-Non voglio che tu mi veda così... non voglio rimanere sola con te in questi momenti...-
-Perché? Dammi una buona ragione e giuro che ti riporto a casa senza neppure una parola... e poi potrai stare da sola- rimasi in silenzio, poi scossi la testa, fissando quegli occhi che amavo così tanto
-Perché fai tanti sacrifici per me? Perché non mi odi? Ti ho appena detto di andartene... e sei ancora qui... voglio sapere perché, Dan-
-Se qualcuno ti dicesse di smettere di respirare, tu lo faresti?- la sua risposta mi colpì più di quanto avesse fatto ogni sua singola parola finora. Continuai a piangere, un grosso lacrimone mi rigò la guancia destra. Dan sospirò, avvicinandosi:
-Vuoi davvero che me ne vada?-
-No...- ammisi fra le lacrime, buttando il viso fra le mani –No, non lo voglio...- sentii la sua mani sfiorarmi la schiena
-Avanti, entriamo...- cercai di ricompormi mentre prendeva la camera, quindi lo seguii senza dire una parola, quasi come se tutta la confidenza che avevamo non esistesse più... odiavo mostrargli la vera me. Lo odiavo... perché mi vergognavo di ciò che ero... e non volevo che Dan lo sapesse. Appena aprì la porta della camera, quasi mi lanciai dentro, visto il terribile freddo che avevo. Sentii la porta chiudersi dietro di me, ma non mi girai verso Dan. Tolsi il capello e lasciai ricadere i capelli sulle spalle, quindi sbottonai il giubbotto e mi sedetti sul letto, immobile e in silenzio, in mezzo alle lacrime
-Ti lascio un attimo sola... devo andare a parlare al telefono con una persona...- nel momento in cui lo vidi allontanarsi, capii quanto avrei voluto che rimanesse.
Mi lasciai ricadere sul letto senza forze: quella donna mi aveva fatto paura... era così spenta, così triste... così delusa. E le parole che aveva detto non mi avevano lasciato tranquilla: in fondo, avevo solo diciannove anni. Potevo fingere di essere grande abbastanza per sopportare tanti dolori, ma non lo ero.
Faceva così male. Strinsi le braccia intorno al mio corpo percosso da brividi, mentre le parole di quella donna non se ne andavano e continuavano ad affollare il mio cervello, martellanti. Stavo impazzendo? Ero solo stanca di stare male.
Subito andai in bagno e mi guardai allo specchio: ero pallida, avevo davvero freddo e le mia labbra viola tremavano... gli occhi rossi e il corpo ghiaccio erano una crudele dimostrazione di quanto fosse forte il mio dolore. Rimasi immobile per qualche minuto... cercavo di ricordare, e allo stesso tempo di dimenticare: volevo troppe cose, il mio cuore spingeva in due direzioni opposte... ma prima o poi si sarebbe spezzato.
E proprio in quel momento di debolezza, in quel momento di fragilità che mi aveva buttato ancora più giù, sentii bussare alla porta. 

 
  
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