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Autore: Francine    06/11/2013    1 recensioni
[Spider-Man 2]
[Spider Man 2]
April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.

(Thomas S. Eliot, «The Waste Land» – I. The Burial of the Dead, 1922)
Prima pubblicazione: 30.11.2006
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Simmetria

April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
(Thomas S. Eliot, ”The Waste Land” – I. The Burial of the Dead, 1922)
 
 


«Tutto bene, amore?»

John le stringe una coperta di lana sulle spalle. È bagnata fradicia, i capelli che da lisci si stanno arrotolando in spirali simmetriche, e il vestitino leggero che le si è asciugato sulla pelle. John è arrivato insieme ai pompieri, aggrappato all’autopompa con le sue braccia muscolose, ed ha corso come un disperato sulle scale d’acciaio, la coperta tra le mani forti, chiamandola a gran voce.
«Come stai, amore?», le chiede da circa mezzora, nonostante lei gli abbia risposto che adesso sta bene.
A volte si domanda quale sia la risposta giusta da dargli. Ammesso che esista. Come dovrebbe stare? Un pazzo l’ha rapita – di nuovo – appesa ad una trave come un prosciutto da mettere a stagionare e usata come esca per attirare Spiderman. Ha rischiato di rimetterci la pelle in un attentato nucleare che avrebbe spazzato via l’intera città, lei per prima. È quasi morta annegata ed è stata salvata in extremis dall’Uomo Ragno. Da Peter.

Come diamine dovrei stare, John?

Mary Jane si volta spesso in direzione del capannone abbandonato in cui Octopus l’ha rinchiusa e ha atteso paziente che la preda cadesse in trappola. Com’è che le ha detto? Ah, sì: Curioso! Il ragno che cade nell’altrui ragnatela…
Octopus rideva. Le ha spiegato a grandi linee il suo piano, come farebbe ogni cattivo schizzato che si rispetti, ignorando il fatto che lei potesse a malapena capire che diavolo significassero paroloni come fusione a freddo e termoregolatori ionici.

Tutti così, i pazzi…

Lì per lì, MJ ha pensato che l’avesse riconosciuta. Niente di più semplice: il suo viso tappezza i muri di mezza New York e lei non è mai stata un asso nel camuffarsi. Quando è uscita dal suo loft in centro ha pensato che un basco nero sui capelli stirati ed un abbigliamento informale le avrebbero consentito di girare per la città senza essere riconosciuta.
 Meglio prendere anche questi, si è detta inforcando gli occhiali da sole dalla montatura tartarugata extralarge. In fondo, non c’era niente di strano nel portare gli occhiali da sole in un caldo pomeriggio di Aprile.
Possibile che Octopus mi abbia presa perché mi ha riconosciuta e voglia arrivare all’Uomo Ragno?, si è chiesta mentre lui continuava a cianciare di cose senza alcun senso apparente. E invece no; Octopus sapeva con esattezza che l’Uomo Ragno si sarebbe precipitato a salvare la donzella in pericolo, ma non tanto perché l’ostaggio era un personaggio famoso, o perché la donzella era una stella nascente del panorama teatrale. Ma perché era lei.
L’Uomo Ragno sarebbe venuto per salvare Mary Jane Watson. Perché l’Uomo Ragno, in realtà, è Peter Parker.

«Tesoro…»
«Sto bene!», ringhia lei, stringendosi nella coperta. Le dispiace per John, ma in questo momento è ancora troppo frastornata dalla girandola di eventi che l’hanno presa e fatta muovere come una trottola impazzita. Ha bisogno di tempo. Ha bisogno di pensare. Analizzare come è cambiata la sua vita. E come ancora cambierà. Perché non è finita. Forse ha anche lei il senso di ragno cui accennava Pete?
È solo un sogno. Solo. Un. Sogno, si dice riempiendosi il braccio di pizzicotti. 
Domani, al suo risveglio, aprirà gli occhi davanti ad una bella tazza di tè caldo e una fetta abbondante di cheese-cake alla fragola. Con panna. Al diavolo la dieta! Una fetta di dolce non ha mai ucciso nessuno; e poi, non ha niente da fare da qui ai prossimi quindici giorni. Tranne… sposarsi.



«Parker! Parker! Dov’è quello scansafatiche?»

Jonah J. Jameson è un uomo sui cinquant’anni, col viso da faina, gli occhi furbi e una voce capace di infrangere tutti i vetri del grattacielo che ospita il Daily Bugle.
Jonah J. Jameson odia Spiderman. Con ogni atomo del suo essere.
Jonah J. Jameson non sa, e probabilmente non saprà mai, che l’Uomo Ragno lavora per lui. E che, anzi, l’ha appena chiamato a rapporto.
«Eccomi, signor Jameson!»
«Parker! Eccoti!», continua a gridare nonostante Peter gli sia a meno di cinque centimetri dal viso. «Nel mio ufficio!», e lo precede rientrando nella stanza occupata da una grande scrivania di legno chiaro.
Le pareti ai lati sono letteralmente tappezzate delle prime pagine che il Bugle ha dedicato al Ragno in questi ultimi anni.
JJ è sinceramente convinto che Spiderman non sia trasparente come un cristallo, per usare parole sue, altrimenti non se ne andrebbe in giro conciato in quel modo. JJ odia i supereroi. Non ne vede l’utilità; le forze dell’ordine regolari bastano e avanzano. I giustizieri mascherati che scorrazzano liberamente per New York sono tutti individui che hanno ben altre mire piuttosto che la salvaguardia della popolazione. 
Per Jameson, i supereroi mirano soltanto ad avere una grande foto in prima pagina. È gente esibizionista. E Spiderman, sempre dando retta a Jameson, è il più esibizionista di tutti. E il più pericoloso.

Come dargli torto?, pensa Peter osservando quegli scatti, molti dei quali forniti da lui stesso. Jameson ha sempre scartato le foto che avrebbero consentito di riabilitare la reputazione del Ragno, convinto che il suo bravo fotografo sottopagato si fosse fatto raggirare da quel delinquente in calzamaglia. Se c’è riuscito lui, perché non potrebbe averci provato qualcun altro, e magari esserci riuscito? In fondo Parker è ancora un ragazzino delle superiori, giusto?
Per fortuna che c’è lui che ha l’occhio lungo, pensa Peter.

Sta friggendo, letteralmente. Perché conosce Jameson, e se c’è una cosa sul suo conto che ha imparato in tutti questi anni, è che a Jameson i soldi piace tenerli al sicuro nel suo conto in banca. Peter sa qual è il motivo per cui l’ha chiamato nel suo ufficio. E sa già cosa rispondergli.
«Parker, ritieniti impegnato, domani. Per tutto il giorno.»
«Signor Jameson…»
«Niente ma. Domani mio figlio si sposa e ho bisogno di un fotografo. E tu fai al caso mio. Tieni, questo è l’indirizzo, fatti trovare pronto alle dieci in punto. Sono stato chiaro?», gli dice porgendogli un pezzo di carta.
«Signor Jameson…»
Jonah lo guarda mentre si accende uno dei suoi puzzolentissimi sigari.
«Ah, ho capito… In un’altra occasione ti avrei buttato fuori di qui a calci nel sedere, ma mio figlio si sposa, quindi sarò comprensivo. Tieni, dai questo a Betty, ci penserà lei…»
«Signor Jameson…»
«Cos’è? Vuoi trattare sul prezzo, piccola carogna?» Jonah lo fissa in cagnesco, i baffetti che sembrano pronti a scattare e il sigaro che gli pende dalle labbra perennemente imbronciate. «Hai una vaga idea di quanto mi costi questo scherzo, Parker? Venticinque dollari, non uno di più» e riscrive l’appunto per la segretaria.
«Non posso.»

La stilografica si ferma. Jameson alza la testa piano piano.
«Parker, dimmi che ho capito male…», lo minaccia con voce suadente. «Dimmi che ho capito male, o giuro che ti sbatto fuori di qui a calci…»
«Signor Jameson, non posso. Domani ho già un impegno», gli risponde freddo. Sa che questo vuol dire perdere la sua più grande fonte di entrate, ma non gli importa. Pretendere che sia lì a fotografare MJ mentre entra in chiesa e raggiunge il suo rivale all’altare è troppo, anche per un masochista come lui. 
«Disdicilo! A me servi domani!», replica Jameson furente.«Che avrai mai da fare, Parker?»
«Non posso signor Jameson, mi spiace. Per questo le ho portato degli scatti sull’Uomo Ragno che…»
«Al diavolo!», reagisce Jameson dando uno sguardo veloce alle fotografie. «Parker, domani quella calamità arriverà in chiesa pronta a rompere le uova nel paniere di mio figlio. Voglio che tu sia lì anche per riprendere con quella tua macchina il momento in cui Spiderman entrerà in chiesa rompendo la vetrata e rapendo la sposa! Così tutta New York vedrà che io ho ragione!»

Peter rimane a fissare suo capo esterrefatto: qualsiasi persona sana di mente spererebbe che tutto fili liscio, che non ci siano complicazioni o ritardi di alcun genere. Che lo spettacolo vada avanti nel migliore dei modi.
Invece, Jonah J. Jameson spera, anche in quell’occasione, di ricavare dei soldi, della notorietà per il suo giornale. Il Daily Bugle ha avuto l’esclusiva per le fotografie degli sposi, ma questo non gli basta.
Perché è così ossessionato dall’Uomo Ragno, signor Jameson?, vorrebbe chiedergli Peter, ma quella domanda gli resta in gola.
«Spiacente, ma non posso, signor Jameson», risponde invece, mentre il telefono trilla.
«Fermo dove sei, Parker!», gli intima Jameson mentre alza la cornetta. «Che c’è? Martha? Cosa? Non ci sono i gigli? E chi se ne frega, usate qualcos’altro! Ma cosa vuoi che me ne importi? Quanto costano? E le margherite? Vada per le margherite. E non seccarmi più! Sto lavorando, io!», e riaggancia nervoso. «Parker, non dire idiozie! Con tutto quello che ho speso per questo matrimonio, dovrò pur risparmiare da qualche parte, no? Non puoi lasciarmi così!», insiste Jameson torturando il sigaro che tiene in bocca. «Cinquanta dollari, e poi non dire che non so essere generoso!»
«Non è una questione di prezzo, signor Jameson!» Se fosse per quello ti avrei già mollato da un pezzo, caro mio, pensa Peter restando vicino alla porta. «Mi spiace, ma non posso. La prego di non insistere», ed apre la porta a vetri alle sue spalle.
«Parker! Esci da quella porta e scordati di tornare qui!», urla Jameson coprendo buona parte del trambusto della redazione. 
Peter non lo sente. Richiude la porta dietro di sé e si dirige all’uscita.

«Che succede, Jonah?»
Robbie Robertson, capo redattore del Bugle e unico in tutta la redazione capace di rigirarsi Jonah senza che lui se ne accorga, fa capolino dalla porta richiamato dalle urla animalesche del suo capo.
«Parker, quell’idiota!», ruggisce Jonah, spalle alla porta, impegnato a scrutare New York nel primo pomeriggio. «L’ho sbattuto fuori.»
«E perché?», chiede Robbie dando uno sguardo agli scatti dimenticati sulla scrivania di Jameson. Sono buoni. Dovrò dire a Betty di pagare Peter per questi.
«Mi ha rifiutato un lavoro. Da cinquanta dollari.»



«Domani è il gran giorno!»

A volte zia May ha la delicatezza di un elefante. Stringe con così tanta forza la cornetta che il rivestimento si crepa.
«Peter? Cos’era quel rumore?»
«Nulla, zia May, nulla. Solo…» la mia vita che va in pezzi? «solo una lattina a terra.»
«Ma non c’è qualcuno che si occupa dei giardini dell’università? Ce ne devono essere parecchie. Santo cielo, Peter, sembrava come se la cornetta fosse esplosa…»
In un certo senso, si dice lui chiedendosi se arriverà mai il giorno in cui zia May si accorgerà dei suoi poteri. «No, zia May stai tranquilla. Ti preoccupi troppo…»
«È che…» ho solo te, vorrebbe dirgli May, ma tace. Guarda la foto del suo Ben sul piano di lavoro in formica della cucina e gli sorride di rimando. Sì, Ben, terrò la bocca chiusa.«È solo che ti voglio bene, Peter.»
«Anch’io te ne voglio, zia May», replica lui con la testa altrove, rivolta ad una grande chiesa bianca con un’immensa vetrata multicolore. Deve essere splendida quando a mezzogiorno il sole ci batte sopra e proietta il suo spettro sul pavimento beige. E sarà ancora più splendida quando, domani, lei avanzerà sulla guida rossa verso l’altare…

«Il forno! Peter devo andare, o si brucerà la crostata! Ti aspetto per questa sera alle sette in punto.»
«Certo, zia May. Ci vediamo alle sette.» Sempre che non debba salvare il mondo da qualche altro pazzo, pensa riagganciando. Decapita la cornetta non appena la sbatte contro il gancio di metallo sporco. Prova l’impulso di raccogliere i cocci e metterli, che so?, sul telefono, ma abbandona quell’idea.
Al diavolo!, pensa scuotendo la testa.
Va tutto storto.
Beh, a voler essere precisi, nella vita di Peter Parker ci sono poche cose che vanno per il verso giusto. E anche quelle due che si potevano salvare, stanno andando a rotoli.

Zia May ha cambiato casa, ma non perché la loro villetta è troppo grande per lei sola, o perché il fantasma di zio Ben aleggia sulle mensole del salotto e sulle assi di legno del pavimento della cucina. Zia May ha perso la casa. Zia May non ha più i soldi sufficienti a pagare i debiti. I soldi che avevano in banca sono spariti, uno dopo l’altro, goccia a goccia. Puff. Come gliel’ha messa l’impiegato che li ha serviti – e liquidati – con un sorriso che assomigliava ad una paresi, è semplice, chiaro come il sole a mezzogiorno. Così lineare da sembrare stupido. I soldi non crescono sugli alberi, né si riproducono da soli come le amebe. Ma fruttano. Sempre ammesso che uno li depositi in banca. Ovvio, no?
Quindi, se non li versi sul tuo bel conto corrente, non li hai. Ma se non li hai perché devi pagare i debiti e perché arrivi a fine mese facendo i salti mortali, come è possibile depositare i soldi? È un cane che si morde la coda. Anzi, quel cane, ormai, non ce l’ha più la coda.

L’altra nota positiva, quella che fa svegliare Peter Parker con un sorriso nonostante la stanza che deve condividere con le pulci ed il bagno sul ballatoio perennemente occupato dal padrone di casa, quella che ha una chioma rosso fiamma e due occhi verdi da infarto si sposa domani. Con il brillante Capitano Jameson, astronauta e figlio del suo datore di lavoro, Jonah J. Jameson. Il quale, tanto per ingarbugliare un po’ le cose, odia Spiderman, l’alter ego di Peter.

Meraviglioso… Quasi quasi scrivo agli sceneggiatori di Guiding Light e propongo la mia storia come un buon intreccio per qualche nuovo personaggio…

New York è tappezzata dai manifesti del bel viso di Mary Jane Watson che reclamizza una linea di prodotti di bellezza, un’automobile fiammante con il cambio manuale, uno shampoo che accende i riflessi mogano delle rosse naturali, una montatura di occhiali da sole, il suo spettacolo a teatro.
 L’importanza di chiamarsi Ernesto.
Un meraviglioso gioco di parole, degno di Wilde. Ernesto. Onesto. Onesto, lui, lo è stato, anche se costretto. E cosa ne ha ricavato? Che sta male. Male da morire.

Perché le ha detto che la ama, e se in un primo momento si è sentito sollevato e leggero, nonostante l’adrenalina che andava spegnendosi e le ferite riportate nello scontro con Octopus, un secondo dopo avrebbe voluto ricacciarsi in gola una ad una quelle parole.
Perché lei stava bene, anche se era zuppa e impaurita. Perché non ha urlato quando l’ha raggiunta sulla gigantesca ragnatela che ha tessuto solo per lei.
Perché non considera Spiderman un pericolo, non l’ha mai fatto e mai lo farà. Perché anche lei lo ama. Ed è questo che Peter non può sopportare. Se avesse tenuto il becco chiuso, avrebbe potuto continuare ad amarla in segreto e a vegliare su di lei. Oh, certo, avrebbe sofferto lo stesso quando, domani, avrebbe vissuto quei momenti, quelli in cui la sua MJ si sarebbe avvicinata all’altare dove ad attenderla c’era un altro. Ma poi sarebbe passata. Avrebbe ingoiato il cuore, ancora una volta, si sarebbe sobbarcato la sua responsabilità ancora una volta e via, a vegliare su NY, su zia May e su Mary Jane saltando da un tetto all’altro.

E invece, adesso, sa che anche lei lo ama. E sapere che se solo lo volesse, potrebbe allungare un dito e prendere la sua – mia! – MJ e tenersela stretta stretta, lo fa stare peggio. È bello sapere di essere ricambiati. È orribile saperlo quando non puoi permetterti il lusso di vivere quel sentimento.
Oh, lei ha provato ad insistere, a cercarlo, a fargli capire che è disposta, più che disposta ad accettare i rischi che ne seguirebbero.
E lui, ogni volta che non si è fatto trovare inventando mille e mille scuse, è stato sfiorato da un viscido pensiero. Un pensiero che sa di fiori e primavera, mentre Aprile ha fatto il suo ingresso da un paio di giorni appena.

 Beh, se lei volesse, però…

Scuote la testa. No, non è possibile. Che cosa le ha fatto Octopus? Lui aveva capito chi ci fosse dietro Spiderman. E di conseguenza, è arrivato a Mary Jane.
Se c’è riuscito lui, perché non potrebbe riuscirci qualcun’ altro? Qualcuno di più pericoloso, magari?
Assolutamente no!, pensa Peter salendo le scale ammuffite del suo palazzo. 
Adesso quello che vuole è buttarsi a peso morto sul letto e affondare la testa nel cuscino.
«Parker! Affiiittooooo…»
«Domani, signor Ditkovich…», e liquida stanco la questione con il padrone di casa. Non ha proprio voglia di parlare con quel grassone unto e sporco, oggi meno che mai. Anche perché si sono fatte le cinque meno venti. E se non si sbriga a darsi una rassettata ai capelli e a cambiarsi d’abito, farà tardi alla cena con zia May. E se farà raffreddare il suo arrosto con le patate, lei non glielo perdonerà mai.



«Oh mio Dio!»
«Sei rimasta anche tu senza parole, vero?»

Antoine, il parrucchiere delle dive, la fissa da sotto gli occhiali verdi con il glitter argentato. Sorride, come un pupazzo ebete a cui hanno dimenticato di segnare con un rossetto la bocca esagerata e la punta del naso. 
Senza parole è l’espressione più azzeccata. MJ sta fissando la sua immagine allo specchio, nel prestigioso salone di bellezza Chez Antoine sulla Quinta Avenue, tutto rosa e bianco panna, con un’espressione a dir poco sbigottita. I suoi occhi grigio-verde sono sgranati, increduli di fronte allo spettacolo, e la bocca è aperta in una O di carne rosata.
Domani, MJ si sposa. Domani, MJ dovrà essere bellissima, raggiante, l’immagine stessa della felicità. Una sposa non dovrebbe essere splendida nel giorno del suo matrimonio? E visto che ha comunque il cuore a pezzi e in questi casi è saggio lavorare al massimo sull’immagine, non è questo motivo per cui ha preso appuntamento con Antoine per farsi fare un’acconciatura degna di questo nome?
«Cominciamo dalla couleur!», ha detto lui saggiandole i capelli rossi, per poi battere le mani alle sue inservienti, che l’hanno accompagnata al lavaggio.
Strano, ha pensato mentre una biondina dagli occhi neri le massaggiava il cuoio capelluto con movimenti energici, lui è vestito di rosa dalla testa ai piedi, salvo per gli occhiali verdi con il glitter argento e il cagnolino bianco che tiene in mano, cotonato pure lui, mentre le ragazze indossano dei camici neri, svasati e lunghi al ginocchio.

«Allora, ma chèrie? Capisco che adesso sei senza parole, ma sono sicuro che ne troverai un paio per dire allo zio Antoine grazie, n’est-ce pas
«Rosa…»
«Come hai detto, cara? Parla più forte lo zio…»
«Mi hai fatto i capelli rosa!», scandisce MJ, come un vulcano che borbotta poco prima di eruttare con grande abbondanza di lava, cenere e lapilli.
«Mais non, tesoro. Sono pesca-noce. Abbiamo scelto insieme il colore, no?», la riprende lui, mentre lei lo fissa dallo specchio.
«Non mi hai detto che li avresti resi così… così… così!», ringhia lei stringendo i pugni e facendo riemergere la cara, vecchia ragazza di periferia. «Non posso andare in giro conciata in questo modo!»
«Che espressione volgare…», commenta Antoine accarezzando la testa del suo Nureyev. « Sei semplicemente superbe, mia cara, e ti lamenti? Non c’è più religione!», e il parrucchiere delle dive si allontana da Mary Jane Watson con fare plateale. Se gli avesse sputato in faccia, avrebbe reagito in maniera più discreta.

E adesso come faccio?, si chiede lei ignorando quel pupazzo ed esaminando i suoi capelli ciocca a ciocca. Presentarsi con i capelli rosa – altro che pesca-noce! – è fuori discussione. Potrebbe essere un segno del destino; forse, lassù qualcuno non vuole che io sposi John… , pensa sperando in un improvviso colpo di fortuna.
«Signorina Watson, andiamo. Dobbiamo ancora fare le ultime prove in chiesa.»
Marla, la sua assistente, la riporta con i piedi per terra. MJ sa che è impossibile fermarsi adesso. Anche se domani cadesse dalle scale e si slogasse una caviglia, Marla, l’efficientissima Marla, la riempirebbe di analgesici e le farebbe bendare la parte da un fisioterapista dalle mani d’oro. Potrebbe finire il mondo, e Marla troverebbe sempre e comunque una soluzione. Pensare che si fermi solo perché un parrucchiere pazzo e vistosamente effeminato le ha tinto i capelli di rosa è una pura utopia.

«Ancora prove?»
Marla annuisce. «Vedrà, sistemeremo tutto. Conosco una parrucchiera capace di compiere miracoli. La convincerò ad acconciarle i capelli con il velo in modo che questo… colore risalti il meno possibile», le dice avvicinandosi a lei. «Andiamo, ora, o faremo tardi…»
«Sì, Marla. Andiamo.»



«Un’altra briciola e scoppio.»

Reclina la testa all’indietro e si massaggia il ventre gonfio. Zia May si è superata: minestra di fagioli, arrosto con le patate, passato di zucca e crostata di lamponi. E Peter, da bravo nipote affettuoso, ha fatto onore alla tavola. Forse troppo.

«Sciocchezze! Hai mangiato pochissimo!»
«Pochissimo?» Alza la testa per guardarla con gli occhi sgranati. «Zia, mi hai riempito il piatto due volte di minestra, arrosto e crostata.»
«Almeno hai fatto un pasto decente», ribatte lei infilando i piatti nell’acqua saponata. «Chissà che mangi…»
Meglio stare zitti, s’impone ricordando come sono composti, in genere, i suoi pasti: un cheeseburger da McDonald’s e una coca, tranci di pizza che si freddano nei cartoni mentre passa la sera con la testa sui libri, e zuppe Campbell’s riscaldate sul fornello da campo che il padrone di casa gli ha spacciato come angolo cottura indipendente.

«E così, la nostra MJ si sposa…»
Ed ecco che la cena gli va di traverso.
«Già…», riesce a commentare guardando altrove con aria indifferente. Possibile che zia May non l’abbia capito?
«Cara ragazza. Ha mandato l’invito anche a me, sai?»
No. Zia May affonda il coltello nella ferita aperta e sanguinante.
«Gentile, da parte sua…»
«Ovviamente, è esteso anche a te. Mi ha chiamato l’altro giorno, dicendo che non riusciva a contattarti per dartelo. Ha detto che è andata anche a quel tuo giornale, il… Come si chiama, Peter caro?»
«Daily Bugle, zia May.»
«Il Bugle, sì, giusto... Ha detto che non ti ha trovato.»

Peter sorride. Lo credo bene. Ho fatto di tutto per essere in redazione il minimo indispensabile!, pensa con un sorriso amaro mentre guarda la schiena curva di zia May intenta a lavare i piatti. Le ultime due settimane sono state un inferno dentro il Bugle. Jameson non fa che straparlare dell’imminente matrimonio di suo figlio con MJ: è convinto, non si sa per quale contorta base, che Spiderman interverrà in chiesa per mandare all’aria la cerimonia nuziale per cui ha speso fior di quattrini. 
«Lo so, zia May, ma sono stato occupato con il lavoro…»
«Ma domani ci sarai, vero, Peter?»
«Do… domani?»
«Domani, si capisce. Non mi accompagni in chiesa?»

Ma è una fissazione? Perché devo andare a vedere Mary Jane che sposa un altro?, vorrebbe gridare al mondo intero. Resta a guardare zia May con lo sguardo da pesce lesso che gli viene tanto bene e per cui Flash Tompson lo prendeva in giro al liceo.
«Oh, domani… Non posso, zia May!»
«Ma Peter! Mary Jane si sposa», ribatte zia May asciugandosi le mani sul grembiale immacolato.
«Lo so, zia May, ma io purtroppo… devo lavorare.»
«Ma anche il tuo capo, quel Jameson, sarà in chiesa, domani.»
«Sì, zia May, ma la redazione non si ferma. Il giornale deve uscire lo stesso.»

Quella replica sembra averla convinta. May Parker vorrebbe ribattere, ma tace, immersa nei suoi pensieri. Sciacqua il lavabo d’acciaio e appende il suo grembiale al gancio di plastica rosso che ha portato con sé dalla sua vecchia casa di Forrest Hills.
Peter la guarda, il cuore colmo di tenerezza. Chissà se zia May ha capito cosa prova per Mary Jane? E chissà se prima o poi comprenderà chi si cela dietro la maschera dell’Uomo Ragno?
«Peter… Peter, ho parlato con Mary Jane.»
No, ha capito, e da un pezzo, anche!, e un terrore improvviso lo assale. Possibile che MJ l’abbia tradito? Possibile che abbia raccontato a zia May che lui è…
«E?»
«Peter, quella ragazza non è convinta di quello che sta per fare.»
«E allora?», ribatte lui. «Che dovrei fare, io?»
«Forse potresti parlarle, fermarla…», suggerisce guardandolo come faceva con il suo Ben, quando voleva qualcosa da lui.
Questo è troppo!, pensa Peter alzandosi da tavola.
«Peter?», lo richiama zia May e lui si blocca.
«Fermarla? Fermarla?» Oh, se lo vorrei! «Zia May, credo sia normale che una donna abbia dei dubbi prima di…» sposarsi, ma non riesce a pronunciare quella parola.
«Peter, anch’io mi sono sposata, e posso capire cosa sta provando Mary Jane. Mille volte più di te e delle tue supposizioni da maschietto moderno. E credimi, quando ti dico che quella ragazza mi dà da pensare.»
«E cosa dovrei fare, zia May? Andare in chiesa, domani, e battere contro i vetri gridando il suo nome?» Mary Jane! Non farlo! Mary Jane!, gli urla la sua testa ripensando a Il Laureato.
«Non essere sciocco, Peter! Pensavo che, visto che siete amici fin da quando eravate piccoli…»
«Su, zia May. Sono sicuro che MJ starà benissimo. Forse era solo un po’ tesa», e a May non sfuggono le mani tremanti di Peter mentre raccoglie le briciole sulla tovaglia. 
«Sarà… E dimmi un po’, come ti vanno le cose?»
Ecco, ricomincia ad essere la solita, cara, vecchia zia May. Chiedimi se mi lavo le orecchie tutti i giorni o se mangio a sufficienza, ma ti prego, ti prego, ti prego: non chiedermi nulla su MJ. 
Peter sorride e risponde. E il cervello fino di zia May comincia a lavorare. 
Dov’è che ha detto che si sarebbe sposata? La Chiesa Metodista Unificata?


Domenica 24 Aprile, Chiesa Metodista Unificata.
Mary Jane Watson, futura signora Jameson, siede davanti allo specchio mentre sua madre e la madre di John la stanno aiutando negli ultimi ritocchi.
«Sei splendida, bambina mia…», non fa che ripeterle sua madre da quando è entrata in quella stanza bianca. Così bianca che a MJ pare di soffocare. Cerca rifugio in qualcosa, qualsiasi cosa la distragga da quegli attimi tremendi. Le damigelle d’onore, avvolte in un tenue color lillà, non fanno che fare avanti e indietro tra la stanza e la chiesa, già gremita d’invitati. Alcuni amici intimi, quelli con cui MJ è rimasta in contatto dai tempi del liceo, giù a Forrest Hills, si sono già presentati per scambiare quattro battute logore, per dirle quanto sia bella – sorvolando sui suoi capelli rosa – e quanto siano felici per lei.

Bravi, bravi. Siate felici, perché io non lo sono affatto…, pensa lei sorridendo e stringendo mani.

Flash le ha detto che è stato un idiota, che se pensa che adesso, al posto di John potrebbe esserci lui, si prenderebbe a sberle così forte da staccarsi le orecchie dalla testa.
Harry non verrà. Ha inviato un meraviglioso mazzo di rose bianche e fior di caprifoglio, insieme ad un telegramma. Non sta bene. Ultimamente, non sta mai bene, pensa MJ prendendo in mano quel foglio e leggendolo ancora una volta. Sperava che almeno Harry sarebbe venuto per fermarla. Che le avrebbe detto che stava facendo un’idiozia. MJ sa di avere un ascendente molto, molto forte su di lui. Sperava, egoisticamente, che Harry sarebbe entrato in quella stanza, si sarebbe inginocchiato ai suoi piedi e le avrebbe sussurrato quelle parole che tanto spera le dica qualcuno: «Non farlo, MJ.».
E invece no. Nessuno vuole fermarla, anzi, ha come l’impressione che il mondo abbia ingranato la quinta a tutta velocità, nascondendole i freni.
Mary Jane non sa più che pesci pigliare. Fingere uno svenimento non servirebbe. Che devo fare?, si ripete guardando quel velo candido e quella piccola coroncina fissati sulla sua testa. 

«Tesoro? Guarda chi c’è?», la chiama sua madre.
Mary Jane si volta. Non è Peter, come sperava, ma sua zia. May Parker indossa un sobrio completo blu notte, il suo filo di perle al collo ed un cappellino con veletta che ha visto tempi migliori.
«Signora Parker…», la saluta stringendole le mani magre.
«Cara, sei splendida», e sa che May Parker, la vecchia vicina che brontolava quando il volume dello stereo era troppo alto, è sincera.
«Grazie», ribatte MJ mentre sua madre e la madre di John escono per dare un ultimo sguardo alla sala. «Peter…»
May sospira.
«Non verrà, cara. Mi ha accompagnata fin qui, ma poi…» Non ce l’ha fatta, vorrebbe aggiungere, ma tace.
«Immagino che avesse del lavoro da fare», commenta MJ abbassando gli occhi.
Sono tristi, nota May. C’è qualcosa che non va, e il suo vecchio fiuto le suggerisce che aveva ragione. Nessuna sposa ha quell’espressione, il giorno delle proprie nozze. «Cara, sei sicura di star bene?»
«Eh? Sì, sto benissimo, perché?», chiede Mary Jane perplessa. Possibile che solo zia May…
«Hai un’espressione così… strana
«Sono solo tesa, signora Parker. Credo capiti a tutte le spose», ribatte la ragazza facendo spallucce. «Forse, quando dirò sì mi passerà.»
Raccontalo ad un’altra, ragazza mia, pensa May sondando gli occhi della sposa con i suoi.
«Cara, so bene che in molti si saranno sentiti in dovere di darti dei consigli, dei suggerimenti circa la vita a due», esordisce May; non ha certo preso un taxi ed è arrivata dall’altra parte della città per vederla fare una sciocchezza. «Cara, ti ho visto nascere, e sei una buon’amica del mio Peter. Perciò…»
«Tesoro, sei pronta? Aspettano tutti te per cominciare!»

La madre di John è entrata nella stanza e guarda la sua futura nuora con gli occhi sgranati. Non perdere tempo ad ascoltare questa pazza svampita!, sembrano dirle quegli occhi nocciola. Mary Jane annuisce.
«Perfetto. Vorrei avere solo due minuti per prepararmi. Psicologicamente.»
«Certo, cara, certo. Sono sicura che anche la signora qui, sarà d’accordo, vero?»
«Oh, sì, certo. Certo», ribatte zia May alzandosi. «Mi raccomando, MJ. Testa sulle spalle, cara. Testa sulle spalle», ed esce dalla stanza quasi spinta a forza dalla signora Jameson.
La porta bianca si chiude e Mary Jane si sente come un topolino in trappola. 
Testa sulle spalle, le ha detto zia May. Vale a dire: non fare sciocchezze. Lo ripeteva sempre a Peter quando usciva di casa al mattino per prendere lo scuolabus. Mary Jane ricorda che lo derideva assieme a Flash e agli altri, anche se, sotto sotto, invidiava Peter per avere qualcuno che si preoccupasse per lui. Lei chi aveva? Un padre perso dietro ai suoi sogni di gloria perennemente infranti ed amante della bottiglia, ed una madre psichicamente instabile. L’unico che si è sempre preso cura di lei è Peter. Lo stesso Peter che ha deciso, di testa sua, che non è più sicuro che le stia accanto.

Ehi… Non ha chiesto il tuo parere!, riflette guardando il proprio riflesso allo specchio e trovandosi ridicola. Sembra una bambola, di quelle che si regalano alle bambine quando hanno sei o sette anni, con un trucco esagerato e un vestito tutto fronzoli e volant.
 Peter non ha chiesto cosa ne pensassi io. Ha deciso da sé, infischiandosene di me.
 La cosa la secca. Molto. Mary Jane detesta avere questioni in sospeso. Meglio chiarire, e subito, pensa rimediando un foglio e una penna biro, che le macchia il guanto bianco.



«Aprile è il mese più crudele…»

Ricorda che da ragazzo odiava letteralmente Thomas Eliot. Non lo capiva. Lo trovava ostico e plateale. 
«Perché mai Aprile dovrebbe essere il più crudele dei mesi? Dopo tutto, ad Aprile sbocciano i fiori, no? Eh, me lo sono chiesto anch’io, almeno fin quando non ho conosciuto mia moglie. È stata lei che mi ha svelato l’arcano…»
Anche Otto Octavius non amava molto Elliot. Peter guarda le sue mani e ricorda di quando, poco tempo prima, ha preso un tè a casa di colui che sarebbe diventato Octopus. Ricorda di aver invidiato Octavius per il legame intenso e profondo che aveva stabilito con sua moglie. E che avrebbe sperato di replicare insieme a Mary Jane. Ma questo era prima. Prima che Octavius perdesse sua moglie ed acquistasse quegli arti aggiuntivi nel corso di quel drammatico esperimento. 
Prima che Mary Jane ufficializzasse il suo fidanzamento con John Jameson. 
Prima che Octopus la rapisse. E prima che lui le rivelasse la sua doppia vita.

Beh, non che potessi fare poi molto, avevo la maschera strappata, pensa Peter mentre i suoi occhi fissano da ore un punto indefinito davanti a sé. A quest’ora avrà già detto di sì. Avrà fatto il suo ingresso in chiesa, avanzando lentamente sulla guida, mentre il sole inondava la chiesa di luce. Perché farsi del male? Tanto ci penserà zia May a raccontargli tutto con dovizia di particolari. Figurarsi! L’ha accompagnata in chiesa ed è riuscito, non sa neppure lui come, a non farsi trascinare di peso dentro. Davanti MJ. Non avrebbe retto. Sarebbe stato come ricevere una pugnalata in pieno petto.

«Aprile è il mese più crudele, generando…», recita a memoria pensando che Eliot avesse ragione, dopo tutto.
«Lillà dalla terra morta, mischiando Memoria e desiderio, eccitando Spente radici con pioggia di primavera», risponde una voce fin troppo nota. Non può essere la figlia del suo padrone di casa. E non può essere lei, a meno che il suo cervello non abbia deciso di impazzire. O a meno che…
Peter si volta. Non è possibile.

«Mary Jane! Che diavolo…»

Lei è lì, splendida e un po’ spettinata e con il fiato corto; ma splendida. 
Mozzafiato.
«Peter, dobbiamo parlare», inizia lei avanzando. Peter nota che tiene le scarpe in mano.
«Nossignore! Tu non dovresti essere qui, ma in chiesa a sposarti!», ribatte lui restandole a distanza di sicurezza.
«Non mi sposo più!»
«Cosa?», e il suo cuore fa le capriole. «E John? E gli invitati?»
MJ fa spallucce. «Meglio adesso che tra qualche anno. Mi dispiace per John, ma non ho attraversato la città per parlare di lui.»
Peter la guarda e sa che l’ha fatto davvero. Avrà scritto un messaggio su un qualche bigliettino e sarà sgattaiolata via dalla chiesa, mentre gli altri aspettavano il suo ingresso e John se ne stava ritto immobile davanti all’altare. Avrà corso per Park Avenue tirandosi su le gonne e avrà preso la metropolitana fino alla fermata giù all’angolo. 
Una sposa in metropolitana, pensa Peter senza sforzarsi: Mary Jane è capace di questo e altro.

«Mary Jane…»
«No, Tigrotto. Adesso io parlo e tu ascolti, chiaro?»
«Non abbiamo niente da», ribatte Peter prima che lei l’interrompa di nuovo.
«Tu, forse. Io ho un sacco di cose da dirti. E tu, adesso, mi ascolterai!»

Getta a terra le sue Manolo bianche. Hanno il tacco a rocchetto, tanto elegante e tanto raffinato, spaccato a metà: non sono state ideate per correre sui ciottoli, ma MJ non aveva tempo di fermarsi nel primo negozio di calzature per comperarsi delle scarpe da ginnastica. Ed è anche uscita senza portafogli; se è passata ai tornelli della metropolitana è stato soltanto perché l’hanno riconosciuta e fatta entrare.
Peter non ribatte. Non ne ha la forza.
«Io ti amo, Peter. E so che è lo stesso per te.»
«Questo non c’entra nulla…»
«Lo dici tu! Io non posso starti lontana, lo capisci questo?»
«Allora dovrai farlo, MJ.» E lei capta nel suo soprannome che la volontà di Peter sta cedendo. «Non capisci che è pericoloso?»
«Peter, sono stata appesa ad una trave e ho rischiato di morire. Lo so da me che è pericoloso!»
«Appunto!», insiste lui, sperando che sia ancora in tempo per correre da John e dire quel ‘sì’ tanto difficile da pronunciare. E la cosa che più lo lascia perplesso è che sta remando contro se stesso.«Mary Jane, è…»
«Stai zitto! Non capisci proprio, Peter, che io voglio stare accanto a te?»

Beh, se lei volesse, però…, ricomincia a dirgli la sua mente. E Peter ha un brivido freddo lungo la schiena. Com’è possibile? Com’è possibile che due menti siano in così perfetta simmetria tra di loro?
«Non sai quello che dici…», ribatte voltandosi verso la finestra e l’amena veduta reclamizzata sull’annuncio immobiliare: le fronde del parco che s’intravedono dall’abbaino in cui vive.
«Peter Parker! Non essere così presuntuoso!»
Peter si gira.
«Presuntuoso? Mary Jane, io cerco di salvarti la vita e tu piombi qui come se niente fosse!»
«Possibile che tu non capisca?» Mary Jane insiste e lui sa che sta per cedere. Non lo dire, ti prego, non lo dire… «È una mia responsabilità, Peter. Perché non mi permetti di scegliere! So quello a cui vado incontro. Notti in attesa alla finestra pregando che tu torni da me. Stare con il cuore in gola mentre voli da un palazzo all’altro per salvare le persone.»
«Se lo sai…»
«Ma tu credi veramente che se non stessi con te smetterei di amarti, Peter? Che il cuore non mi balzerebbe in gola ogni volta che sentissi una sirena risuonare per strada? Credi davvero questo

Peter non sa più che pesci pigliare. Sa che sta per cedere. Anzi: ha già ceduto, visto che stringe Mary Jane a sé e la sta baciando.
«Sento le campane…», mormora staccandosi da lei.
«Non sono campane», lo corregge lei. «Sono sirene.»
Peter sbatte gli occhi. Lei è lì, tra le sua braccia, con un velo tenuto a malapena da un paio di forcine e i capelli… rosa.
«Che hai fatto ai capelli?», le chiede osservando quello strano colore. «Che fine ha fatto la mia Rossa preferita?»
«Ha sbagliato parrucchiere», taglia corto lei, mentre il suono delle sirene si fa sempre più vicino.
Peter si scioglie dal suo abbraccio e corre verso la finestra. «Devono aver commesso un furto alla banca qui vicino…»
MJ sospira. «Vai, Tigrotto…», gli dice e lui, in men che non si dica si ritrova a volare tra i grattacieli di New York appeso alla sua ragnatela. Meglio così, pensa lei guardando la sua sagoma in controluce guizzare tra un palazzo e l’altro.



Il cuore di Peter fa le capriole e l’Uomo Ragno si dirige verso la macchina dei rapinatori compiendo evoluzioni sempre più arzigogolate. Finalmente, le cose iniziano ad andare per il verso giusto, anche per lui.
Tomas Eliot aveva torto marcio. Aprile è il mese più bello dell’anno.




 
 
   
 
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