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Autore: Lady R Of Rage    06/11/2013    4 recensioni
Aveva vissuto due vite completamente diverse, una dopo l’altra, senza mai identificarsi per davvero in nessuna di esse. La prima aveva cominciato ben presto a stargli stretta; la seconda lo aveva sedotto e pugnalato alle spalle. Non c’era da sorprendersi che fosse finita così.
Succhiandosi le dita rigide per il gelo, si chiese cosa avrebbero pensato gli altri a vederlo in quello stato: solo in un luogo sconosciuto, con lividi e contusioni su tutto il corpo e il sapore delle lacrime (perché sì, erano lacrime, nemmeno lui poteva mentire a sé stesso) che gli riempiva la bocca.

[Post-movie!Monsters & co. | Possibile spoiler!Monsters University]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Randall Boggs
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cambiamenti

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così. Un attimo prima, tutte le sue più grandi ambizioni stavano finalmente per concretizzarsi. E un attimo dopo… ecco che tutti i progetti che aveva fatto, tutto il suo impegno, gli scivolava via tra le dita.
Un colpo più forte degli altri lo strappò via dai suoi pensieri.  Non era molto facile pensare mentre una donna che sembrava non aver mai conosciuto una doccia in vita sua continuava a colpirlo con un badile come se ne andasse della sua stessa vita.
D’accordo, hai vinto. Ho imparato la lezione. Adesso basta, però.
I colpi si accumulavano sui colpi. Chi diceva che il dolore scaccia il dolore si sbagliava di grosso.
Ma c’era qualcosa che faceva anche più male di quelle botte. Qualcosa che non colpiva da fuori, ma da dentro. E forse per questo era più doloroso.
 
-Ehi, come va, campione?-
-Sei sempre il migliore!-
-Imbattibile come al solito, eh?-
Ogni secondo che passava a sentire quelle parole, quelle maledette parole, sentiva qualcosa di acido che gli ribolliva sempre più forte in bocca. Strinse con forza i pugni fin quasi a ferirsi; era inutile, non riusciva a smettere di fissare quel dannato tabellone, ardendo dentro per l’ira crescente.
LUI era il migliore. LUI meritava quegli elogi. E li avrebbe avuti, non importava come.
Aveva passato già troppo tempo ad aspettare, a mordersi le dita, a vivere nell’ombra di Sullivan. Glie l’avrebbe fatta vedere, oh sì, l’avrebbe fatta vedere a tutti.
 
In qualche modo riuscì a trascinarsi attraverso un’uscita, ritrovandosi in uno spazio aperto.
Percepì l’avvicinarsi dei passi della donna. Adesso basta, pensò, basta.
Riuscì a sparire un secondo prima che la porta si aprisse. La donna si guardò intorno con circospezione, stringendo con forza il badile tra le dita.  Bofonchiò un “maledetti alligatori”, e rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Aspettò alcuni minuti prima di tornare visibile. Ormai sembrava che  l’incubo fosse giunto al termine, eppure continuava a non sentirsi al sicuro.
Strisciò fin sotto uno dei lati della roulotte. Il freddo della notte gli pungeva la pelle.  Sarebbe stata una lunga notte.
Una domanda si fece strada nella sua mente: dove aveva sbagliato?
 
-Dove ho sbagliato?-
Tornò a guardare verso il tabellone, quasi implorando in un cambiamento. Ma non accadde nulla: i numeri, silenziosi giudici della sua gara personale, non sembravano intenzionati a volerlo dichiarare vincitore.
Ripeté la domanda, in tono più tagliente: -Dove. Ho. Sbagliato?-
Non si aspettava una risposta, né un interlocutore: gli bastava avere la possibilità di sputare fuori tutta la sua invidia sotto forma di domanda. Poi, una mano silenziosa gli si posò sulla spalla.
-Beh… anche il tuo punteggio non è male. Certo, non sarà il primo posto, ma anche il secondo è…-
-TACI!-
Fungus trasalì, ritraendo la mano.
-Si può sapere cosa ti prende?-
- Il tuo compito è quello di procurarmi le porte, non di fare domande stupide.-
L'altro sospirò. I suoi tre occhi continuavano a fissarlo con un’aria compassionevole che lo rendeva, se possibile, ancora più irritabile.
-Dovresti smetterla di pensare a quel primato. Dico sul serio. Sei sempre così… così ner…-
-ADESSO BASTA!
Uno spintone accompagnò quelle parole. Le sue labbra sottili si curvarono in un freddo ghigno, senza la minima traccia di rimorso.
Fungus si rialzò. Non tentava mai di difendersi. Doveva ammetterlo: per quanto seccante, aveva una pazienza quasi ammirevole.
-Lo dico per il tuo bene. Fai solo del male a te stesso. E faresti meglio ad accorgertene, prima che sia troppo tardi.-
 
Le sua dita sfiorarono appena il suo viso, cercando le posizioni dei vari lividi. Percepì qualcosa di umido e caldo. Che strano… Sembravano lacrime, ma non poteva essere così. Era da anni ormai che non versava una lacrima. Forse nei tempi lontani in cui ancora provava sentimenti sarebbe stato concepibile, ma non in quel momento.
Eppure quella cosa vagamente simile a un cuore che doveva avere da qualche parte nel petto continuava a pulsare, mentre si faceva strada un’orribile consapevolezza: nessuno avrebbe sentito più di tanto la sua mancanza. Forse nemmeno lui stesso.
Aveva vissuto due vite completamente diverse, una dopo l’altra, senza mai identificarsi per davvero in nessuna di esse. La prima aveva cominciato ben presto a stargli stretta; la seconda lo aveva sedotto e pugnalato alle spalle. Non c’era da sorprendersi che fosse finita così.
Succhiandosi le dita rigide per il gelo, si chiese cosa avrebbero pensato gli altri a vederlo in quello stato: solo in un luogo sconosciuto, con lividi e contusioni su tutto il corpo e il sapore delle lacrime (perché sì, erano lacrime, nemmeno lui poteva mentire a sé stesso) che gli riempiva la bocca.
Avrebbero riso, probabilmente. E non sarebbe stata nemmeno la prima volta.
 
-Come hai potuto farlo?-
Gli occhi di Sanderson erano iniettati di sangue. La sua mano artigliata afferrò repentinamente il suo braccio sottile e lo scosse. Gli altri quattro fissavano la scena impassibili, muti, quasi favorevoli.
-Non è stata colpa mia.- riuscì ad articolare lui. –Stava andando tutto bene, ma…-
Non riuscì a dire oltre: uno spintone lo buttò a terra.
-Non è stata colpa tua, eh?- un sorriso sarcastico apparve sul viso di Sanderson.  -Eri rosa, maledizione. Come hai fatto a non accorgertene?-
Solo un moto improvviso di orgoglio lo dissuase dall’idea di sparire e andarsene senza discutere oltre. Grave errore.
-È stato quel Sullivan. È colpa sua se ho sbagliato. Siamo arrivati secondi, comunque. Non è male.-
Lo sguardo feroce di Sanderson lo gelò. Si sorprese ad avere paura: non doveva andare così, lui doveva incutere la paura, non sentirla.
-Non è male per i perdenti, Boggs. I perdenti. Quelli come te, hai presente? Noi siamo vincenti.-
Prese da terra la sua borsa, e gliela scagliò contro. -E perdenti, con noi, non ne vogliamo.-
Capì che era inutile chiedere spiegazioni: l’invito era già abbastanza esplicito di suo. Almeno poteva avere la soddisfazione di andarsene con un po’ di dignità. Ma mentre stava per varcare la soglia della casa, Sanderson lo richiamò.
-Ah, un’ultima cosa. Visto che il rosa ti piace tanto…-
Nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni riguardo a quella frase sibillina, che un flusso di vernice rosa pastello lo aveva completamente sommerso. Trattenne a stento un grido d’orrore nel vedere il proprio corpo così contaminato. Solo successivamente si accorse delle risate che piegavano letteralmente in due quei cinque esseri. Gli occhi gli bruciavano, e non certo a causa della vernice. Un’inspiegabile sensazione di gelo si impadronì del suo petto: qualcosa dentro di lui stava cambiando.
Nel momento in cui aprì il flusso della doccia, giurò a sé stesso che mai più avrebbe subito una simile umiliazione. Mai più qualcuno o qualcosa gli avrebbe fatto così male.
Mai più avrebbe lasciato agli altri la possibilità di metterlo in ridicolo.
 
E ci sei riuscito proprio bene, complimenti, ripeté a sé stesso. Il freddo lo opprimeva da tutti i lati: dall’esterno come dall’interno. Quel freddo che si era portato sempre dentro dopo quell’episodio.
Improvvisamente, qualcosa di caldo subentrò in quell’atmosfera fredda. Qualcuno aveva acceso una stufa all’interno della roulotte, e il calore trapelava attraverso la parete.
Il suo corpo ringraziò più volte per quell’improvviso cambiamento di temperatura. Se non altro avrebbe superato quella notte, come aveva superato tutto il resto della sua vita da eterno perdente. Un senso di pienezza, di fiducia, lo riempì.
Chiuse gli occhi, ormai completamente asciutti, e decise che il giorno dopo avrebbe cercato una porta per tornare indietro. Aveva vissuto due vite diverse, senza mai identificarsi in nessuna di esse: ora ne avrebbe creata una terza, magari non perfetta, ma finalmente sua.
Prima di crollare per la stanchezza, un’ultima frase si fece largo nella sua mente.
C’è sempre tempo per i cambiamenti.
 
Angolo della Cuin:
Okay, temo che dovrei cambiare il mio nome in PrevedibileBEP97.
Del resto, come potevo NON scrivere questa storia? Il diretto interessato ha preso dimora nel mio armadio. *si guarda intorno con circospezione, puntando con lo sguardo un’anta del suddetto armadio*
Prevedibilissima anche l’idea del post-movie. Con quella scena finale con le badilate mi hanno guastato un film pazzesco! Li odio, li odio tutti.
*impreca e tira fuori il suo armamentario: una spranga metallica, un rotolo di scotch, un fucile viola a sedativi e una gamba finta che spara dal tallone (Lone Ranger mon amour)*
Un finale così è degno di un film demenziale, non di una Pietra Miliare dell’animazione. Va bene il karma, va bene che bisogna anche ridere, ma così non va. È un finale brutto, sadico e senza alcuno scopo.
Non per vantarmi (seee…) ma vado piuttosto fiera di quello che ho prodotto.
Grazie per la visione, e a presto.
*L’anta del suo armadio si apre da sola*
ADESSO PIANTALA! Sei insopportabile, non ne posso più di sentire sempre le porte che sbattono!
MiticaBEP97
  
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