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Autore: Nymphna    07/11/2013    9 recensioni
Non c'era voluto molto prima che Margaretha si dimenticasse tutto ciò che aveva sospettato fino a poco prima. Si rese conto che le piaceva molto stare in compagnia di quel soldato, che le piacevano i suoi atteggiamenti, il suo spirito e il modo in cui si esponeva. E non le importava più che fosse nazista.
-3^ classificata al contest "La ragazza e il soldato" di drallenwr
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Novecento/Dittature
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Margaretha e Johann si erano incontrati in un giorno di pioggia del 1936, in ottobre.

La ragazza era uscita da poco dal teatro e, per evitare di bagnarsi fino alle ossa, aveva deciso di entrare in un bar e prendere un caffè, poi avrebbe pensato a chiamare un taxi.

Faceva freddo per quel giorno, le gocce picchiettavano contro la finestra del locale come piccoli spilli, fredde e implacabili. Le gambe accavallate, il profumo della bevanda speziata che le stuzzicava il naso, Margaretha era rimasta a guardare la vita che scorreva a Monaco. Aveva osservato i signori che correvano tenendosi il bavero della giacca, il cappello calcato fino alle sopracciglia, le donne che ridevano abbassandosi la gonna e i soldati che di tanto in tanto passavano sui marciapiedi: come immuni al freddo, marciavano con lo sguardo dritto in linea retta, pattugliando le vie principali.

Margaretha sapeva che avevano una destinazione, uno scopo, qualcosa di malvagio che li rendeva quasi delle marionette. Si domandava se provavano sentimenti, se avevano idea di che cosa stavano passando le famiglie ebree in quel periodo, di come si nascondevano nelle case, come topi nei granai. Forse c'era ancora qualcuno che aveva un'anima, forse c'era un giusto anche fra loro. Le sembrava però quasi impossibile.

"Scusi, signorina? È occupato?". Margaretha aveva alzato gli occhi e aveva osservato il ragazzo che le si parava davanti. Era sicuramente molto bello. Alto, il busto eretto, i capelli biondi e perfettamente pettinati, gli occhi azzurro chiaro che la guardavano con simpatia. Ma ciò che le era saltato subito all'occhio era la divisa da soltato. Wehrmacht. Quello era un soldato della Wehrmacht!

"No, certo che no", aveva risposto lei, indicandogli con un movimento del braccio la sedia dall'altro lato del tavolo, un po' incuriosita e un po' spaventata, "Si sieda pure".

"Grazie".

Il ragazzo aveva mescolato il suo caffè con un po' di zucchero, ma non l'aveva bevuto subito. L'aveva prima guardata con un sorriso, come se trovasse nella situazione qualcosa di estremamente divertente. Margaretha gli aveva lanciato un paio di occhiate sospettose. Per quanto quel ragazzo fosse bello, avrebbe potuto mandarla in prigione in cinque minuti. Sapeva forse che lei simpatizzava per gli ebrei? No, non era possibile. Non l'aveva detto a nessuno se non alla sua famiglia. Si strinse nelle spalle, cercando di farsi coraggio.

"Fa freddo, vero?", aveva domandato il ragazzo, interpretanto il suo movimento come un segno della rigida temperatura.

"Oh si, parecchio. Forse il caffè mi scalderà". Aveva preso la tazza fra le mani, avvicinandola alla bocca, e ne aveva saggiato con le labbra la temperatura. Aveva lanciato un'altra occhiata al ragazzo, che ancora la guardava sorridente. "Mi scusi", aveva esordito quindi, "Può dire anche a me che cosa c'è di divertente?".

Lui aveva riso. E Margaretha aveva scoperto che una risata può essere contagiosa e mettere in imbarazzo contemporaneamente. Si era sentita talmente sfacciata, quasi inadeguata. Nello stesso momento era scoppiata a ridere anche lei.

"Mi chiamo Johann", le aveva detto, eludendo la domanda e porgendole la mano, "E sono un soldato della Wehrmacht. Sono tornato a Monaco per venire a trovare i miei genitori". Margaretha gliel'aveva stretta.

"Io sono Margaretha e lavoro nel negozio di orologeria dei miei genitori", aveva risposto.

"E quanti anni ha, Margaretha? Sembra solo una ragazzina", aveva commentato divertito Johann.

"Allora è questo che la faceva sorridere! Non si preoccupi, sono maggiorenne". L'affermazione aveva scatenato altre risate nel soldato.

Quel pomeriggio piovoso era sembrato illuminarsi in quel momento in cui si erano sentiti complici, in cui a Margaretha non era più importato nulla della Wehrmacht, del grado sociale o della religione. Le era sembrato che tutto ciò che c'era di importante nella vita si riassumesse nel bere un caffè in compagnia di un bellissimo sconosciuto chiamato Johann, dopo uno spettacolo teatrale. Le era sembrato che le sue riflessioni precedenti fossero esistite solo perché poi era arrivato lui a smentirle. Che importava se era un soldato! Era lo stesso bello e distinto, chiaramente di ottima famiglia, a giudicare dal cinturino d'oro del suo orologio da polso.

Johann non si era limitato a tenerle compagnia nel caffè, ma quando Margaretha si era alzata per tornare verso casa, lui l'aveva seguita e l'aveva protetta dalla pioggia con la sua giacca, rimanendo in maniche di camicia; le aveva chiamato un taxi e gliel'aveva addirittura pagato.

Quand'era tornata a casa, le era sembrato di trovarsi improvvisamente in un altro mondo. Si domandava di continuo se si sarebbero rivisti, se ci sarebbe potuto essere qualcosa fra di loro, se sarebbe potuta scoccare una scintilla romantica oppure se lui si comportava così con tutte le ragazze carine. Margaretha si stava innamorando di Johann.


 

Johann non ci aveva messo molto prima di farsi vedere di nuovo. A quanto pareva, i soldati della Wehrmacht avevano l'abilità di rintracciare le abitazioni, così un giorno, con uno scampanellio, era entrato nell'orologeria della famiglia Mayers. Margaretha era balzata in piedi e gli si era fatta incontro, salutandolo giovialmente. Herr Mayers non era stato altrettanto felice di vedere un soldato nel suo negozio, ma aveva stretto le labbra e annunciato che c'era molto da fare nel retrobottega. In fondo, non avrebbe potuto dire nulla contro quel ragazzo, se non avesse voluto trovarsi in guai più grossi di lui.

"Come ha fatto ad arrivare fino al mio negozio, Johann? Confessi!", aveva scherzato Margaretha.

"Ho un certo intuito per scovare le tracce della ragazza più carina della città", aveva risposto lui con un sogghigno. "Forse saprà indicarmi l'orologio migliore che avete, il mio si è rotto e ne ho proprio bisogno".

I due si erano messi a osservare gli oggetti nel negozio con la stessa attenzione che si sarebbe potuta attribuire a dei figli. Le lancette, il modo in cui erano disegnate le ore, il bordo, il cinturino, tutto era stato passato sotto una scrupolosa analisi. Alla fine, Johann aveva deciso per un sobrio quadrante rotondo, i numeri romani contrastavano elegantemente con le lancette d'oro, abbinate alla fibbia. Si era osservato il polso oltremodo compiaciuto, e Margaretha aveva sorriso, i pugni sui fianchi, come se avesse appena vinto una gara di corsa.

"Allora, è contento del suo acquisto?", gli aveva domandato una volta incassata la cifra di vendita, appoggiandosi al bancone.

"Non ne ho mai fatto uno migliore. Mi correggo, sarebbe il secondo se lei accettasse di andare al cinema con me, Margaretha". La ragazza era arrossita lievemente, si era umettata le labbra con la lingua e poi aveva tergiversato un po', con frasi come 'non saprei' e 'dipende quando', ma Johann aveva sorriso sornione, sapendo che le averebbe strappato un sì, e alla fine l'aveva avuta vinta.

L'appuntamento era stato fissato per quel venerdì sera, e Margaretha passò quasi tutto il pomeriggio a prepararsi. Aveva indossato uno dei suoi abiti migliori, azzurro chiaro, un po' scollato, che le arrivava fino alle ginocchia. Ai piedi aveva delle eleganti scarpe col tacco e i capelli biondo scuro erano acconciati alla moda. Si era messa sulle spalle anche una giacca di pelliccia, perché sapeva che avrebbe fatto freddo e sospettava che non sarebbero tornati a casa subito dopo lo spettacolo.

Johann l'aveva aspettata sotto casa, puntuale come un orologio, alle sette di sera. Era arrivato con la sua lucida macchina nera, le aveva aperto lo sportello da vero gentiluomo e si era tenuto i guanti per guidare. Si erano addentrati nel centro di Monaco scherzando, battibeccando. Lui le aveva raccontato di essere nell'esercito da sei anni ormai, e che non avrebbe mai voluto trascorrere la vita dietro una scrivania. Aveva così deciso di andare a Berlino a chiedere un prossimo incarico, ma era stato molto vago a proposito. A Margaretha sembrava di capirlo. Con la spensieratezza e l'ingenuità della gioventù si era già dimenticata che il suo accompagnatore era un soldato della Wermacht e gli aveva augurato le migliori fortune.

"Ma mi dica di lei, Margaretha", l'aveva incitata Johann incuriosito.

"Oh, la mia vita è perfettamente ordinaria. Sono una diciannovenne che lavora, libera come l'aria e che si diverte molto a vedere spettacoli di tutti i tipi. Sono molto curiosa di sapere che cosa trasmetteranno sta sera. Lei che ne dice?".

Prima erano andati a cena in un ristorante di alto livello. La ragazza era stata felice di avere un abito che non sfigurava davanti a quelli delle signore ricche ed eleganti che gremivano la sala, accompagnate da uomini grassi e baffuti. Le era piaciuto essere al centro dell'attenzione una volta entrata, e quando qualche zitella si era messa a bisbigliare con la vicina guardandoli, era stata sicura di aver fatto una meravigliosa figura. Certo un ragazzo come Johann non avrebbe potuto passare inosservato nemmeno fra una folla, e forse avevano guardato più lui che lei, ma si era sentita soddisfatta di essere aggrappata al suo braccio.

Con perfetta galanteria, era stata accompagnata al tavolo e si era occupato lui di spostarle la sedia per farla sedere. Margaretha aveva consegnato la giacca a un cameriere e si era tenuta la borsetta sulle ginocchia, coprendola poi con il tovagliolo.

Il cibo si era rivelato ottimo quanto la compagnia. Johann era istruito, aveva frequentato l'università e aveva conseguito una lunga serie di successi sportivi. Non era stato difficile entrare nell'esercito, con quel curriculum. Conosceva le opere di Nietzsche e di Wagner, leggeva Goethe e Schiller e non c'era nulla che sembrava sfuggirgli, nemmeno le occhiate curiose dei vicini di tavolo. Era bello, era intelligente e galante: a Margaretha sembrava di aver trovato l'uomo perfetto. Tornò con la mente ai tempi di scuola, in cui giravano sottobanco delle figurine con le immagini del perfetto ariano e ogni ragazza sognava di incontrarne uno per strada anche solo per dargli un'occhiata. Ora lei ne aveva uno davanti e addirittura stavano cenando insieme. Si sentiva vittima di un sogno.

Dopo cena, Johann aveva pagato e si erano diretti insieme verso il cinema, a vedere "Il Trionfo della Volontà". Per tutto il film il ragazzo era stato presissimo e aveva trattenuto il fiato dal primo all'ultimo minuto. Margaretha l'aveva trovato grandioso ma non aveva condiviso le idee. Non aveva mai ritenuto le leggi razziali sensate, né condivisibili, ma sapeva che la sua bocca doveva rimanere cucita. Guardando Johann accanto a lei, aveva di nuovo visto il soldato della Wehrmacht e non il ragazzo simpatico e dai mille pregi che l'aveva fatta ridere tutta la sera.

Con una scusa era andata in bagno, nell'intervallo, e ne era uscita solamente quando il film era iniziato di nuovo. Aveva passato tutto il tempo a guardarsi negli occhi, nello specchio, chiedendosi se era normale sentirsi in quel modo. Aveva voglia di urlare in faccia a Johann che odiava quello che faceva, quello che era, cosa pensava e che quel film non le era piaciuto per niente. D'altro canto si domandava chi ci fosse davvero sotto quell'uniforme: un ragazzo simpatico e galante oppure un freddo soldato senza cuore? Ne aveva concluso che non poteva saperlo e che non era in suo potere giudicare una persona senza sapere perfettamente che cos'aveva passato. Si era ritrovata confusa, indecisa, ma vedendo che lui l'aveva aspettata in piedi fuori dal bagno, nonostante il film fosse cominciato, aveva capito che forse, se lui si fosse innamorato di lei e viceversa, avrebbero potuto passare sopra a quella differenza. Forse lei avrebbe potuto vedere solo l'uomo e il cuore ed evitare accuratamente ciò che invece significava la divisa.

Un soldato alla fine poteva esserlo chiunque. Wehrmacht o no, poteva avere un'anima. Non pregiudicava per forza il suo carattere e i suoi comportamenti. Forse un giorno si sarebbe ritrovato da qualche parte, rischiando la morte. Non era lui che reggeva le fila. Lo aveva preso di nuovo a braccetto e gli aveva proposto di andare a bere qualcosa senza finire il film. Johann aveva accettato volentieri.

Erano entrati in un locale e avevano preso i posti migliori. Non c'era voluto molto prima che Margaretha si dimenticasse tutto ciò che aveva sospettato fino a poco prima. Si rese conto che le piaceva molto stare in compagnia di quel soldato, che le piacevano i suoi atteggiamenti, il suo spirito e il modo in cui si esponeva. E non le importava più che fosse nazista.


 

Da quella sera, Johann e Margaretha si videro sempre più spesso. Ogni venerdì sera la ragazza si vestiva con i suoi abiti più eleganti e alle sette scendeva in strada. E ogni volta che apriva la porta, quei giorni, lo vedeva accanto alla macchina, che l'attendeva con un sorriso e una giacca alla moda. A volte la andava a trovare in negozio per parlare un po' insieme; a volte le portava dei fiori e glieli porgeva con una battuta di spirito.

Margaretha si trovava benissimo. Non aveva mai pensato di poter essere così appassionata a qualcuno, non aveva mai creduto possibile, nemmeno quand'era ancora solo una ragazzina a scuola, che si potesse amare in quel modo così prepotente: i suoi genitori sembravano provare l'uno per l'altro null'altro che tenerezza, sicuramente non passione.

Si ritrovò a immaginarsi un loro possibile bacio e quand'era da sola, la notte, sporgeva le labbra verso il cuscino immaginandosi Johann davanti a lei. Poi i suoi pensieri volavano, e immaginava che lui non fosse solamente al posto del cuscino, ma arrossiva pensando a lui nel letto morbido, accanto a lei, senza camicia né scarpe... a volte si sentiva quasi come se il suo corpo non volesse altro che lui, che senza sarebbe potuta morire. Alla fine tornava nella sua stanza, dov'era sola. E si addormentava cullata da dolci fantasie.

Per tre mesi i due si erano visti tutte le settimane, nell'ultimo periodo anche due o tre volte.

Era una gelida giornata di febbraio, e Margaretha si era messa un paio di spesse calze di lana che non erano particolarmente eleganti, ma la difendevano dal freddo e dalla neve che da dicembre riempiva le strade di Monaco. Era pronta da un'ora intera, quando erano arrivate le sette. Era così scesa, ma aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava. Johann fremeva, ma allo stesso tempo sembrava carico di malinconia. Le aveva aperto la portiera e l'aveva fatta salire in macchina, poi erano partiti e il viaggio era trascorso in silenzio. Erano già arrivati in un bar esclusivo da alcuni minuti, quando lui si decise a dire qualcosa.

"Margaretha, devo dirti qualcosa di molto importante", ammise, prendendole le mani fredde fra le sue. Le guardò per qualche momento come in cerca di risposte, dopodiché la fissò negli occhi e sorrise mesto: "Sto per partire. Sabato prossimo partirò per Berlino. Starò lì alcuni mesi, perché potrei ottenere una carica alta di cui ancora non posso parlare. Probabilmente starò via fino al prossimo autunno, ma poi tornerò da te, Margaretha, lo prometto".

Lei aveva ritratto le mani, portandosele sul grembo e abbassando gli occhi. Come aveva potuto pensare che la loro storia potesse continuare? Come aveva potuto credere che lui un giorno le avrebbe addirittura chiesto il fidanzamento? Era ciò che aveva desiderato di più, e se ne rendeva conto solo quando ormai la partenza di Johann sembrava imminente. Aveva deglutito poco convinta, cercando di tenere le lacrime lontane dagli occhi e dal trucco.

"Margaretha...", aveva provato a dire il ragazzo, con tono triste, "Ti assicuro che tornerò... è una promessa. Tornerò e forse io e te potremo guardare più avanti della prossima settimana. Forse potremo pensare più a lungo termine, e..."

"Sono mesi", aveva rimarcato lei, currucciata, il labbro inferiore che tremava, "Io non avrei voluto altro che continuare così", mentì. Non voleva fargli capire quanto si sentiva fragile, quanto era insicura in quel momento. Non voleva fargli capire come stava. Non voleva che lui pensasse che non era altro che una donnicciola come tutte le altre. Lei era forte, era una ragazza che poteva affrontare qualsiasi cosa. Nonostante tutto, la tristezza si era ormai fatta largo nel suo cuore.

Johann aveva fatto ancora una volta la cosa giusta. Si era avvicinato e l'aveva presa fra le braccia, stretta come una bambina. Le aveva baciato la fronte, carezzato i capelli, lambito con le dita il collo. Margaretha si era sentita ribollire e sperando che il locale fosse abbastanza buio l'aveva baciato. Le labbra si erano trovate subito in perfetta sintonia, si erano mosse insieme in una breve danza eccitante, ma poi lui si era scostato, sorridendo, gli occhi illuminati.

"Non ora e non qui, piccola Margaretha. Tu sei una tigre, ma ritira gli artigli. Non è il momento. Ti prometto però che quando ritornerò sarà tutto diverso", le aveva detto. E lei ci aveva creduto. Aveva ritratto le unghie, tirato indietro i denti, si era trasformata in un gattino. Si era lasciata abbracciare con dolcezza, poi si era calmata e avevano parlato a lungo delle loro vite, di ciò che avrebbero fatto quando si sarebbero riuniti.

Johann si era presentato a casa della ragazza solo per salutarla prima di partire. Poi tutto si era trasformato in un sogno.


 

Margaretha ci aveva messo un po' a riprendersi dalla partenza del ragazzo. Per il primo mese le era sembrato che senza Johann Monaco non avesse più senso ed era addirittura arrivata a pensare di salire sul primo treno per Berlino per raggiungerlo. Continuava a trovarsi in un limbo fra le idee che si confondevano l'una con l'altra. Da un lato si sentiva forte e si continuava a ripetere che doveva avere fiducia in lui, che il loro amore sarebbe stato più forte della distanza, che qualsiasi cosa fosse accaduta, non avrebbe cambiato il loro rapporto. Poi si ritrovava sull'orlo delle lacrime e si rendeva conto di essere fragile, ma con rabbia si asciugava gli occhi e tornava a testa alta, immaginando il giorno in cui si sarebbero riuniti.

A volte, però, si trovava ancora il dubbio nel cuore. Johann era stato un soldato della Wehrmacht e i suoi vicini di casa erano ebrei. La vita per loro diventava ogni giorno più difficile, e spesso la polizia faceva loro scherzi crudeli. Quando vedeva il simbolo del dominio di Hitler non riusciva a essere d'accordo con le sue idee razziste e aveva sempre paura di scoprire che il ragazzo che aveva conosciuto e con cui aveva condiviso tante bellissime serate si comportasse similmente. Poi si dava della stupida. Johann non si comportava così, si diceva. Non avrebbe mai potuto farlo, lui era buono. Lui era solo un soldato.


 

A fine settembre Margaretha lavorava ancora nell'orologeria paterna e non era più uscita con nessuno, idealizzando sempre più il suo soldato e aspettandolo fedelmente.

La campanella del negozio aveva suonato, ma lei non aveva alzato subito gli occhi, concentrata sulle parole crociate.

"Mi scusi un momento, arrivo", aveva detto solamente. Non aveva ricevuto risposta, così aveva pensato che fosse un'affermazione. Una volta trovata la parola che corrispondeva alla definizione aveva alzato la testa e la sua espressione annoiata si era trasformata. Davanti a lei c'era Johann. Era tornato, così come aveva promesso. Erano passati sette mesi. Sette mesi senza lettere, senza parole, senza telefonate, ma nessuno dei due aveva dimenticato l'altro.

"Johann!", aveva esclamato Margaretha senza fiato, aggirando il bancone per andargli incontro. Aveva notato una nuova aria di orgoglio nei suoi occhi chiari. Il sorriso sornione era sparito, sostituito da uno più arrogante. Indossava una nuova divisa, coperta da uno spolverino che gli arrivava fino alle ginocchia.

"Ti avevo promesso che sarei tornato", aveva detto lui, con un sorriso. La ragazza gli era corsa incontro, l'aveva abbracciato e si erano baciati sulle guance, le lacrime che minacciavano di scorrere.

"Sembra che sia passato così tanto tempo... sei riuscito a ottenere quell'incarico?", aveva chiesto Margaretha, il cuore che batteva all'impazzata, mentre sperava nei futuri venerdì sera, nelle chiacchierate, nelle risate.

"Si, sono riuscito ad avere un ruolo qui a Monaco quasi subito. Fortunatamente ero adatto al ruolo, altrimenti non mi avrebbero mai mandato qui. Non mi avrebbero fatto tornare", aveva raccontato.

Margaretha era stata felicissima. Aveva lasciato il negozio ed erano andati insieme a passeggiare per il centro di Monaco. Johann non aveva parlato molto del suo lavoro, aveva solo detto vagamente che faceva parte del servizio militare, ma non aveva detto nulla di più. Quanto alla ragazza, a lei non importava più di tanto. Cercava di cogliere ogni differenza nell'atteggiamento del ragazzo, cercava di carpirne ogni dettaglio per non dimenticarlo più, cercava di guardarlo abbastanza da imprimerselo nella mente e confrontarlo con quello dei suoi ricordi. Voleva averlo su di sé come i raggi del sole.

Johann era più vigile, più freddo, si lasciava meno andare. Ma era sempre galante nelle sue frasi, educato, professionale. Aveva sempre quelle maniere affascinanti che lo contraddistinguevano.

Margaretha si sentiva volare. Dopo tanto tempo lui era tornato. Si era ricordato di lei. E l'aveva raggiunta.


 

Un venerdì Margaretha era a casa e si stava preparando per uscire con Johann, quando aveva udito un rumore da fuori, come se qualcuno avesse urlato. Seguendo il rumore si era avvicinata a una finestra, coprendosi con una vestaglia, e aveva scostato la tenda. Si era subito sentita prendere dal terrore quando si era resa conto che la polizia aveva appena fatto irruzione nella casa dei vicini di casa, degli ebrei. Si era tappata la bocca con una mano, mentre le lacrime si affollavano negli occhi. Non poteva crederci. Non poteva credere che stessero portando via Anna, che quand'era bambina le regalava sempre le caramelle, il suo diplomatico marito Benjamin, i loro tre figli, Esther, Joshua e la piccola Dalila. Si era ritratta, urlando dal dolore, dalla sorpresa, dall'orrore. I genitori, in casa come lei, erano corsi a vedere che cosa stava succedendo ed erano impietriti anch'essi alla vista della famiglia che sfilava sulle scale, spinta su un furgone coperto. Anna cercava disperatamente di prendere in braccio la figlioletta, piangendo e strillando, ma veniva spinta senza delicatezza sul mezzo.

Ma ciò che aveva riempito Margaretha di un vuoto oscuro che non vedeva luce, di una profondità di tristezza da mozzare il respiro, di un dolore sordo, era stato vedere che in un angolo poco lontano, elegante nella sua divisa, c'era Johann. E Margaretha aveva capito che cos'era andato a fare a Berlino, aveva capito perché se n'era andato ed era stato via e aveva anche capito perché era tornato a Monaco. Ormai, il ragazzo di cui era stata innamorata era diventato membro della GESTAPO, ed era stato proprio lui a ordinare l'arresto della famiglia.

Sentendosi colpevole, vittima, carnefice, codarda e delusa, Margaretha si era lasciata scivolare sul letto ed era scoppiata a piangere. Non era scesa a incontrare il ragazzo quella sera e non aveva nemmeno voluto dirsi disponibile, fingendo di essere malata.

Provava dentro di sé una profonda delusione e una rabbia cocente nei confronti di Johann e di se stessa. Come aveva potuto non capire? Come aveva potuto essere tanto cieca? Come aveva potuto pensare che un soldato della Wehrmacht, fiero delle ideologie del suo paese, fervente sostenitore di Hitler e del Partito Nazista, si sarebbe risparmiato quelle cattiverie? Come aveva potuto illudersi su di loro, pensare che se le ideologie fossero rimaste fuori dalla loro relazione tutto sarebbe potuto andare bene?

Margaretha sapeva un'unica cosa: non avrebbe potuto condividere la vita con un assassino.


 

L'unica cosa che le era venuta in mente per far capire a Johann che ormai non c'erano più speranze di uscire insieme, che lei ormai non voleva più avere nulla a che fare con lui, era stata uscire con un altro. Era chiaro che non poteva dire nulla a lui. Non poteva spiegare al ragazzo che non aveva più intenzione di uscire con lui perché faceva parte della GESTAPO. Come minimo la sua famiglia ne avrebbe sofferto un segno indelebile per il resto della vita, marchiati come anti nazisti. Non poteva nemmeno dire che non le piaceva più di punto in bianco. Aveva anche paura a parlargli, ormai. Aveva paura di vederlo in strada, nel negozio, al bar.

Così aveva deciso di trovare qualcun altro velocemente. La situazione si era presentata a una festa a cui era stata invitata la sua famiglia, un paio di settimane dopo la sparizione improvvisa della famiglia ebrea. Erano a casa di amici, quando Margaretha aveva visto un ragazzo dai capelli biondi e dagli occhi scuri che la guardava con interesse. Senza aspettare nemmeno un momento gli aveva fatto intendere di essere libera e aveva ballato con lui per tutta la sera.

Aveva scoperto che si chiamava Peter, che lavorava in una libreria e che aveva ventitré anni. Aveva appena finito l'università e si era preso un periodo di tranquillità prima di cominciare a trovare un lavoro più serio. Non era pieno di soldi, si rifiutava di indossare la divisa e voleva un sacco di bambini.

Alla fine della festa erano usciti a fare due passi e prima che arrivassero a casa di Margeretha, lui l'aveva baciata. Lei non si era tirata indietro. Aveva pensato a Johann, aveva desiderato che ci fosse lui al posto di Peter, poi si era ricordata che era un assassino e si era stretta al petto del ragazzo davanti a lei.

Avevano cominciato a uscire da quella settimana, e la ragazza si curava sempre di frequentare i posti in cui era più probabile trovare il soldato che le aveva rubato il cuore, in modo da farsi vedere con Peter il più possibile. Lo vedeva spesso, la testa bionda china, il pugno stretto intorno a un bicchiere di birra, il labbro inferiore insanguinato per i morsi. La guardava quando poteva, quand'era sicuro che non ci fosse pericolo. Margaretha sapeva di aver fatto la cosa più giusta e crudele possibile. Sapeva che entrambi avrebbero sofferto. Sapeva che lui aveva capito. Sapeva che avrebbe per sempre sognato di trovarsi fra le sue braccia, come le aveva promesso molti mesi prima, di affondare le labbra nel suo collo caldo e profumato. Ma non avrebbe potuto esserci più nulla fra di loro.

A volte guardava Peter. La verità era che provava affetto per quel ragazzo così aperto, un po' alla buona, espansivo. Gli si era affezionata in pochissimo tempo, nel giro di poche settimane. Ma non lo amava, e non lo avrebbe mai amato, lo sapeva bene. L'aveva saputo dal primo momento in cui l'aveva visto. Aveva anche capito che non avrebbe mai amato uno della GESTAPO. Nel suo cuore sarebbe per sempre rimasto Johann, il soldato della Wehrmacht, che la portava nei locali più eleganti e guidava con i guanti, che le offriva il caffé e la fermava quando, presa da un momento di passione, voleva baciarlo. Avrebbe per sempre ricordato la sua promessa. Avrebbe sempre sperato che lui tornasse, che quel Johann che lei aveva conosciuto fosse ancora vivo sotto la nuova divisa, che tornasse ad essere ciò che era prima. Sapeva che non sarebbe mai accaduto. Ma non avrebbe smesso di sperare.


 

Peter si inginocchiò davanti a Margaretha un soleggiato pomeriggio di maggio. Con occhi lucidi e mani tremani le aveva consegnato un anello economico e le aveva chiesto se voleva diventare sua moglie. Il mese seguente si erano sposati ed erano andati a vivere in un appartamento nella periferia di Monaco. Lei era rimasta incinta quasi subito. E l'anno seguente, era cominciata la guerra.

 

 

 

 

 

"Margaretha! Margaretha! Vieni! Li hanno presi!", urlò Peter chiamando la moglie. Margaretha si fece largo fra le macerie che ormai riempivano la cantina in cui si erano rifugiati negli anni precedenti e raggiunse il marito. Si spolverò la gonna e si schermò gli occhi dalla luce del sole. La guerra era finita, e le sembrava quasi incredibile essere ancora viva insieme alla sua famiglia. Lei, Peter e i due bambini, Anna e Johann, erano sopravvissuti. Johann era il più piccolo, nato tre anni prima, e lei si era impuntata per chiamarlo così. Non avrebbe voluto dare a suo figlio alcun altro nome. Era un modo per portare il suo soldato sempre con sé, di ricordarlo ogni giorno, di sapere che in qualche modo era tornato. E il bambino, incredibilmente, aveva i capelli biondi di Peter e gli occhi azzurri di Margaretha, e sembrava l'immagine dell'ariano modello. Doveva ammettere che gli era più affezionata rispetto ad Anna.

"Chi?".

"Quelli della GESTAPO. Ne hanno trovati sei che cercavano di fuggire. Vieni! Li fanno salire su un furgone per Norimberga! Verranno processati come chiunque dovrebbe!". Peter era euforico. Margaretha socchiuse le labbra, il pensiero corse a Johann e chiamò i bambini. Li prese per mano, uno a destra e uno a sinistra, e si diresse insieme al marito verso la piazza principale di Monaco. Le sembrava incredibile che fosse tutto finito e nonostante la giornata soleggiata aiutasse ad avere fiducia, non riusciva a non girarsi costantemente, attenta, controllandosi le spalle, scrutando il cielo e aguzzando le orecchie. Sperava che i bambini avrebbero avuto più da mangiare, adesso. Lei, dal canto suo, si era ridotta a un esserino pelle e ossa. I capelli castani già striati di grigio nonostante non avesse nemmeno trent'anni sembravano troppo folti per lei, troppo lunghi. La gonna era stretta alla vita con una cintura, la camicia le ricadeva sul petto come se non avesse alcun segno di femminilità.

Arrivati in piazza, Peter fece del suo meglio per ottenere una visuale migliore. Le persone si riversavano nelle strade, gridavano, piangevano, inveivano, pregavano. Qualcuno ballava e suonava semplici tamburi di pelle e altri cercavano di vendere le scarpe. Margaretha riuscì a farsi largo e raggiunse Peter, schiacciato in prima fila contro alcuni soldati inglesi. Si sporsero oltre le spalle di quegli uomini, tenendo i bambini stretti contro di loro, aspettando che gli ufficiali che avevano condannato a morte milioni di ebrei percorressero i loro ultimi passi alla luce del sole.

La donna non riusciva a capire i suoi sentimenti. Temeva di vedere Johann, anche se d'altro canto sperava di incontrarlo un'ultima volta. Erano anni interi che non lo vedeva. Si era sempre lasciata cullare dai ricordi e non aveva voluto rovinarli vedendo che cosa lui era diventato. Da quando si era sposata, non l'aveva più visto da nessuna parte.

Improvvisamente apparvero: prima uno, poi l'altro, scortati dai soldati che li tenevano in pugno. E poi, le spalle dritte nonostante tutto, lo scorse. Johann sembrava ancora giovane anche se ora aveva più di trent'anni. Era dimagrito, ma conservava i suoi tratti, i muscoli, i capelli erano sempre biondissimi e gli occhi azzurri. Aveva la barba, gli abiti impolverati, e sulla fronte portava il segno di una botta insanguinata. Chissà cosa gli era accaduto?, pensò Margaretha. Lo fissò con gli occhi socchiusi, immobile in mezzo alla folla che esultava, tenendo i bambini per mano, senza ascoltare cosa Peter le stava urlando. Non sentì nulla dal momento in cui lo vide. Solo una profonda freddezza, un senso di giustizia.

Gli occhi chiari di Johann si alzarono e, come attirati da un magnete, incontrarono quelli di Margaretha. La guardò per un momento che sembrava infinito, e le sembrò di leggere in quelle pozze d'acqua moltissime cose. Le sembrò di leggere il rimorso per la strada che aveva preso, per averla persa, per essere finito in quella situazione. Lesse i suoi pensieri, lesse la sua malinconia per non essere mai riuscito ad averla. Lesse la sua solitudine e capì che dopo di lei non c'era più stata nessuna. Che lei era stata la prima e l'ultima.

Poi venne trascinato in avanti e voltò la testa di scatto per controllare di non cadere.

Quella fu l'ultima volta che Margaretha vide Johann. Non ne seppe più nulla.

Ma lei si sentì per sempre una ragazza. Una ragazza innamorata di un soldato della Wehrmacht. 









NdA: Ciao a tutti ^^ Allora, questa storia parte dal fatto che... avevo voglia di scrivere e ho cercato un contest che mi ispirasse, perché non avevo proprio idea su cosa basare una One Shot! Gira che ti rigira, trovo questo: La ragazza e il soldato di drallenwr, e così ho deciso di provare. L'ho scritta in velocità record, fra ieri sera quando mi sono iscritta a oggi che la consegno! :D E niente, spero che vi piaccia e che abbiate voglia di lasciare un commentino :) Ringrazio tantissimo il mio ragazzo per avermi aiutata! Senza di lui non sarei riuscita a stabilire il tempo giusto, l'età... e nemmeno l'impiego di Johann! E' stato lui a darmi tutte le informazioni necessarie (storicamente parlando) e mi ha supportata mentre cominciavo a scrivere la storia! Grazie amore <3 
Alla prossima :D 
Nymphna 

 

   
 
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