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Autore: Silvar tales    05/11/2013    2 recensioni
"Sei davvero presuntuoso Ratonhakè:ton, se credi di potermi insegnare a cavalcare".
"Cavalcare?" La provocò Connor strizzandole l'occhio. Il cavallo soffiò in direzione di Faline, che arretrò di almeno dieci passi. Ma impiegò soltanto mezzo secondo per recuperare la sua grinta.
"Nel senso primo del termine. Purtroppo credo che per un altro tipo di cavalcata abbia tu bisogno di prendere lezioni da me, Ratonhakè:ton".
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Valley Forge



"Tenete, è tutto quello che abbiamo". Una gracile contadina, con il viso segnato dagli anni, mise un sacco ricolmo di pane appena sfornato nelle braccia di Faline, e altri viveri come patate e alcuni tranci di carne essiccata li diede ai suoi uomini, sotto lo sguardo esterrefatto di Connor.
"Come hai fatto?" Le domandò. Si trovavano sulle alture di Valley Forge, dove vi era un pugno isolato di case umili; molte fungevano da appoggio per i militari, francesi, americani o inglesi che fossero: questo dipendeva dalla sorte e dal volere di potenti. Nonostante ciò, quella gente sospettosa non aveva mai voluto aiutare Connor, anzi lo guardava con diffidenza, alcuni preferivano addirittura dare ascolto agli inglesi che a lui. Non gli avevano mai nemmeno offerto un tozzo di pane.
Il selvaggio volante, lo additavano alcuni, come fosse un ladro di polli.
"Sai, Ratonhakè:ton, non basta cambiare nome per nascondere le proprie origini. Questa gente non si fida dei Mohawk".
Faline uscì dalla baracca di pietra e si affacciò sulla vallata, con Connor al suo fianco. Le stelle rifulgevano in cielo, era una notte serena. Il fiume scorreva placido e tranquillo, increspato da innumerevoli scaglie d'argento.
Il paesaggio era così tranquillo che sembrava impossibile che la guerra scalpitasse alle porte.
Gli inglesi erano stati avvistati a poche miglia di distanza, sarebbero giunti a momenti.
"State in guardia, sarà una lunga notte".
Faline comandava un esiguo gruppo di centocinquanta combattenti; Connor era riuscito a radunarne solamente una cinquantina. Si maledisse mille volte per non aver pensato ad agire prima, ma non si aspettavano un attacco così prematuro. Aveva subito mandato un ragazzo a New Jork, per chiedere rinforzi a Washington, ma non sarebbero mai arrivati in tempo.
L'unica cosa da fare era sperare che le stime di Faline fossero errate, e che il nemico non potesse disporre di più di cinquecento soldati. In caso contrario, le possibilità di vittoria erano assai limitate.
"Non temere Ratonhakè:ton, noi vinceremo questa guerra, ne sono sicura".
"Come fai ad esserne così sicura?" Le rispose Connor montando in groppa al suo cavallo e intimando alla ragazza a fare lo stesso. Lei riluttante obbedì, e saltò in sella ad un puledro snello e forte, con il manto di un caldo color castano.
"Ho affrontato di peggio".
"Dici sul serio?" La incalzò Connor, lieto di distrarre un poco la mente. I cavalli nitrivano nervosi, scuotevano la testa e calcavano il terreno con gli zoccoli, sembravano insofferenti di dover attendere così a lungo.
Faline rimase qualche minuto assorta, a contemplare con sguardo turbato il vuoto davanti a lei.
"Ogni volta mi riprometto di superare la battaglia senza che nessuno dei miei debba morire".
"È impos-" Fece per ribattere Connor, ma le sue parole vennero bloccate sul nascere.
"Impossibile? No. Difficile, sì".
Connor sbuffò nervoso, assaggiando l'aria. Diede una rapida scorsa al vallone e alle colline pelose d'alberi, ai distanti picchi di Diamond Basin, ai pendii neri che lo circondavano.
Poi il cuore gli balzò in petto.
Oltre l'orlo del bosco, sul fondo della vallata, si distingueva con nitidezza il baluginio di un gruppo di luci, e altre che si accendevano, come volessero richiamare l'alba.
"Sono qui. Fai preparare la guardia", disse in un soffio, senza distogliere i dilatati occhi scuri da quelle ostili scintille.
Faline si sporse dalla sua sella e afferrò il braccio dell'Assassino, lasciando che la stoffa sformata della manica scricchiolasse sotto le sue dita.
"Stai tremando, Ratonhakè:ton".
Connor rise, non dandosi nemmeno la pena di rispondere alla provocazione.
Gli esploratori andavano e venivano, e ogni volta riportavano un numero sempre maggiore di nemici.
"Ora basta, non fate che scoraggiare i vostri compagni. Lo sapremo quando li incontreremo sul campo!" Sbottò irritato all'ennesimo ragazzino d'avanguardia che ritornava con brutte notizie, pur sapendo che il poveretto non aveva alcuna colpa, che anzi come molti giovanissimi faceva di tutto per compiacerlo. In realtà Connor rimproverava sé stesso: questi inglesi saltavano fuori dalle tane come topi, come aveva fatto a non accorgersi dei loro presidii nella Frontiera?


L'esercito avversario si radunò solo al sorgere del sole. Faline aveva ordinato alle sue fila di attendere, voleva affrontarli soltanto quando si fossero adunati del tutto, per evitare il pericolo di venire accerchiati.
Sorse un sole pallido e freddo. Un aquila artigliava il braccio sinistro di Connor, e quando essa spiccò il volo, tutti seppero che era giunto il momento di correre giù dalla collina. Duecento uomini si avventarono come furie su un'ultima guarnigione di mille servi della Corona, con il sole che splendeva alle loro spalle e il vento che soffiava in loro favore, e li spingeva ancora più forte lungo il pendio. Faline restò in groppa al cavallo finché non raggiunsero i nemici, e allora balzò a terra e sguainò la spada. Almeno cento uomini caddero sotto i suoi colpi furenti, aveva perso molti compagni nella corsa verso la valle, sotto i colpi vigliacchi delle armi da fuoco nemiche.
La sua furia diventava ancor più temibile se animata dal desiderio di vendetta.
Connor la perse di vista dopo pochi secondi, inghiottita dall'acciaio e dalle urla dei corpi agonizzanti. Era il caos.
Una mano sconosciuta gli afferrò la caviglia e lo fece cadere di cavallo; si trovò in mezzo alla mischia, libero finalmente di volteggiare tra i nemici e usare le sue lame celate, snelle e letali come anguille velenose.
Aveva perso di vista i suoi compagni, ma non pensava più a loro.
L'adrenalina che gli innervava i muscoli glielo impediva.
Si era già trovato in una situazione simile, a Bunker Hill, poco tempo fa, una delle sue battaglie più memorabili. Sicuramente la più imponente.
Allora se l'era cavata con l'astuzia, evitando con grande scioltezza ed abilità lo scontro aperto. Lo stesso non si poteva dire di questa volta.
"Fate avanzare la guardia!" Urlò con voce roca ai pochi compagni che gli erano rimasti accanto, dopo aver estratto il tomahawk dal petto di un ragazzo inglese. I suoi uomini si gettarono in avanti, impedendo agli inglesi di avanzare oltre ed accerchiarli.
Connor si tolse il sangue dagli occhi e cercò di scorgere Faline, ma non la vide. Il carnaio l'aveva inghiottita.
"Non ti preoccupare per lei", lo confortò uno dei suoi uomini in un raro momento di respiro, stringendogli il braccio. Connor si divincolò all'istante.
"Non mi preoccupo per lei, ma se cade possiamo dire addio alla vittoria".
Ma Faline combatteva sana e salva a un centinaio di metri di distanza, e non aveva nessuna intenzione di cadere.
   
 
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