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Autore: simona_09    05/11/2013    0 recensioni
La mia prima storia da condividere con voi, Vi do un assaggio di un'esperienza molto personale.
Un luogo dove ho pensato, riflettuto, scritto. La storia del mio viaggio, un posto che mi ha accolto, quando pensavo di essermi persa.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ammirare la mediocrità della routine era  diventato, a sua volta, abitudinario.

Passava il mio tempo, lento, sempre uguale, sotto l’egida di una noia pervasiva.
Respiravo, sì, ma non era aria ciò che entrava e stavo in vita perché mi avevano detto che “così si fa”. Ero l’incarnazione di un tempo bergsoniano, vent’anni fisici e un’età interiore da catechesi. Cercavo le mie guide in qualcuno che mi ordinasse come vivere, non entravo in contatto con il fluire delle cose, per non esserne trasportata alla deriva. Attecchivo ad uno stile di vita di seconda mano, per essere come gli altri, senza che nessuno mi vedesse.

Una città, un viaggio, due mesi.
Un parco, una panchina, un uomo.
Un lavoro, una vita, mille notti.

Londra è il dono dell’Inghilterra al mondo. Un tripudio di lingue e culture in una babele di strade, dove ognuno trova un pezzo di sé, una parte del proprio paese, ancora lì a ricordarti chi sei. Io ho deciso di mischiarmi col caos per riavermi: viaggiare, scappare, esagerare per tornare alle mie origini, per tornare da me.
Sarebbe lieve nascere opachi e monocromi, bianchi o neri. L’uomo, invece, nasce sfumato, creato già confuso, complicato. Ha in sé territori senza confini delineati e, talvolta, i suoi viaggi interiori disvelano mondi sommersi, universi di pura vita inesplorata.
Due mesi per avere una breve non nitida visione di cosa si nasconde dietro i confini del nostro giorno. Si lotta per tentare di crearsi una quotidianità, che si passa tutta la vita a tentare di sradicare. Tentavo di ricamare tele con trame ordinate, ma i fili mi scappavano dalle mani, insubordinati.
Dovevo andare là per trovare il mio angolo di perdizione, abbandonarmi per ricominciare a sentire qualcosa. Ero diventata un muro a Torino, sbattevo contro le cose ed esse si schiantavano su di me senza che io ne percepissi nulla. Sentivo in lontananza solo brevi vibrazioni, qualcosa di sospeso che non si palesava mai. Nel mio viaggio, sono stata io ad inciampare nelle cose del mondo e mi sono divertita a farlo, come una bambina che scopre i gesti elementari della sopravvivenza giorno dopo giorno. A volte piangevo all’idea di perdere tutto, all’idea del ritorno. Avevo paura.
E quando avevo paura, peregrinavo per le strade di Londra in cerca di un santuario di salvezza. Poi l’ho trovato. Una panchina a Green Park, un pezzo di paradiso verde contaminato dai turisti. Mi piaceva il fatto che, nonostante la folla, ci fossero spazi totalmente vuoti, isolati, ovattati, in cui si udivano solo mormorii e sirene in lontananza.
Lì potevo scrivere.  Ma a volte ero distratta. Distratta dalla sacralità del mio stesso santuario, che forse tutto mio non era. Ho mentito sull’originalità dell’idea. Lì, una notte, mi ci avevi portato tu.
  
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