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Autore: MatiMa94    04/11/2013    0 recensioni
Avevo scritto questa storia per un concorso sui vampiri e sul carnevale, nel 2010. Dopo una breve rilettura ho deciso di sistemarla un po' e ripubblicarla.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La dama del Carnevale.


“Quando mi alzai dalla mia bara, quella sera, era ancora troppo presto, ma non potei fare diversamente, dato che urla di gioia e risate interruppero il mio sonno.

Era Carnevale. Una festa che odiavo per la gioia che portava ai mortali, di solito così tristi e impauriti. Ma quella sera, che era la fine della giornata di festa, nessuno temeva nulla.

Forse era anche un bene, potevo uscire indisturbata tra i mortali senza che si interrogassero sulla mia identità. Ma io amavo la pace, il buio e, sì, anche il terrore delle mie vittime. Nella notte di Carnevale c'erano luci, suoni, colori e gioia. In più la gente che rimaneva tra le strade dopo le otto della sera faceva parte di ciò che le mamme apprensive chiamavano “feccia” o “ragazzacci”. Stupidi adolescenti con in mano bombolette di schiuma da barba, piccoli petardi, con linguaggi volgari e, spesso e volentieri, abiti troppo sensuali per essere visti da dei bambini.

Ma a me quella razza di mortali piaceva. Non si rendevano conto del pericolo che passavano al mio fianco fino a quando i miei denti trapassavano la loro pelle e le forze li abbandonavano. Inoltre, alcuni dei più grandi mi conoscevano, e mi chiamavano “La dama di Carnevale”: una misteriosa fanciulla in abiti d'epoca che spariva prima dell'alba, dalla pelle color dell'avorio e gli occhi misteriosi. Tutti sapevano anche che la mia apparizione portava anche una o più morti, ma incontrarmi e starmi accanto era diventata una sfida per i più coraggiosi.

Quando anche l'ultimo raggio di sole scomparve all'orizzonte, mi avvicinai all'abito che avevo preparato quella mattina prima dell'alba e mi preparai. Era sempre lo stesso abito di tutti gli anni: un lungo abito nero con strascico e con il corpetto rosso. Naturalmente apparteneva a mia madre, che me lo donò prima di morire, quando ancora ero umana. Anche se avevo l'aspetto di una diciannovenne, avevo più di 500 anni.

Quando ogni particolare fu pronto, scesi dalla soffitta della casa che mi apparteneva e uscii nella piazza.

Il grande orologio non aveva ancora suonato le sette di sera, così le strade ospitavano ancora un numero abbastanza importante di bambini, che già venivano radunati dalle madri per tornare a casa.

Alle sette in punto i bambini avevano abbandonato le strade, e “i ragazzacci” iniziavano a comparire. Bene, cominciava la recita.

Indossai la maschera, sempre un ricordo di mia madre, e mi allontanai dal centro della piazza, infilandomi in un vicolo buio, quello da dove uscivo tutti gli anni.

In meno di 10 minuti, la piazza si riempì di ragazzi e io potei finalmente uscire dall'ombra.

C'erano ragazzi in attesa di vedermi comparire, gruppi di ragazze che, come ogni anno, cercavano il modo di farmi unire a loro e anche qualche ragazzo in visita, che non mi conosceva.

Quell'anno decisi di farmi aspettare almeno alle sette e mezza, in fondo ogni decennio cambiavo orario, e quello era l'anno 2010.

Alle sette e venticinque il panico serpeggiava tra la folla; temevano che La dama di Carnevale quell'anno non sarebbe apparsa. In fondo, quasi nessuno nel 2000 aveva partecipato al Carnevale serale, quindi pochi sapevano dei “cambi d'orario”.

Quando l'orologio suonò, io mi preparai ad uscire, ma non prima dell'ultimo rintocco. Finalmente, per la gioia della folla, comparvi in mezzo alla piazza, e mi unii subito a un gruppo di ragazze, che non aspettavano altro. Naturalmente non aprii bocca, e non mi feci nemmeno sfiorare, per mantenere un alone di mistero intorno alla mia persona.

Cambiavo spesso gruppo, solo per il gusto di farmi notare.

Quando l'orologio suonò le undici di sera, la sete era diventata ormai insopportabile, e decisi di darmi da fare, o avrei attaccato in pubblico.

Mi avvicinai a un due ragazzi che, usando il loro gergo, non avevano fatto altro che “sbavarmi dietro”, e che sarebbero stati molto felici di seguirmi in un vicolo buio e solitario.

Non parlai, feci solo un segno col dito e nei loro pensieri lessi stupore e gioia. Sì, mi avrebbero seguito senza timore.

Quando raggiungemmo il vicolo, i due ragazzi iniziarono a preoccuparsi, in fondo non avevo detto una sola parola.

-E così, mi avete seguito senza timore... siete sempre così imprudenti?-, chiesi.

-Imprudenti? E perché dici così? In fondo sei solo uno spirito-, mi rispose uno di loro, con aria di superiorità.

-Solo uno spirito?-, riposi e nel frattempo sparii dietro le loro spalle, toccandole. -Uno spirito non credo riuscirebbe a toccarvi.-

Al tocco delle mie mani gelate sussultarono e arretrarono.

-Sì, lo so, sono molto fredda, ma... cosa vi aspettate da un corpo morto? In fondo io sono morta da secoli.-

In quel momento erano come congelati dalla paura, e decisi di agire.

Li attaccai velocemente e prima che se ne accorgessero erano già morti.

Nascosi i corpi nel cimitero cittadino e tornai in piazza. Ormai non avevo bisogno di cacciare e avevo tutto il resto della notte per alimentare la leggenda.

Alle due del mattino decisi di tornarmene nella mia casa, mi ero stufata di quella notte.

Mi allontanai con calma, facendomi vedere. Quando ero al centro della piazza, lanciai il solito messaggio mentale di sempre: “La notte è ancora mia. Non sfidatemi.”

Tutti lo recepivano, ma nessuno ci faceva subito caso.

Quando fui al sicuro nella mia soffitta, tutt'altro che piccola e polverosa, persi un po' di tempo davanti allo specchio, come una ragazza mortale.

Spazzolai i miei lunghi capelli biondi, pulii la pelle candida dalla schiuma e tutte le altre sostanze che si spruzzano a carnevale.

Non appena l'alba si avvicinò, mi avvicinai alla finestra per guardare fuori, ma quando il primo raggio spuntò entrai nella bara, al sicuro.”




Avevo scritto questa storia per un concorso sui vampiri e sul carnevale, nel 2010. Dopo una breve rilettura ho deciso di sistemarla un po' e ripubblicarla.

  
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