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Autore: Unusualize    21/04/2008    6 recensioni
Un adolescente bizzarro, con strane abitudini e un sogno che sembra irrelizzabile, agli occhi dei suoi genitori. L’unica cosa che sembra tirarlo su di morale è la sua immaginazione, la sua mente. Questo è Tim Burton. Un affascinante adolescente con seri problemi a casa, come a scuola. L’unica cosa che lo tira su di morale sembra essere la sua fidata chitarra. Questo è Johnny Depp. Chi l’avrebbe mai detto che due ragazzi, apparentemente molto diversi, arrivarono insieme alla vetta del successo? Tutto merito di una semplice decisione: la miglior decisione!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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(I pensieri in corsivo sono quelli di Tim, quelli in scrittura classica sono i pensieri di Johnny)
Un’altra giornata di scuola finita, un altro quattro e mezzo in matematica… l’ennesimo!
Per fortuna l’ultima ora è passata in fretta, e ora posso godermi il sole pomeridiano come mi pare. Non ho intenzione di studiare biologia, è talmente noiosa; poi mi toccherebbe tornare a casa, e non voglio sorbirmi un’altra ramanzina da mia madre riguardo i miei buchi da siringa nel braccio, anche se non credo che s’impiccerebbe tanto: negli ultimi sedici anni è stata troppo occupata a litigare con mio padre, per occuparsi di me i miei fratelli.
Non c’era nemmeno quando ho perso coscienza, dopo la mia prima tirata, e i miei amici mi hanno portato all’ospedale. La madre di Steve ha dovuto fingere di essere mia zia, altrimenti non sarei potuto uscire; e nonostante ne abbia parlato con mia madre, lei disse semplicemente: “Sbagliando s’impara.”
Non so perché mi faccio, ancora: forse per attirare la sua attenzione, o forse per dimenticare la mia vita di merda.
Potrete pensare: come fai ad essere stanco della vita a sedici anni, appena compiuti?
Ma quando, anche all’età di cinque anni, i tuoi genitori non ricordano il tuo compleanno, e sono occupati a discutere sul risparmio del lunario, o quando tuo padre per insegnarti cos’è l’amore, ti fa vedere una cassetta pornografica… voi cosa fareste se non cercare di dimenticare? Alcuni meditano, io mi drogo.
Questo stupido test continua a saltarmi in mano, mentre cerco uno spartito decente nella custodia della mia chitarra. Lo accartoccio e lo getto nel cestino, come faccio sempre: saranno anni che le mie prove non arrivano sane e salve a casa.
Ma perché perdo tempo con la matematica se voglio diventare un musicista?
Non mi serve sapere risolvere le equazioni di secondo grado, se nel futuro mi ritroverò su un pullman in giro per il mondo.
Solo io, la mia fidata chitarra e i Kids, in tournèe con le file di ragazzine che urlano sotto il palco dove ci esibiremo, dove presenterò il mio nuovissimo assolo.
Sono solito a provare qui, al parco: un silenzio totale, il vento fresco e una panchina, è solo questo quello che mi serve, nient’altro. Di solito a quest’ora non c’è un’anima: il sole è troppo caldo, e qui non c’è un briciolo d’ombra, se non sotto gli alberi; ma è sconsigliato stare lì sotto, se non vuoi che qualche uccellino te la faccia in testa.
Oh, c’è qualcuno: un ragazzo sta appeso, come un pipistrello, su un ramo di uno dei frondosi alberi. I capelli, dall’aria scomposta, danzano ribelli, mossi dal vento estivo. Legge qualcosa: da qui sembra un fumetto. E’ un tipo strano, però sembra simpatico!
Non si è nemmeno accorto che sono a pochi metri da lui, sembra totalmente immerso nella sua lettura: ammiro la sua concentrazione, come ammiro la sua eccentricità.
Non si accorge proprio di me! Ma in questo momento mi sento egoista, e ho un bisogno disperato di attenzione. Prendo la chitarra e strimpello qualche nota a casaccio.

Un’altra giornata di scuola finita, un altro nove in storia dell’arte… l’ennesimo!
Me la merito una pausa dopo tutto quello che ho dovuto sorbire a scuola. Tra la prima ora di storia e l’ultima di studi sociali, ho sbadigliato così tante volte, che ora ho i crampi alla mascella.
Per fortuna sono abbastanza nascosto in classe: il gigante che ho davanti, che mi tiene nascosto, e la finestra alla mia sinistra mi hanno permesso di farmi i fatti miei, e ho potuto buttar giù uno schizzo dei miei personaggi per il mio cortometraggio d’animazione. Parlo come se fossi un artista! No, invece sono solo un liceale, dai capelli indomabili, che sogna di essere ammesso alla Disney.
Ma credo che dovrò sognarla per tutta la vita, questa accademia artistica: mio padre mi vorrebbe nella ragioneria, come lui, e mia madre in una banca.
Loro dicono sempre che sarei sprecato, nel mondo dell’arte, nel mondo dell’animazione. Sanno come io penso,come ragiono quando si tratta di costruire le basi per una storia: hanno letto alcune mie bozze, e ritengono che siano troppo dark, con uno sfondo molto più nero, rispetto alla colorata Disney.
Ma loro non mi capiscono, non mi hanno mai capito: credono che, se non seguissi le loro orme, mi perderei, in questo mondo, quando invece saprei perfettamente dove andare. Però non vogliono capirlo, nonostante continui ad introdurre l’argomento arte nei loro discorsi fatti di soldi e conti.
Soldi e conti, soldi e conti, non sanno parlare d’altro, come i miei compagni di classe che parlano solo di sport, sport, e ancora sport.
Così ho imparato a nascondermi in un posto tutto mio, dove le idee galleggiano in aria come nuvole, e non esiste la monotonia: questo posto è la mia fantasia, ed è accessibile a chiunque voglia farsi un giro nella letteratura, nell’animazione, ma anche nel tetro. Eppure, non è ancora venuto nessuno, ma non è un problema, io sto bene da solo.
Mi vedete ore e ore sdraiato sul letto, gli occhi spalancati, fissi sul soffitto, mentre frugo nel mio cervello a trovare nuove idee da realizzare, o remote zone nella mia fantasia che attendono solo di essere esplorate da me. Sembro morto: ci metto un po’, di solito, a capire che mia madre mi chiama, dal piano di sotto.
Ho scoperto che stare a testa in giù mi aiuta, per un certo periodo di tempo, poi sento tutto girare ed è il caso che ritorni in posizione eretta, altrimenti vomito. Fidatevi, l’ho provato!
Così ho iniziato a trascorrere i miei pomeriggi al parco, dove mi arrampico su un albero e sto lì, capovolto, a leggere i miei preziosi fumetti, o a disegnare, scrivere… C’è un punto preciso, su un certo albero, dove in lontananza, ho notato, riesco a scorgere la Disney, ed è lì che potete sempre trovarmi. Lì, o piegato in due su un cestino: non ho ancora capito bene quanto posso stare a testa in giù senza, poi, sentire la nausea.
Certo, passando qua il mio tempo libero, ho iniziato a trascurare lo studio: i miei voti ne stanno leggermente risentendo, ma ne vale, davvero, la pena. Ne vale, persino, la predica dei miei genitori.
Anche oggi sono qua, a leggere Batman, mentre lo imito, lanciando un’occhiata, di tanto in tanto, agli studi disneyani.
Ma, ascoltate: cos’è questa musica?

La mia idea funziona: alza (o abbassa?) lo sguardo dalla sua striscia e mi guarda.

Chi è questo ragazzo? Non l’ho mai visto prima. Sembra un tipo che si fa notare, uno di quei tipi che hanno sempre attorno una sciame di ragazze adoranti.
Ma potrebbe anche essere uno della mia scuola, non so; sono distratto, in questo periodo, potrebbe anche essere uno dei miei migliori amici e non lo ricorderei.
E’ comunque bravino con quell’affare. Non capisco cos’è: non ho gli occhiali. Da vicino ci vedo, ma da lontano è una sfida. Vedo solo una macchia color del legno in braccio a un tipo di quelli popolari, almeno credo.

-Ehi, sei bravo con quel coso!- esclama tirandosi su e sdraiandosi sul ramo- Cos’è? Un violoncello?-
Dice sul serio, o mi prende in giro?
-E’ una chitarra!- ribatto abbastanza offeso- Ma ci vedi?-
-Veramente… no!-
Sono confuso, e per farmi capire mi indica un qualcosa, che risalta, sul prato verde: un paio di occhiali con la montatura blu elettrico, grandi, proprio come quelli che vanno di moda in questi anni ’70.
Ora è tutto più chiaro. Chissà come gli sono apparso: una macchia colorata con in mano un grosso oggetto marrone.
Ha una grande agilità! Scende scattante dall’albero, come un gatto randagio, il fumetto arrotolato nella tesca dei jeans, e atterra davanti ai miei occhi.

Tesi fondata: ora che lo vedo da vicino, e con gli occhiali, capisco che è davvero uno dei ragazzi più desiderati dalle ragazze (notare traccia di rossetto rosso fuoco sul collo), uno di quelli che si divertono a buttar per terra i libri ai secchioni, picchiare gli sfigati, e farsi la prima femmina coi tacchi, e truccata da bambola, che passa da quelle parti. Il classico stronzo! L’abbigliamento trasandato e mal curato lascia capire tutto questo, come il suo sguardo enigmatico, ma in un certo senso profondo, che mi squadra dalla testa ai piedi.
Non so se scappare, per paura che mi meni, o parlargli; dopotutto, io non sono uno come lui e, seguendo i loro ragionamenti, essendo diverso, dovrei ricevere la mia dose di pestate. Invece mi sorride.

Sembra davvero un tipo strano… diverso. Solo il fatto che stava appeso a testa in giù, a leggere, mi dice che lui non è uno dei soliti adolescenti più “in gamba”, più “belli” o più “desiderati”. Semplicemente non è come quelli che frequento, ed è questo che mi piace di lui. Si passa una mano tra i capelli, come se avesse paura che sono troppo in ordine, ricambiando il mio debole sorriso.
-Ci vedi ora?- chiedo, posando per terra la mia chitarra, che portavo a tracolla.
-Decisamente.- risponde lui, sistemandoseli meglio sul naso.

Perché non mi mena? Perché mi parla?
Forse l’ho sottovalutato, forse non è quello che sembra. Magari, dentro, è una persona più buona o profonda di quello che può sembrare all’apparenza. Magari è come me.

-Posso farti una domanda?- gli chiedo il permesso, prima di sembrare un impiccione.

Che diavolo potrà mai volermi chiedere?

-Parla, capo- acconsente in modo amichevole. Forse non è strano o pazzo come sembra, forse è un normale ragazzo, che affronta i soliti problemi che affrontano tutti i ragazzi della nostra età. Magari è come me.
Ora gli faccio una domanda che mi brucia dentro da quando l’ho visto, pochi minuti fa:- Perché eri lì? Appeso in quel modo?-

Comprensibile che me lo chieda. Per me è assolutamente normale una cosa del genere, ma per chi mi vede è alquanto strano. Insomma, immaginate di passeggiare tranquillamente in un parco, e di vedere un ragazzo che sta appeso ribaltato, come se fosse Batman. Vi farebbe lo stesso effetto di vedere un cavallo con un cappello e una borsa, o un cane che porta a spasso il padrone.
Sembrerebbe strano, anormale… una pazzia!
Bhè, io sono così: pazzo, bizzarro, strano se volete.

Sono curioso di sapere il perchédi questa abitudine, decisamente fuori dal comune: magari ha problemi di equilibrio, e deve stare a testa in giù per un certo lasso di tempo, come a trovare stabilità; chissà, può anche essere una specie di pipistrello- vampiro, ma ne dubito: non mi è ancora saltato al collo. Sono proprio curioso.
-Bhe, sai…- inizia lui, lievemente rosso in volto, un po’ imbarazzato- Stando lì mi vengono molte idee, sono abbastanza comodo, fatta eccezione per la nausea, e riesco a vedere molte cose, da lassù.-
-Cose? Quali cose, apparte gli uccelli che sembra volino all’incontrario?-

Non posso mettermi a raccontargli tutto, sarebbe una follia, una noiosa follia.

Ho chiesto troppo.
Diventa paonazzo:- Lunga storia- aggiunge semplicemente.
Credo di aver esagerato, non avrei dovuto chiedergli tutti questi particolari, ma è la curiosità a guidare le mie parole fuori dalla mia gola. Come se mi leggesse nel pensiero, ripara:- Non che non ne voglia parlare, ma, sai, è così strano, e sicuramente ti annoierebbe.-
La curiosità mi uccide:
-Io non ho fretta, e non mi annoio con niente.- è una penosa bugia: in realtà mi annoio facilmente.

E’ la verita? Non sembra la verità, ma comunque lo vedo interessato e poi, perché no, nessuno vuole mai starmi a sentire, nemmeno i miei genitori. Non dico di aver trovato un amico: un conoscente…

Lui sembra più rassicurato, e inizia a raccontarmi la sua storia, così stranamente somigliante alla mia, nelle riflessioni e nei comportamenti e nelle decisioni prese. Improvvisamente trovo la necessità di dirgli la mia e raccontargli la mia vita; siamo sulla stessa lunghezza d’onda, riflettiamo quasi nello stesso modo, magari io non ho i suoi stessi pensieri dark, ma è comunque divertente provare ad infilarsi nella sua mente e iniziare a pensare da quel punto di vista. Ma qual è il suo nome?

Non pensavo fosse davvero una persona così profonda! Credevo fosse un superficiale arrogante, invece si è rivelato il contrario. E’ l’unica persona che riesce a capirmi così bene, forse mi capisce più di me.
Gli ho detto tutto, per filo e per segno, riguardante la mia vita, la mia famiglia, trovando tanti punti e pensieri in comune con lui. Ma qual è il suo nome?

-Come ti chiami?- chiediamo all’unisono.
Buffo… di nuovo la stessa idea.
-Io sono Tim Burton- risponde tendendomi la mano.
La stringo nella mia:- Johnny Depp.-

Parlammo per tutto il pomeriggio, degli argomenti più vari, dalla scuola, ai sogni.
Finchè il pomeriggio finì. Il sole calava piano dietro la collina, quando ci salutammo: un semplice “ci si vede” ci divise. Ma non ci saremmo rivisti… negli ultimi vent’anni.

vent’anni dopo
Non l’ho visto il pomeriggio dopo. Tuttavia nemmeno io c’ero: sono stato troppo occupato.
Sono arrivato a casa e ho sentito che i miei erano in compagnia; non avevo idea di chi fossero, ma so solo che stavano certamente guardando i miei cortometraggi.
Ho dato una sbirciata in salotto e li ho visto due signori in giacca e cravatta seduti su un divanetto, proprio di fronte ai miei genitori, che sembravano valutare il mio lavoro. Non avevo molta voglia di assistere a quella conversazione, nonostante sembrava avermi come soggetto, ma la fortuna non è stata dalla mia parte: voltandomi, pronto a ritirarmi in camera mia, ho dato una violenta gomitata al muro, lanciando un’imprecazione.
-Tim non è mai stato un’aquila per quanto riguarda la delicatezza!- ha riso mio padre e, se non fossi stato troppo occupato con il mio braccio, l’avrei ucciso volentieri. Odio quando mi mette in imbarazzo. Non ho avuto altra scelta che entrare: sono rimasto veramente stupito quando notai il simbolo della Disney su entrambe le cravatte dei due.
La testolina di Topolino è inconfondibile! Si stavano informando in giro, nelle scuole, per vedere chi sarebbe stato idoneo per studiare agli studi disneyani; e, a quanto pare, io ero sulla loro lista.
I miei genitori sembravano entusiasti per quanto riguardava le borse di studio, il promettente lavoro artistico, le grandi conoscenze… sta di fatto che ho iniziato a studiare lì.
Il settembre successivo sarei dovuto andare all’ultimo anno di liceo, invece mi presentai alla Disney, desideroso come non mai di imparare. Non riuscì più a presentarmi al parco, tutti i pomeriggi: lo studio per gli esami era duro, e non ebbi più tempo. Quelle poche volte in cui riuscivo a ritagliarmi un’oretta, e andavo al parco, Johnny non c’era mai. Non lo rividi che dopo vent’anni, quando oramai eravamo uomini adulti: lui attore novellino, io grande regista d’animazione e non solo.

Il pomeriggio dopo non sono andato al parco. Non sono andato da nessuna parte: non sono andato a scuola, né al parco, né, quindi, a casa mia. Tutta colpa dei miei!
Dopo che, abbastanza contento di essere andato ai giardinetti e di aver incontrato Tim, sono tornato a casa, ho trovato mio padre e mio fratello che litigavano, per la medesima volta! Ma questa volta era per un altro discorso: mio padre si era fatto e, dopo aver picchiato mia madre accusandola di tradimento, mio fratello Pete ha provato a fermarlo e portarlo all’ospedale, non tanto per la droga, ma almeno per tenerlo lontano da nostra madre. Lui non voleva sentir ragioni e ha iniziato a sbiascicare parole a caso e senza senso.
Nel frattempo i miei fratelli guardavano tranquillamente la tv in sala, facendo finta di niente, proprio come mia madre ci ha insegnato: fare finta di niente durante una lite e non guardare mai papà negli occhi quando è arrabbiato, lui la prende come una sfida e non ti toglie lo sguardo di dosso finchè non gli chiedi cosa gli prende e lui, come per ripicca, per averlo osato guardare, ti spegne due o tre sigarette sul collo.
Io l’ho provata questa cosa, e ho provato anche a stare al posto di Pete, beccandomi un occhio nero.
Ho sentito che c’era una lite in corso solo fuori dalla porta, così non sono neanche entrato: mi sono voltato sui miei tacchi e sono tornato indietro, al parco. Ho chiamato Steve, chiedendogli se potevo stare da lui per un po’ di tempo, poi sarei tornato. Ma la realtà è che… io non sono mai tornato a casa mia.
Prima che i miei vecchi si allarmassero troppo , cosa che sapevo, comunque, che non avrebbero mai fatto, ho telefonato loro dicendo che io me ne andavo per sempre. La voce di mia madre sembrava quasi sollevata, non tanto per il fatto che non sarei tornato, ma per il fatto che sarei stato lontano da mio padre.
Così sono diventato quello che sono adesso: il bell’attore, rude ma profondo, che fa impazzire le ragazzine; tutto questo in pochi anni, pochi anni in cui non rividi mai Tim.
Finchè un giorno non sono incappato in un provino per un certo “Edward- mani di forbici”.
Regista: Tim Burton. Questo nome non mi è del tutto nuovo…

Stavo seduto dietro un enorme tavolo a guardare, attore dopo attore, le pessime interpretazioni di mani di forbici: il mio povero Edward stava diventando cenere. Dopo l’ennesima delusione, ho fatto notare a tutti il mio sconforto iniziando a sbuffare rumorosamente, tenendomi la testa con una mano.
-Coraggio, Tim.- mi ha incoraggiato il produttore- Questo è l’ultimo.- sapevo perfettamente che mentiva.
-Entri… Johnny Depp.-
Mi sono raddrizzato subito sulla sedia. Quel nome non mi è del tutto nuovo…

Fine Provino

Non credo sia andata male.

Non è andata male!

Forse mi prendono….

Lo prendo di sicuro!

Sarei idoneo per un ruolo del genere? Dopotutto, me l’ha detto persino Tim che è rimasto colpito…

E’ il mio Edward, non ci sono dubbi! Sembra quasi la sua reincarnazione: pallido, timido, riservato. Semplicemente perfetto!

E’ cambiato un sacco, Tim. Ma coma posso dirlo io, che l’ho incontrato una volta, vi chiederete? Eppure sembra che lo conosca da una vita intera: con uno sguardo, il primo sguardo, ci siamo scambiati informazioni, segreti, capendo che, nonostante le interperie della vita, noi ci saremmo incontrati di nuovo.
Ed eccoci qui, di nuovo.
Me ne vado sorridendo: venire a questo provino è sicuramente stata la miglior decisione mai presa!

Non è cambiato niente, da quando io e Johnny ci siamo incontrati per la prima volta: dentro, siamo ancora quegli strani adolescenti, stravaganti ma profondi, che, in un solo pomeriggio, si conobbero meglio di quanto possono fare due amanti in tutta la loro vita.
Quella che sembrava la fine, si è trasformata in un nuovo inizio. Prenderlo con me, come Edward, è stata, senza ombra di dubbio, la miglior decisione della mia vita!
  
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