A diciassette
anni amare è tutto:
gli incontri lasciano il segno, il cuore non
conosce riserve e l'amore è soprattutto un sentimento sincero e travolgente che
può condizionare l'intera esistenza.
Ed è solo a distanza
di tempo, con la maturità, che si capisce di aver
amato in una
beata incoscienza, un'incoscienza, però, ben più vicina
alla vera
saggezza di quanto si possa immaginare...
[Nicholas
Sparks]
PROLOGO
La motocicletta sfrecciò
così veloce dietro l'angolo, nella piena oscurità della notte, che entrambi i
poliziotti che la stavano inseguendo diedero in un’esclamazione:
"WHOA!"
Il Sergente
Fisher premette il suo piedone sul freno, convinto che il ragazzo seduto dietro
sarebbe certamente finito sotto le sue ruote da un momento all'altro; tuttavia
la motocicletta fece inversione di marcia senza disarcionare nessuno dei due
motociclisti, e con un guizzo la sua scia di luce rossa svanì su per la strada
angusta.
«Li abbiamo in pugno!»
strillò l’agente Anderson in tono concitato: «Quello è un vicolo cieco!»
Non appena udì
lo stridio dei freni, senza indugiare, Fisher s’infilò a forza nel vicolo per
raggiungerli, scrostando la vernice di mezza fiancata della macchina.
Dopo aver dato
loro la caccia per più di un quarto d'ora, finalmente poterono vedere le loro
prede alla luce dei fari. I due motociclisti erano intrappolati tra il muro di
mattoni color tamarindo e la macchina della polizia, che puntava
inesorabilmente verso di loro, quasi ringhiando come un predatore dagli occhi
dardeggianti. C'era talmente poco spazio tra le portiere dell'auto e il muro
della viuzza, che Fisher e Anderson ebbero difficoltà ad uscire dal veicolo. Fu
un colpo basso per la loro dignità il dover arrancare di lato, come granchi, in
direzione dei due teppisti. Fisher si trascinò la sua abbondante pancia lungo
tutto il muro, facendo saltare i bottoni dalla camicia mentre avanzava, e
finendo per staccare lo specchietto retrovisore col sedere.
«Giù dalla moto!»
urlò ai due giovani ribelli, ancora seduti davanti alla luce blu dei
lampeggianti, chiaramente divertiti.
Fecero
diligentemente ciò gli era stato ordinato.
Liberatosi
finalmente dall'impiccio dello specchietto retrovisore, Fisher li folgorò con
lo sguardo. Erano poco più che due adolescenti. Quello che stava alla guida
aveva lunghi capelli neri; la sua arrogante bellezza gli ricordò spiacevolmente
il fidanzato di sua figlia, un chitarrista fannullone. Anche l'altro ragazzo
aveva i capelli neri, ma i suoi erano più corti e sparati in ogni direzione
possibile; portava gli occhiali e un sorriso compiaciuto. Entrambi indossavano
delle t-shirt decorate con un grande uccello dorato. L'emblema, senza ombra di
dubbio, apparteneva a qualche assordante rock band stonata.
«Niente caschi!»
Sbraitò Fisher, indicando prima una testa scoperta, poi l'altra. «Superato il
limite di velocità di – di parecchio, direi!»
In effetti, la
velocità registrata non solo aveva superato di gran lunga quella prevista dal
limite, ma andava ben oltre quanto Fisher fosse preparato ad accettare da una
qualunque moto che viaggiasse.
«Non vi siete
fermati davanti alla polizia!»
«Ci sarebbe
piaciuto tanto fermarci a chiacchierare!» disse il ragazzo con gli occhiali;
«solo che stavamo provando a...»
«Non fare il
furbo! Voi due siete in un mare di guai!» esclamò Anderson.
«Dateci i nomi!»
«Nomi?» ripeté
il pilota dai lunghi capelli. «Ehm... allora, vediamo. C'è Wilberforce...
Bathsheba... Elvendork...»
«E la cosa
carina di quest'ultimo è che sta bene sia ai ragazzi che alle ragazze» incalzò
il giovane con gli occhiali.
«Oh, i nostri
nomi, intendevate?» chiese il primo, non appena Anderson cominciò a farfugliare
con rabbia qualcosa di incomprensibile.
«Dovevate dirlo subito!
Questo qui è James Potter, mentre io sono Sirius Black!»
«Le cose per te
si metteranno davvero male, piccolo insolente...!»
Ma né James né
Sirius lo stavano ascoltando. Improvvisamente si fecero seri, in allerta come
cani da caccia, fissando alle spalle di Fisher e Anderson, oltre il tettuccio
della macchina della polizia, verso la parete più scura del vicolo. Poi, con
identici movimenti fluidi, portarono le mani alle tasche posteriori.
Per una frazione
di secondo entrambi i poliziotti pensarono di veder spuntare due pistole, ma
l'attimo dopo notarono che i motociclisti avevano estratto niente meno che...
«Bacchette da
batterista?» li canzonò Anderson. «Siete una coppia di giocherelloni, eh? Bene,
siete in arresto con l'accusa di...»
Ma Anderson non finì
mai di pronunciare l'accusa. James e Sirius avevano urlato qualcosa di
incomprensibile, e i raggi di luce dei fari si erano spenti. I poliziotti
girarono su se stessi, barcollando. Tre uomini stavano volando – realmente
volando – al di sopra del vicolo, sui loro manici di scopa, e in un solo
movimento la macchina della polizia venne sollevata sulle ruote posteriori. Le
ginocchia di Fisher cedettero, facendolo caracollare al suolo. Anderson
inciampò sulle gambe di Fisher e gli cadde addosso come un sacco di patate. Nel
susseguirsi di tonfi e scricchiolii, a un certo punto udirono gli uomini a
cavallo delle scope schiantarsi sulla macchina sospesa a mezz'aria, per poi
cadere, apparentemente privi di sensi, a terra, mentre scaglie dei manici di
scopa rotti cadevano come pioggia intorno a loro. La motocicletta aveva preso
nuovamente vita, ruggendo. Con la bocca spalancata, Fisher ebbe a malapena la
forza di guardare i due adolescenti.
«Grazie
infinite!» tuonò Sirius sovrastando il rombo del motore. «Siamo in debito con
voi!»
«Già, è stato un
piacere conoscervi!» disse James. «E non dimenticate! Elvendork è unisex!»
Ci fu uno
scossone degno di un terremoto, e Fisher e Anderson si gettarono reciprocamente
le braccia al collo, in preda al terrore; la loro macchina si era appena
schiantata al suolo. Adesso era il turno dei due motociclisti di alzarsi in
volo. Sotto gli occhi increduli dei due poliziotti, decollarono verso l'aria
leggera: James e Sirius si addentrarono nel cielo notturno, lasciandosi alle
spalle una scia di vorticanti luci rosse, come un rubino che va sfumando.
«Li abbiamo
seminati, Felpato!» gridò James Potter dopo venti minuti di costante
osservazione dei cieli. «Possiamo prendere la rotta.»
«Ottimo!» gridò
a sua volta Sirius Black, allegro, e controllò la bussola sullo sterzo della
moto. «Ancora qualche miglio e scendiamo! Tieniti forte!»
James, con un
sorriso furbo sul volto, serrò le dita attorno alla maniglia del sedile, e un
attimo dopo sentì l’aria fredda penetrargli sotto la pelle.
Non seppe mai
esprimere l’esatta sensazione che provava ogni volta viaggiando sulla moto di
Sirius. Ogni curva era un’emozione, ogni sorpasso un feroce drago, ogni piega
era una storia e un susseguirsi di risate con il suo migliore amico.
Era tutto un
altro mondo. Un mondo in cui Voldemort non esisteva, in cui i problemi e le
paure svanivano non appena si accendeva il motore. Un mondo parallelo a quello
reale, che apparteneva esclusivamente a lui e Sirius.
«Manca poco,
cominciamo a scendere» urlò il pilota piegandosi sul manubrio.
Il motore
ringhiò rabbiosamente, e i due ragazzi si sentirono come risucchiati
nell’aria. James si aggrappò con tutte
le forze ai bordi del sedile e all’unisono con Sirius gridò un forte e vivace:
«WOW!»
Sirius, ridendo,
accelerò ancora una volta, perdendo rapidamente quota. Erano diretti verso una
vasta zona deserta, con poche singole luci. Solo quando volarono più basso, fu
chiara là sotto la presenza di un villaggio. Non passarono nemmeno cinque
minuti, e la moto con un fremito toccò l’asfalto.
Sirius accelerò
ancora una volta, e sfrecciò come un fulmine lungo la strada principale del
villaggio. Attraversarono una piazza deserta, con le botteghe ormai chiuse, e
in una curva micidiale svoltarono in un vialetto alla loro destra. Si fermarono
in fondo, parcheggiando davanti ad una maestosa casa chiusa da un grande
cancello.
Sirius scese
dalla moto, spinse la grata e improvvisamente su un grosso detrito di pietra,
che la addobbava, apparve una scritta:
Villa Potter,
Placida Heights, 9
Berkshire
«Pensi che
saranno già arrivati?» chiese James arruffandosi i capelli.
«Moody spero di
no. Ora che ha quella grossa cicatrice mi inquieta durante i pasti» replicò
Sirius accompagnando la moto nel cortile.
Alzò il sedile,
prendendo da un piccolo portabagagli una serie di oggetti: il pacchetto di
James, Biscottini Gufici, e una busta contenente dei dischi in vinile babbani.
«Non ti era
sembrato che quei Mangiamorte fossero a Diagon Alley solo per attaccarci?»
chiese un attimo dopo Sirius avvicinandosi alla dimora gentilizia.
«Stavo pensando
esattamente la stessa cosa» rispose James. «Strano che ci abbiano inseguito
anche per le strade di Londra, ma non mi lamento» aggiunse poi con un gran sorriso,
«questo duello ha rotto piacevolmente la noia d’estate».
Salirono i
gradini di pietra ridacchiando quando l’ingresso della casa s’illuminò, e la
porta di quercia bianca si aprì. Sulla soglia troneggiava, minacciosa, una
strega di una certa età, alta e magra, con la bacchetta puntata dritta verso di
loro.
«FOLLI!» urlò
con voce stridula. «CHE... COSA... AVETE... FATTO... A…
DIAGON… ALLEY?!»
«Comprato i
pantaloni, mamma, e...»
«Non fare il
solito vecchio marpione con me, James Potter!» urlò signora Potter, con una
furiosa smorfia sul volto. «Sapevo di non potervi mandare da soli! Coppia di
immaturi vermicoli! Battervi con i Mangiamorte, senza avvisare l’Ordine in
alcun modo…?!»
«Non avevamo un
gufo a disposizione, e...»
«PATRONUS,
BLACK!» urlò la donna puntando la bacchetta sul suo petto. Sirius barcollò un
po’ indietro. Le urla di signora Potter avevano la stessa potenza di uno
Stupeficium. «POTEVATE MORIRE! QUESTI NON SONO DUELLI TRA STUDENTI! NON SIETE A
HOGWARTS!»
«Ancora no...»
interloquì James. «Ma tra pochi giorni partiamo... ehm, perché ci farai tornare
a scuola, non è vero?» aggiunse, cogliendo un’ombra di malvagità apparire sul
volto della madre.
La donna alzò il
viso di qualche centimetro, e voltandosi dignitosamente con l’eleganza di una Purosangue
Black, entrò in casa.
Sirius e James
si scambiarono occhiate di terrore seguendola in un vasto atrio.
«Non penserai
davvero di non mandarci a Hogwarts! Non puoi!»
«Oh, sì che
posso, figlio mio! Posso fare quest’immenso piacere a Silente e ritirare voi,
incoscienti ficcanaso! Ma prima...» aggiunse velenosamente indicando una porta
adornata artisticamente in cristallo, «... ve la dovrete vedere con il
Ministero, Moody e il resto dell’Ordine».
«Ministero?»
«Sì, Potter. Il
Ministero» ripeté una roca voce.
Un uomo
apparentemente ultra trentenne, con diverse orrende cicatrici sul volto, li
stava guardando minacciosamente. La madre di James gli passò accanto, e
farfugliando rabbiosamente prese posto al lungo tavolo che occupava la
lunghezza della cucina.
Sirius gemette
in silenzio, quando le mani di Alastor Moody afferrarono lui e James per i
colletti delle magliette nuove.
«Lo dicevo a
Silente che era un errore non cancellarvi la memoria quando avete saputo
dell’Ordine! Ma lui no! James e Sirius
sono tra i miei migliori allievi, e bla bla bla!» esclamò, rabbioso,
prima di mollarli al centro della grande cucina. Lì, seduti compostamente
attorno ad un lungo tavolo, alcuni membri dell’Ordine della Fenice li stavano
fissando, tra l’annoiato e l’arrabbiato.
Mobili sfarzosi
e splendidi tappeti occupavano gran parte della cucina, dove si poteva pensare
di fare tutto men che cucinare. L’ambiente era così
aggraziato e ben arredato che neanche una comune pizza babbana, aperta e
lasciata sul mobile, avrebbe potuto privarla della sua eleganza.
«SIETE STATI
VISTI!» urlò Moody sputacchiando rabbiosamente. «VISTI DA UNA VENTINA DI BABBANI!»
Mostrò loro
l’edizione speciale del Daily Prophet; sulla copertina c’era la macchina della
polizia babbana che s’innalzava in aria davanti ai due adolescenti, in un
vicolo di Londra.
«WOW!» esclamò
James.
«Ramoso, hai
talmente l’aria di uno stregone che Voldemort stesso s’intimidirà quando vedrà
l’articolo» ridacchiò impulsivamente Sirius, ignorando i soliti sussulti al
suono di quel nome, e scrutando ancora la foto aggiunse: «Specialmente per quei
tuoi capelli così pericolosamente ispidi».
«Zitti!» intimò Moody, e gettò il
quotidiano calpestandolo. «Codice di segretezza infranto! Duello a Diagon Alley
con i Mangiamorte! Pivelli! Vi è venuto in mente che potevano catturarvi?!
TORTURARVI, COSTRINGERVI A PARLARE E VENIRE COSÍ A CONOSCENZA DELL’ORDINE DELLA
FENICE?!»
«Quindi non
eravate preoccupati per la nostra sorte signore, ma per tutto l’Ordine e...»
Ma Sirius non
finì la frase, poiché Moody lo afferrò per la collottola sollevandolo di
qualche centimetro. Il ragazzo, cercando di reprimere un brivido, si soffermò
con lo sguardo sul pezzo di naso mancante e sulla profonda cicatrice che
deturpava il viso dell’Auror.
«Mettiamola
così, sbarbatello. Se per caso tu e quell’arruffata scopa che chiami amico
finiste per essere catturati, avrei un debito con Voldemort, ci siamo capiti?»
sibilò minacciosamente. «La segretezza dell’Ordine deve essere la vostra legge
suprema, e ciò significa...»
Improvvisamente
si fermò. Fissò silenziosamente la maglietta nera di Sirius, pressando
incredulo con le dita il disegno inciso su di essa. E poi, mentre il suo volto
cominciava ad acquisire sfumature verdi assai simili alla pianta nell’angolo
dietro di lui, improvvisamente liberò il ragazzo dalla presa. Ma fu solo per
prendere la bacchetta.
«S-s-segretezza, eh?»
James e Sirius
si scambiarono occhiate significative. Dall’espressione di Alastor intuirono di
trovarsi in guai molto seri.
«FENICE! AVEVATE
ADDOSSO UNA MAGLIETTA CON UNA FENICE?!» tuonò Moody.
«Alastor, non
alzare così la voce...» ansimò una minuta ragazza seduta in un angolo della
stanza. «La fenice non significa per forza che...»
«SILENZIO,
ALICE! STAVOLTA NON LA PASSANO LISCIA!»
Tutto ciò che si
sentì poi, fu solo un confuso susseguirsi di urla e una serie di silenziosi
passi provenienti dall’ingresso.
«...BLACK E
POTTER! NE HO I MUTANDONI PIENI DELLE VOSTRE BRAVATE! METTETE LA VITA DI TUTTI NOI IN PERICOLO! DUELLI MORTALI! VOLETE UNA VOSTRA
MISSIONE?! ECCO A VOI!» agitò furiosamente la bacchetta come se volesse staccar
loro le teste e poi ordinargli di riattaccarsele da soli con la colla. «Ora...»
«... prendete
posto a tavola».
Tutti i presenti
si voltarono quando udirono una voce flemmatica alle loro spalle. La porta di
cristallo si era aperta, e sulla soglia nientemeno che un Albus Silente
dall’aria austera ma sempre gentile, sfoggiando una lunga veste color porpora,
li stava guardando uno ad uno. Aveva un’espressione indecifrabile nei profondi
occhi azzurri, ma di assoluta calma. La lunga barba argentea scintillò
muovendosi mentre l’anziano uomo si avvicinava all’estremità del tavolo e
guardava Moody, James e Sirius attraverso i suoi occhiali a mezzaluna.
«Sedetevi,
prego, non c’è alcun bisogno che mi aspettiate in piedi» disse, con tono di
voce che sembrava deliziato, e occupò una delle sedie tra chi borbottava e chi
se la rideva.
Storia
betata da splendida bFree
<3