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Autore: YamaTheShepherd    03/11/2013    4 recensioni
[BaDeul]
Il cuscino si affossò ancora di più, sotto al peso della sua testa e, istintivamente, lasciai che la maggior parte del mio peso finisse sul lato del corpo più lontano da lui, come se avessi paura di finirgli addosso. Ma lo spazio tra i nostri corpi era ugualmente minimo, tanto che sentivo il suo respiro sulla mia guancia. Era vicino, mi osservava, ma io continuavo a guardare le doghe del letto di sopra, ignorando quella graduale accelerazione dei battiti del mio cuore e l'inspiegabile impazienza che non mi rendeva le cose più facili.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baro, Sandeul
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice (o delle autrici?):
Vabbè, sì, era da un po' che volevo scrivere una vera BaDeul. Alla fine ho ceduto, volevo troppo. E perché non farlo insieme alla più grande shippatrice della BaDeul che io conosca? Ecco quindi ci terrei a ringraziare Le... San... Non so come chiamarti... Vabbè, lei. Ti voglio bene(?).
Parlando della fanfiction: è divisa in due capitoli, il primo dal punto di vista di Baro; il secondo dal punto di vista di Sandeul.
Spero non venga fuori 'na pecionata.
Tante belle cose...
- Yama


 
Capitolo Uno



Ero sdraiato sul letto, a fissare le doghe di quello di sopra, mentre ascoltavo le voci ovattate provenire dalla stanza accanto. Quel brusio incomprensibile inondava la stanza e mi infastidiva. Non capivo una parola eppure avevo la sensazione stessero parlando di me, e non bene, il che andava ad accumularsi a tutta la frustrazione che già provavo di mio.
Mi sarebbe piaciuto dormire, ero a letto per quello alla fine, ma troppi pensieri mi riempivano la testa, facendomi salire i nervi ancora di più. Come se non bastasse, quelle fitte dolorose tornavano ogni volta a ricordarmi quanto fossi stato sbadato e stupido. Mi sentivo un peso per il gruppo: un intralcio per la promozione. Pensavo che tutti gli altri ce l'avessero con me, che fossero arrabbiati; per questo, qualunque cosa, qualunque parola o azione da parte degli altri membri, la percepivo in modo negativo.
Avevo spento la luce prima di andarmi a stendere sul letto e chiesto cortesemente a tutti di non disturbarmi, per provare a riposare, ma quei pensieri, oltre a tenermi sveglio, non facevano che peggiorare il mio stato d'animo.
Sentii la porta aprirsi. Di riflesso abbassai il braccio con cui mi stavo coprendo gli occhi, per lanciare uno sguardo verso il fascio di luce proveniente dalla stanza affianco. Facendo capolino dallo spiraglio, illuminava l'ambiente, lasciandomi intravedere la sagoma delle gambe di quella persona. Delle gambe che conoscevo fin troppo bene.
«Baro?» mi sentii chiamare, ma non mi mossi, non risposi. La porta si chiuse cigolando appena e il buio tornò ad invadere la stanza. Ma lui non se n'era andato, era ancora lì, sentivo il suo respiro e lo sfregare leggero dei suoi vestiti sulla pelle.
In un certo senso, questo mi aveva fatto piacere. Anche se ero sicuro che l'altro sarebbe rimasto, lo conoscevo fin troppo bene.
«Baro, stai dormendo?» provò nuovamente senza arrendersi, con quel tono di voce dolce e gentile che sembrava rivolgere solo a me «Come stai?».
Rimase un secondo davanti alla porta, aspettando magari che cominciassi a parlare, ma quando capì che non l'avrei fatto, avanzò lentamente, finché non sentii il letto abbassarsi di fianco a me. Si era seduto e, lo sentivo, mi stava guardando.
«... Come vuoi che stia?» risposi con tono scocciato, anche se avrei voluto dirgli qualcosa di simile a un "grazie per essere venuto a vedere come sto", perché da lui, tutto sommato, non m'infastidiva per niente e la sua compagnia mi piaceva fin troppo.
«Ah... sì, scusa. Hai ragione...» mormorò, probabilmente deluso dalla mia risposta. Ma rimase comunque lì. Seduto a guardarmi, potevo percepire appena i suoi lineamenti nel buio, che seguivo con la coda dell'occhio, semi-nascosto dietro al mio braccio. Non se ne sarebbe andato e cominciavo a sentirmi ancora più stupido a causa di quella risposta poco educata.
Spostai di poco il braccio, senza farglielo notare ed abbassai lo sguardo su di lui, sorprendendolo intento a stringere i pugni. Sospirai pesantemente e scostai definitivamente il braccio da sopra gli occhi, posando la mano sopra le sue e dandogli due pacche leggere.
«Dai, su, stai tranquillo. Scusami» gli dissi sincero, anche se probabilmente la cosa non si percepiva dal tono della mia voce. Ma farlo rattristare era l'ultima cosa che volevo. Non lui, che era sempre sorridente e rideva per qualsiasi cosa. Non lo potevo sopportare.
«Perché sei così di cattivo umore?» riaprì bocca dopo un lungo periodo di silenzio, che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di rompere. «Sono pre... Siamo tutti preoccupati, nessuno escluso» si corresse in fretta. Una cosa a cui inizialmente non feci neanche caso, troppo preso a strizzare gli occhi per cercare di capire quale fosse la sua espressione, inutilmente.
Perché ero di cattivo umore? E me lo chiedeva pure?
Mi ero stirato i legamenti della caviglia, non potevo rimanere in piedi da solo senza un supporto, figuriamoci stare su un palco ad esibirmi. E quella è la mia vita. Zompettare da una parte all'altra di un palco... Come potevo fare ora? Ora che non potevo muovermi senza le stampelle? Proprio nel momento in cui stavamo promuovendo, in cui stavamo lavorando bene e tutto andava alla grande.
Dovevo farmi male, ovviamente. Dovevo farmi male e rovinare tutto. Non solo mi sentivo un stupido per non essere stato attento e aver rischiato di farmi ancora più male, ma anche inutile, un peso... mi sentivo un niente.
«Dite di essere preoccupati, ma secondo me pensate tutti che 'sta cazzata me la potevo anche risparmiare. Ora andrà tutto male per colpa mia. Dovremmo interrompere la promozione, annullare tutti i miei impegni... Sto creando solamente disagi, non solo a me stesso, ma anche a tutti voi, al nostro manager, all'agenzia, a chi gestisce i programmi in cui dovremmo essere ospiti... devo continuare? Non ti basta?» le parole uscirono involontariamente, con un tono troppo duro. Come la mia espressione in quel momento.
Mi sentivo come se fossi la causa dei principali mali del mondo, e tutto per una stupida caviglia.
La tensione graffiava nelle ossa, quel silenzio - un altro, l'ennesimo - non mi aiutava a tranquillizzarmi e più passavano i secondi più volevo sapere per quale motivo non dicesse niente, cosa gli passasse per la testa, perché era ancora lì se non aveva niente da aggiungere. Sapevo che, se Sandeul teneva chiusa la bocca, voleva dire che stava pensando. Che aveva tanti pensieri per la testa. E la cosa mi faceva innervosire ancora di più, perché se Sandeul non sorrideva non riuscivo a farlo neanche io.
Pensai talmente tanto a quelle cose che non mi resi conto del suo spostamento, finché non lo sentii scivolare al mio fianco. Il cuscino si affossò ancora di più, sotto al peso della sua testa e, istintivamente, lasciai che la maggior parte del mio peso finisse sul lato del corpo più lontano da lui, come se avessi paura di finirgli addosso. Ma lo spazio tra i nostri corpi era ugualmente minimo, tanto che sentivo il suo respiro sulla mia guancia. Era vicino, mi osservava, ma io continuavo a guardare le doghe del letto di sopra, ignorando quella graduale accelerazione dei battiti del mio cuore e l'inspiegabile impazienza che non mi rendeva le cose più facili.
Mi sentii afferrare la maglietta, era lui, che richiamava la mia attenzione tirando il tessuto, come fanno i bambini quando gli adulti non li ascoltano.
«Baro... Non devi essere arrabbiato per questo. E neanche triste. A noi importa che tu stia bene, e nient'altro... Ci siamo spaventati e invece, per fortuna, non è successo niente di grave. Quindi non essere triste e non fartene una colpa. Sono cose che capitano... E io voglio vederti sorridere, lo sai».
Parlò lentamente, prendendosi tutte le pause che voleva tra una frase e l'altra. Sapevo che lo faceva per non rischiare di usare parole sbagliate, per non peggiorare la situazione. Soffiava le parole, con un filo di voce, quanta bastava per farsi comprendere. Il calore del suo respiro mi scaldava la guancia e avevo ben chiari, nella mia mente, i movimenti delle sue labbra, troppo vicine alla mia pelle per ignorarle.
Come al solito le sue parole riuscirono a farmi calmare, almeno un po'. Era sempre così con Sandeul. Quando c'era da parlare seriamente era il migliore. L'unico in grado di consolarmi; l'unico con cui non riuscivo a tenere il broncio; l'unico che mi dispiaceva far rattristare. Il perché di tutto questo me lo chiedevo in continuazione. Non perché non lo sapessi, era più limpido di un cielo estivo, ma... Proprio lui? Proprio Sandeul doveva essere quel tipo di persona con la quale tutto veniva spontaneo, tutto valeva la pena di essere condiviso e tutto diventava migliore? Una persona speciale, insomma. Quel tipo di persona che, ad un certo punto, ti mette in dubbio sui tuoi sentimenti. Ed era proprio a quel punto che mi trovavo.
Già da qualche tempo mi chiedevo per quale motivo continuassi a convincermi che fosse solo amicizia. Forse ci speravo e basta. In fondo non è facile accettare di provare qualcosa per una persona del tuo stesso sesso, quando, per anni, sei stato convinto di essere attratto solo da ragazze. Eppure sentivo qualcosa per lui, che continuavo a reprimere e a nascondere, cercando di ignorare per continuare ad andare avanti come al solito. Ma in quel momento, in cui le mie difese erano azzerate, in cui mi sentivo un schifo già di mio, cominciò a riuscire fuori tutto. E fu un disastro.
«Ciò non toglie che io sia stato uno stupido» dissi sforzandomi di tenere lo sguardo lontano da lui. Cosa che mi riusciva estremamente difficile. Con la coda dell'occhio infatti tentavo di spiarlo, ma era difficile farlo al buio e a quella distanza ravvicinata.
Calò nuovamente il silenzio tra noi. Il suo respiro continuava a solleticarmi la guancia e stava diventando insopportabile. Fu a quel punto che girai la testa, ritrovandomi a pochi millimetri dal suo volto. Lo feci involontariamente e quasi me ne pentii.
Ora riuscivo a distinguere chiaramente i suoi lineamenti. E i suoi occhi scuri, fissi nei miei, mi fecero perdere totalmente la concentrazione.
Probabilmente anche lui pensava fossi stato stupido, ma non me lo avrebbe mai detto apertamente. Sanduel era sempre il primo a dirmi che ero un idiota e a sminuirmi davanti agli altri, ma non in questo genere di situazioni.
«Perché continui a rimanere qui?» gli chiesi continuando a mantenere questo tono odioso che non avrei mai voluto rivolgergli. Ma ero troppo arrabbiato, e confuso.
«Non me ne andrò» mi disse senza mutare né la sua espressione né l'intonazione della sua voce. Era sicuro di quello che diceva, e lo avrebbe fatto, non se ne sarebbe andato.
«Perché?»
«Perché ho bisogno di sapere che stai bene.»
«Non sto bene.»
«Allora rimarrò qui a farti compagnia. Non riuscirai a mandarmi via.»
«Perché insisti?»
«Perché sei il mio migliore amico.»
Mi venne da ridere e lo feci. Sembrava così sicuro di quello che diceva, mentre io ero talmente confuso che mi veniva da piangere. Lui era ancora il mio migliore amico, e lo sarebbe rimasto per sempre, però c'era quel qualcosa che avevo ancora paura di definire, che certe volte si risvegliava e tornava a tormentarmi.
Continuai a fissare i suoi occhi, incapace di spostare lo sguardo da qualche altra parte. Era preoccupato, si vedeva, ed era triste. Lo era più lui per me, che io per tutte quelle stronzate di cui mi stavo lamentavo.
Ma continuavo a non capire perché insisteva tanto a rimanere lì, perché mi stava così vicino e per quale motivo non mi avesse ancora mandato a quel paese. Mi chiedevo tante cose e non sapevo più cosa pensare.
Ero ancora incavolato per il mio infortunio, o mi sentivo così a causa della sua presenza? Nella mia testa c'erano troppe cose mischiate insieme, troppa confusione, troppo chiasso.
Soffiai quella risata direttamente sulle sue labbra. Suonava sarcastica, speravo di infastidirlo, speravo di riuscire a farlo andare via, la sua presenza iniziava a farmi stare ancora peggio.
«Perché ridi?»
Alzai i miei occhi, rendendomi conto che, da diverso tempo, le sue labbra avevano attratto il mio sguardo, con i loro lenti e ipnotici movimenti. Non riuscivo a capire per quale motivo mi comportassi in quel modo, ero confuso e forse ero anche spaventato. No, ero decisamente spaventato, da tante cose. Ma non volevo farlo stare male, cosa in cui, invece, stavo riuscendo benissimo.
«Lascia perdere» dissi in un sospiro, chiudendo gli occhi. In quel momento persi ogni speranza, non sarei più riuscito a rimanere solo, e non lo volevo neanche. Mi lasciai andare.
Inclinai la testa, cercando quasi di accovacciarmi, appoggiandola contro la sua spalla.
Forse - avevo pensato - se mi fossi arreso non sarebbe stato poi tanto male, forse la sua presenza, superato quell'apparente fastidio, poteva farmi veramente piacere, forse ero io che stavo sbagliando tutto.
Sentii il suo respiro fermarsi per qualche istante e riprendere, lentamente, quasi impercettibile, come se quel mio cambiamento lo avesse sorpreso o spaventato.
Ci fu un altro lungo momento di silenzio, il suo respiro mi entrava pian piano nella testa. Si era girato, la sua spalla si sovrapponeva appena alla mia. Guardava verso l'altro, così non sentivo più il suo respiro caldo scontrarsi con la mia pelle, ma ne sentivo il suono, e movimenti del suo corpo, che si sollevava e si riabbassava, mi cullavano, facendomi ricordare che ero stanco.
Mi stavo rilassando, finalmente; era l'effetto che aveva su di me quel ragazzo. L'unico in grado di farmi agitare e tornare calmo in un batter d'occhio.
Persi di vista tutte quelle inutili preoccupazioni, quelle cretinate che mi rendevano ciò che non ero, sopraffatto da quella calma che mi aveva pervaso, le dimenticai. Lasciai posto solo ai battiti del suo cuore, che sentivo poco sotto al mio orecchio, e si facevano sempre più rumorosi; al profumo dei suoi vestiti che assomigliava al mio, ma portava con se una leggera fragranza totalmente diversa, dolce, e particolare; al calore del suo respiro, che sentii improvvisamente tra i miei capelli.
Aveva abbassato lo sguardo su di me, era chiaro, anche se non potevo vederlo. Ma volevo vederlo, incontrare i suoi occhi nel buio, sentire il suo respiro sul mio volto, poter sfiorare la sua pelle. Erano cose che desideravo in continuazione quando c'era lui nei dintorni, quando mi gironzolava dietro per troppo tempo.
Alzai il volto, verso di lui, lentamente. Ritrovai nuovamente quegli occhi scuri, puntati verso di me. Mi ero abituato al buio, riuscivo a vedere le sue sopracciglia leggermente aggrottate, tra le ciocche scomposte della sua frangetta; il labbro sparire tra i suoi denti, e ritornare lentamente libero; il suo sguardo seguire il mio, ovunque si posasse, per poi tornare ad attirare a se i miei occhi. E fu quello il momento in cui mi persi completamente. Nella mia testa c'era solo lui, e solo lui volevo.
Sollevai un poco di più il mento, mi allungai di qualche centimetro verso di lui, andando ad appoggiare delicatamente le labbra sulle sue. Tremavo leggermente, mentre cercavo di imprimere una piccola pressione su di esse, quel poco che bastava per rendermi conto che quelle erano veramente le sue labbra, che non stavo sognando. Probabilmente quella sarebbe stata la prima ed ultima volta, volevo fare in modo di non dimenticarmene mai.
Rimase immobile, senza dire una parola, e feci lo stesso quando, una volta separate le mie labbra dalle sue, tornai a sdraiarmi nella stessa posizione, poggiato alla sua spalla, leggermente accovacciato. La gamba ancora distesa non faceva più male, non ci pensavo più. Il cuore mi batteva troppo forte per poter percepire le pulsazioni che mi attanagliavano la caviglia. Le labbra si stringevano, cercando di non dimenticare la sensazione di non essere più sole. Non c'era più niente a turbarmi, non ricordavo neanche più cosa mi avesse spinto a rinchiudermi in camera quella sera. Cosa sarebbe successo dopo, non mi importava. Non importava più nulla. Stavo bene, ero felice, e finalmente mi addormentai.
   
 
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