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Autore: Readme    05/11/2013    3 recensioni
-“Mi...” - Harry tossì più volte - “Mi canteresti qualcosa?” -. La voce di Harry era roca, come Taylor si era immaginata. Avrebbe voluto risentirla ed un pensiero morboso oltrepassò la sua testa malata. Avrebbe voluto morire accompagnata dalla sua voce. Allora Taylor non se lo fece ripetere, corse verso i suoi bagagli e tra le mille cose che aveva portato con sé, trovò il suo banjo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Maybe.











Harry non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una situazione peggiore di quella che già stava vivendo da diciannove anni. Si guardava intorno spaesato e se solo qualcuno lo avesse potuto guardare negli occhi, avrebbe capito come tutto questo non avesse destato in lui nessun interesse. Quando sei piccolo, non vedi l'ora di crescere. Utilizzi quei giochi per poi immaginarti una mamma, un dottore, una maestra. Si dice che il cinquanta percento dei sogni infantili non si avverino. Harry lo ha letto in una di quelle riviste lasciate sui tavolini delle cliniche. Avrebbe voluto ridere, ma ciò gli avrebbe causato solo dolore; se solo poi si fosse ricordato come si facesse. Quegli occhi verdi avevano già visto abbastanza luce, abbastanza vita da sapere che nulla era reale, che lo stesso bisogno di respirare era superfluo, schiavo dei sogni, schiavo dell'ambizione dell'essere umano. Tende le mani verso un giornale. Li aveva sfogliati e utilizzati quasi tutti, ne mancavano solo altri e tre. Prende la penna poggiata sulle gambe e comincia a leggere, senza neanche assaporare quelle parole sature di politica, informatica e gossip. Come se l'amore fosse quello. Come se l'amore fosse mai esistito.

 

Forse la Regina Elisabetta sarà presente alle cerimonie d'apertura”.

 

Harry toglie con la bocca il tappo alla penna blu e sottolinea quell'unica parola: “Forse”. La sua vita era stata ripiena di promesse, piena di quelle promesse che non verranno mai mantenute. Ricolma di quei 'forse' a cui si aggrappava ogni giorno e che alla fine lo facevano cadere. Quella parola era il significato della sua vita. Diciannove anni vissuti nel dolore e riassunti solo in quelle poche lettere. Chissà se qualcuno lo aveva mai capito, se le ferite sugli avambracci le avesse mai notate qualcuno. Forse lo avevano fatto, forse semplicemente non avevano mai avuto tempo per guardare uno stupido punto, quando c'era un intero libro da leggere. Harry si vedeva come un punto, come quel punto dal quale tutte le rette potevano passare; ma mai nessuno si fermava per restare. Dopo tutte le parole dette, soffocate. Dopo tutti i 'Rimani in silenzio Harry, non mostrarti debole', era sopravvissuto ai suoi primi diciannove anni ed ora voleva solo perire. Perché dover aspettare la prossima persona, la prossima delusione? Un taglio netto alla corda che lo legava al nulla.

 

Ora Harry si dava i complimenti nella sua testa. Le labbra sottili chiuse e gli occhi ancora verdi, puntati su quei forse. Forse se fosse andato in un luogo più isolato, nessuno lo avrebbe notato. Forse, se non si fosse arreso prima di morire, se non avesse gridato per un secondo, non sarebbero arrivati in tempo. Forse, se non fosse stato così sbagliato, non avrebbe nemmeno pensato di farlo. Forse – e solo forse -, ora non sarebbe ricoverato in ospedale con la forza. Forse ora, sarebbe stato più bravo a mentire ed avrebbe potuto vivere altri diciannove anni dietro quei forse, nascondendosi come un ratto nelle fogne della paura. Paura di vivere la chiama nella sua testa. Paura di amare raccontava una volta nei suoi diari.

 

-“Harry, buongiorno” -. Il moro non alzò gli occhi, già avendo riconosciuto la sua voce. La giornata era appena iniziata e sapeva come le cose sarebbero andate avanti. - “Come stai oggi?” -. Harry, anche tenendo lo sguardo abbassato, poteva immaginare il sorriso del suo medico, i capelli impomatati ed il camice bianco, con la sua cartella clinica ben posta sotto il braccio destro. - “Anche io sto bene” -, disse precedendo i suoi movimenti. Si accomodò accanto ad Harry, sul suo letto e con la schiena ricurva aspettava paziente una sua risposta. Ma lui continuò a tacere. Dentro però bruciava colpito dalle sue false parole. Lui non stava bene. - “Il tuo non è un ricovero coatto, ne sei consapevole? Rispondimi Harry” -, il suo tono predicatorio, fece scattare il ragazzo che annuì indifferente. - “Non ci vuoi dire il tuo cognome, di dove sei, chi è la tua famiglia. Di te non abbiamo rinvenuto neanche il cellulare o un documento. Non possiamo aiutarti se non lasci intervenire le persone che ami” -.

 

Harry aggrottò la fronte arrabbiato e il dottor Jackson, pensò fosse giunto il momento. Era stato così calmo per tutto il suo ricovero, aspettava solo che scattasse, Ma guardò il ragazzo rimanere concentrato sulla rivista e sottolineare con più foga quelle parole. - “Oggi è l'ultimo giorno che rimarrai con noi Harry, ma se vorrai, potrai tornare qui per effettuare una cura psichiatrica. Dovrai assumere delle medicine e starai meglio, non tenterai mai più alla tua vita, non ne sentirai il bisogno, te lo prometto” -. L'uomo di ormai cinquantanni, guardò con dolcezza Harry. Il tempo che aveva condiviso assieme a lui era stato decisamente poco, cinque giorni, ma l'infantilità che lo avvolgeva, la corazza che si era creato, gli ricordava tanto un bambino da dover accudire, da dover istruire per fargli affrontare il mondo. Harry continuò a tacere. - “Come vuoi tu ragazzo. Oggi però promettimi che resterai calmo come sempre. Non abbiamo più posti letto ed oggi deve per forza fermarsi un paziente nuovo, ti prometto che resterà solo per qualche ora” -. Harry fermò la sua mano e smise di leggere. Lui voleva rimanere lì, chiuso tra quelle quattro mura, nascosto dal mondo, dalle persone. Voleva le attenzioni del dr. Jackson che mai nessuno gli aveva riservato ed era bastato un tentato suicidio per trovare qualcuno. Gli era bastato. Ma il suo posto non era quello. Doveva solo resistere e rimanere zitto, rassegnato alla solitudine. Il freddo di Londra già gli stava rientrando nelle ossa, proprio ora che se ne stava liberando. Annuì superficialmente e solo allora, Jackson andrò via. Harry lanciò la rivista verso la direzione per la quale se ne era andato e si stese sul letto a pancia in giù, pregando che tutto svanisse almeno per qualche ora.




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-“Could you tell me what more do I need and tomorrow's just a mystery, oh yeah, but that's ok...” - Harry aprì gli occhi lentamente e pensò di essere a casa. Non riusciva a ritrovare in quei muri bianchi la sua camera color arancio, ma si accontentò di immaginare e si ricordò bambino, quando ancora poteva dichiarare la vita un dono. Forse – pensò quasi sorridendo -, una volta era felice. Doveva soltanto ricordarsi come ci si sentiva ed imitarsi ogni giorno. Accantonò immediatamente quel pensiero positivo e richiuse gli occhi. - “I'm alone, on my own, and that's all I know!” -. Harry al suono di quella voce – o canzone ? - si alzò e vide una persona di schiena sul lato opposto della sua camera. Sistemava qualcosa dentro l'armadio grigio e continuava indifferente a cantare. Il ragazzo si chiese se potesse essere la paziente di cui gli aveva parlato Jackson. Harry cercò di trattenere la sua curiosità e preso dalla paura di quel nuovo incontro, abbassò le mani della maglietta che indossava, fino a coprire i suoi polsi. Quando quella persona si girò, Harry constatò che era una ragazza. Una ragazza più grande di qualche anni. Forse poteva avere ventidue anni, forse diciannove – quanto lui -. Il suo viso dimostrava l'infantilità di un bambino, eppure i suoi occhi erano profondi quanto quelli del suo dottore, quanto quelli di chi ne aveva vissute tante, anche troppe. - “Oh, ciao. Mi dispiace, non volevo disturbarti, stavi dormendo e pensavo di star cantando a bassa voce. Lo so, non sono molto brava a cantare e parlo molto, anche troppo velocemente e non starai capendo nulla. E continuo a parlare” - si fermò improvvisamente dopo aver trattenuto il fiato, finse di raccoglierne più del necessario ed infine sorrise, facendo trapelare una risatina isterica. Si avvicinò al suo letto e il sapere che una persona diversa dal dottore, stesse violando il suo spazio, mozzò il fiato di Harry. Cercò di trattenere il respiro per sua volontà, almeno finché non si sarebbe allontanata. Lei intanto, gli tese una mano e sorrise facendo brillare gli occhi, che fino a pochi secondi fa Harry aveva ritenuto verdi, mentre ora brillavano di un blu elettrico. - “Il mio nome è Taylor, condivideremo la stanza per un po'” -. Harry avvicinò la mano alla sua lentamente, impaurito dal contatto fisico diverso dai guanti di latta o dall'acqua gelida con la quale aveva cercato di uccidersi.

 

Si strinsero le mani, ma Harry tacque come aveva fatto precedentemente con il dottore. Allora, quella che si chiamava Taylor si allontanò, per poi sedersi sul suo letto, mantenendo comunque una posizione frontale a quella di Harry. - “Stefan mi aveva detto che eri bravo a rimanere in silenzio” -, Harry storse le labbra incuriosito da quel nome e Taylor lo capì al volo. - “Stefan è il dr. Jackson, pensavo sapessi il suo nome. Ci conosciamo da molto, è grazie a lui se sono qui ora” -. Il moro notò il capo della ragazza abbassarsi esausto e quasi con tristezza. I capelli ricci a cui aveva dato poca attenzione, scivolarono lentamente davanti agli occhi della ragazza ed Harry avrebbe voluto alzarsi e consolarla. Ma a che pro? Sapeva personalmente che ciò non sarebbe servito a nulla.

 

La bionda rialzò il viso velocemente e notò la rivista che prima Harry aveva buttato per terra. La raccolse con lentezza e la posò tra le mani di Harry, che a sua volta, aveva nuovamente trattenuto il respiro. Taylor continuò ad avvicinarsi ad Harry, fino ad arrivare al suo viso. Quest'ultimo si allontanò di scatto e la strana ragazza, sorrise mortificata. - “Volevo capire se stavi trattenendo il respiro di nuovo” -. Harry voleva sprofondare, ma visto che ciò gli era impossibile, il suo corpo rispose alla frase di Taylor, arrossendo. - “La rivista è tua vero? Posso prenderne una? Dovrò aspettare perlomeno un altra ora per la prima visita” - affermò velocemente e senza attendere la risposta di Harry, sbuffò scocciata e raccolse un giornale. Si stese sul suo letto ed il ragazzo non riusciva a non guardarla, a non osservarla. Una ragazza così bella e piena di vita, doveva nascondere qualcosa. Perché si ritrovava là?

 

-“Perché sottolinei sempre la parola 'forse'?” - guardò il ragazzo da sotto le sue lunga ciglia, per poi sbattere gli occhi - “Giusto. Tu non parli. Ed io mi annoio” - rispose a se stessa. - “Forse Harry, se solo ti decidessi a parlarmi, forse, non dovrei essere io quella a doverti infastidire. Ma forse ti infastidirei comunque, perché forse, ti trovo maledettamente attraente. Tutto ciò è ipotetico. Forse...” - all'ennesimo forse, Harry si alzò per la prima volta dal letto, fuoriuscendo dal suo abitat e strappò dalle mani della bionda il giornale. Era sfacciata, stupida, logorroica, stupida, sfacciata e strana. No, per Harry era misteriosa e se solo avesse potuto rimanere zitta, gli sarebbe piaciuto osservarla e capirla. Gli sarebbe piaciuto anche, vedere cosa lei pensasse di lui. Ora lo avrebbe preso per un pazzo, altro che attraente. Ed Harry sbiancò. Lo aveva definito attraente?

-“Ti piaceva la canzone che ho cantato prima? L'ho scritta io. Scrivo canzoni da sempre. Avrei voluto essere una cantante, ma il mio primo cd è stato un flop. Il country non è uno stile che vende” - si morse le labbra e smorzò lo sguardo triste con una smorfia. Non era arrabbiata con lui, non aveva detto niente su ciò che era successo ed Harry cominciava a risentirsi caldo dentro. Il freddo di Londra pareva così invisibile.

 

-“Mi...” - Harry tossì più volte - “Mi canteresti qualcosa?” -. La voce di Harry era roca, come Taylor si era immaginata. Avrebbe voluto risentirla ed un pensiero morboso oltrepassò la sua testa malata. Avrebbe voluto morire accompagnata dalla sua voce. Allora Taylor non se lo fece ripetere, corse verso i suoi bagagli e tra le mille cose che aveva portato con sè, trovò il suo banjo. Si accomodò nuovamente sul letto e cominciò a strimpellarlo, con gli occhi verdi di quel ragazzo senza nome addosso. - “I remember tears streaming down your face when I said, I'll never let you go. When all those shadows almost killed your light” - Taylor cercò di ricordare tutti gli accordi mentre intonava quella melodia così bassa. Harry la guardava con attenzione, studiava ogni suo movimento e immaginava quelle labbra muoversi in quel modo sulle sue. - “I remember you said, don't leave me here alone. But all that's dead and gone and passed tonight” - una tristezza del genere era irriconoscibile in quegli occhi blu. Harry rivide la sua vita lentamente, macchiato dalle colpe di non aver goduto nulla fino in fondo ed aver infine implorato la morte. - “Just close your eyes” - ed Harry seguì la sua canzone, chiuse le palpare arrossate sugli occhi ormai umidi. - The sun is going down.You'll be alright” - ed una immagine percorse la mente di Harry, come un sogno ad occhi aperti diventato troppo reale per svanire così in fretta. Poteva quella sconosciuta essere il suo sole? - “No one can hurt you now. Come, morning light. You and I'll be safe and sound” -. La musica di quella ragazza ormai troppo nuda agli occhi di Harry, fu interrotta dall'entrata di un medico. Harry non lo conosceva e lui non badò al secondo paziente presente in quella stanza. - “Mrs. Swift, dobbiamo controllargli l'incisione e farle dei controlli per vedere se dobbiamo riaprire” - Taylor poggiò il banjo accanto a sé. La magia che aveva unito quelle due anime tormentate era finita assieme alla musica. Eppure il legame era lì, visibile ad entrambe quelle sfumature di occhi così diversi e così ugualmente profondi.

 

Taylor si spogliò lentamente davanti agli occhi muti di Harry. Il diciannovenne non provò nessun piacere nel vedere quel corpo immacolato, ormai l'aveva vista dentro e ciò gli era bastato per innamorarsi di lei e per avere la forza sufficiente per lasciarla andare.

 

-“Stai per morire?” - e per quanto Taylor avrebbe voluto risentire quella voce al più presto possibile, fu inutile non trattenere le lacrime. Il ricordo vivido di quella frase, detta dal suo Jake, l'aveva uccisa precedendo la sua stessa malattia. - “Cancro al cervello, sembra che le tre operazioni siano servite solo a rimandare l'inevitabile” - Taylor sorrise ironica

 

-“Io non ci sarò quando tornerai” - ed Harry decise di omettere il 'se tornerai'. - “Ok” - rispose lei.

-“Non ci rivedremo più Taylor” - ed entrambi interpretarono quella frase a loro piacere. - “Ti sto lasciando andare” - Taylor sorrise. Jake gli aveva detto che non avrebbe accettato la sua morte, come se fosse stato soltanto un vestito da buttare. Si erano lasciati. E lei non gli aveva dato nessuna colpa. Taylor non gli chiese – ora che voleva risponderle – il suo nome. Quel ragazzo aveva ipnotizzato il suo cuore per poche ore e non pensava sarebbe stato così duro lasciarlo andare. - “Forse ci rivedremo. Spero non presto però” - aggiunse immediatamente, fissando le cicatrici sui polsi ormai in mostra. E Taylor uscì dalla stanza, pronta a rivedere il suo male faccia a faccia.

 

- “Forse mi stavo innamorando di te Taylor” - sussurrò Harry a se stesso, mentre rimetteva le cose al suo posto. Ma non esisteva nessun forse ed Harry, decise di scriverglielo, di incidergli il suo banjo con quella sciocca frase.



 

  
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