Sono in
ritardo perché so che tu mi aspetti
Lei gira per il nostro appartamento con le
calze rosse e i capelli perennemente sciolti perché non le
piace scoprirsi a
tal punto.
Nel
corridoio ci sono ancora gli spartiti
della nuova canzone e la mia maglietta verde, la sua canotta rosa e
perfino un
braccialetto, ma nessuno raccoglie ma seppellisce.
Dalia
è sempre puntuale, le piace l’ordine
ma non lava mai i piatti e non stira. Le ho regalato
un’aspirapolvere che poi
non ho più visto.
Il
nostro appartamento parla di noi, ed è
un’espressione parecchio insignificante se ci si pensa, e
anche abbastanza riciclata,
però è la verità.
Per
esempio, all’ingresso, l’appendiabiti
appeso al muro è leggermente obliquo per quella volta in cui
lei ha provato ad
attaccare il poster di Miley Cyrus –
così quando sarà una giornata di merda e
tornerò a casa, troverò lei
– e lo scotch ha rovinato l’intonaco.
Non
me l’ha detto, ha semplicemente inclinato
l’appendiabiti credendo che non me ne accorgessi, ma Miley
è finita prima in
soggiorno e poi in camera, prima che lei stessa la togliesse sentendosi
troppo
a disagio.
Louis
ha riso venti minuti buoni, quando
gliel’ho raccontato.
E
il divano giallo, quello che alle spalle
ha il balcone, l’ha scelto lei.
Dice
sempre che se ne è innamorata dal
primo istante in cui l’ho portata all’Ikea, ha un
colore insolito,
simile ad un senape troppo vivace. È parecchio piccolo ed
è privo di appoggio
ai lati, ma lei piaceva troppo e beh,
io non so dirle di no.
Una
volta però gliel’ho chiesto,
“Perché
proprio quel colore?”
Non
mi scorderò mai quel giorno. Stavamo
impastando i biscotti di Natale, io avevo le mani farinose e lei il
maglione sporco. È scoppiata a ridere, ha scosso la testa e
mi ha guardato.
“Mi
ricorda i tuoi capelli di merda”
Dalia
è piena di ma
terrorizzanti, di
quelli che “sì, con te sto bene. Ma” ma,
ma, ma. Quelli che ci sono già nel
tono di voce, quelli che anticipano una rottura, un distacco, una
perdita.
Perché
Dalia è bella, davvero.
Ed è anche carismatica, e ha una voce che santa merda!,
mi fa vibrare ogni volta. Ma è pur sempre pigra, ed
è parecchio scontrosa e
acida, e mangia poco ma si lamenta lo stesso,e non piange quasi mai,
neanche
quando è arrabbiata ed è una cosa che succede
veramente troppo spesso.
È
istintiva ma ha duemila paranoie inutili
sulle sue gambe lunghe, non può uscire se non è
truccata e quando scrive dei
messaggi non usa quasi mai il punto esclamativo.
Ed
il ti amo
– quello vero, non quello che
dice a Zayn Malik quando tira fuori dal mobiletto basso la vodka
– me l’ha
detto solamente quattro volte.
Ma
poi compra divani di merda perché le
ricordano i miei capelli, e alle intervistatrici che riescono a
beccarla per
strada dice sempre che non sono così orribile come fidanzato
e che abbasso la
tavolozza del gabinetto anche se non è vero e quindi, davvero, chissenefrega.
Parlare
di Dalia mi rende parecchio
nervoso, il più delle volte perché sono
dell’idea che la gente non capisca. Perché
obbiettivamente, ha ragione India, la gente non capisce proprio un
cazzo.
Io
scrivo, certo, canto e suono. Ma come
faccio a spiegare me e lei e quindi noi
quando neanche io so esattamente cosa siamo?
Stiamo
insieme, è vero. Siamo fidanzati e okay,
ci siamo, ma poi?
Nel
“siamo fidanzati” nessuno dice che,
ogni mattina, mi piace accarezzarle la schiena e perdere il conto di
quanti nei
lei abbia infilati sotto la pelle. E nessuno dice che Dalia non mi
prende mai
le mani ma direttamente il braccio perché così
può imparare a cadere senza
farsi male. E che odia quando arrossisce ogni volta che la chiamo
“amore” anche
se stiamo litigando. E che litighiamo davvero ma davvero troppo spesso.
Dalia
è segnata dai graffi dei suoi ma
che non riesce – e probabilmente, neanche vuole –
guarire. Perché lei è fatta
così e ma
niente. Con quei ma
io ci riempio i messaggi e le frasi quando
entrambi sappiamo che ho ragione.
E quindi sì,
sei proprio una stronza, ma ti amo.
Io
e lei siamo come il nostro appartamento,
parliamo sempre di noi anche se nessuno riesce a capirlo. Ci
apparteniamo nel
più vero e doloroso significato del termine.
Parla
di me il braccialetto che le ho
portato dall’Irlanda che lei indossa sempre, i capelli che le
ho chiesto di non
tagliare perché so che poi se ne sarebbe pentita. Parla di
me il rimmel che
mette sempre perché le ho detto che le valorizzano gli occhi
da cerbiatta. Parlano
di me i suoi vestiti, il profumo che le lascio addosso, le labbra
gonfie, forse
anche il sorriso.
Quando
torna a casa e sbatte la porta, io so
che è stata una giornata di merda. E spero che sia contenta
anche se non trova
Miley Cyrus ma trova me.
Le
cose buone, amore mio, siamo io e te che
litighiamo per chi è il primo ad uscire di casa, sono i
nostri spartiti sparsi
per la casa e la finestra del balcone che non si chiude. Sono i vestiti
che
lasci per terra e che calpesti pur di non raccogliere, i piatti sporchi
sempre
a coppie perché so che pur di mangiare con me salti gli
appuntamenti con le tue
amiche. Le cose buone sono i film che mi fai guardare e il pianoforte
che ti ho
regalato, sono le pagine dei libri che mi scordo di leggere e quelle
delle tue
riviste preferite che tagli e incolli dentro l’armadio.
Le
cose buone sono i tuoi ma
che bacerei
per sempre, quelli che ti fanno paura perché so quanto sia
difficile non
spezzarsi mai. Le cose buone sono le tue battute
sull’allegria morta dei presentatori
dei telegiornali delle diciotto e le tue lacrime ogni volta che ti vedo
nel
backstage dei concerti.
E
quindi sì,
sei una stronza e non fai mai
i piatti.
Ma io ti amo anche
in mezzo al casino che
siamo io e te.