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Autore: taisa    21/04/2008    9 recensioni
Malgrado le apparenze, Piccolo, ci sa davvero fare con i bambini...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gohan, Goten, Piccolo, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CALL ME SENSEI

CALL ME SENSEI

*

Intorno all’intera vallata regnava solo la notte.

Densa e consistente si stagliava sulle montagne circostanti.

Solo un tenue fuoco sembrava voler controbattere le tenebre che circondavano la zona.

Lì, su una rupe, due figure restarono immobili attorno allo scoppiettante falò da loro generato.

La sagoma più piccola, quella di un bambino, sembrava immersa in un sonno profondo data la sua posizione supina.

Un braccio a fargli da cuscino e null’altro.

Non una coperta adagiata sul corpicino del piccolo, né qualcosa che potesse riscaldarlo.

Solo la stoffa della sua tunica lo riparava dal freddo, oltre al fuoco stesso.

La spada adagiata al suo fianco sembra essere il suo unico possedimento; eppure, il piccolo guerriero, non sembrava affatto sofferente per la sua attuale situazione.

Accanto, dall’altra parte del crepitante fuoco, un’altra figura sembrava assorta in pensieri molto profondi e, deducendo dalla sua espressione, anche abbastanza impegnativi.

L’uomo dava l’impressione di essere assopito e, gli occhi chiusi, sembravano confermare questa teoria.

Il dubbio, però, nasceva dall’insolita posizione che aveva assunto.

Gli occhi sbarrati e, sia gambe che braccia, incrociate tra loro.

Non si mosse nemmeno quando, il suo piccolo compagno d’avventura, si issò a sedere.

Il bambino, evidentemente ancora sveglio, si fermò ad osservarlo con aria ingenua scrutandone l’espressione.

“Torna a dormire” ordinò l’adulto senza muoversi di un solo millimetro dalla sua posizione.

Il piccolo, tuttavia, non sembrò intenzionato a prestare obbedienza alla figura autoritaria che gli stava, finalmente, tenendo compagnia.

“Il mio papà dice che sei un grande guerriero, è vero?” esordì il piccolo dai capelli color tenebra senza battere ciglio.

Seguì un attimo di silenzio.

Nessuno dei due parve voler parlare.

Se da un parte, il piccolo, sembrava in attesa di un’opinione, dall’altra, l’uomo dalla pelle verde, parve considerare attentamente la domanda in cerca di una risposta.

“Tuo padre farebbe bene a pensare di più a se stesso” rispose duramente l’uomo col turbante.

Il bambino, Son Gohan, non sembrò impressionato dalla risposta del demone continuando ad osservarlo come se davanti a sé ci fosse una persona qualsiasi.

Una delle tante, come poteva esserlo suo padre, sua madre o suo nonno.

Gohan sbatté le palpebre più volte ed attese altri secondi prima di riprendere a parlare; “Il mio papà ha ragione” constatò il piccolo giungendo alla conclusione di un concetto che girovagava solo nella sua mente.

Piccolo decise, infine, di aprire gli occhi osservando la figura del bambino quasi con sgomento; in attesa, forse, di conoscere i pensieri del ragazzino.

Lui, il piccolo guerriero, gli sorrise nella maniera più genuina che conosceva; “Non sei affatto cattivo come dicono la mamma e il nonno” spiegò allargando il suo sorriso da orecchio a orecchio.

Il demone, al contrario, si ritrovò spaesato dalle parole di un moccioso; sul suo volto, difatti, si dipinse uno smarrimento visibile persino ad un occhio inesperto.

Ammutolito fissò il ragazzo senza riuscire a pronunciare una sola sillaba; fu il piccolo Saiyan, appunto, a riprendere la parola “Quando tornerò a casa dirò alla mamma di prepararti tante cose buone. La mia mamma cucina bene sai? Ti piace il pesce? La mia mamma…” “Fa silenzio!” sbottò il demone.

Piccolo, esasperato e confuso, zittì il ragazzino quasi istintivamente; nello sguardo di Gohan, però, non si intravide nessun cenno di paura.

Il bambino restò spaurito solo dall’urlo improvviso.

“Finiscila di chiacchierare a vanvera! Domani ti aspetta un allenamento ancor più duro rispetto a quello di oggi, non vorrai morire prima di aver sconfitto i Saiyan?!” s’impose severo il maestro.

Gohan osservò il demone dalla pelle verde per alcuni istanti, “Ma io non ho sonno” piagnucolò capriccioso.

Piccolo, ancora una volta sgomento dalla sua reazione, benché, questa volta, riuscisse a nasconderlo, osservò l’allievo aggrottando severamente le sopracciglia.

“Ti ho detto di dormire” ribadì l’uomo; contando, tra le altre cose, sul suo aspetto fisico non incoraggiante, nella speranza di incutere almeno un po’ di timore nel ragazzino.

Gohan, però, si limitò a sdraiarsi piegando la bocca verso il basso, dispiaciuto, semplicemente, di non poter dialogare col maestro.

Infondo, a lui, questo tizio piaceva.

Piccolo brontolò sommessamente qualcosa d’incomprensibile.

Tra mille borbottii la parola moccioso fu l’unica ad essere chiaramente udibile.

Il Saiyan, invece, si limitò a chiudere gli occhi nella speranza di riprendere sonno al più presto.

*

Un tremendo frastuono lo costrinse ad aprire gli occhi.

Di svegliarsi, però, non sembrò intenzionato, infatti richiuse le palpebre un secondo dopo.

Si rigirò dall’altra parte, come se nulla fosse, tornando nel suo mondo di fantasia.

“Svegliatevi!” strepitò una voce dallo stampo severo costringendo, il giovane Son e il suo migliore amico, a destarsi una volta per tutte.

Goten e Trunks aprirono contemporaneamente gli occhi focalizzando, lentamente, la sagoma che si presentò loro con sguardo severo.

Piccolo osservò i due ragazzini dall’alto verso il basso, le braccia incrociate al petto e lo sguardo inflessibile, per non dire arrabbiato.

Fu Trunks il primo a dare cenni di vita.

Si issò in posizione seduta grattandosi, svogliatamente, la testa, “Altri cinque minuti” farfugliò seguito da un sonoro sbadiglio, col risultato d’innervosire ulteriormente il già irrequieto maestro.

Ormai al culmine della sopportazione, il namecciano, optò per le maniere forti, pur di destare i due piccoli, ed indisciplinati, guerrieri.

Un pugno ben assestato sulle teste dei ribelli bastò a svegliare, dolorosamente, i giovani Saiyan.

“Ahi che male!” si lamentò il bimbo dai capelli lilla massaggiandosi la parte lesa, “Ahia!” fu invece la protesta del piccolo Goten.

“Forza, muovetevi, è ora di riprendere l’allenamento” ordinò l’alieno tornando ad incrociare le braccia.

Trunks gli rivolse uno sguardo imbronciato e seccato, “Perché dobbiamo allenarci subito? Non rendiamo al meglio se non siamo riposati” cercò di giustificarsi il ragazzino, spalleggiato dal frenetico annuire del compagno di giochi, “Non è giusto” gli diede manforte il bimbo dai capelli corvini.

Piccolo digrignò i denti nervoso, era stufo di ripetere le stesse cose ogni mattina, possibile che questi bambini non capissero?

Troppo piccoli, forse, per comprendere la grandezza della missione che era stata loro affidata.

Troppo piccoli per capire che la salvezza di tutti era nelle loro mani.

Troppo piccoli per aver già perso delle persone a loro care.

Semplicemente, troppo piccoli.

Gli occhi del namecciano si posarono sul più giovane dei due.

Fratello del suo primo allievo scomparso con la quale condivideva lo stesso destino: essere guerrieri troppo piccoli.

“Ve lo ripeto per l’ultima volta. Il vostro nemico è Majin-Bu, non è un gioco. Dovete imparare la tecnica della Fusion entro pochi giorni. Non stiamo scherzando” rammentò loro ansioso, senza preoccupasi di nasconderlo.

Goten e Trunks si scambiarono uno sguardo d’intesa, condividendo lo stesso pensiero, pensiero che fu Trunks, il più intraprendente dei due, a rendere noto.

Alzò la mano in segno di dover parlare ed attese.

“Cosa c’è?” domandò l’uomo prossimo ad una crisi di nervi.

Trunks abbassò la mano, si schiarì la voce ed infine riprese la parola, “Ci scusi, maestro, noi vorremo fare colazione” richiese il bambino, nuovamente supportato dall’annuire dell’altro.

L’espressione del namecciano si fece ormai esasperata.

Avrebbe più volentieri negato ai due ribelli la possibilità di svagarsi perdendo così altro tempo, ma il rumore di un piede sbattuto ripetutamente al suolo gli fece comprendere che, quella, non era un’ottima situazione.

Le madri dei piccoli guerrieri lo scrutarono attentamente in attesa di una risposta e, qualora fosse risultata negativa, si sarebbe dovuto preparare ad una sfuriata.

Quelle due erano pericolose, non per niente erano riuscite, rispettivamente, ad ammansire i guerrieri Saiyan più forti dell’intero universo.

A Piccolo non restò che acconsentire, malvolentieri, alla richiesta.

“D’accordo, ma che sia una cosa veloce” concordò dopo un sonoro sbuffo richiudendo, esasperato, gli occhi.

*

“…colo” gli sussurrò accanto una voce costringendolo ad aprire le palpebre.

Piccolo osservò la figura che gli si materializzò davanti.

Due occhi neri, coperti dalle lenti di un paio di occhiali, e un sorriso genuino che occupava gran parte del volto gioviale del suo interlocutore.

“Ciao, Gohan” lo salutò il namecciano appena riconobbe il ragazzo che lo aveva destato dalla sua usuale meditazione.

L’uomo dalle orecchie a punta si alzò dalle mattonelle bianche sulla quale era seduto tornando a guardare il suo allievo dall’alto verso il basso.

Gohan non smise ma di rivolgergli un sorriso, “Ti ho disturbato?” s’informò cordiale osservando i lineamenti, non più duri, del maestro.

Piccolo ricambiò il sorriso, “No” stabilì incrociando le braccia, come sempre aveva fatto.

“Bene” gli rispose il giovane cominciando ad assumere un atteggiamento un po’ impacciato, “Vorrei presentarti una persona” gli rivelò infine il motivo della sua visita.

Lo sguardo dell’alieno si fece curioso, soprattutto nel denotare un certo imbarazzo nelle movenze dell’altro.

Ormai lo conosceva, letteralmente, da una vita.

Gohan si grattò la nuca impacciato e, senza aggiungere altro, girò i tacchi raggiungendo un’altra figura poco distante, tutto sotto l’occhio vigile del namecciano.

Ad attenderlo una donna, Videl; in braccio un piccolo lenzuolo saldamente sostenuto dalla ragazza.

Si scambiarono poche parole che, nonostante l’udito, Piccolo non riuscì ad ascoltare dato il tono, molto basso, con la quale parlarono.

Gohan si fece carico di afferrare, molto delicatamente, il lenzuolo, tornò a voltarsi e raggiunse il namecciano vicino alle scalinate davanti al tempio.

“Lei è Pan, mia figlia” la presentò orgoglioso mostrandola a quello che era il suo più grande amico, “Pan, saluta Piccolo, lui è il maestro del tuo papà” parlò delicatamente rivolto alla neonata, come se lei potesse capire.

Piccolo osservò la creatura, domandandosi, se anche lei avrebbe condiviso lo stesso destino del padre e dello zio.

Il suo istinto gli disse di fare un passo indietro, niente più lezioni a bambini capricciosi; ma, il suo buonsenso, gli impedì di farlo.

Fece un passo avanti, adagiò la mano sulla spalla al giovane e gli sorrise “Congratulazioni, Gohan” disse delicatamente sentendosi, almeno un po’, nonno.

Pan osservò lo strano uomo per pochi secondi, sbadigliò e chiuse gli occhi appisolandosi placidamente.

*

FINE

*

*

Sensei, dal giapponese Maestro.

*

Da diverso tempo volevo scrivere qualcosa su Piccolo, dunque ecco a voi il risultato. Spero sia stato di vostro gradimento.

  
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