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Autore: CamillaAngelotti    03/11/2013    0 recensioni
Una ragazza di diciassette anni, Camilla Ori, dopo essere stata trovata in una strada di montagna in situazioni drammatiche, sul punto di morte, si salva per miracolo, dopo quattro mesi di coma; al suo traumatico risveglio in un ospedale di Trento, si rende conto di non ricordare assolutamente niente del proprio passato, nonché della propria identità e si trova costretta ad accettare la convivenza con i misteri nascosti in un corpo a lei sconosciuto. Quando finalmente la situazione sembrerà migliorare, con l’inizio di una nuova vita, Camilla dovrà riuscire a lottare contro il dolore provocato da ricordi e immagini confuse del passato. La ragazza dovrà riunire tutte le proprie forze per capire chi fosse prima di essere trovata in quella strada il venti luglio del 2000, ma soprattutto dovrà imparare a guardarsi le spalle e a dare un nome alla malefica ombra che sembra non abbandonarla dai suoi ricordi più lontani…e che forse la segue ancora.
GENERE: GIALLO PSICOLOGICO
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Avanti...- mormorai, asciugando le ultime lacrime amare
E non appena vidi i suoi occhi, ecco che ricominciai a vivere.
Fui felice, felice come mai di vederlo: non ero sola, non più così persa. Sorrisi con gli occhi offuscati dalle lacrime quando entrò nella stanza, richiudendo la pesante porta dietro di noi. Corsi ad abbracciarlo, piansi sul suo giubbotto dimenticando tutto il resto, dimenticando la paura e tutti i miei problemi
-Katy, ma... oh, sei gelata...- mormorò con la sua solita preoccupazione, poggiando le mani sulla mia schiena -E stai tremando…- sfiorò le mie guance pallid,e corrugando la fronte -Che ti prende?-
-Non... non lo so- balbettai, cercando io stessa di capire perché stessi così male -Non mi sento molto bene- mormorai con lo sguardo basso, cercando in realtà di trovare una scusa
-Oh signore, hai le mani gelate...- mormorò pieno di una dolce compassione -Non posso vederti così...-
-Passerà. Ora voglio solo scusarmi con te-
-Va tutto bene, Katy, tranquilla...- mi rassicurò, sedendosi sul letto proprio accanto a me -L’ultima cosa che devi fare è scusarti, d’accordo?- Mi accarezzò il viso e asciugò le mie lacrime, con il solito sguardo che sapeva umiliarmi per i miei errori, e allo stesso modo confortarmi per le mie sofferenze. I suoi occhi preoccupati mi fissarono per qualche secondo e quasi mi rimproverarono… sapevo cosa stava pensando di me. E aveva ragione. Non stavo bene, non ero ancora psicologicamente stabile e i suoi occhi splendidi cercarono di tranquillizzarmi, ma anche di ammonirmi:
-Cerca di riprenderti, Katy...-
-Non preoccuparti, non è grave... sto già meglio...-
-Avresti dovuto dirmi che stavi ancora così male, Kaitlin- il suo tono divenne severo, ma subito i suoi occhi si addolcirono, vedendo la mia espressione tanto stanca -Non farlo mai più, ti prego. Non posso vederti così…- sentii la sua voce rompere il silenzio che si era appena creato
-Di che parli?-
-Quello che è successo al ristorante... è terribile vederti stare tanto male. Non spaventarmi mai più così...- mormorò ancora nel buio della stanza, rischiarata solo dal leggero candore della luna, la cui luce passava dalle fini tende color porpora -Vuoi parlarne? Di quello che è successo, intendo. Katy, abbiamo tutta la notte... io sono qui e non vado da nessuna parte- amai quella frase con tutta me stessa, come se già non avessi lo stomaco in subbuglio a causa di quel ragazzo; se non fossi stata una bugiarda ipocrita, quelle parole mi avrebbero reso ancora più felice. Se non avessi mentito su tutto, mi sarei seduta e avrei raccontato a Dan ogni cosa, a partire dalle mie paure più segrete... ma non potevo spogliarmi della mia falsa identità. Tuttavia riformulò la domanda, come se cercasse di mettermi alla prova... per un secondo fui sul punto di scoppiare a piangere e di confessargli ogni singola cosa:
-Scusa ancora, solo che…- balbettai con insicurezza -Sai, è difficile ripensare a certe cose...-
-Nessuno ti costringe a parlarne, ma devi capire che ritrovare quella ragazza sarebbe importante. Che cosa ti ha detto?-
-Non lo so… dal momento che era malata, e si capiva piuttosto bene, avrei anche potuto pensare che stesse parlando a caso, ma... ma ha detto il mio nome. Ha detto cose che solo io sapevo e che...- mi fermai. Fui su punto di dire “che il mio rapitore mi sta cercando” ma quella notizia mi spaventava tanto quanto l’idea di accettarne la consapevolezza… non lo avrei ammesso, no. “Lui”, per quanto non conoscessi ciò che si nascondeva dietro a quelle lettere, non mi cercava davvero. Più mi terrorizzava il pensiero che qualcosa che non conoscevo si stesse avvicinando, più lo negavo a me stessa; ecco perché non dissi a Dan ciò che avevo saputo... volevo cancellarlo dalla mente, ecco tutto. Più volte avevo capito, nei sogni o nei ricordi che quell’uomo cercava qualcosa che avevo… ma non avevo idea di cosa potesse essere… mi avevano trovato in quella strada da sola, senza niente e nessuno. Ero esausta e stanca di farmi sempre le stesse domande. Mi sentivo come se dovessi frenarmi per cancellare i miei sentimenti, perché avrebbero fatto troppo male se li avessi lasciati andare.
E poi pensai: “Sam”. Chi era quella persona? Più volte ne avevo sentito il nome; non riuscii ad evitare di pensare alla casa di quella donna, il bigliettino, l’indirizzo. Ecco dove avevo sentito il nome Sam: il bambino dagli occhi blu come il mare. Eppure quelle erano state semplici visioni, in realtà non avevo fatto altro che stare sdraiata in ospedale, non mi ero mossa, se non nei più remoti angoli del mio cervello; che ruolo aveva quel bambino nella mia vita? Che sensazione orribile… tutto questo passò nella mia testa in pochi secondi, mentre i miei occhi rimanevano sul pavimento. In pochi secondi la mia testa sopportò tutti quei ragionamenti, tutta quell’angoscia. Dan mi guardava aspettando una risposta… non poteva capire cosa stesse succedendo dentro di me. Come sempre, finsi un piccolo sorriso, nascondendo la tempesta di sentimenti che mi stava attraversando il cuore:
-Non ha detto niente di importante, solo quello che ti ho già detto. Dan, so di aver avuto una reazione sbagliata, ma soltanto toccare quell’argomento mi…- dissi ricoprendomi di brividi -spaventa terribilmente. Sto sbagliando, lo so, ma non sono pronta-
-Se continui così non lo sarai mai- polemizzò Dan, sbuffando, come se tutti i miei problemi lo infastidissero. Il suo tono di voce cambiò, accese la piccola luce accanto al letto, allontanò il suo corpo dal mio e si risedette... socchiusi gli occhi per la sensazione di freddo e vuoto sia psicologico che fisico che il distacco da Dan mi aveva provocato. Balzai subito in piedi, cercando di capire perché mi avesse parlato tanto bruscamente:
-Cosa dovrei fare, Dan? Dimmelo, visto che tu sei quello che sa tutto e che non sbaglia mai! Oh, ma in fondo... in fondo chi vogliamo prendere in giro? Avanti, è normale che tu non capisca... non hai mai avuto una complicazione nella tua vita, vivi in una casa perfetta con dei genitori perfetti, una sorella perfetta eccetera eccetera... hai mai pensato al fatto che io non ce l’ho neppure una famiglia?!? I miei genitori sono morti... e io non ho niente. Solo incubi... e brutti ricordi. Ho perso tutto... tutto- mormorai con gli occhi lucidi, appoggiando la testa al muro. Ci fu un attimo di silenzio... il fatto che Dan non parlasse mi terrorizzava.
-Ehi, non ti stavo attaccando, Katy...-
-Odio quando ti comporti in questo modo!-
-Oh, qualcuno sta litigando!- sorrise dolcemente: per lui era tutto un gioco. O forse... beh, forse ero io la sciocca che prendeva le cose troppo seriamente quando una bella risata avrebbe solo aiutato. Sorrisi debolmente e gli tirai giocosamente un cuscino, addolcendo lo sguardo e asciugandomi gli occhi. Non riuscivo ad essere arrabbiata. No, non con lui. Non con i suoi occhi perfetti.
-Io ti capisco, ti capisco davvero. E sai quanto sei importante per me...-
Annuii debolmente, poi allungai le braccia verso le lunghe tende per aprirle leggermente, in modo da far entrare un po’ di luce:
-Dan...- sussurrai nel buio -Non sono vere quelle cose orribili che ti ho detto...-
-Lo so, Katy- rispose lui -Lo so-
-Oh, è tutto il contrario... non sai quanto tenga a te- sussurrai, piena di tutto quell’amore che avevo tenuto dentro per anni. Mi girai verso di lui e per qualche istante ci guardammo... di nuovo quegli occhi, quegli occhi in cui era riflessa una vita di cui essere fieri, una vita bellissima. Volevo essere parte di quella vita. Lo baciai, lo baciai, per la prima volta dopo un mese, di mia volontà; ero sempre stata scioccamente fredda per la paura scoprire nuove sensazioni, ma era arrivato il momento di rompere quella stupida barriera che mi impediva di rendere il nostro amore ancora più forte.
Con le mani tremanti cercai di aprire la cerniera del suo giubbotto, leggermente riscaldata dal tepore di quella stanza e dall’amore che provavo per la persona davanti ai miei occhi. Le dita lunghe accarezzarono la cerniera e la spinsero verso il basso, sfilando poi il giubbotto dalle sue braccia; e a quel gesto ricevetti subito un’irresistibile, adorabile risposta. Ci voleva coraggio, non era così facile per me, ma avevo intenzione di provarci comunque... volevo rompere quella paura legata al mio passato
-Katy...- mormorò Dan -Non sei costretta...-
-Lo so- sorrisi debolmente, con un filo di nervosismo nella voce. Le mie dita ancora striminzite per il freddo sfiorarono quelle di Dan, quindi spostai la sua mano sui miei fianchi e gli sorrisi con dolcezza, sperando di fargli capire che l’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era il suo amore
-Non devi farlo per me- mi fermò di colpo, scuotendo la testa. Lasciai subito scivolare le mani lungo al mio corpo e abbassai lo sguardo, parlando con una sincerità che, come ben sapevo, non sarebbe dovuta venir fuori in una situazione instabile come la mia:
-Dan, io lo voglio, lo voglio davvero. Prima o poi dovrò smettere di temere qualcosa che tutti desiderano, no? E voglio che sia tu a farmi capire che non devo avere più paura... io mi fido, sono tutta tua, Dan. Quel blocco di ghiaccio che avevo proprio qui in mezzo al cuore- sussurrai stringendo la mano sul petto, con fare quasi sprezzante verso i miei ricordi -si è sciolto appena ti ho guardato negli occhi. Tu mi hai salvato, Dan Birmingham- confessai ciò che provavo con lo sguardo basso, la voce ancora tramante per il freddo che il tepore della stanza e il calore di Dan stavano lentamente alleviando. Ma ero stata sincera, una volta per tutte. Almeno sui miei sentimenti per Dan non avevo mentito.
Gli smeraldi davanti a me brillarono di una luce splendida e dolcissima, sulle sua guance spuntarono due fossette e un lieve sorriso mi illuminò il cuore. Mi baciò sussurrando il mio nome, mi strinse a lui e aggiunse con la sua splendida inconfondibile voce, un vero, profondo: “Ti amo”
Quelle parole. Nessuno me le aveva mai dette. Oh, suonavano così bene dette da lui! Sentii il cuore scoppiare per qualche secondo, i miei occhi si illuminarono di speranza… avevo sempre segretamente desiderato di sentire quelle due parole. E finalmente qualcuno mi amava… per la prima volta in tutta la mia vita. Mi emozionai, mi emozionai così tanto che sentii gli occhi lucidi riempirsi di lacrime, ma non piansi… sorrisi con il cuore in fiamme, invece, come ancora non avevo mai avuto l’opportunità di sentirmi prima di quel momento:
-L’hai detto davvero?!- sussurrai senza fiato, immobile davanti a lui
-Sì, e lo ripeterei all’infinito...-
-Oh, ti amo anche io, Dan!- mormorai entusiasta e felice di poter ricambiare una così dolce confessione -E mi dispiace tantissimo se ho rovinato la serata…-
-Non importa- mi rassicurò Dan, prendendo la mia piccola mano fra le sue -Credimi, stai rendendo la mia giornata migliore in questo momento- ridacchiò sulle mie labbra
-Voglio solo stare con te...- sussurrai, spengendo la grande luce della stanza e percependo il sorriso di Dan con i polpastrelli, grazie alle sue inconfondibili fossette
In quel momento c’erano solo i suoi occhi, solo il suo corpo e il suo splendido cuore. Nient’altro aveva importanza per me: volevo solo sentirlo vicino.
-Katy- mi fermò leggermente preoccupato -Aspetta, non conosco troppo bene la situazione e non vorrei...-
-Non c’è niente di scientifico- sorrisi, sdraiandomi sul grandissimo letto matrimoniale -Ho solo bisogno di qualcuno che tenga a me. Te l’ho detto, voglio che sia tu... e nessun altro-
Sorrise quasi soddisfatto, ringraziandomi con gli occhi per quelle parole che sapevo gli avrebbero sicuramente fatto piacere, lasciando una bacio sul mio collo. Il mio respiro si fece subito più pesante, strinsi con forza la sua mano a quel piccolo contatto, ma finsi di non aver provato niente. Amavo il suo modo di fare; sapevo che tutto ciò che cercava di fare era farmi sentire a mio agio; anche quando fingeva di non essere romantico, dimostrava quanto tenesse a me... nei suoi scherzi c’era sempre un velo di dolcezza, nei suoi rimproveri un velo di amore e nel modo in cui mi guardava il desiderio di rendermi felice.
-Ehi- mormorò Dan, accarezzandomi il viso e spingendomi a guardarlo -Guardami... sono solo io- sussurrò sulle mie labbra. Le sue mani sul mio corpo erano qualcosa di strano, qualcosa di nuovo... ma qualcosa di incredibilmente spaventoso. Avevo ancora lo stimolo di allontanarlo e non mi sentivo del tutto a mio agio, ma ero certa che a breve le cose sarebbero migliorate: il suo corpo era una minaccia, lo ammetto, ma non ne avevo paura. C’era una specie di retrogusto amaro dietro tutta quella dolcezza... un rancore nascosto, un segreto non confessato. Un piccolo lamento uscì dalle mie labbra appena la mano di Dan risalì il mio stomaco. Fu un secondo. Un lampo di luce, un attimo. Vidi un gigantesca figura nera sopra di me, delle catene, sentii un urlo... un tuono, un lampo, una frazione di secondo e tutto fu finito. Il mio corpo fu completamente percorso da brividi, quindi accorgendosene Dan mi baciò con calma, lasciandomi il tempo per abituarmi a quelle nuove sensazioni:
-Shh, che ti prende?- chiese dolcemente Dan, passando i polpastrelli sulle mie labbra carnose e rosse di fuoco. Non risposi, aprii gli occhi e osservai con dolcezza le sue iridi verdi, facendo svolazzare le lunghe ciglia e decidendo di sfidare me stessa:
-Continua- Il silenzio cadde fra di noi. Nel buio sentii le fossette di Dan sulla sua guancia leggermente accaldata, sorrisi al pensiero di renderlo felice. E volevo davvero che succedesse, ma… ma avevo scordato un piccolo particolare: non ero Elisabeth Brady, no. Oh, non ero Bethany Johnson… non ero una fortunata ragazza qualsiasi, ecco tutto. Infatti, non appena tentò di aprire i miei jeans, tornai alla realtà… non sarei mai riuscita a nascondere i miei segreti. Non ci avevo pensato. Mi ero sentita bella e amata per qualche minuto… mi sarei dovuta aspettare un po’ di tristezza, non ero abituata a sentire il cuore battere forte. Sussultai non appena le sue dita aprirono la zip e, con una piccola smorfia, sfiorai la sua mano e l’allontanai:
-No- borbottai. Io non volevo spogliarmi. La mano di Dan si ritrasse immediatamente, i suoi occhi mi guardarono pieni di compassione
-Non posso- ribadii con sicurezza. Accesi la debolissima luce della lampada sul comodino, che ci illuminava appena, e devo dire che fui piuttosto confortata dal vedere nuovamente e chiaramente gli occhi di Dan. -Non posso, davvero...- accarezzai la sua mano sperando di essere scusata, ma lo allontanai
-Qual è il problema?- mi fissò con fare interrogativo -Ti prego, sii sincera... sto cercando di conoscerti, di capire... ma se non mi lasci prendere confidenza non posso aiutarti-
-Non sei tu, Dan. No... io non posso, mi dispiace... stava andando tutto bene, ma...-
-Ma...?!-
-Oh...- sospirai, buttando il viso fra le mani e prendendomi il mio tempo per parlare -Vedi, c’è qualcosa che non sai di me…- mi guardò interrogativamente, così precedetti la sua possibile domanda:
-Non lo sa nessuno… nemmeno tu dovresti scoprirlo, ma sapevo che sarebbe successo, quindi…- appoggiai le mani sui miei pantaloni e lo guardai con gli occhi lucidi e imbarazzati; ero pronta a mostrarmi in tutta quella vergogna che il mio corpo mi faceva provare
-Katy, aspetta…-
-No, non dire niente. Non posso nascondertelo…- sospirai e mi tolsi come prima cosa la maglia. Inizialmente Dan non fece alcuna espressione, non c’era niente di strano, infatti mi rivolse uno sguardo un po’ perplesso, ma mi voltai subito, mostrandogli la schiena. Le mie cicatrici. Sarebbero rimaste… per sempre. Erano leggermente più chiare di tre anni prima, ma ancora si vedevano benissimo, ed erano proprio su tutta la pelle. Non mi ero mai spogliata davanti a nessuno prima di quel momento. Era sempre stato il mio segreto e avrei voluto che lo fosse rimasto per sempre, ma sapevo che un giorno avrei dovuto condividerlo con qualcuno; per la prima volta, sentii Dan in silenzio. Non disse niente, mi chiedo ancora quale fu la sua espressione; so solo che mi sfiorò la schiena e, appena sentii il sui contatto, senza neppure voltarmi sfilai i jeans… sussultai io stessa alla vista delle mie gambe, come ogni singola volta che mi guardavo allo specchio. Sentii lo stomaco contorcersi, non potei fare a meno di far uscire qualche lacrima, ma non volevo voltarmi, non volevo guardare Dan. Nessuno parlò, ci fu un infinito minuto di silenzio… le gambe erano completamente segnate. Avevo eliminato i tatuaggi con un intervento, ma la pelle era ancora segnata, le cicatrici ben visibili e sparse su tutta la gamba e la coscia… anche quelle non se ne sarebbero andate:
-Poco fa mi hai chiesto se mi avessero fatto tanto male: e questa è la mia risposta. Questa è la prima volta che parlo di queste cicatrici, ma sento di non poterne fare a meno- ammisi con tono debole
-Katy, ma queste...-
-Sono frustate- dissi quelle parole tutto d’un fiato, e subito realizzai che erano vere, che era successo davvero. Riuscii a ricordare quell’assurdo dolore, rabbrividii e Dan, accorgendosene, mi strinse la mano. Fui abbastanza coraggiosa da girarmi verso di lui; cercai un contatto con i suoi occhi lucidi e sbattei le lunghe ciglia, cercando di non far uscire le grosse lacrime che erano sul punto di strabordare dai miei occhi rossi:
-Ora capisci perché il corpo dell’uomo mi spaventa, vero?- mormorai con gli occhi bassi -Ho sofferto tanto, troppo...- gli occhi facevano davvero male, trattenere un pianto era davvero un impresa. Dagli occhi gonfi due grandi lacrime rigarono le guance; non potei più guardare Dan negli occhi, così mi voltai. Di nuovo ci fu un momento di silenzio, io rimasi immersa nel mio dolore e nei miei piccoli ed intimi ricordi che quel momento mi aveva suscitato, quando la mano di Dan sfiorò la mia schiena, provocandomi brividi per tutto il corpo; quel contatto mi fece piangere ancora di più:
-Scusa. So che non avrei dovuto dirtelo, è davvero orribile... e se tu non mi vuoi più e…-
-Shhh- mi immobilizzò con dei dolci baci sul collo, appoggiando una mano sulla mia pancia e cercando di togliere l’attenzione da ciò che avevo detto che, lo avevo capito, gli aveva tolto il fiato -Questo non cambia le cose, piccola... sei bellissima, sei perfetta... e ti amo da impazzire. Va tutto bene, smettila di piangere- Singhiozzando gli saltai al collo e sentii il suo calore invadere il mio corpo, il suo profumo confortare il mio pianto
-Davvero?- mi interruppe con tono debole -Non vorrei parlarne, ma... è successo davvero? Lo ricordi?- “Davvero?” mi interrogai. Sì, davvero. Avevo confessato a me stessa un grande segreto
-Sì- mormorai -Purtroppo è sempre stato così, il mio corpo non è mai stato rispettato e... e venivo picchiata, succedeva sempre quando...-
-Basta- mi interruppe Dan, stringendomi con forza -Shh, non pensarci più... mi dispiace tanto. Oh, ti assicuro che non lascerò che tu soffra così...- quasi imprecò, guardando il soffitto della stanza, mentre mi teneva stretta al suo petto
-Ora è tutto finito, Dan- mormorai, baciandolo delicatamente. Piansi ancora sulla sua spalla nuda, piansi come se fossi stata sola; aspettò che mi fossi calmata per parlare, stringendomi la mano:
-Non hai bisogno di difenderti con me- sussurrò scostandomi una ciocca dal viso e baciandomi teneramente -Odio l’idea che qualcuno ti abbia fatto del male-
-Lo so, io ti amo e mi fido ciecamente: credo che sia abbastanza- Mormorai baciandolo e lasciando che il suo cuore così buono curasse le mie ferite e che il suo grande e vero amore raccogliesse i pezzi del mio piccolo cuore spezzato. Quello che successe quella notte fu importantissimo perché per la prima volta ricordai con chiarezza le violenze che avevo subito, vidi alcune immagini confuse, mi resi conto di quante cattiverie avessi subito, anche se ancora non ero riuscita a visualizzare la faccia di colui che si presentava come l’artefice del mio dolore… sia corporeo che morale. Ma superai la mia paura quella notte, grazie a Dan, grazie a quel ragazzo meraviglioso accanto a me. Come temevo che sarebbe successo, non riuscii a trattenermi dal raccontargli ciò che Camilla provava, ciò che Camilla aveva ricordato e non ciò che Kaitlin faceva o sentiva… e cambiare punti di vista ed essere me stessa sarebbe stato un errore, ma con lui non potevo fingere… perché non era Kaitlin, ma era Camilla Ori, che lui ne fosse consapevole o no, ad essere innamorata. Ci fu un momento il cui fui sul punto di confessargli tutto e rischiai di compromettere tutto quanto; eravamo abbracciati, avevo gli occhi socchiusi mentre assaporavo tutto l’amore che provavo per quella persona meravigliosa... i miei polpastrelli sfioravano la sua schiena e il calore del suo corpo invadeva il mio, quando la sua voce sicura non interruppe il silenzio:
-Voglio solo che tu sia completamente sincera con me, Kaitlin-
-Lo sono, Dan...- sussurrai, appoggiando la guancia accaldata sulla sua spalla
-Lo so... ma ricorda: qualsiasi cosa, qualsiasi problema... devi dirmelo, d’accordo? La nostra relazione non sarà facile, ma non voglio che finisca, quindi dobbiamo fare una specie di lavoro di squadra: io mi impegnerò a capirti e ad aiutarti, ma tu dovrai essere sincera. Dici che vuoi dimostrarmi che mi ami... beh, allora non c’è modo migliore di farlo: non mentire con me, ti prego- quelle parole mi sconvolsero, mi colpirono il cuore: ero un mostro. Rimanevo in silenzio mentre tutto degenerava intorno a me, mentre la mia fine si avvicinava... conoscevo tutti i pericoli a cui andavo incontro, ma avevo così tanta paura di affrontarli che tendevo a fingere di non sapere... a fingere di non vedere e di non sentire. Amavo Dan così tanto che faceva addirittura male: perché si era impossessato così violentemente del mio cuore? Non ero una ragazza che poteva permettersi di perdere la testa per amore... perché una persona una persona sull’orlo di un precipizio non può permettersi di saltare su una gamba sola... se fossi caduta? Il mio carattere già debole e spaventato doveva cercare di rimanere fermo e deciso, come il mio cuore... come potevo fingere se avevo deciso di dare tutta me stessa in mano ad un altra persona? Come potevo rimanere in equilibrio se non riuscivo a guardare dritta? Dan era il mio tutto... e quella meravigliosa storia d’amore era la mia disgrazia: non riuscivo ad aprire gli occhi, non riuscivo a capire, non riuscivo a rinunciare a lui. Insomma, tutti questi pensieri affollarono la mia mente in un paio di secondi; non riuscii a trattenere i miei sentimenti e lo guardai profondamente negli occhi:
-Dan... devi sapere una cosa. C’è davvero qualcosa che devo dirti... io...- squillò il suo cellulare. Destino? Forse. Erano le quattro di notte
-Scusa, bellezza...- si allungò sul materasso per prendere il cellulare e rispose. Queste furono le parole che sentii pronunciare da Dan:
“Pronto?... sì, sono io... Kaitlin. Sì, sono con lei... mi scusi, ma chi parla? Mi scusi, la sento davvero male... vuole parlare con Kaitlin?-
-Chi è?- sussurrai un po’ preoccupata, vedendo l’espressione seria di Dan, che scosse la testa, come per farmi capire che non aveva idea di chi fosse al telefono
-Si, certo, ma... posso sapere il suo nome? ... ah, ah... dove? Scozia?... Sì, io sono Dan Birmingham... diciamo di... sì, sono il suo ragazzo... può dirmi chi è lei?... Scusi, non la sento... pronto?!?!- mi guardò interrogativamente -Scusi, ma è pieno di interferenze, non sento nulla... le ho chiesto il nome. No, scusi, ma voglio sapere il suo nome... come ha avuto il mio numero? Pronto? Pronto?- Dan scosse la testa e riattaccò
-Chi era a quest’ora?-
-Ehm, non lo so... sembrava un ragazzo, ma si capiva malissimo, davvero: ha detto di conoscerti, chiedeva se stavi bene perché sapeva che eri tornata... non so come abbia il mio numero, ma mi ha chiesto se ero con te; parlava ma non capivo niente, però ha detto qualcosa riguardo alla Scozia. Dice di essere un tuo vecchio amico...-
-Non ho vecchi amici- risposi bruscamente, piuttosto spaventata da quella chiamata -Non mi piace questa storia...- mormorai, rannicchiandomi sotto le coperte, sul petto di Dan, che mi tranquillizzò con un bacio sulla fronte:
-Che vuoi che sia, Katy! Sarà stato un ragazzo che conoscevi da bambina e che voleva sapere di te... proveremo a richiamarlo domani, ok? Ah, a proposito... di cosa stavi parlando?-
-Ehm... non ricordo...- finsi uno sguardo confuso, senza trovare il coraggio per parlare
-Ah, dovevi dirmi qualcosa!-
-Oh, non me lo ricordo nemmeno più... forse non era importante. Te lo dico domattina, se mi viene in mente-
-Ok, tranquilla... ora dormiamo. Va tutto bene?-
-Sono in paradiso...- risposi con occhi sognanti, rimanendo abbracciata a lui, che sorrise soddisfatto. Socchiusi gli occhi con un sorriso stampato sulla faccia... ero felice, stranamente... e quella sensazione, provata così poche volte, mi stupiva sempre.
Mi svegliai abbastanza presto, ma non aprii subito gli occhi… ebbi come una terribile paura di ritrovarmi in ospedale, in quel banale e triste luogo, nel quale non ero niente più che una delle tante menti da curare.
Sentii il sole che mi scaldava una guancia, e ricordo che ragionai sul fatto che il calore proveniva da destra, e la mia finestra in ospedale era a sinistra.
Lentamente, allungai una mano di lato, e riconobbi il comodino di legno della camera di albergo. Passai la mano sulla mia pancia e mi accorsi di non avere nessun camice… non era stato un sogno. Aprii lentamente le palpebre e vidi la stanza dell’albergo, tutto era meravigliosamente tranquillo e in ordine.
Dopo aver dato un’ occhiata alla stanza, allungai la mano e sorrisi, posando lo sguardo sull’artefice della mia felicità: Dan. Che bel nome, il solo sentirlo pronunciare mi faceva venire le farfalle nello stomaco, solo sfiorarlo causava un’esplosione di emozioni e sentimenti dentro di me che non saprei neppure descrivere! Era un angelo, il mio angelo... per me c’era solo lui, di tutto il resto non mi importava.
Raccolsi i  miei vestiti e li piegai su una poltrona, poi mi rimisi l’accappatoio e andai in bagno; mi sentivo bene, ero soddisfatta e rilassata, per quanto ancora leggermente scossa da quello che era successo il giorno precedente.
Feci una doccia veloce, ma, quando stavo per uscire, vidi la porta aprirsi leggermente. Il vetro era appannato, non potevo vedere bene, ma sentivo un rumore di passi; pensai che fosse Dan e sorrisi, credendo che volesse entrare nella doccia. Poi sentii delle voci, come un leggero brusio. Tesi l’orecchio, sicura di aver sentito male:
-Dan? Sei tu?- Non sentii nessuna risposta, mantenendo la calma mi ripulii dalla schiuma e spensi l’acqua. Nessun rumore. Immaginai di aver sentito male… mi affacciai dalla parte più bassa della doccia, ma non vidi niente; mi ero solo fatta suggestionare, mentre in realtà sapevo che non c’era nessuno. Ricominciai a canticchiare e riaccesi l’acqua, certa di essermi spaventata per niente.
Ma, dopo nemmeno un minuto, sentii un rumore piuttosto forte, come se la porta fosse sbattuta, di nuovo mi irrigidii e fui di nuovo costretta a spegnere la doccia:
-Dan? Sei sveglio?- Nessuno rispose. Chiamai più volte, poi cercai di calmarmi, anche se mi era molto difficile. Ricordai ciò mi avevano insegnato i dottori al centro ricreativo, così mi sedetti nella doccia, lasciando l’acqua aperta, per non far sì che la mia mente si inventasse rumore inesistenti. Infatti mi succedeva spesso nei primi mesi, quando ancora con difficoltà riuscivo ad emettere suoni, di sentire voci e rumori spaventosi, che in realtà erano frutto della mia immaginazione o, nel mio caso, dei miei ricordi… ecco perché molto spesso, quando mi trovavo in una situazione difficile, tentavo di canticchiare ad alta voce, restando però vigile con gli occhi. Mi sedetti nella doccia e misi una mano sul cuore, chiudendo gli occhi... ma non potevo stare calma. No, io ero certa, certa che ci fosse qualcuno in quella stanza. Sentivo dei passi, aumentavano, diventavano più forte, più decisi, più minacciosi. Cercai di concentrarmi sul mio battito, sperando di estraniarmi dal resto… respirai profondamente e iniziai a contare i battiti: uno, due, tre, quattro... “No, troppo veloce, troppo veloce!” mi rimproveravo, cercando di calmare il respiro. Dovevo stare attenta, dovevo fare attenzione al mio respiro, era ancora presto per rischiare di farmi del male per l’ennesima volta. Con coraggio aprii gli occhi: non c’era niente. Mi resi conto che il mio comportamento era infantile, pensai a quello che mi aveva provocato il fatto di allontanarmi dalla conoscenza del mio passato e decisi che dovevo imparare a crescere e a prendermi le mie responsabilità; mi feci coraggio e con un sospiro aprii la doccia. Serrai forte gli occhi. Fortunatamente tutto era calmo, la porta chiusa a chiave. Sorrisi fra me e me, soddisfatta dei progressi che avevo appena fatto.
Ma ecco che sentii la porta scricchiolare. Dallo specchio la vidi aprirsi leggermente; con calma, senza farmi prendere dal panico, la richiusi a chiave... forse mi ero solo dimenticata di girare la serratura. Accesi il phon, finché non mi accorsi, un paio di minuti dopo, che la porta si era aperta di nuovo:
-Dan, sei tu?- Silenzio
-Dan?- Silenzio
La porta si aprì ancora un po’, cigolò e fui certa di ciò che vidi nello specchio. Rimasi in silenzio, chiusi gli occhi. Respirai lentamente.
Ed ecco che sentii una voce. Non una voce qualsiasi, no. Era una voce agghiacciante, una voce mostruosa, minacciosa... mi faceva così paura che cercavo di non ricordare a chi il mio cervello mi rimandasse. Mi gelò il sangue a sentirla, un brivido veloce mi scorse per tutto il corpo, sentii il cuore sobbalzarmi in fretta, il battito aumentò. Ed ecco che lo sentii. “Camilla”. Conoscevo quella voce... la conoscevo bene. Ricordai tutte le notti passate a piangere sotto le coperte, a tapparmi le orecchie, ad urlare sperando di non sentire quella voce... la mia malefica voce. Non era altro che la mia, ed era questo a farmi paura. Perché? Beh, perché era di fatto la voce di una persona che non conoscevo, che mi spaventava e ogni singolo giorno mi minacciava cercando di mangiarmi dall’interno. D’istinto mi misi l’accappatoio... sapevo che era tutta immaginazione. Eppure avevo una paura tremenda e non sapevo che fare.
Cercando di mantenere la calma, tentai di ricordare tutti i consigli e gli insegnamenti dei miei dottori, dei purtroppo numerosi dottori che avevano cercato di risolvere la mia malattia, ovvero la mia testardaggine. Tentai di far finta di nulla, ma poi vidi la porta aprirsi di un millimetro. Si mosse la maniglia. “Camilla...” ancora quella minaccia. Quella voce mi chiamava, mi voleva. Ed io non volevo andare da lei, non volevo seguirla. Trattenni il respiro, gli occhi socchiusi, immobile.
“Camilla!” urlò. Era un urlo, la mia voce interiore era arrabbiata. Quella bambina mi chiamò con quell’urlo infastidito e sentii tutto l’orrore di quel suono farmi tremare. Mi accorsi di un ulteriore movimento della porta e di colpo si aprì ed io la vidi, io giuro che la vidi.
Era lì, quella bambina. Con il suo vestito bianco e i suoi lunghi capelli castani. Era arrabbiata. Mi odiava.
D’istinto, con un urlo chiusi gli occhi e mi buttai in terra. Scoppiai a piangere, completamente persa.
E di colpo tutto finì. Le mie orecchie si stapparono, sentii l’orologio del bagno muoversi meccanicamente, dei rumori fuori dalla porta:
-Kaitlin! Che ti prende? Va tutto bene?- Dan! Scoppiai a ridere fra le lacrime non appena sentii la sua voce. E la porta era chiusa. A chiave.
Aprii in fretta ed ecco che lo vidi davanti a me: i suoi occhi verdi mi fissarono come se già avessero capito tutto ed io lo abbracciai con tutte le mie forze, continuando a far scendere lacrime sulle guance. Aveva capito... conosceva Camilla Ori più di quanto io stessa facessi. Sapeva già tutto di me.
-Katy, calma, calma, va tutto bene. Shhh, non c’è niente. Apri gli occhi, non è successo nulla- sussurrò stringendomi e accarezzandomi dolcemente la schiena.
-C’è una bambina in bagno- Non avrei dovuto dirlo, quelle parole mi terrorizzarono uscendo dalle mie labbra, ma non mi spaventarono mai tanto quelle che dissi subito dopo -C’è una bambina in bagno e c’è anche un uomo... lui vuole catturarla, vuole farle del male- Di che accidenti stavo parlando? Io stessa mi immobilizzai, tappandomi la bocca:
-Oh, scusa, non so che mi prende...- mormorai fra le lacrime
-No, no, piccola, non c’è nessuno; siamo solo tu ed io in questa camera- mi rassicurò, appoggiando le mani sul mio viso
-Lei ha detto il mio come! Ha detto Cam… cioè Katy… e poi è entrata, l’ho sentito, io…- stavo singhiozzando fra le sue braccia, non volevo aprire gli occhi, così Dan capì che prima di tutto doveva tranquillizzarmi, quindi mi dette un bacio sulla fronte e con la sua voce sicura mi sussurrò:
-Ti fidi di me?- annuii debolmente, calmando il respiro -Piccola, siamo soli...-
-Va bene, va bene...- aprii gli occhi lentamente, quindi sorrisi sollevata -Lo so, sono una stupida...- Dan aveva un’espressione preoccupata mentre gli raccontavo ciò che mi era successo, avevo come l’impressione che non mi avesse detto tutto quello che pensava di me e di quei problemi che da poco aveva scoperto che avessi. Dopo una decina di minuti mi calmai, ci sedemmo sul letto e cercò di farmi rilassare, cambiando argomento, per quanto mi ero resa conto di quanto fosse rimasto frustrato dal mio comportamento anormale. Parlammo di noi, di quel pazzo amore che tanto spaventava entrambi e di quella meravigliosa notte che mi aveva regalato, di quelle ore che non avrei più dimenticato e che avrebbero reso Dan ai miei occhi la persona più  buona al mondo. Mi aveva capito. Mi aveva compianto e amato, mi aveva dato tempo... e nessuno si era mai comportato così con me prima, ecco perché gli ero e gli sarei stata in seguito immensamente grata. “Grazie” avrei voluto dirgli “Grazie per essere diverso”.
-Vorrei trovare le parole giuste- mormorai in completa sincerità -ma non dirò niente, perché credo di averti detto abbastanza stanotte. Quello che hai fatto per me è stato semplicemente magnifico... e... e tutto quello che ci siamo detti stanotte... beh, spero che non lo dimenticherai-
-No... ovviamente. Ed ora che mi hai fatto questo meraviglioso regalo... sai che non mi staccherò più da te, vero?- rise con la sua solita dolcezza che ero riuscita ad estrapolare dal suo carattere sfacciato e sicuro -E sai bene cosa voglio dire... mi sei sempre piaciuta da morire, ma ora quello che provo è anche più forte, quindi preparati perché pretendo di stare con te ogni giorno...-
Oh, non c’era nessuno problema per me... stare con lui era tutto ciò che volevo, ovvero l’unica cosa che mi rendeva felice. Tuttavia, quando fui completamente calma e dopo che ebbe verificato che in bagno non ci fosse davvero nessuno, decise di comportarsi come d’altronde avevo sempre temuto che si comportasse, ovvero come una persona matura che voleva davvero aiutarmi. Disse che avrebbe parlato con i suoi genitori, ma solamente con loro, perché avrei dovuto cominciare delle sedute con uno psichiatra. E aveva solo ragione, ma io ne avevo paura. Il mio cervello non era sano e non stavo assolutamente bene, però non potevo permettere che un esperto capisse i miei segreti, perché erano troppi... ed io ero troppo debole per nasconderli bene. La verità era che ero stanca di mentire, ma non potevo essere sincera... e nel frattempo il pericolo si avvicinava... ogni secondo facevo un passo verso il burrone. Un grandissimo nuvolone grigio si stava creando proprio sopra di me... sarebbe scoppiata una tempesta a breve: ed io fingevo di non saperlo. Appena il pensiero mi sfiorava, lo allontanavo... ma non potevo eliminare i problemi... potevo solo ritardarli. Prima o poi sarebbero arrivati comunque.

 
  
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